BONONIO, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONONIO, santo

Giovanni Tabacco

Nacque intorno alla metà del sec. X a Bologna, dove fu monaco sin da fanciullo, vivendo per alcuni anni nel cenobio di S. Stefano. Recatosi pellegrino in Oriente, si fermò a condurre vita eremitica nelle solitudini prossime a Babilonia d'Egitto, che fu capitale del paese sotto i musulmani fino all'espansione della dinastia sciita dei Fatimiti dalla Tunisia all'Egitto e alla conseguente fondazione del Cairo nel 969. Il soggiorno di B. in Egitto coincise almeno in parte col califfato del fatimita al-'Azī´z (975-996), che ebbe in moglie una cristiana, Maria, e che fu tanto indulgente verso la religione di lei, da far nascere la leggenda che egli stesso, "quasi alter Nichodemus", fosse occultamente cristiano (Rodulfi Glabri Historiarum libri, III, c. VII, n. 25, a cura di M. Prou, Paris 1886, pp. 73 s.). La vicinanza dell'eremo alla vecchia e alla nuova capitale dell'Egitto musulmano e il favore di Maria e del califfo verso i cristiani spiegano come la fama di santità di B., alimentata da un'ascesi severissima, giungesse alla corte e ve lo rendesse influente, consentendogli di adoperarsi per la ricostruzione di chiese e per la fondazione di un cenobio, nel quale ordinò monaci e abate secondo la regola di S. Benedetto. Noto ormai largamente in Egitto e soprattutto ad Alessandria, B. si ritirò di nuovo nelle solitudini di Babilonia.

In quel tempo Ottone II imperatore affrontava nell'Italia meridionale le forze dell'ernirato di Sicilia, subordinato al califfato fatimita, ed era sconfitto a Capo Colonne (982). Fra i numerosi cristiani catturati e mandati in Egitto si trovò il vescovo di Vercelli Pietro, che dal carcere di Alessandria (Annales Sangallenses maiores, a cura di D. I. von Arx, in Mon. Germ. Hist.,Scriptor., I, Hannoverae 1826, p. 80) riuscì a entrare in relazione con Bononio. Questi si adoperò presso la moglie del califfo e gli uomini di corte a favore dei prigionieri, che gli furono affidati con nave e mezzi necessari per il ritorno in Occidente. Il viaggio si svolse dapprima ampiamente nel Mediterraneo orientale, con visita a Gerusalemme e ai deserti del Sinai e arrivo a Costantinopoli, dove la folla dei prigionieri liberati dal califfo destò sospetti e fu incarcerata. Ne seguì la liberazione per intervento del clero della città presso la corte imperiale. Mentre il vescovo Pietro e i compagni si avviavano infine per mare verso Occidente, B. tornava nei deserti del Sinai. La fama della sua ascesi e della sua santità si diffuse per la Palestina.

Durante il suo soggiorno nel Sinai morì nella diocesi di Vercelli l'abate del monastero dei SS. Michele e Genuario, un antico cenobio situato nella selva di Lucedio, là dove è oggi la località di San Genuario, nei pressi di Crescentino (monastero da non confondere con la posteriore abbazia cisterciense di S. Maria, in una parte più orientale della medesima selva, nel luogo detto oggi appunto Lucedio, non lungi da Trino). Il vescovo Pietro, di cui è attestata fin dal 990 la presenza a Vercelli dopo le vicende in Oriente, chiamò all'abbazia di Lucedio B., il quale, pur riluttante ad abbandonare l'Oriente e la vita eremitica, accettò. Ciò fu prima del 997, quando Pietro fu ucciso nei tumulti provocati dal marchese di Ivrea Arduino. In relazione con le violenze avvenute allora per opera di Arduino nel Vercellese e nell'Eporediese è da porsi quel turbamento del monastero di Lucedio, che indusse B. a cercare riparo in Toscana, presso il marchese Ugo, di cui sono accertati i rapporti con il vescovo Pietro e i canonici di Vercelli nel 996 (C. Manaresi, I placiti del "regnum Italiae", II, 1, Roma 1957, pp. 344 ss.). Di Ugo è una ricca donazione fatta il 10 ag. 998 a B. come abate del monastero di S. Michele di Marturi, oggi Poggibonsi in Val d'Elsa. A Marturi B. rimase pochi anni, poiché, morto Ugo alla fine del 1001, il suo successore marchese Bonifacio invase il monastero e ne espulse B. insieme con i suoi monaci. Egli tornò allora a Lucedio, al tempo del vescovo di Vercelli Leone, e vi resse per molti anni l'abbazia, morendovi in fama di santità il 30 ag. 1026.

Poco prima era successo a Leone nella sede vercellese Arderico, un canonico della cattedrale milanese. Il nuovo vescovo, facendosi interprete dei sentimenti del clero e del popolo, convocò una grande assemblea e in essa deliberò di rivolgersi alla Sede apostolica per corroborare e far più glorioso il culto del santo. Si recò a Roma egli stesso ed ottenne l'assenso di Giovanni XIX. Tornato a Vercelli, fece innalzare un altare sul corpo di Bononio. Alcuni anni dopo, un monaco di Lucedio per sollecitazione della comunità narrò in breve di lui vita e miracoli.

La complessa vicenda di B., nota in modo assai lacunoso, è fra le testimonianze più singolari dell'intensità dei rapporti interni a tutto un mondo di chierici e monaci, dalla Lombardia alla Toscana e dall'Occidente all'Oriente, fra X e XI sec., e dell'efficacia esercitata allora dall'ascesi eremitica sull'ordinamento dei cenobi, sulla potenza ecclesiastica e politica, sulla spiritualità popolare. In B. si alternano e si contemperano l'aspirazione all'isolamento religioso e l'attitudine a disciplinare comunità, ad amministrare patrimoni, a costituire nuclei di potere: donde quel suo spostarsi dai deserti alle corti regie, vescovili, marchionali, e quel suo muoversi "pro causa monasterii cum suis militibus", che emerge nel racconto di un miracolo a lui attribuito (Mon. Germ. Hist., Scriptor., XXX, 2, p. 1031). È una esperienza parallela e simultanea a quella di gran lunga più nota di s. Romualdo, con la quale essa è stata artificialmente intrecciata da un abate camaldolese del sec. XVIII, Guido Grandi, autore di una falsa Vita di B., attribuita a un preteso monaco Rotberto. Il falso del Grandi ha alterato nella tradizione storiografica non solo la vicenda di B., supposto discepolo di Romualdo nelle valli di Comacchio e fatto pellegrino in Oriente al tempo del califfo fatimita, al-Ḥakam, persecutore dei cristiani al principio del sec. XI, ma la prospettiva del movimento eremitico in Italia e delle relazioni monastiche fra Italia e Oriente sul finire del sec. X, dando rilievo quasi esclusivo alla pur grande personalità di Romualdo di Ravenna.

La ricostruzione, che qui abbiamo proposto, della vicenda di B. è fondata sull'identificazione del "sanctus Bolonius abbas", o "beatus Bononius abbas et confessor", dell'anonimo monaco di Lucedio (Vitaet miracula sancti Bonomi abbatis Locediensis, a cura di G. Schwartz e A. Hofmeister, in Mon. Germ. Hist.,Script., XXX, 2, Lipsiae 1934, pp. 1023-1033, 1494 s.: in particolare, p. 1029, n. 6) col "Bononius abbas" della donazione fatta al monastero di Marturi dal marchese Ugo il 10 ag. 998 (G. Schwartz, Die Fälschungen, pp. 233-241) e con l'"abbas sanctus Bolonius" di un documento della metà circa del sec. XI (Falce, pp. 237 ss.: il placito ivi citato è ora in Manaresi, I placiti..., III, 1, Roma 1960, pp. 335 ss.), nel quale si narrano contestazioni riguardanti alcuni dei beni donati da Ugo all'abbazia di Marturi (G. B. Mittarelli-A. Costadoni, Annales Camaldulenses, I, Venetiis 1755, pp. 264 s.). Le tre fonti, sicuramente genuine, in parte concordano e in parte si integrano, adattandosi perfettamente alla cronologia dei vescovi di Vercelli e dei marchesi di Toscana. Il dubbio sollevato sull'identificazione dalla presenza di una molto anteriore donazione di Ugo a un "Bolonus abbas", che sarebbe avvenuta il 12 luglio 970 (Mittarelli-Costadoni, I, App., coll. 104 ss.: cfr. Falce, pp. 97 ss.), non ha ragione di essere, perché tale documento, giunto a noi in copie posteriori, è in contrasto non solo con una sospetta donazione di Ugo del 25 luglio 998 (Schwartz, Die Fälschungen, p. 229), ma anche con quella genuina del 10 ag. 998, la quale presenta in parte, e solo in parte (non sono menzionati i castelli del 970, salvo una "pars de castello de Turignano"), i beni elencati nella pretesa donazione di ventotto anni prima: la carta del 10 agosto non potrebbe dunque essere interpretata, rispetto ai beni del 970, né come una prima donazione né come una conferma. Se poi si volesse interpretare l'intero documento del 10 agosto come una restaurazione liberamente rinnovatrice del patrimonio di un monastero decaduto, ciò converrebbe alla venuta del nuovo abate B. da Lucedio ("reparato ad plenum monasterio", si legge nella Vita anonima a proposito della sua attività in Toscana), non converrebbe invece all'ipotesi di un abate da oltre ventotto anni al governo del monastero e destinato a morire, come la narrazione di Marturi dell'XI sec. attesta, in fama di santità. A ciò si aggiunga la singolarità di una omonimia: tre dei quattro giudici presenti a Marturi il 10 ag. 998 già sarebbero fra i quattro giudici presenti a Lucca nella donazione del 970.

Bibl.: G. Schwartz, Die Fälschungen des Abtes Guido Grandi, in Neues Archiv, XL (1915), pp. 185-215, 228-233; A. Falce, Il marchese Ugo di Tuscia, Firenze 1921, pp. 97-99, 134-146, 182-240; G. Tabacco, La Vita di s. Bononio di Rotberto monaco e l'abate Guido Grandi, Torino 1954; W. Kurze, Die "Gründung" des Klosters Maturi im Elsatal, in Quellen und Forsch. aus italien. Arch. und Bibl., 49 (1969), pp. 239-272.

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