Sapienza

Enciclopedia Dantesca (1970)

sapienza


Partecipe della tradizione neoplatonica e biblica, D. si serve della nozione di s. (σοφία - sapientia) di derivazione veterotestamentaria inserendola in uno schema fondamentalmente emanatistico all'interno del quale recupera alcuni temi della cultura filosofica del suo tempo, d'ispirazione aristotelica.

La s. è in primo luogo attributo divino ma appropriato, secondo la speculazione trinitaria medievale, alla seconda persona della Trinità, cioè il Verbo. In Cv III XII 12, D. afferma che in Dio... è somma sapienza e sommo amore e sommo atto, con riferimento alle persone del Padre (sommo atto) dello Spirito Santo (sommo amore) e del Figlio (somma sapienza); e così in II V 8 (somma sapienza del Figliuolo), III XIV 6, If III 6, Pd XXIII 37. Cristo, dunque, come Verbo-Logos (secondo un'interpretazione già dei padri della Chiesa), è adombrato nella personificazione veterotestamentaria della s., identificata con il verbum del prologo di Giovanni.

A questa personificazione D. fa ricorso più volte, a riprova della compresenza ab aeterno in Dio del Verbo che da lui emana, e che vivifica e ordina tutto intero il creato. Così in Cv III XIV 7 Ond'è scritto di lei: " Dal principio dinanzi da li secoli creata sono, e nel secolo che dee venire non verrò meno " [Eccli. 24, 14] e ne li Proverbi di Salomone essa Sapienza dice: " Etternalmente ordinata sono " [Prov. 8, 23]; e nel principio di Giovanni, ne l'Evangelio [Ioann. 1, 1 ss.], si può la sua etternitade apertamente notare. Il tema è ripreso in modo esplicito in Cv III XV 16, dove l'ampia traduzione di Prov. 8, 27-31 è riferita alla persona de la Sapienza che, disponente tutte le cose, si accompagna a Dio nell'atto della creazione. Così il dolce vapore che ‛ emana ' da Dio (Pg XI 6) è il " Vapor... virtutis Dei, / et emanatio quaedam " di Sap. 7, 25, cioè il Verbo che da lui esala e procede (v. VAPORE).

In tal senso la s. divina diviene lo stesso logos creatore e ‛ artefice ' che si manifesta in vere opere ad extra; così in Cv III VIII 1 Intra li effetti de la divina sapienza l'uomo è mirabilissimo; If XIX 10 O somma sapïenza, quanta è l'arte / che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo (cfr. anche Cv III V 22 e IV V 9). In Cv III XV 15 è detto che la s. è di tutto madre [e di moto] qualunque principio, dicendo che con lei Iddio cominciò lo mondo e spezialmente lo movimento del cielo.

Il Verbo-s., variamente partecipato alle creature, diviene fondamento della loro diversa perfezione. Se la s. divina, sempre attuata, è la stessa conoscenza che Dio ha di sé ed è quindi relazione sussistente (e perciò persona), nelle creature intelligenti essa si manifesta in gradi diversi, proporzionalmente alla perfezione di cui è capace la loro natura.

Ciò in rapporto sia alla loro attività conoscitiva, sia alla conseguente capacità di attingere immediatamente, o mediamente, Dio stesso.

Nell'angelo, che è natura intellettuale continuamente attuata, in quanto la sua essenza coincide con la sua operazione (cfr. Cv II IV 3), la s. è la stessa attività conoscitiva sempre in atto; nell'uomo, invece, la s. è, talvolta, solo abituale e non pienamente attuata (la nostra sapienza è talvolta abituale solamente, e non attuale, che non incontra ciò ne l'altre intelligenze, che solo di natura intellettiva sono perfette, Cv III XIII 5). Ma, comunque, nelle creature angeliche come nell'uomo l'attuazione della s. come possesso e conoscenza di Dio - e quindi come beatitudine (v.) - è commisurata alla possibilità di realizzare, ciascuno nel proprio ordine, la perfezione alla quale tendono ‛ per desiderio naturale '.

Pertanto, per quanto riguarda gli angeli, D. afferma in Cv III XV 10 che il desiderio naturale è misurato ne la natura angelica, e terminato in quanto [a] quella sapienza che la natura di ciascuno può apprendere; per quanto attiene l'uomo, al dubbio se la sapienza possa fare l'uomo beato, non potendo a lui perfettamente certe cose mostrare (XV 7), D. risponde che la s. si mostra all'uomo secondo la possibilitade de la cosa desiderante (§ 8), e ne descrive il processo: li occhi de la Sapienza sono le sue demonstrazioni, con le quali si vede la veritade certissimamente; e lo suo riso sono le sue persuasioni, ne le quali si dimostra la luce interiore de la Sapienza sotto alcuno velamento: e in queste due cose si sente quel piacere altissimo di beatitudine, lo quale è massimo bene in Paradiso (§ 2; cfr. anche § 1).

Qui la personificazione biblica della s. s'incarna nell'aspetto della Filosofia-Donna gentile (III XIII 11; cfr. anche IV II 17), a dimostrare come, nell'uomo, l'acquisizione (abito) della s. s'identifica con l'attuazione della sua facoltà più alta, la razionale, attraverso l'esercizio della filosofia. A essa si accompagna - secondo l'insegnamento di Aristotele - la possibilità per l'uomo di raggiungere la perfetta beatitudine terrena: Per l'abito de la sapienza seguita che s'acquista e[ssere] felice - [che] è essere contento - secondo la sentenza del Filosofo (III XV 5; nello stesso passo, in traduzione da Sap. 3, 11, Chi gitta via la sapienza e la dottrina, è infelice).

La contaminazione della nozione biblica e patristica di s. con quella di filosofia, in cui D. vede manifestato il logos come immediata espressione della bontà divina partecipata alle creature, è esplicita in Cv II XV 12 la donna di cu' io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia; così ancora è la s. la sposa... suora e figlia dilettissima di Dio, a lui unita per essenza, per modo perfetto e vero, quasi per etterno matrimonio (III XII 13-14).

Tema analogo è in III XI 5, dov'è ripresa l'etimologia, derivata da Agostino (v. FILOSOFO; PITAGORA), di filosofo come amatore di sapienza (§ 5, tre volte) o studioso in sapienza (ibid.; cfr. anche XIV 8), e di filosofia come amistanza a sapienza, o vero a sapere (XI 6; cfr. anche III XII 12 filosofia... amoroso uso di sapienza, e IV II 18). Di qui la conclusione di D.: in alcun modo si può dicere catuno filosofo secondo lo naturale amore che in ciascuno genera lo desiderio di sapere (III XI 6; al § 10 è ricordato che non è vero filosofo chi è amico di sapienza per utilitade).

Il naturale amore per la s. s'identifica in D. con quel ‛ desiderio di sapere ' ricordato in apertura del Convivio (I I 1 Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere), e in forza del quale Aristotele aveva additato come perfezione propria dell'uomo l'acquisizione della ‛ scienza ' e l'esercizio di essa nell'attività teoretica e speculativa (cfr. Metaph. I 1, 980 a 1 ss.). Lo studium sapientiae agostiniano (cfr. De Trin. XII 4, 13 e 14, XIII 20, XIV 1 e 19, XV 10), tutto teso a una superiore contemplazione delle verità eterne, inaccessibile in terra morientium e in netto contrasto con la scientia (che è uso della ratio inferior), viene qui corretto e integrato alla luce della concezione aristotelica, in cui la ragione recupera tutt'intero l'ambito della contemplazione e l'ambito delle discipline o scienze. Di fronte alla tradizionale scissione tra scienza e s., consegnata da Agostino al Medioevo, in D. è testimoniato il tentativo di saldare le due esigenze, recuperando all'interno della s.-filosofia tutto intero il corpo delle scienze. In questa direzione indubbiamente operava anche la recente acquisizione, da parte dell'Occidente latino, di Aristotele, la cui nozione di filosofia, intimamente legata all'esercizio della ‛ ragione naturale ', poneva in forse quella scissione, entrando in contrasto con un ambiente ancora profondamente legato alla tradizione platonica (cfr. Bonaventura De Verbo incarnato V 18-19). La s. di D. assomma così due aspetti, quello religioso-contemplativo, di ascendenza platonico-agostiniana, e quello speculativo-razionale di Aristotele. Per quest'ultimo aspetto, come D. afferma in Cv III XV 4, la s. adempie al desiderio naturale della ragione: E in questo sguardo [della s.] solamente l'umana perfezione s'acquista, cioè la perfezione de la ragione... tanto... che l'uomo, in quanto ello è uomo, vede terminato ogni desiderio, e così è beato (v. anche § 5); ma per l'altro aspetto, quello mistico-religioso, l'appetito... che pur da natura nudamente viene, in quanto appetito che de la divina grazia surge (IV XXII 5), trova proseguimento e si esprime nell'amore per la s. figliola di Dio e immagine di lui in terra: dove è da sapere che lo sguardo di questa donna [la Filosofia-s.] fu a noi così largamente ordinato, non pur per la faccia che ella ne dimostra vedere, ma per le cose che ne tiene celate desiderare ed acquistare (III XIV 13). Nella s. si manifesta, sotto alcuno velamento, la luce stessa della verità divina, in cui propriamente consiste quel piacere altissimo di beatitudine, lo quale è massimo bene in Paradiso (XV 2).

Dalla partecipazione a questa s. prende così l'avvio il reditus dell'uomo a Dio. La s. infatti, manifestazione della beatitudine eterna, è ‛ madre ' delle tre virtù teologali: la fede in verità che sovrastano la ragione naturale, la speranza di ottenerle e la carità o amore in cui si esprime la tensione al ritorno verso Dio.

Le tre virtù teologali nate dalla s. conducono l'uomo a quell'‛ Atene celestiale ' - cioè a quella trasposizione cristiana del culmine della s. e della filosofia pagana - che è il Paradiso: onde, sì come per lei molto di quello si vede per ragione... che sanza lei pare maraviglia, così per lei si crede [ch']ogni miracolo in più alto intelletto puote avere ragione, e per consequente può essere. Onde la nostra buona fede ha sua origine; da la quale viene la speranza, de lo proveduto desiderare; e per quella nasce l'operazione de la caritade. Per le quali tre virtudi si sale a filosofare a quelle Atene celestiali, dove gli Stoici e Peripatetici e Epicurii, per la l[uc]e de la veritade etterna, in uno volere concordevolemente concorrono (III XIV 15). Sarà bene notare come in questo passo D. echeggi da un lato la leggenda agiografica, di origine orientale, di s. Sofia madre di Fides, Spes e Charitas e, dall'altro, il tema Atene-s., presente nel pensiero classico e trasposto nella nozione cristiana di s. anche attraverso testi biblici (cfr. Sap. 7). Il tema Pallade-s. è in Cv II IV 6, mentre in Pg XV 99 è quello di Atene-Pallade-s. (v. anche SCIENZA).

La s. acquista in tal modo il suo significato più profondamente etico e religioso; essa che piove in noi come dono dello Spirito Santo (IV XXI 12) è il coronamento delle più alte virtù cristiane, infuse, e di quelle morali celebrate dall'Etica aristotelica (cfr. III XV 11, dov'è detto che la bellezza della s. resulta da l'ordine de le virtudi morali, che fanno quella piacere sensibilmente; al § 14 D. afferma che mirando... la sapienza - in questa parte [cioè l'Etica], ogni viziato tornerà diritto e buono); in essa Dio ha rivelato la sua dottrina voracissima testimoniata da Cristo, che ci è concesso vedere per fede perfettamente, e per ragione... con ombra d'oscuritade (II VIII 14 e 15; v. anche II V 2 ss.). Nella s. la bontà e la grazia di Dio si manifestano in termini che trascendono la capacità stessa della ragione umana: questa donna [la Filosofia-s.] è perfettissima ne la umana generazione, ma più che perfettissima in quanto riceve de la divina bontade oltre lo debito umano (III VI 9; cfr. § 10). La s. già prefigura, in tal modo, il ruolo di Beatrice nel Paradiso, come mediatrice tra Dio e l'uomo.

Questa mediazione di Dio nella s. è espressa nel Convivio con la figurazione della s.-filosofia fatta persona. L'anima di essa, piena del dono divino, si manifesta sensibilmente nello splendore del corpo, che come ‛ segno ' e ‛ specchio ' di Dio suscita nell'uomo il desiderio di conoscere (cfr. Cv III VI 11-13) e di sapere, cioè l'amore per la s. in cui consiste l'oggetto stesso della filosofia. In Cv III XIV 1, D. può così affermare che Filosofia per subietto materiale... ha la sapienza, e per forma ha amore, e per composto de l'uno e de l'altro l'uso di speculazione (cfr. § 6 la sapienza, ne la quali questo amore fere, etterna è, e anche XI 8), e aggiunge che non se dee dicere vero filosofo alcuno che, per alcuno diletto, con la sapienza in alcuna sua parte sia amico; sì come sono molti che si dilettano... studiare in Rettorica o in Musica, e l'altre scienze fuggono e abbandonano, che sono tutte membra di sapienza (XI 9; cfr. ancora § 12, due volte, III XII 4, XV 11 la bellezza de la sapienza, che è corpo di Filosofia, e 19 filosofia… da la parte del suo corpo, cioè sapienza; cfr. anche III XV 1).

L'identificazione del ‛ corpo della filosofia ' con la s. ha come esito l'immedesimazione della s. nell'intero corpo delle arti liberali, a cui D. aggiunge la Fisica, la Metafisica e l'Etica (come frutto del recente insegnamento aristotelico) e la Teologia o scienza divina (II XIII 8). Attraverso l'assimilazione della s. con la ‛ dottrina sacra ', in quanto teologia non argomentativa, la Teologia mantiene, nella gerarchia delle scienze, un primato che ad essa deriva (cfr. Cv II XIV 19) dall'assoluta certezza del suo oggetto garantito da Dio e lasciato da Cristo agli uomini come testamento della sua dottrina. Mentre tutte le altre scienze, opera dell'uomo, soffrono liti di oppinioni o di sofistici argomenti (sono perciò, con le parole di Salomone ricordate da D., regine e drude e ancille), la Teologia, intesa come l'insieme dell'insegnamento rivelato, è caratterizzata dalla eccellentissima certezza del suo subietto, lo quale è Dio; essa perciò è a buon diritto, secondo le parole di Salomone (Cant. 6, 7), la colomba prediletta, perché è sanza macula di lite e l'unica perfetta perché perfettamente ne fa il vero vedere nel quale si cheta l'anima nostra (Cv II XIV 19-20).

Per questa via la s. partecipata all'uomo viene a calarsi in un'articolata enciclopedia delle scienze e costituisce nel contempo la radice di ognuna e il vincolo che le lega in un tutto organico.

Se la s. costituisce l'oggetto proprio della perfezione dell'uomo e l'anticipazione terrena della beatitudine eterna, dal lume di essa, cioè dalla verità, dovrà essere illuminato l'imperatore che è guida del genere umano nella pace (Mn I IV 2). Nel reggimento della comunità umana, infatti, devono congiungersi la filosofica autoritade, in quanto espressione della ragione nel perseguimento della s.-filosofia, e la imperiale, che senza di quella si tramuta da esercizio di un potere secondo ragione in un dominio senza ‛ regola '. Di qui l'ammonimento di D.: E però si scrive in quello di Sapienza: " Amate lo lume de la sapienza, voi tutti che siete dinanzi a' populi " (Cv IV VI 18: cfr. Sap. 6, 23) e, ancora, ciascuno vero rege dee massimamente amare la veritade. Ond'è scritto nel libro di Sapienza: " Amate lo lume di sapienza, voi che siete dinanzi a li populi "; e lume di sapienza è essa veritade (Cv IV XVI 1). Ciò spiega il richiamo all'unione di s., amore e virtù o potenza, da cui D. vede nutrito il veltro, in If I 104 Questi [il veltro] non ciberà terra né peltro, / ma sapïenza, amore e virtute; cfr. anche Ep VI 9, VII 29, XIII 61.

In Pd XI 38, s. Domenico viene ricordato, nel cielo del Sole e dei sapienti, come colui che per sapïenza in terra fue / di cherubica luce uno splendore, in quanto in lui la s. si espresse in tutta la sua pienezza illuminante, alla maniera dei cherubini (" Cherubin interpretatur plenitudo scientiae ", Tomm. Sum. theol. I 63 7 ad 1).

Dell'uso testamentario di s. vi è ampia documentazione in Dante. Oltre i passi ricordati, da vedere Cv III VIII 2 (da Eccli. 1, 3), IV XXI 6, Mn II VIII 10 e Quaestio 77 (da Rom. 11, 33), Ep XIII 6 (da Sap. 7, 14), 62 (da Sap. 1, 7), e 76 (da Ezech. 28, 12-13); per la personificazione della s., cfr. Cv III XV 16, XI 12 (terza occorrenza), XIII 11, XIV 7, IV V 2, Ep XIII 62; come titolo dell'omonimo libro del Vecchio Testamento è in Cv III XV 5 (prima e quarta occorrenza), IV VI 18 (prima occ.), XVI 1 (prima occ.); v. anche PROVERBI; SALOMONE; sapienza, libro della; scienza.

L'unico esempio del Fiore indica la " profonda conoscenza " che Medea aveva delle arti magiche: CXC 5 Medea, in cui fu tanta sapienza, / non potte far che Giasone tenesse.