SARDEGNA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SARDEGNA

Maria Luisa Gentileschi
Sandro Filippo Bondì
Wally Paris
Tatiana K. Kirova

(XXX, p. 836; App. II, II, p. 787; III, II, p. 667; IV, III, p. 268)

Al di sopra della media delle regioni meridionali italiane in base alla crescita dell'indice delle condizioni civili e sociali negli ultimi decenni, la S. appare tuttavia ancora una regione interessata solo parzialmente dall'urbanizzazione e che conserva quindi in gran parte marcati caratteri rurali. La bassa densità della popolazione (69 ab./km2 al 1991), la perdurante concentrazione degli abitanti dovuta alla scarsa crescita dell'insediamento sparso e infine il fatto che le strutture industriali sorte nei poli non hanno prodotto molte attività indotte, hanno contribuito a mantenere una prevalenza di ambienti naturali o almeno non abitati. Grazie a questa costante del quadro insediativo sardo, sono proprio i paesaggi e il patrimonio naturale dell'isola a ricevere oggi una rinnovata attenzione, in funzione di un'azione ambientale (difesa del bosco e della fauna, protezione contro l'erosione marina che minaccia spiagge rinomate, conservazione del suolo) volta a tutelare risorse non facilmente rinnovabili. Gli incendi, il sovraccarico pastorale e l'inquinamento delle acque interne costituiscono i maggiori problemi dell'ambiente.

Popolazione. - Anche la S. segue le regioni settentrionali e centrali italiane sulla via del declino demografico. Il tasso di natalità è sceso al 9,9‰ (1992), ma una mortalità ancora bassa (7,9‰), collegabile a una struttura per età relativamente giovane, consente un modesto guadagno demografico naturale. Al 1991 gli abitanti residenti erano 1.648.248, il 3,4% in più rispetto al 1981. Se il totale degli abitanti non è molto variato, rilevanti sono state invece negli ultimi decenni le modificazioni della loro distribuzione territoriale. È andata aumentando la quota di popolazione residente nei comuni costieri, cui si aggiunge la quasi totalità dei turisti che visitano l'isola: nel 1991 abitava nei comuni costieri circa il 49% della popolazione regionale, contro il 37% del 1951. Gran parte si concentra nel sistema urbano di Cagliari − prevalentemente costiero − che con i suoi 23 comuni raccoglie circa 430.000 ab., il 26% della popolazione sarda. Lo stesso comune di Cagliari è però oggi meno popoloso, parzialmente a causa del decentramento abitativo verso i comuni adiacenti, molto di più in seguito alla ricostruzione di vecchi comuni che ne erano parte. L'area costiera più dinamica è quella di Olbia, un comune il cui tasso di crescita è stato, nel decennio 1981-91, tra i più elevati. La maggiore dinamicità della S. settentrionale, cui il turismo contribuisce in maniera rilevante, ha fatto crescere la provincia di Sassari più delle altre. Solo la provincia di Nuoro ha un andamento demografico negativo.

Ridotta l'emigrazione all'estero, resta un sostenuto scambio − con saldi in perdita − verso le regioni italiane che più assicurano posti di lavoro, quelle settentrionali e il Lazio. La mobilità interna delle residenze si rivolge alle città principali o alle loro corone urbane. Il potenziamento, peraltro modesto, dei trasporti interni all'isola ha allargato i bacini del pendolarismo per lavoro sui principali poli di occupazione, da quello cagliaritano all'olbiese, al sassarese. Una maggior offerta di servizi ha migliorato le condizioni di vita nell'interno, potenziando alcune cittadine, da Ozieri a Macomer, a Tortolì, a Isili. Si è rafforzata la rete dei centri urbani di secondo rango, alcuni dei quali si propongono come capoluoghi di nuove province, ma restano solo due i comuni con oltre 100.000 ab., Cagliari e Sassari. In sostanza, i cambiamenti nella distribuzione della popolazione rispecchiano la mutata distribuzione delle risorse, che riconosce il calo del distretto minerario del Sulcis-Iglesiente e la maggior gravitazione sulla costa e sulle aree urbane, un tipo di sviluppo quest'ultimo normale per un'isola e che in S. si è prodotto in ritardo. L'area di Cagliari, oltre a essere il più grande agglomerato urbano, riunisce la maggiore concentrazione di servizi di rango elevato, nonché infrastrutture importanti come il maggior aeroporto dell'isola e il nuovo porto industriale e commerciale d'imminente apertura. Se si aggiunge che nel Campidano di Cagliari non poche aziende agricole hanno rinnovato indirizzi colturali e gestione, appare chiaro che la provincia rappresenta un addensamento di risorse territoriali che non ha pari in Sardegna.

Pur se l'armatura urbana e il quadro insediativo sembrano ormai stabilizzati, si sta verificando uno spostamento di peso demografico e di centralità dal versante occidentale dell'isola a quello orientale, non solo per il ruolo crescente dell'area cagliaritana e di Olbia, diventato il quarto comune per popolazione, ma anche per lo sviluppo di vari centri minori della costa orientale, da Dorgali a Orosei, Tortolì, Siniscola. La presenza in questa costa delle attrattive naturali più importanti della S. non potrà che accrescere il peso di alcune aree a lungo rimaste neglette, soprattutto l'Ogliastra.

Variazioni amministrative. - Al censimento del 1991 i comuni sardi erano 375, distribuiti in quattro province. Rispetto al 1981, il loro numero è rimasto invariato nell'Oristanese (78) ed è appena aumentato nel Nuorese (da 98 a 100), mentre è cresciuto un po' di più nelle province di Sassari (da 86 a 89) e di Cagliari (da 104 a 109), a conferma della tendenza a una maggiore dinamicità delle due aree estreme dell'isola. Tra i mutamenti amministrativi minori, ma significativi, degli ultimi venti anni è stata la proliferazione di nuovi comuni lungo la costa, specialmente alle due estremità, Gallura e Sulcis, dove piccoli nuclei hanno raggiunto il rango di centri turistici o a funzione mista agricolo-residenziale, e la separazione da Cagliari di comuni che hanno chiesto il ripristino di autonomie antecedenti alla fine degli anni Venti. Nell'area urbana del capoluogo regionale la proliferazione di una corona di centri-satellite è alimentata sia dal decentramento abitativo del comune centrale sia da arrivi da comuni più lontani. La vastità della regione, la perdurante crescita demografica e un certo sviluppo urbano hanno stimolato la proposta di creare tre nuove province (Gallura, Ogliastra-Sarcidano e Sulcis-Iglesiente), mentre la tendenza aggregatrice è prevalsa nell'articolazione del servizio sanitario e delle sezioni per il lavoro, oggi basati su distretti più accorpati che in passato. A Cagliari la l. 142/90 dà facoltà d'istituire la ''città metropolitana'', una delle tre previste nelle regioni meridionali.

Condizioni economiche. - Nella composizione settoriale del valore aggiunto realizzato in S. all'agricoltura spetta una quota più bassa che nel resto del Mezzogiorno (5,1% nel 1992), mentre l'industria e le costruzioni fanno registrare un valore appena più alto (25,1%) e una quota quasi identica va ai servizi (69,8%). Negli anni Ottanta si segnalava una più accentuata flessione dell'agricoltura e delle costruzioni, cui si contrapponevano una miglior tenuta dell'industria e un aumento più elevato dell'incidenza dei servizi. Anche altre variabili economiche, quali il reddito e i consumi per abitante e il prodotto interno lordo per abitante e per occupato, evidenziano una posizione migliore rispetto al resto del Mezzogiorno. Tuttavia, il potere di acquisto per abitante al 1987 si attestava in S. al 74,8% della media delle regioni dell'Unione Europea. Tra le province sarde permangono sensibili differenze, tanto che quelle di Nuoro e di Oristano si collocano tra le ultime in Italia.

Il paesaggio agrario sardo rivela i sensibili mutamenti prodottisi nel settore agro-pastorale. Colpisce il calo della superficie coltivata a vite, a seguito degli incentivi all'espianto della politica agricola comunitaria. Diminuita la produzione di vino, non poche cantine sociali sono sull'orlo della chiusura o della riconversione. In espansione invece è la superficie coltivata a olivo, grazie al sostegno comunitario e al favore del mercato. In aggiunta alla grande superficie destinata al pascolo (si valuta nel 60% del territorio regionale), gran parte delle terre un tempo a grano sono state convertite in foraggere, oggi estese anche a terreni mai per l'innanzi coltivati, grazie all'aumentata meccanizzazione agricola (al 1990-91, il 62% delle aziende usava trattrici). Se ne è avvantaggiato soprattutto l'allevamento ovino, la cui consistenza probabilmente supera il già alto dato ufficiale (quasi 4 milioni di capi al 1991). L'auspicata modernizzazione di questo comparto, che era l'obiettivo della riforma agro-pastorale, si è realizzata solo in minima parte. Stabulazione, centri refrigerati per la raccolta del latte, selezione delle razze allevate sono ancora poco diffusi, ma sono ampi l'uso di mangimi industriali e il conferimento del latte agli impianti di caseificazione industriale.

Le innovazioni riguardano più spesso le colture in serra, dalla floricoltura alle colture primaticce, alla vivaistica. Mentre declinano il grano e la barbabietola da zucchero, resta stazionaria la risicoltura che mantiene un'alta qualità di prodotto. Lo sviluppo di un'agricoltura moderna e dotata di buona capacità concorrenziale risente ancora di carenze gestionali e organizzative. Un peso negativo ha l'insufficienza di acqua per l'irrigazione, cui concorrono attualmente quasi tutti i 43 bacini artificiali esistenti, un numero che dovrebbe accrescersi di altri 38 secondo il Piano regionale delle acque. Il fabbisogno idrico resta solo parzialmente soddisfatto anche a causa della maggior domanda estiva del turismo, fortemente concentrata nei mesi di luglio e agosto.

La deindustrializzazione verificatasi negli anni Ottanta è stata in S. assai pesante, soprattutto per il collasso della chimica, che costituiva il comparto dominante del panorama industriale sardo. Il peso dell'industria nell'occupazione è perciò molto diminuito: soltanto il 24,4% degli addetti al 1991, contro il 46,1% del commercio e delle altre attività e il 29,1% delle istituzioni (amministrazione pubblica e altre).

Le attività non agricole hanno diverso peso nelle province: quella di Cagliari conserva il primato sia per numero di unità locali che per incidenza degli addetti sulla popolazione. La localizzazione dell'industria ha subito pochi cambiamenti, dopo la fase dell'industrializzazione per poli che ha molto contribuito a differenziare le aree interessate dal resto del territorio, comparativamente svantaggiato. Dopo il ridimensionamento dei grandi impianti chimici, la liquidazione dell'EFIM e il taglio degli investimenti ENI ed ENEL, la disoccupazione è aumentata ma gli squilibri occupazionali territoriali si sono attenuati. Una legge del 1971 (n. 865) autorizzava i Comuni a predisporre Piani per Insediamenti Produttivi (PIP), che, sorgendo accanto ai centri abitati, stanno via via accogliendo i nuovi impianti e quelli in via di decentramento.

Con la L.R. 268/1974 la pianificazione economica della S. pose l'accento sul potenziamento delle piccole e medie imprese industriali, la razionalizzazione dell'agricoltura e la promozione del turismo. Dopo una breve fase di ripresa, le industrie chimica, metallurgica e tessile sono entrate in una profonda crisi dalla quale non mostrano di risollevarsi. Di fatto il modello di sviluppo degli anni Ottanta − nel quale tuttavia il sostegno alle piccole e medie imprese industriali ha avuto un certo ruolo − si è arroccato sulla difesa delle miniere e sul supporto all'agricoltura e alla pastorizia, comparti nei quali s'individuavano risorse endogene da contrapporre alla crisi della chimica e di altre risorse esogene. Ciononostante non si sono verificati il recupero delle miniere, né la modernizzazione dell'allevamento, mentre le innovazioni nell'agricoltura stentano ad affermarsi. L'intervento pubblico continua a occupare un ruolo determinante nello sviluppo della S., sia attraverso la politica delle opere pubbliche sia con l'incentivazione alle attività produttive, mantenendo così all'economia sarda un antiquato carattere sussidiato. Più recentemente si assiste però a un arresto dell'impegno pubblico nella gestione diretta di impianti produttivi, come la cartiera di Arbatax, e alla chiusura di quasi tutte le miniere, a eccezione di quelle del carbone Sulcis di cui si progetta la ripresa produttiva attraverso la cessione a imprese private. Si ricerca un'alternativa economica nel dare maggior supporto a settori come il granito e il sughero, nonché alle piccole e medie industrie che operano in ambiti tradizionali e hanno prodotto sinora per il mercato locale. Rispetto alla media italiana, gli addetti all'industria sono quindi diminuiti in misura superiore, mentre è aumentata la loro presenza nel terziario, con alta incidenza del commercio e della pubblica amministrazione, tradizionale rimedio alla disoccupazione. Inferiore alla media è stata invece la discesa della quota di addetti nell'agricoltura.

L'espansione dei servizi alle persone si alimenta dalla concentrazione demografica nelle aree forti e dalla disseminazione delle strutture: nuovi plessi scolastici, servizi sanitari, di gestione dell'acqua, delle foreste e dell'ambiente, sono stati aperti in molti centri sinora rimasti sforniti. La qualità della vita, misurabile in termini di accesso ai servizi alle famiglie, è quindi migliorata dovunque, per quanto non sia ancora colmato il distacco secolare dalle regioni dell'Italia centro-settentrionale, alle quali la S. per molti versi si apparenta. Tra i momenti più significativi dell'espansione dei servizi si pone l'apertura di corsi pubblici e privati di livello universitario a Nuoro.

Il sistema economico sardo continua dunque a rimanere fortemente dipendente dalle risorse esterne e a dimostrarsi scarsamente efficiente. A fronte della crisi che colpisce tutti i settori produttivi, il potenziamento del turismo − attualmente stazionario − è diventato sempre più l'obiettivo delle politiche regionali di sviluppo, dai trasporti alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, alle politiche territoriali, specialmente quelle concernenti la costa. Negli ultimi anni il numero medio degli arrivi è stato di 1.300.000 e le presenze circa 7 milioni. La crescita delle case per vacanze ha raggiunto livelli considerevoli, specialmente nella provincia di Sassari, che offre inoltre il 47% dei posti-letto alberghieri ed extralberghieri dell'isola. Al di là dei danni prodotti dal consumo di spazio e dalla stagionalità esasperata, va però riconosciuta al turismo una funzione trainante ai fini della creazione di nuovi musei e altre strutture culturali, della conservazione delle tradizioni popolari, nonché dell'abbellimento di centri maggiori e minori, attraverso il recupero degli edifici pregevoli e il miglioramento dell'arredo e del verde urbani. Anche la produzione dell'artigianato artistico è ormai finalizzata al mercato turistico, verso il quale sono pure indirizzate in gran parte le produzioni agroalimentari di pregio (vini, formaggi, dolci). La creazione dei parchi regionali naturali, da tempo attesa, e l'attuazione dei piani paesistici dovranno creare l'ambiente favorevole alla diffusione del turismo su nuovi spazi e possibilmente nelle zone interne, al di fuori di aree costiere ormai congestionate.

Al turismo si deve nella sostanza un sensibile miglioramento dei trasporti con la terraferma, che resta il nodo principale dello sviluppo economico isolano: sulle linee di navigazione cominciano a comparire traghetti veloci, e il porto di Arbatax è diventato uno scalo servito bisettimanalmente. Agli aeroporti di Olbia e Cagliari-Elmas, collegati tutto l'anno con varie città europee, e a quello di Alghero-Fertilia, attivo soprattutto d'estate, si è aggiunto sulla costa orientale il nuovo scalo di Tortolì, per ora servito solo da voli charter. Vedi tav. f.t.

Bibl.: R.L. Price, Una geografia del turismo: paesaggio e insediamenti umani sulle coste della Sardegna, Cagliari 1983; AA.VV., Atlante economico della Sardegna, Milano 1987; AA.VV., La Sardegna, Cagliari 1994.

Archeologia. - La fioritura di scoperte avvenuta in S. nell'ultimo quindicennio ha rivoluzionato in più di un caso la conoscenza di periodi fondamentali dell'antica storia dell'isola. Una rivelazione inattesa sugli inizi della frequentazione umana è giunta dai rinvenimenti di Perfugas, in Anglona: la scoperta di selci lavorate secondo le tecniche definite ''Levallois'' e ''clactoniana'' ha documentato la presenza dell'uomo in S. in livelli del Paleolitico inferiore, circa 300.000 anni prima di quanto non si supponesse in precedenza. Di alta antichità si sono rivelati pure i ritrovamenti della Grotta Corbeddu di Oliena (resti umani e ossa ritoccate di cervide risalenti al Paleolitico superiore, circa 13.500 anni fa). All'età mesolitica (circa 9000 anni fa) è risultata pertinente una successiva fase individuata nella grotta. In ambito neolitico (6°-3° millennio a.C. circa) la fase più antica, detta ''delle ceramiche impresse'', è stata identificata in vari siti, tra cui spiccano la Grotta Verde di Alghero e Su Carroppu di Sirri. Vi sono documentati precoci contatti con l'Italia e la Corsica e una prima emergenza dell'attività agricola. La successiva fase neolitica (''cultura di Bonuighinu'', 3700-2900 a.C. circa) è risultata caratterizzata da una forte concentrazione nell'Oristanese, da una tendenziale preferenza per i siti prossimi al mare e dall'introduzione del culto di una dea, rappresentata in idoli di terracotta a volumi tondeggianti sovrapposti, e del betilo come ipostasi aniconica della divinità. Il complesso di Cuccuru s'Arriu presso Cabras ha restituito la più rappresentativa documentazione per questo periodo, che vede un'accentuazione dei rapporti tra la S., le regioni insulari prossime (Sicilia, Malta) e il Mediterraneo orientale. Per la più recente fase neolitica (''cultura di Ozieri'', fino alla metà del 3° millennio), le acquisizioni più consistenti hanno riguardato i complessi tombali. Spicca la quarantina di ipogei a grotticella di Montessu-Villaperuccio, con alcune tombe-cappelle monumentali che presentano talora nei vani interni incisioni a motivi geometrici e con raffigurazioni del toro e della dea madre. Ugualmente rappresentativo è il complesso di Pranu-Mutteddu (Goni), dove accanto al villaggio sono state ritrovate tombe ipogeiche o costruite in pietra, talvolta di pianta assai articolata. Uno straordinario numero di menhir (circa 60) è stato rinvenuto nei pressi della maggiore struttura tombale. Tra i prodotti più significativi del periodo sono le figurine delle ''dee-madri'', distinte in vari gruppi che risentono a diversi livelli di ascendenze balcaniche, greche, cretesi o vicino-orientali.

Quanto alla successiva età del Rame (seconda metà del 3°-inizi del 2° millennio a.C.), le scoperte più significative hanno riguardato la cosiddetta ''cultura di Monte Claro''. L'insediamento di Biriai (Oliena) ha restituito una serie di spaziose abitazioni rettangolari, a più vani e con zoccolo in pietra, disposte attorno a un santuario megalitico. A Monte Baranta (Olmedo) l'abitato è risultato difeso da un duplice recinto a grosse pietre: ingressi architravati, cortili, scalette rendono l'idea di un già notevole sviluppo dell'architettura militare, a premessa della fioritura dell'età nuragica. Per quest'ultima si segnala anzitutto la nuova sistemazione cronologica complessiva proposta da G. Lilliu (1988) in base a un'analisi della sua evoluzione interna, con tre fasi comprese nell'età del Bronzo (Antico, 1800-1500 a.C.; Medio, 1500-1300 a.C.; Recente e Finale, 1300-900 a.C.) che precedette l'età del Ferro (900-238 a.C.).

Ma il dato maggiormente innovativo riguarda il riconoscimento di una notevole presenza micenea nella S. nuragica, che si accompagna a un'accentuata gerarchizzazione della società isolana e a un rapido sviluppo delle attività e delle tecniche metallurgiche. La frequentazione micenea è attestata dal Miceneo III A-B (14° secolo a.C.: perline di Gonnosfanadiga, avorio di Mitza Purdia e ceramiche del nuraghe Arrubiu di Orroli) al Miceneo III C (11° secolo a.C.); reperti ceramici di provenienza egea si diffondono nel centro-nord (Pozzomaggiore, Orosei, Barumini) e nelle aree sud-occidentale (Sarroch) e orientale (Tertenia) della S., mentre manufatti metallici appaiono a Santadi, a Oliena, a Galtellì. Tali scoperte hanno dato sostegno alla tesi di un'origine egea delle torri nuragiche e hanno suggerito una connessione con i movimenti commerciali micenei dei pani di rame reperiti in varie zone dell'isola. Per il 1° millennio a.C. la scoperta più notevole in ambito nuragico è stata rappresentata dalla statuaria di Monti Prama (Cabras); si tratta di grandi sculture in pietra a grandezza naturale (o anche maggiore) poste presso le tombe di un sepolcreto ''aristocratico''. Le statue, del 7° secolo a.C., mostrano indubbie assonanze con i bronzetti sardi e illuminano sull'ideologia autocelebrativa propria delle classi elevate della società nuragica, secondo un costume tipico dell'età orientalizzante che le accomuna con le aristocrazie etrusca e greca.

Assai rilevante è stato nel quindicennio il progresso delle conoscenze sulla civiltà fenicio-punica in Sardegna. È stata accertata l'esistenza di una frequentazione precoloniale fenicia che, dagli inizi del 1° millennio, è documentata dalla diffusione di materiali bronzei (tripodi, statuette, fibule, torciere) in ambiti nuragici del Settentrione (Flumenlongu, S. Maria in Paulis, Olmedo), del Centro (Paulilatino) e del Sud (Santadi). Per la prima età coloniale, è stata decisiva la scoperta a S. Antioco-Sulcis dei più antichi livelli abitativi fenici, risalenti al 750-730 a.C.; e notevole vi è apparsa la presenza di ceramica euboica, per la quale è stato richiamato il ruolo di Ischia. A più recenti fasi dell'insediamento (6° secolo a.C.) è pertinente invece la coppia di leoni monumentali rinvenuti in contesti romani della stessa località e dipendenti da una tradizione tardo-orientalizzante filtrata attraverso l'Etruria. Degli altri maggiori centri fenici della S., oggetto di scavi sistematici è stata Tharros, il cui tofet rimonta almeno al 7° secolo a.C.; una fase precartaginese è stata individuata anche nella vicina Othoca, e, per lo stesso periodo (7°-6° secolo a.C.), due necropoli a incinerazione sono state scoperte e scavate a Bitia e a Monte Sirai. Particolare rilievo presenta la scoperta, a est di Cagliari, del fondaco fenicio di Villasimius, in stretto rapporto nel 7°-6° secolo con la costa etrusca e distrutto verso il 530 a.C., forse per iniziativa di Cartagine. All'età della dominazione della metropoli africana (fine del 6°-metà del 3° secolo a.C.) sono riferibili importanti scoperte: l'individuazione di un grande centro interno a vocazione agricola a Monte Luna-Senorbì (con ricche tombe a pozzo); il riconoscimento di una ben documentata fase punica a Neapolis, sul Golfo di Oristano, con mura, tombe e un santuario da cui provengono alcune centinaia di figurine fittili. Quanto ai siti già noti, a Tharros si è precisata la natura delle difese urbane, mentre il tofet, caratterizzato dalla presenza di basamenti, altari e cippi di dimensioni monumentali, risulta utilizzato almeno fino al 3° secolo a.C.; e a Monte Sirai si sono chiarite la struttura e la cronologia del locale santuario a cielo aperto, in uso tra il 4° e il 2° secolo a.C. (v. monte sirai, in questa Appendice). Vedi tav. f.t.

Bibl.: AA.VV., Ichnussa. La Sardegna dalle origini all'età classica, Milano 1981; AA.VV., I Sardi. La Sardegna dal Paleolitico all'età romana, ivi 1984; AA.VV., La Sardegna preistorica, ivi 1985; F. Barreca, La civiltà fenicio-punica in Sardegna, Sassari 1986; S. Moscati, L'arte della Sardegna punica, Milano 1986; Id., Italia punica, ivi 1986; G. Lillin, La bella età del Bronzo, in AA.VV., Storia dei Sardi e della Sardegna, i. Dalle origini alla fine dell'età bizantina, ivi 1988, pp. 83-110; C. Tronchetti, I Sardi, ivi 1988. Per i nuovi musei archeologici dell'isola, sorti numerosi a seguito delle recenti scoperte nei relativi comprensori, v. AA.VV., L'Antiquarium arborense e i civici musei archeologici della Sardegna, Sassari 1988.

Arte. - La complessa produzione artistica in S. è stata oggetto di importanti studi, che hanno puntualizzato influenze e peculiarità, e di notevoli interventi di restauro, diretti, questi ultimi, prevalentemente ai beni architettonici e artistici di carattere religioso. La Regione ha contribuito erogando fondi per il recupero soprattutto delle cattedrali e delle parrocchie, oltre che di edifici pubblici di grande prestigio. Di contro, i finanziamenti del ministero per i Beni culturali sono stati messi a disposizione per chiese, oratori, opere d'arte e beni del demanio; la maggior parte degli interventi è avvenuta in diversi lotti, sicché i lavori si sono protratti negli anni.

Negli anni Ottanta importanti chiese medievali sono state risanate: presso Sassari, S. Michele di Plaiano (secoli 11°-12°) e S. Giacomo di Tàniga (secolo 14°); a Codrongianus, SS. Trinità di Saccargia con i notevoli affreschi del 12° secolo (restaurati nel 1987); a Olbia, S. Simplicio; a Perfugas, S. Vittoria; a Tula, S. Maria di Coros (12° secolo); a Ittiri, la cistercense S. Maria di Coros; a Oschiri, le chiese romaniche di Nostra Signora di Castro e Nostra Signora di Otti. Nell'ambito della pittura murale sono stati restaurati anche gli affreschi del 12°-13° secolo della chiesa di S. Pietro di Galtelli, nel Nuorese (1991), e quelli del 14° secolo di Nostra Signora di Regnos Altos di Bosa (1987).

Tra le opere d'arte i retabli, ossia i polittici di derivazione iberica del Quattrocento-Cinquecento, l'espressione più rappresentativa della pittura isolana, hanno trovato poi una priorità nel contesto del patrimonio figurativo. In queste opere, ove il linguaggio iberico s'innesta sull'influenza talvolta fiamminga talaltra italiana, si ha la misura dei contatti dell'isola con gli ambiti di maggiore risonanza artistica europea sino alla seconda metà del Cinquecento.

Nel 1982 una mostra ha presentato il corpus della produzione del Maestro di Ozieri nella città dalla quale l'artista prende il nome, rendendo più vivace il dibattito sulla datazione delle sue opere. A Sassari è stata allestita nel 1983 la mostra Arte catalana nel nord Sardegna e ancora, nel 1983-84, retabli restaurati e documenti sono stati al centro della mostra Cultura quattro-cinquecentesca in Sardegna. Altre mostre volte a indagare questo fecondo periodo della cultura figurativa in S. sono state presentate a Cagliari: La Corona d'Aragona: un patrimonio comune per Italia e Spagna, secc. XIV-XV (1989), Pittura del Cinquecento a Cagliari e provincia (1991); a Sassari: Pittura del '500 nel nord Sardegna (1992); infine, a New York nel 1993 è stata allestita la rassegna sull'Arte sacra in Sardegna nei secc. XV e XVI.

Tra i vari retabli restaurati negli anni Ottanta si ricordano quelli di S. Giorgio di Perfugas (1981); di S. Pietro di Tuili, attribuito al Maestro di Castelsardo (1984); della Madonna di Ardara, meglio conosciuto come ''retablo minore'' per differenziarlo da quello ''maggiore'' della stessa località, finito di restaurare dall'Istituto centrale del restauro nello stesso periodo; di S. Pantaleo di Dolianova (1987); di S. Anna di Sanluri, opera della bottega di Antioco Mainas (1988); di S. Pietro di Suelli, e della Madonna del latte di Villamar, opere di Pietro Cavaro (1988); dei Consiglieri del Municipio di Cagliari (1989); e infine i quattro elementi del retablo di Bortigali, della bottega del Maestro di Ozieri (1990), e di quello di S. Elena di Benetutti, del Maestro di Ozieri (1991). Si segnalano, inoltre, i restauri dei crocifissi gotico-dolorosi di Oristano (1985) e di Ozieri (1992), e quello della Madonnina catalana di S. Maria di Betlem di Sassari (1989).

Per il 17° e il 18° secolo, accanto agli importanti contributi del convegno Arte e cultura del '600 e del '700 in Sardegna (Cagliari-Sassari 1983), si deve segnalare che nel corso degli anni Ottanta sono stati restaurati, ripristinando i loro arredi lignei, gli oratori di S. Croce ad Aggius e del Rosario a Tempio, e ancora altre chiese a Ploaghe, Florinas, Calangianus, oltre ai complessi monumentali di S. Francesco di Ozieri, di S. Francesco di Ittiri e di S. Antonio di Ploaghe. Per quanto riguarda la pittura, sono state restaurate tele importanti di Baccio Gorini, come La caduta di s. Paolo, degli inizi del secolo 17° (1990), o Il martirio di s. Pantaleo (1983) e l'Assunzione di Andrea Lusso (1985), del medesimo periodo; e ancora si deve ricordare il restauro (1992) degli affreschi settecenteschi di Giacomo Altomonte e Domenico Colombino nella chiesa di S. Michele a Cagliari. Si rammentano anche i recuperi nel 1988 di vari organi storici prevalentemente settecenteschi, di Cagliari, di Tuli, di Villacidro, di Selegas e di Castelsardo.

Nell'ambito dell'architettura civile, oltre agli interventi su castelli, bastioni, torri e fortificazioni in tutta l'isola, fra i quali si sottolinea il forte di Monte Altura, pittorescamente inserito lungo la costa settentrionale della S., va segnalato il restauro della facciata del Municipio di Sassari che risale alla fine del Settecento (1985), come pure quella del Municipio di Cagliari della seconda metà dell'Ottocento, mentre è tuttora in atto (1994) il processo conservativo del cinquecentesco palazzetto d'Usini di Sassari. Tra i monumenti di Sassari si è recuperata nel 1992 la colonna di S. Antonio (1954), opera dello scultore E. Tavolara (1901-1963), e ci si appresta a un'operazione simile sulla seicentesca Fontana del Rosello.

A Cagliari la Galleria comunale di arte moderna ha realizzato (1988) un'esposizione su Cagliari, società, cultura e costume dell'800, mentre a Sassari mostre sono state dedicate nel 1983 a P.A. Manca e A. Sassu, e nel 1984 a G. Biasi (1885-1944); infine nel 1989 a G. Sciuti (1835-1911), cui si deve la decorazione della Sala del Consiglio del Palazzo della Provincia, e a N. Siglienti, artista operoso nella prima metà del 20° secolo.

Bibl.: C. Maltese, Arte in Sardegna dal V al XVIII secolo, Roma 1962; R. Serra, Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, ivi 1980; P. Gazzola, L. Cecchini e altri, La cittadella museale della Sardegna in Cagliari, Lonigo 1981; AA.VV., Il Maestro di Ozieri, catalogo della mostra, Ozieri 1982; AA.VV., Aligi Sassu, catalogo della mostra, Sassari 1983; AA.VV., Arte catalana nel nord Sardegna XV-XVI secolo, catalogo della mostra, ivi 1983; AA.VV., Il Monte Acuto, catalogo della mostra, Ozieri 1983; AA.VV., P.A. Manca, catalogo della mostra, Sassari 1983; AA.VV., Arte e Cultura del '600 e del '700 in Sardegna, Atti del Convegno nazionale, Cagliari-Sassari 2-5 maggio 1983, Napoli 1984; AA.VV., Biasi nella collezione regionale, catalogo della mostra, Nuoro 1984; AA.VV., Cultura quattro-cinquecentesca in Sardegna, Retabli restaurati e documenti, catalogo della mostra, Cagliari 1985; M. Dander, W. Paris, S. Anna di Calangianus, Sassari s.d. (1986); Id., L'Oratorio di S. Croce di Aggius, ivi s.d. (1986); A. Sari, Il Cristo di Nicodemo nel S. Francesco di Oristano; la diffusione del Cristo gotico doloroso in Sardegna, in Biblioteca Francescana Sarda, 2 (1987), pp. 281-322; AA.VV., Ittiri. Nostra Signora di Coros, Sassari s.d. (1987); L. Siddi, G. Zanzu, Gli organi storici restaurati, Cagliari s.d. (1988); AA.VV., Giuseppe Sciuti, catalogo della mostra, Nuoro 1989; G. Altea, M. Magnani, Nino Siglienti, un artista déco e la sua bottega, Sassari 1989; AA.VV., La Corona d'Aragona: un patrimonio comune per Italia e Spagna, Milano 1989; R. Serra, Italia Romanica. La Sardegna, ivi 1989; M. Dander, W. Paris, Il restauro dell'Oratorio del Rosario di Ploaghe, Sassari 1989; W. Paris, I dipinti della collezione Spano a Ploaghe, Nuoro 1990; AA.VV., Pittura del '500 nel nord Sardegna, catalogo della mostra, ivi 1992; G. Zanzu, Il trittico di Clemente VII del Duomo di Cagliari. Analisi diagnostiche e problemi di attribuzione, in Kermes. Arte e tecnica del restauro, 5, 13 (gennaio-aprile 1992); AA.VV., La colonna di S. Antonio da Padova, Cagliari 1992; AA.VV., I Retabli, catalogo della mostra, Nuoro 1993; M. Dander, W. Paris, Oratorio di S. Croce e chiesa del Purgatorio, Sassari 1993; W. Paris, Restaurata la chiesa di S. Vittoria di Perfugas, in Gallura e Anglona, giugno 1994.

Tutela dei beni architettonici. - La tutela dei beni architettonici in S. comincia virtualmente con l'istituzione dell'Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti (1891) e prosegue attraverso le progressive denominazioni (Monumenti, Gallerie e Antichità) fino alle odierne Soprintendenze.

I primi decenni di attività non consentono d'individuare una linea unitaria d'intervento, anche per la primaria necessità di organizzare prioritariamente la conoscenza delle sempre più variate classi di preesistenze, disseminate in un territorio regionale tutt'altro che agevole da percorrere: l'inventario procedette con estrema lentezza e con criteri fortemente selettivi, tanto che le due edizioni dell'Elenco degli edifici monumentali (1902 e 1922) sono in tal senso estremamente eloquenti, privilegiando spesso soltanto frammenti di complessi architettonici quasi sempre ascrivibili all'età medievale. Se si aggiungono poi le personali inclinazioni dei due primi reggitori dell'ufficio (F. Vivanet, soprattutto storico, D. Scano, essenzialmente restauratore), si può facilmente riscontrare la pratica dei primi interventi, oscillanti tra restauri ''stilistici'', in edifici come la basilica di Saccargia (1893-94) e quella di S. Pietro di Sorres (1894), e restauri di ''liberazione'' più corretti filologicamente, come le torri pisane di Cagliari (1901-03).

Il periodo successivo s'identifica nell'alternarsi di storici dell'arte e archeologi alla guida dell'unica soprintendenza, comprendente tutta l'isola (sia le gallerie, sia i monumenti, sia le antichità), con il conseguente allentamento d'interesse per le architetture. È comunque opportuno ricordare almeno due interventi nel periodo compreso tra le due guerre mondiali: lo spostamento e la ricomposizione della chiesa romanica di S. Pietro di Zuri, effettuato nel 1926 su progetto di D. Scano, e seguito da C. Aru per impedirne la perdita a causa della costruzione dell'invaso artificiale del fiume Tirso; la ricostruzione in stile ''romanico-pisano-lucchese'' della facciata del Duomo di Cagliari (1930) dopo lo smantellamento della precedente veste barocca, operata nel 1902 con la speranza, delusa, di trovare quella originale di età pisana.

Nel 1939, dopo l'emanazione della l. 1089, la presenza, quale soprintendente, di uno storico dell'arte come R. Delogu (1939-53) determinò ancor di più l'accentuazione dell'interesse per le architetture romanico-gotiche, culminato con la pubblicazione della sua fondamentale opera, L'architettura del Medioevo in Sardegna (1953), e, nello stesso tempo, promosse anche una serie di interventi in tutta l'isola, volti a ripristinare le architetture ''originarie'', così da privilegiare le istanze artistiche piuttosto che le stratificazioni storiche. Basti citare la demolizione delle strutture secentesche nel presbiterio del S. Gavino di Porto Torres (1939) nonché dell'edicola, pure secentesca, nella controfacciata del Duomo di Cagliari (1940): è significativo il sostanziale disinteresse per le architetture ascrivibili al Seicento e al Settecento, che furono studiate solo più tardi e in altre istituzioni.

La ''gestione'' Delogu si segnala però in modo particolare per le vicende legate alla seconda guerra mondiale, che soprattutto a Cagliari e, in misura minore, ad Alghero provocarono danni spesso irreparabili. A una prima fase volta all'approntamento delle difese antiaeree per molti insigni monumenti, seguì la necessità d'intervento in edifici gravemente danneggiati dai bombardamenti degli Alleati, nel febbraio e maggio 1943 (come il complesso domenicano o le chiese di S. Caterina, dei Genovesi e del Carmine a Cagliari), ovvero colpiti in misura minore, ma comunque tale da porre problemi di non semplice soluzione (chiese di S. Giuseppe, di S. Anna, di S. Lucia, sempre a Cagliari). È noto che le raccomandazioni di Carte e Istruzioni per il restauro persero spesso il loro valore nella situazione contingente dovuta alle distruzioni belliche, sia in Italia che all'estero: in tal senso l'operato di Delogu non fa eccezione, anche per i contrasti che spesso lo opposero al ministero, riguardo alle soluzioni da adottare di volta in volta. La casistica degli interventi è varia: si passa dalla ricostruzione ''dov'era e com'era'' di S. Giuseppe e S. Anna, restituito, mediante l'uso mimetico del cemento armato e la soppressione degli ornati, semplicemente come sagoma, alla demolizione di edifici peraltro recuperabili come la chiesa di S. Lucia, colpevole d'insistere su un'area prevista come piazza, del resto mai realizzata, dal Piano di ricostruzione del 1947. Ancora è da segnalare la demolizione delle cappelle superstiti del Carmine e la ricostruzione, secondo il progetto architettonico attuale, della chiesa nello stesso luogo (1953), o, per contrasto, la demolizione delle cappelle laterali di S. Caterina e la ricostruzione della chiesa (1964) in forme moderne e in altro sito, con la conseguente alienazione della vecchia area, destinata a scopi commerciali, nel pieno centro storico di Cagliari. L'intervento più problematico fu tuttavia quello del complesso dei Domenicani, anche questo nella parte antica della città: per la parte superstite del chiostro e per lo spazio della chiesa, completamente scoperchiato, furono decise rispettivamente la ricostruzione dei bracci danneggiati e l'utilizzazione dell'invaso dell'aula come ''cripta'' di una nuova chiesa, progettata dall'architetto R. Fagnoni e fonte di non pochi contrasti fra i Padri domenicani e Delogu, che in un primo momento aveva vagheggiato la conservazione dei ruderi con una sistemazione a verde.

Negli anni Cinquanta, oltre alla separazione della soprintendenza (1958) in due distinti uffici (uno a Cagliari, l'altro a Sassari), occorre ricordare gli interventi di restauro da parte del Genio Civile (grazie alla l. 1552 del 1935), tali da provocare rifacimenti ''in stile'' o interventi ''moderni'' in non poche chiese dell'isola (parrocchiale di S. Gavino Monreale, S. Pietro di Sorres). Né è da dimenticare il ricorso alle specifiche leggi finanziarie della Regione autonoma della S., che hanno permesso ulteriori interventi non sempre in linea con le istanze del restauro. Fra gli interventi più importanti del dopoguerra, invece, si ricorda il recupero dell'Arsenale di Cagliari come Cittadella dei Musei dovuto a P. Gazzola e L. Cecchini, che in una felice sintesi di vecchio e nuovo ha inglobato le parti più antiche delle fortificazioni pisane, spagnole e sabaude in una suggestiva ''passeggiata architettonica'', comprendente anche una grande cisterna punica ritrovata fortuitamente in corso d'opera; meno felice è stata la recente manomissione del progetto originario (recante interessanti suggestioni ''scarpiane''), per conseguire l'adeguamento alle misure di sicurezza e al superamento delle barriere architettoniche, misure certo necessarie ma tali da alterare la veste primitiva.

Negli anni Ottanta non sono mancati interventi di ampio respiro, come quello dei bastioni fortificati di Cagliari (progetto FIO), che però hanno utilizzato materiale calcareo di diversa grana (da quello di Bonaria a quello di Orosei), ma anche tale da enfatizzare cromaticamente i rifacimenti rispetto alla cortina originaria. Sempre nell'ambito di cromatismi discutibili, infine, si cita l'intonaco variamente colorato nell'interno del Carmine di Oristano, pregevole costruzione di gusto prettamente settecentesco. Nel 1994 sono in fase di realizzazione e sono fonte di accesi dibattiti, per le prassi adottate e le scelte tecniche d'intervento, i restauri del Castello e colle di S. Michele (progetto FIO) e quello della basilica di S. Saturnino a Cagliari.

Tutela dell'ambiente. - Per quanto riguarda la tutela ambientale, la l. 1497 del 1939 ha prodotto nel primo dopoguerra vincoli di tipo prevalentemente passivo, come in due zone costiere del tutto inedificate (fra Bosa e Alghero a ovest, fra Baunei e Dorgali a est), e negli anni 1970-80, il vincolo paesistico sullo straordinario stagno di Molentargius, importante e suggestiva zona umida integrata nel paesaggio urbano di Cagliari, interessata da un Piano paesistico. Negli anni Ottanta, il passaggio di competenze dallo stato con delega alle Regioni ha prodotto la creazione di un Ufficio del paesaggio presso l'Assessorato ai beni culturali della Regione autonoma della S., con l'incarico di controllare e fornire eventuali nulla osta per l'edificazione in zone di tutela ambientale. In seguito, si possono ricordare le categorie dei beni individuati dalla l. 431 del 1985 (''legge Galasso''), recepita soltanto in seguito dalla l. regionale n. 45 del 22 dicembre 1989, che prevedeva i piani territoriali paesistici, comprensivi quindi dei beni individuati per legge. Dopo un lungo iter burocratico e politico, i piani paesistici sono stati approvati definitivamente anche per quanto riguarda le norme di attuazione: essi comprendono tutte le fasce costiere e diverse zone interne (Marmilla, Sarcidano, Sulcis, ecc.).

Alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta si è riscontrata una maggior attenzione in S. nel settore della tutela e salvaguardia dei beni ambientali rispetto al recente passato; tuttavia mancano ancora progetti che possano essere indicati come validi esempi di tutela attiva sul territorio. In campo legislativo, invece, le Norme per l'uso e la tutela del territorio regionale (l. regionale 45/89) si sono aggiunte alle recenti disposizioni di legge in materia di parchi e riserve marine con la l. regionale n. 31 del 7 giugno 1989, Norme per l'istituzione e la gestione dei parchi, delle riserve e dei monumenti naturali, nonché delle aree di particolare rilevanza naturalistica ed ambientale, con cui sono stati individuati e perimetrati i siti particolarmente significativi del territorio isolano. Sono state inoltre censite, in apposito elenco, come ''monumenti naturali'', le emergenze ambientali di particolare pregio. Il quadro normativo isolano si è poi arricchito con le recenti disposizioni della legge quadro sulle aree protette (l. 394 del 6 dicembre 1991) per il parco nazionale del Gennargentu e dell'isola dell'Asinara, e del Parco e riserva marina dell'Arcipelago della Maddalena (con protocollo siglato di concerto con il governo francese per quanto riguarda le isole della Corsica). Tali iniziative presentano comunque un avvio difficile, anche per i problemi posti dalle popolazioni locali, non sempre bene informate e sensibilizzate sui problemi ambientali e per tradizione restie a variare i modi di vita e di organizzazione propri della secolare civiltà agro-pastorale.

Bibl.: T.K. Kirova, La basilica di S. Saturnino. La sua storia e i suoi restauri, Cagliari 1979; Id., Per una storia del restauro architettonico in Sardegna, in Saggi in onore di G. De Angelis d'Ossat, Roma 1987; F. Masala, Nota bibliografica, ibid.; T.K. Kirova, La cultura del restauro in Cagliari Castello, Cinisello Balsamo 1985 (collana "Quartieri storici"); Id., Note sul colore delle città in Sardegna, in Il colore della città, a cura di G. Spagnesi, Roma 1988; F. Masala, schede su Il bastione di S. Croce, La passeggiata coperta nel bastione di San Remy a Cagliari, La chiesa della beata Vergine del Carmelo in Oristano, ibid.; Id., Filippo Vivanet e la tutela dei monumenti, in Biblioteca Francescana Sarda, 4 (1990); A. Ingegno, Storia del restauro dei monumenti in Sardegna dal 1892 al 1953, Oristano 1993.

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