Pacòmio, santo

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Fondatore del cenobitismo cristiano (Tebaide Inferiore, Egitto, 292 circa - Pbōw, Egitto, 346). Autore della famosa regola monastica che S. Girolamo, già nel 404, fece conoscere all'Occidente con la sua traduzione latina, e alla quale si ispirano le principali istituzioni monastiche di Oriente e di Occidente.

Vita

Di famiglia pagana, fu soldato a Isnā, dove si convertì al cristianesimo. Completò la sua istruzione religiosa a Šenesēt e ricevette poi il battesimo. Sotto la direzione spirituale dell'anacoreta Palamone ne seguì, per alcuni anni, la rigorosa dottrina ascetica, vivendo in assoluta povertà, praticando il digiuno, trascorrendo la notte in preghiera. P. poté così conoscere i limiti dell'anacoretismo cercando di superarne i difetti mediante il cenobitismo. Recatosi a Tabennesi sulla riva del Nilo, raccolse intorno a sé discepoli, che raggiunsero presto il centinaio; per loro organizzò la vita in comune, prescrisse una regola, si fece esperto maestro di vita spirituale. L'afflusso sempre crescente di discepoli indusse P. a fondare altri monasteri a Pbōw, a Šenesēt, quindi a Temusson e a Thebīu, poi più a N a Panopolis (Akhmīm) e più a S a Phenum. Morì durante un'epidemia di peste.

Opere e pensiero

P. ha il merito di avere per primo concepito la vita ascetica come vita in comune, nell'osservanza di una regola valida per tutti e sotto la direzione di un superiore, nell'ambito di una stessa residenza. Base di tale vita comune fu la regola di P., giuntaci in una traduzione etiopica e nella versione latina di una traduzione greca, oggi perduta, dell'originale copto, di cui solo recentemente sono stati trovati frammenti. I monaci seguivano un tenore di vita moderatamente severo (digiuno il mercoledì e il venerdì, due pasti gli altri giorni), perché nessuno potesse mancare per debolezza al lavoro o agli altri obblighi di vita comune. Essi si riunivano cinque volte al giorno per la preghiera in comune e il sabato e la domenica per la messa, dovevano lavorare secondo le proprie capacità e le esigenze della comunità, seguendo le disposizioni del superiore. Alloggiavano in monasteri cinti da mura e divisi in case per una trentina di monaci; in comune erano la chiesa, la biblioteca, il refettorio, il luogo di riunioni, la cucina e la dispensa. A capo di ogni casa c'era un preposto, a capo del monastero un superiore. P., per l'equilibrio e la moderazione della sua opera, ebbe successo non solo ai suoi tempi in Egitto (i monaci pacomiani, nel momento della maggiore fioritura, furono decine di migliaia), ma anche in tutto il mondo orientale; in Occidente, mediante l'opera di Cesario di Arles e di Cassiodoro la riforma cenobitica di P. fornì la premessa del monachesimo benedettino. Degli scritti originali di P., nella sua lingua materna (copta), si può dire che non rimane nulla; si attribuisce infatti a lui, non con assoluta sicurezza, una catechesi conservata in un manoscritto del British Museum (pubblicata da E. A. W. Budge in Coptic Apocrypha in the dialect of Upper Egypt, Londra 1913); della regola in copto non abbiamo che pochi frammenti.

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