SARDEGNA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

SARDEGNA (XXX, p. 836; App. II, 11, p. 787; III, 11, p. 667)

Maria Luisa Gentileschi
Ferruccio Barreca

Nell'ultimo ventennio la composizione sociale della S. ha subìto una profonda trasformazione, in seguito all'attenuarsi dell'isolamento e alla diffusione di condizioni di vita e di modelli di consumo più moderni. Ne sono derivati notevoli cambiamenti dei tipi d'insediamento, sia urbani che rurali, nonché di gran parte delle strutture produttive. Tuttavia, essendo questo processo di modernizzazione concentrato in alcune parti dell'isola, cioè principalmente nelle città, negl'insediamenti industriali e nelle aree di agricoltura specializzata, si può dire che la maggior parte della S. conservi il volto di sempre. Poiché lo sviluppo non ha interessato in modo uniforme il territorio isolano, si sono conseguentemente accentuati gli squilibri tra le aree meglio dotate e quelle più povere, tra città e campagna. La parte interna, in particolare la provincia di Nuoro, è ancora contrassegnata da arretratezza e immobilismo.

Popolazione. - Il censimento del 1971 ha registrato la continuazione dell'incremento demografico, seppure in misura assai modesta. Gli abitanti residenti erano nel 1971 1.473.800 (densità 61 ab./ km2), il 3,84% in più rispetto al 1961, di cui 397.891 nella provincia di Sassari, 273.021 in quella di Nuoro e 802.888 in quella di Cagliari. La popolazione presente ammontava a 1.441.284 unità, pari al 97,79% di quella residente.

La concentrazione della popolazione nei centri è ancora aumentata (95,53%), mentre cala quella che vive nelle case sparse (2,98%) e nei nuclei (1,48%) come conseguenza dell'urbanesimo che ha interessato città grandi e medie, dell'esodo rurale e dell'abbandono dei piccoli insediamentì minerari. I comuni con oltre 100.000 ab. sono due: Cagliari (223.376), e Sassari (107.125); altri sette superano i 20.000 ab. La popolazione di questi comuni è in notevole aumento, tranne quella delle due città dell'area mineraria, Iglesias (28.081), la cui popolazione è stazionaria, e Carbonia (30.957), la cui popolazione è diminuita del 12,37% rispetto al 1961, a causa della crisi del settore estrattivo e della conseguente emigrazione. I tassi di crescita più alti sono quelli di Olbia (36,62%), di Nuoro (34,73%) e di Quartu Sant'Elena (33,97%). Aumenti di popolazione si sono avuti, in genere, nei comuni interessati ai nuovi insediamenti industriali e turistici, quasi sempre nella fascia costiera. Viceversa in molti comuni dell'interno si osserva un forte spopolamento. La persistenza di tassi di natalità ancora elevati (nel 1977 16,9‰; Italia 13,4‰), di fronte a una mortalità quasi stazionaria da vari anni (8,4‰; Italia 9,7‰) assicura ancora l'aumento della popolazione, nonostante la crescente intensità dell'emigrazione. Sulla base dei bilanci demografici decennali della popolazione residente, il deficit migratorio può essere valutato intorno alle 78.000 unità nel decennio 1951-61 e alle 148.000 nel decennio 1961-71. La provincia di Nuoro ha dato il contributo proporzionalmente più elevato. La maggior parte degli emigranti si dirigono verso il Piemonte, la Lombardia e il Lazio. L'emigrazione all'estero, molto meno consistente, si riversa soprattutto nei paesi della CEE, in particolare nella Rep. Fed. di Germania. La consistenza della popolazione attiva è ulteriormente diminuita, concordemente a quanto si è verificato nel resto d'Italia. Essa forma il 42,80% della popolazione residente oltre i 14 anni e il 30,97% di quella residente totale (Italia 36,59%). Il livello dell'attività è molto basso anche a causa della limitatissima incidenza dell'occupazione femminile. Le conseguenze del processo d'industrializzazione e del concomitante esodo agricolo sono evidenti nella struttura dell'attività della popolazione: al 1971, il 21,52% della popolazione attiva in condizione professionale lavorava nel settore primario (Italia 17,22%), il 34,91% nel settore secondario (Italia 44,34%) e il 43,57% nel terziario (Italia 38,44%).

Variazioni amministrative. - Il totale dei comuni della S. è passato da 351 nel 1961 a 356 nel 1971. Con la legge n. 306 del 16 luglio 1974 è stata costituita la nuova provincia di Oristano, che comprende 75 comuni, di cui 71 provenienti dalla provincia di Cagliari e 4 da quella di Nuoro. Al 1971, la popolazione residente era di 149.285 unità, su una superficie di 2.630,57 km2 (densità 57 ab./km2), cosicché quella di Oristano è la più piccola tra le province sarde quanto a superficie e l'ultima in graduatoria quanto a popolazione. Il capoluogo aveva, nel 1971, 26.059 residenti. L'economia della nuova provincia presenta un carattere agricolo più accentuato delle altre. Tra le industrie esistenti, predominano quelle di trasformazione dei prodotti agricoli. L'unico nucleo d'industrializzazione si trova a Oristano.

Condizioni economiche.- Con la legge n. 588 dell'11 giugno 1962, il Parlamento approvava l'istituzione di un "Piano straordinario per favorire la rinascita economica e sociale della Sardegna", da finanziarsi con un'assegnazione straordinaria di 400 miliardi, ripartiti in un dodicennio. Obiettivo del piano, la cui predisposizione e attuazione sono affidate alla Regione Sarda, era la trasformazione e il miglioramento delle strutture economiche e sociali dell'isola, onde raggiungere la piena occupazione e un più rapido e meglio distribuito aumento del reddito. Il piano è stato formulato per "zone territoriali omogenee", raggruppate in cinque grandi comprensori chiamati "superzone di gravitazione economico-territoriale". Allo spirare del periodo previsto per l'attuazione del piano, è opinione generale che i suoi obiettivi non siano stati raggiunti. Nella distribuzione degl'interventi nei vari settori dell'economia si rileva che la spesa per l'industria è stata più elevata del previsto, mentre l'agricoltura, il turismo, la formazione professionale e la sanità hanno usufruito d'investimenti minori. Nel settore industriale le scelte sono cadute su comparti produttivi, come la chimica di base, che, oltre a essere slegati dal contesto economico locale e volti verso l'esterno, sono anche caratterizzati da un elevato rapporto capitale/ lavoro. Così mentre le attività tradizionali, in special modo l'agricoltura, hanno sofferto della mancata creazione di iniziative a esse complementari, l'aspettativa concernente l'aumento dell'occupazione è andata in gran parte delusa. Con la legge n. 268 del 24 giugno 1974, il piano di rinascita è stato rifinanziato, tenendo presente in particolare la necessità della riforma dell'assetto agro-pastorale, anche in conformità alle raccomandazioni contenute nella relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della criminalità in Sardegna. Nonostante le difficoltà e i problemi presentatisi al livello regionale e nazionale, la S. ha compiuto grandi progressi, come dimostra anche l'aumento del reddito netto pro capite, che nel 1976 è stato valutato in L. 1.700.200, pari al 73,3% della media nazionale. L'occupazione nel settore secondario è cresciuta a un tasso superiore a quello medio nazionale, e così anche quella nel settore terziario. L'importanza del settore agro-pastorale è invece in costante diminuzione, poiché la mancata razionalizzazione della produzione e della commercializzazione dei prodotti e la scarsità degl'investimenti hanno comportato il decadimento delle colture in ampie aree e l'esodo degli agricoltori.

La superficie effettivamente irrigata, la cui estensione è uno degli obiettivi della politica economica della Regione, risultava essere nel 1976 di 25.000 ha. Altri 4000 ha sono attrezzati per l'irrigazione, ma le possibilità offerte dai bacini costruiti o in corso di costruzione (850 milioni di m3) non sono ancora completamente sfruttate. La pianura campidanese, che comprende circa i due terzi della superficie irrigua dell'isola, è la zona meglio servita. Il settore zootecnico continua a essere il più importante dell'agricoltura sarda. Rispetto al 1966, risultano in aumento ovini (2.772.600 capi nel 1977), bovini (315.000), caprini (275.000) e suini (301.000), mentre sono in diminuzione gli equini. In genere l'allevamento è effettuato in condizioni di arretratezza, e pertanto la produttività è bassa. Al declino di alcune produzioni agricole alimentari tradizionali, come il grano e le fave, fa riscontro l'aumento della superficie destinata a colture frutticole e orticole orientate verso il mercato nazionale ed europeo. Tra queste ultime predominano il carciofo (11.000 ha, pari al 21% della superficie a carciofo nazionale) e il pomodoro (2000 ha nel 1976). Pure in aumento è la superficie destinata alla coltura della barbabietola da zucchero (5200 ha nel 1976), quasi stazionaria è quella destinata al riso (1500 ha) e in forte diminuzione quella destinata al grano (94.800 ha). Secondo il catasto viticolo del 1970, la vite occupava 65.393 ha come coltura principale e altri 280 ha come coltura secondaria. Nel 1976 la produzione di vino ha raggiunto 1.516.000 hl. L'olivo, sempre nel 1970, occupava 31.979 ha, con una produzione (media 1974-76) di 450.000 q di olio. Tra i fruttiferi hanno avuto particolare diffusione agrumi e peschi.

È in aumento il contributo dell'industria alla formazione del reddito lordo, pari al 31,1% nel 1974, contro il 14,9% del settore agricolo, il 35,9% del settore terziario e il 18,1% della pubblica amministrazione. Sono cresciute soprattutto le attività manifatturiere, in particolare le industrie meccaniche, le alimentari e affini, le tessili, le chimiche, gl'impianti di lavorazione di minerali non metalliferi. La localizzazione di nuovi stabilimenti è stata facilitata da interventi pubblici che in forma diretta o indiretta creano condizioni competitive d'impianto e di esercizio. In conformità alla politica della concentrazione degl'investimenti in determinati poli, sono stati creati nell'isola due tipi di zona industriale: in base alla legge nazionale n. 634, del 1957, sono nate tre aree di sviluppo industriale (Cagliari, Sassari e Sardegna centrale) e quattro nuclei d'indtistrializzazione (Olbia, Oristanese, Sulcis-Iglesiente e Tortolì-Arbatax), e in base alla legge regionale n. 22, del 1953, sono state istituite dieci zone industriali d'interesse regionale (Predda Niedda in comune di Sassari, Ozieri-Chilivani, Tempio, Macomer, Nuoro, Siniscola, Villacidro, Barbagia-Sarcidano, Carbonia e Iglesias). Nel settore estrattivo la crisi perdurante ha provocato la discesa del numero degli addetti da 24.550 unità nel 1951 a 13.256 nel 1961, a 7731 nel 1971. La diminuzione della produzione interessa quasi tutti i minerali, tranne fluorite, barite e alcuni minerali minori. Nonostante l'esistenza di cospicue riserve, nel 1972 è cessata la produzione del carbone Sulcis.

Lo sviluppo del turismo ha grande rilievo, sia come fonte di reddito sia come spinta al ripopolamento della fascia costiera. Nel 1977 il numero dei clienti degli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri è stato di 763.000 unità, per un totale di 3.871.000 presenze. Tra le località più rinomate, ad Alghero si sono aggiunte Santa Teresa di Gallura, Cala Gonone, Villasimius e vari insediamenti della Gallura

All'intensificazione delle comunicazioni con il continente la S. deve senza dubbio gran parte del suo recente progresso. Nel 1976 il movimento totale dei passeggeri negli aeroporti sardi è stato di 1.241.000 unità. Il nuovo aeroporto di Olbia si è aggiunto a quelli già esistenti. Anche il traffico marittimo è notevolmente aumentato: nel 1976 il totale delle merci imbarcate e sbarcate è stato di 35,7 milioni di t, e 4.060.000 i passeggeri, di cui 760.000 attraverso il porto di Olbia. Il traffico delle merci potrà in futuro usufruire anche dei portocanali industriali attualmente in costruzione a Cagliari e a Sassari.

Bibl.: R. Pracchi, A. Terrosu Asole, Atlante della Sardegna, Cagliari 1971; G. Sabattini, B. Moro, Il sistema economico della Sardegna, ivi 1973.

Archeologia. - Nel trentennio 1945-75 l'esplorazione archeologica della S. ha ricevuto un grande impulso, con scavi stratigrafici e ricerche sistematiche in superficie che hanno notevolmente precisato, arricchito e parzialmente modificato le conoscenze acquisite in precedenza.

Nel settore della preistoria, hanno avuto particolare importanza la prosecuzione degli scavi nel territorio di Arzachena (Li Muri, Macciunitta, ecc.) e le nuove scoperte di giacimenti nell'arcipelago de La Maddalena (riparo di S. Stefano), a Oliena (grotta "Rifugio") e a Carbonia (grotta funeraria di "Su Carroppu" di Sirri), che hanno documentato chiaramente in S. la civiltà neolitica dalla fase antica a quella tarda, con una cronologia assoluta che risale almeno al 4° millennio a. Cristo. Inoltre, accurate ricerche attuate sul M. Arci (Oristano) hanno consentito di affermare iniziati in età neolitica la lavorazione e il commercio dell'ossidiana sarda.

Le conoscenze sui modi di vita, la religiosità e l'artigianato protosardo nelle successive età eneolitica (2500-2000 a. C. circa) e del Bronzo antico (2000-1800 a.C. circa) sono state molto accresciute da intense ricerche e scavi in aree di insediamenti e di necropoli sparse un po' dovunque nell'isola: nei Campidani di Cagliari (villaggi di Sestu-S. Gemiliano, Monastir-M. Olladiri e di Decimoputzu-Su Congiau de Marcu e Su Congiau de Perda, quest'ultimo con menhirs) e di Oristano (villaggi di Simaxis e di Mogoro-Puisteris), nel Sinis (ipogei funerari di Cabras-is Arenas e di S. Vero Milis-Serra is Araus), nell'Iglesiente settentrionale (ipogei funerari di IglesiasSan Benedetto) e meridionale (ipogei funerari di Santadi-Montessu e Pani Loriga e i villaggi di Sant'Anna Arresi, Giba-Masainas, Villaperuccio-s'Arriorgiu, con menhirs, e Carbonia-Barbusi), nel Meilogu (ipogei funerari di Thiesi-Mandra Antine e M. Maiore e quelli di Bessude-Enas de Cannuia), nello stesso Meilogu, nel Goceano e nella Barbagia (ipogei funerari con petroglifi schematici, rispettivamente di Cheremule, di Benetutti e di Oniferi), nel Logudoro (grotta con graffiti schematici di Mores-San Marco), nell'Algherese (Grotta Verde con graffiti schematici, ipogeo funerario di Santu Pedru), nel Sassarese (ipogei funerari di Su Crucifissu Mannu) e in Gallura (villaggio di Arzachena-Pilastru).

Di un culto eneolitico di carattere fertilistico, imperniato sulle due grandi figure della Dea Madre della natura feconda e del suo paredro fecondatore (il Dio-Toro), hanno fornito nuove e significative testimonianze la scoperta di attributi taurini scolpiti o dipinti entro ipogei funerari (per es., Santadi-Montessu, Thiesi-Mandra Antine) e il rinvenimento di pregevolissime statuine marmoree e fittili raffiguranti la Dea Madre, secondo uno stile ora naturalistico e volumetrico ancora di tradizione paleolitica (per es., "Venere" di Macomèr, "Madre" di Decimoputzu), ora invece astratto e lineare che ricorda quello degl'idoletti cicladici (per es., "Madre" di Senorbì). Ma il mondo religioso protosardo in età eneolitica è oggi noto anche attraverso la documentazione fornita dal complesso di M. D'Accoddi (Sassari), ove è stato scavato sistematicamente un villaggio-santuario sorto attorno a un gigantesco basamento a pianta quadrilatera, con una lunga rampa di accesso, costruito con grandi pietre brute poliedriche disposte a file in ritiro verso l'alto; basamento che, pur rivelando influenze tecniche di origine occidentale, ricorda le ziqqurat mesopotamiche e deve interpretarsi come un altare monumentale a cielo scoperto. Pertinente allo stesso orizzonte religioso, ma databile all'età del Bronzo antico piuttosto che a quella eneolitica, è il portello tombale con attributi della Dea Madre, rinvenuto a Serra is Araus di San Vero Milis e certo allusivo alla speranza dell'uomo in una seconda vita ultraterrena, ottenuta grazie all'intervento della divinità.

Per la conoscenza della civiltà nuragica (1800-200 a. C. circa) hanno avuto grandissima importanza le ricerche sistematiche e gli scavi stratigrafici condotti nell'ultimo trentennio in molte località dell'isola, soprattutto a Villagreca (protonuraghe o torre-capanna di Sa Korona, anteriore al 1500 a. C.), Uri (nuraghe Peppe Gallu, del sec. 6°-4° a. C., ma di tipo arcaico a celletta sopraelevata), Arzachena (pseudonuraghe Albucciu, di passaggio dal tipo tradizionale "a tholos" a quello nuovo "a corridoio" e databile al sec. 7°-6° a. C.), Gesturi (nuraghe Brunku Madugui, del tipo "a corridoio", ma con vani emergenti sul terrazzo superiore), Serrenti (villaggio di Monti hlannu), Villanovaforru (nuraghe e villaggio di Genna Maria, sec. 9°-8° a. C., con evidente documentazione di un'intensa attività metallurgica), Arzachena (tempietto nuragico arcaico di Malchittu), Paulilatino (tempio a pozzo e villaggio-santuario nuragici di Santa Cristina), Settimo San Pietro (pozzo sacro medionuragico e tombe arcaiche nuragiche di cultura Bunnannaro a Kukkuru Nuraxi), Cagliari (tombe a forno nuragiche di cultura Monte Claro), Nuxis (grotta funeraria di cultura Monte Claro presso Acqua Cadda), Arzachena, Olbia, ecc. (tombe nuragiche arcaiche entro grotte naturali del tipo "tafone"), Arzachena, Olbia, Sennori, Nuoro, Usellus, ecc. (tombe megalitiche nuragiche "di giganti" o "allées").

Particolare menzione merita il grande scavo condotto a Barùmini (Cagliari), dove è stato riportato alla luce un importante nuraghe quadrilobato (una torre centrale con quattro perimetrali, cortine intermedie e cortile), protetto esternamente da un antemurale turrito e circondato dagli abbondanti ruderi di un intero villaggio.

Sia nel nuraghe sia nel villaggio, è stato possibile individuare una successione di strati archeologici, in base alla quale sono state formulate precise cronologie valide per tutta la Sardegna. Dopo lo scavo di Barùmini, infatti, tutta la civiltà nuragica può dirsi articolata nei tre seguenti periodi: arcaico (distinto in Bronzo medio, dal 1800 al 1200 a. C., e Bronzo recente, dal 1200 al sec. 10° a. C.), medio (distinto in Nuragico I inferiore di Barùmini, dal sec. 10° al 9° a. C., e Nuragico I superiore di Barùmini, dal sec. 8° al 6° a. C.) e recente (dal sec. 6° al 200 a. C. circa). Quello scavo inoltre ha consentito una più completa conoscenza dell'evoluzione subita nel tempo dall'architettura nuragica sia nelle forme sia nelle tecniche edilizie, per quanto riguarda tanto il nuraghe di tipo troncoconico (dalla torre singola al nuraghe polilobato) quanto la capanna (dal tipo monocellulare con pianta circolare, a quello pluricellulare d'influenza semitica, dapprima con pianta curvilinea, in cui i vani affiancati sono disposti a ventaglio e si aprono su un vano mediano di disimpegno, ma poi con decisa affermazione della pianta quadrilatera). All'evoluzione tipologica è risultata corrispondente, nell'architettura domestica, l'evoluzione della tecnica edilizia, dalla costruzione con grandi blocchi bruti o poligonali messi in opera a secco, all'uso di pietre medie o piccole cementate con malta di fango; mentre nell'assetto generale dell'abitato si è potuta constatare la graduale, anche se limitata adozione di sistemi per un più regolare deflusso delle acque e una migliore agibilità delle vie interne, sempre però strettissime e tortuose. Finalmente, l'accurato studio stratigrafico all'interno dei singoli edifici destinati non solo alla vita privata, ma anche a quella pubblica civile ("capanna del consiglio") e religiosa ("capanna sacra" con vano per sacrifizi e antistante vestibolo), ha consentito di valutare più a fondo e organicamente la vita della società nuragica, dal periodo arcaico fino al suo esaurimento sotto il dominio di Roma, evidenziandone il carattere di società agricolo-pastorale, che non conobbe una sua organizzazione urbana ma visse in villaggi, secondo un sistema di tipo tribale, singolarmente evoluto ma anche rigidamente conservatore.

Sulla S. fenicia, punica e romana hanno gettato vivida luce le intense ricerche archeologiche attuate sia lungo le coste sia in molte zone interne dell'isola. Infatti sono stati riportati alla luce settori più o meno vasti delle città costiere fenicio-puniche (poi romanizzate) di Karalis (Cagliari), Nora (Capo di Pula), Bithia (Torre di Chia), Sulcis (Sant'Antioco), Neapolis (Santa Maria di Nabui), Tharros (San Giovanni di Sinis) e Turris Libyssonis (Porto Torres); mentre nell'interno sono stati scoperti ed esplorati stratigraficamente il tempio punico-romano di Demetra a Terreseu di Narcao e le fortezze fenicio-puniche di M. Sirai presso Carbonia e di Pani Loriga presso Santadi. Inoltre, scavi stratigrafici condotti nei templi di Marte e Venere in San Salvatore di Cabras e di Sardus Pater in Antas presso Fluminimaggiore hanno portato all'importantissima scoperta delle loro fasi preromane. Finalmente, sono state attuate sistematiche esplorazioni topografiche, specialmente nell'Iglesiente, lungo tutta la costa orientale sarda e nelle zone interne antistanti le montagne nuoresi, giungendo alla scoperta di numerosi insediamenti feniciopunici e del sistema fortificato cartaginese che, con una serie di fortezze, proteggeva i territori direttamente soggetti a Cartagine contro gli attacchi degl'indigeni montanari.

L'enorme massa di oggetti mobili d'ogni sorta, di pitture e di mosaici scoperta nel corso delle nuove ricerche, aggiungendosi a quella già esistente nei musei sardi, ha consentito proficui studi, non solo sul commercio ma anche sulla produzione artigianale nell'isola, sia in età fenicio-punica sia in quella romana. D'altro canto, i resti edilizi riportati alla luce hanno rivelato l'architettura fenicio-punica di S. nei suoi aspetti militari (fortificazioni fortemente articolate e scaglionate in profondità, con mura turrite e i più antichi esempi di fossato e di opera avanzata, a M. Sirai, Tharros, Sulcis, ecc.), religiosi (una ventina di templi sparsi un po' dovunque, almeno cinque del tipo tophet), con sacelli generalmente tripartiti e a penetrale geminato (di regola orientati a nord), domestici (case di tipo urbano e rurale a M. Sirai, ecc.) e urbanistici (centri costieri d'origine commerciale, sviluppatisi attorno al binomio porto-piazza del mercato; centri interni d'origine militare, sviluppatisi attorno a un forte).

I risultati di così vaste e approfondite ricerche hanno avuto una decisiva importanza per la conoscenza della civiltà fenicio-punica, dei tempi e dei modi della sua penetrazione in S. e della sua integrazione con le civiltà protosarda e romana che, d'altra parte, ne hanno ricevuto una più completa e fedele illustrazione. Oggi infatti si può precisare che la colonizzazione fenicia, cominciata in S. attorno all'800 a. C., dopo una fase iniziale caratterizzata dalla fondazione di scali commerciali lungo tutte le coste (sec. 8° a. C.), passò a una fase di espansione nell'entroterra (700-550 a. C.), cui tenne dietro la conquista cartaginese (550-509 a. C.), che fruttò a Cartagine il diretto dominio su tutta l'isola, a eccezione, per quanto ne sappiamo, delle montagne nuoresi e galluresi. L'integrazione fra Sardi e Cartaginesi dette origine, fin dal sec. 4° a. C., alla civiltà sardo-punica, sopravvissuta al dominio politico di Cartagine, raggiungendo, con le sue ultime manifestazioni, la tarda età imperiale romana. I Romani infatti, sopraggiunti in S. nel 238 a. C., diffusero nell'isola le loro leggi e la loro lingua, mentre la disseminavano degli edifici tipici della loro civiltà, ma non annullarono lo spirito e le tradizioni delle genti che li avevano preceduti. Ne sono prove eloquenti non solo le numerose epigrafi puniche di età romana ma, fra l'altro, il santuario di Demetra a Terreseu (di origine sardo-punica ma sopravvissuto fin almeno all'età aureliana), la ricostruzione severiana del tempio di Antas (ancora sardo-punico nella pianta, nell'orientamento e nel carattere della divinità venerata) e i documenti epigrafici latino-punici nel tempio di Marte e Venere a San Salvatore di Cabras, di origine nuragica ma trasformato architettonicamente in età costantiniana, quando ormai si può parlare di avvenuta integrazione sardo-punico-romana. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Oltre ai lavori di G. Spano, A. Lamarmora, F. Vivanet, G. Pinza, D. Mackenzie, V. Bissing, F. von Duhn, G. Patroni, U. Rellini e di A. Taramelli citati nella prima edizione dell'Enc. Ital., XXX, p. 849, v.: E. Pais, La Sardegna prima del dominio romano, Roma 1881; G. Patroni, La Preistoria, Milano 1937; M. Pallottino, La Sardegna nuragica, Roma 1950; G. Lilliu, Preistoria sarda e civiltà nuragica, in Il Ponte, VII (1951), n. 9 (volume Sardegna); C. Zervos, La civilisation de la Sardaigne du début de l'énéolithique à la fin de la période nuragique, Parigi 1954; M. Guido, Sardinia, in Ancient peoples and places, Londra 1963; G. Lilliu, La civiltà dei Sardi dal neolitico all'età dei nuraghi, Torino 1963 (19672); E. Contu, La Sardegna nell'età nuragica, in Popoli e civiltà dell'Italia antica, III, Roma 1974, pp. 145-203; F. Barreca, La Sardegna fenicia e punica, Sassari 1973; P. Meloni, La Sardegna romana, ivi 1975.

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