Tommaso d'Aquino, santo

Dizionario di Storia (2011)

Tommaso d'Aquino, santo


Tommaso d’Aquino, santo

Filosofo e teologo (Roccasecca, Frosinone, 1225 o 1226-Fossanova, Latina, 1274). Ragazzo, fu accolto nel monastero di Montecassino; studiò poi a Napoli dove ebbe come maestri Martino di Dacia e Pietro d’Irlanda. Entrato tra i domenicani, ricevette l’abito religioso nel 1243-44. Sembra certo che abbia proseguito gli studi universitari (1245-48) a Parigi, quindi a Colonia, ove fu discepolo di Alberto Magno. Tornato a Parigi, vi insegnò tra il 1252 e il 1255 come baccalarius biblicus e sententiarum; ottenne la licentia docendi nel 1256 e nel 1257 fu nell’albo dei professori per la teologia. A questo periodo parigino risalgono il Commento alle sentenze (1254-56) e ad alcuni libri della Bibbia, le Quaestiones de veritate, alcuni Quodlibeta, i commenti a Boezio (tra il 1255 e il 1261). Tornato in Italia (1259), creato lector Curiae da Urbano IV (1261), svolse un’ampia attività: terminò la Summa contra Gentiles, scrisse le Quaestiones disputatae: De potentia, De spiritualibus creaturis, il commento al De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi; altri Quodlibeta, il commento all’Etica di Aristotele e iniziò quello alla Metafisica; cominciò la Summa theologiae e il De regimine principum. Nel 1269 fu a Parigi e nel 1270 si impegnò nella polemica antiaverroistica con il De unitate intellectus contra Averroistas, mentre si difese contro i maestri agostiniani, che diffidavano del suo aristotelismo. Continuò a lavorare alla Summa theologiae, scrisse altre Quaestiones disputatae (De anima, De virtutibus), commentò scritti aristotelici (Metafisica, Fisica; il commento alla Politica è incompiuto). Lasciata Parigi, tornò in Italia e insegnò teologia nello Studio di Napoli (1272-74); proseguì la stesura della Summa theologiae, scrisse il Compendium theologiae (incompiuto); chiamato nel 1274 al Concilio di Lione, morì durante il viaggio. Canonizzato da Giovanni XXII nel 1323, Pio V lo dichiarò dottore angelico nel 1567.

La politica

Nelle questioni di natura politica T. segue Aristotele, sia nel Commento alla Politica aristotelica, sia nella parte da lui composta (fino a II, 4) del De regimine principum. Anche per T. «l’uomo è per sua natura un animale socievole (animal sociale)», in quanto egli vive all’interno di una famiglia, di un villaggio, di una città. La comunità sociale risponde quindi alla natura dell’uomo, ma, al pari del corpo umano che si disgregherebbe se non operasse in lui un’energia capace di governarlo, così anche la comunità – composta di molti uomini, ciascuno dei quali persegue ciò che gli conviene – si disgregherebbe in opposte direzioni se non vi fosse qualcuno che si prendesse cura del bene di tutti. Nella società deve dunque esserci un principio direttivo, ossia un governo. Ma il governo è retto e giusto soltanto se persegue il bene di tutta la società, è ingiusto e perverso se è ordinato al bene privato del governante. Seguendo la classificazione aristotelica, T. distingue tre forme di governo giuste (monarchia, aristocrazia, politia), e tre corrispondenti forme di governo degenerato (tirannide, oligarchia, democrazia). La preferenza di T. va alla monarchia, perché gli sembra la forma di governo più adatta a conservare la pace civile; e considera la tirannide come la peggiore (ma nega la liceità del tirannicidio). Grande rilievo ha nella concezione politica di T. la legge naturale, alla quale gli uomini devono conformare la loro condotta. Egli distingue quattro forme di leggi: aeterna, naturalis, humana, divina. La lex aeterna è la stessa ragione divina che governa il mondo, mentre la lex naturalis è «participatio legis aeternae in rationali creatura», ossia è il modo in cui l’ordine cosmico creato da Dio si manifesta nella creatura umana dotata di ragione. Il precetto fondamentale della legge naturale consiste nella massima bonum faciendum, male vitandum. La lex humana (o humanitus posita) consta di tutti i precetti particolari che la ragione ricava dalla legge naturale per regolarsi nelle diverse situazioni. Ne consegue che tutte le leggi positive devono ispirarsi alla legge naturale e non possono violarla.

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