Antonio, santo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Antonio, santo

Anselmo Lentini

Nato il 250 a Corna (odierna Qemans) presso Eracleopoli nell'Alto Egitto e morto nell'eremo di M. Colzim il 17 gennaio 356. Notissimo nell'agiografia e nella venerazione cristiana fin da quando ne scrisse la vita s. Atanasio di Alessandria. Rimasto orfano con una sorella, a venti anni distribuì i suoi beni ai poveri e iniziò varie esperienze di vita eremitica, nella quale lottò fieramente contro continui assalti del demonio. Crescendo il numero di ammiratori e discepoli, fondò due monasteri, a Pispir e presso Arsinoe, ma non può dirsi che abbia scritto una regola. L'influsso della sua straordinaria santità popolò l'Egitto di monasteri. Più tardi si ritirò sul monte Colzim, poi chiamato monte S. Antonio, presso il Mar Rosso, ove, dopo parecchi anni di solitudine, chiuse i suoi molti giorni.

Il suo culto si inizia assai presto in Oriente; anche in Occidente appare già nel cosiddetto Martyrologium Hieronymianum e in quello di Beda; molto diffuso è nel mondo monastico, dove A. è considerato padre e modello di vita eremitica; ma si sviluppa moltissimo anche tra il popolo, specialmente in seguito alla traslazione delle sue reliquie (c. 1050) da Costantinopoli a Motte-Saint-Didier, detto poi Saint-Antoine en Dauphiné. Qui convengono molti a chiedere da A. la guarigione dal morbo herpes zoster, detto volgarmente ‛ fuoco sacro ' e quindi anche ‛ fuoco di s. A. '. La loro frequenza provoca la fondazione di un ospedale (1095) e del sodalizio degli antoniani, che ai primi del 1200 diviene congregazione a voti semplici, e nel 1286 ordine di canonici regolari sotto la regola di s. Agostino. A tale istituzione è legata l'usanza, molto diffusa un po' dovunque nel Medioevo e conservata in qualche luogo anche oggi, di allevare dei maiali (che prestavano la carne per nutrimento e il lardo per medicamento ai malati), col concorso gratuito dei fedeli, che per devozione al santo permettevano a quegli animali dell'ospedale, distinti da un campanello legato al collo, di circolare per le strade e di entrare nelle case a ricevere cibo (cfr. Boccaccio Dec. VI 10; Sacchetti, nov. 75; 110; 197). Tali usanze hanno creato, per la figurazione di A., i caratteristici attributi del fuoco, del campanello e dello stesso porco, che con meno probabilità si è voluto interpretare quale simbolo del demonio che tanto lo tormentò. La costante vicinanza del porco all'immagine di A. contribuì a farlo venerare anche come protettore di tutti gli animali, che oggi pure in molti luoghi son condotti nella sua festa, presso la chiesa, per venir benedetti.

D. cita A. (Pd XXIX 124-126) non per esaltarne la virtù, ma solo occasionalmente per flagellare predicatori e religiosi del suo tempo che abusano della stolta credulità popolare per vana ambizione o vili guadagni. Ma se il passo nel suo senso generico è facilmente intelligibile, nei particolari si presta a interpretazioni diverse. Considerando ingrassa come intransitivo, nell'espressione il porco sant'Antonio s'intende certamente omesso il ‛ di ', secondo l'uso antico (‛ a casa i Donati ', ‛ campione s. Piero ', ‛ la torre Babello ', ecc.), e nel verso seguente altri assai sottintenderebbe la variazione grammaticale, frequente nel linguaggio parlato, del plurale. In tale interpretazione, questi altri... più porci sarebbero gli antoniani, e potrebbero essere anche altri ecclesiastici che predicano e concedono le false indulgenze, appunto pagando di moneta sanza conio. Ma se gli altri dovessero intendersi anche i secolari (servi, concubine, ecc.), come pensano alcuni commentatori, il v. 126 poco bene si adatterebbe a loro, e tutta l'interpretazione si muterebbe, ponendo sant'Antonio come soggetto e ingrassa quale transitivo. Al Debenedetti sembra venirne fuori " una tale empietà che non è nemmeno il caso di parlarne "; invece è attendibile anche quest'altro senso: in consonanza con la vivacità e il tono di questa digressione (anche se non con la sublimità del luogo e del momento), Beatrice farebbe notare, con forte ardimento, come s.A. sia ridotto dai religiosi che da lui prendono il nome (" questi suoi gaglioffi col T nel petto ", come fa dire il Sacchetti al gottoso della nov. 110) a far la trista parte di trar profitto dalla devozione del popolo per l'ingrassamento del porco, e peggio ancora per quello di altri assai, religiosi suoi e laici legati a loro, che sono ancor più porci, pagando, sempre lui per opera dei suoi frati, con le false ‛ promissioni '. La violenta staffilata, che andrebbe naturalmente non al santo, ma a quelli che sfruttano anche lui per sfruttare il popolo, riuscirebbe ancor più efficace, ma sarebbe ristretta ai soli antoniani. Quanto poi alla rispondenza storica dei fatti, almeno nella sfera generale, col disordine qui lamentato, occorrerebbe far le riserve che s'impongono per i molti simili casi di rampogne dantesche.

Bibl. - Athanasius, Vita Antonii, in Patrol. Grae., XXVI 835 ss., con traduz. latina degli editori Benedettini, e in calce la traduz. di Evagrio di Antiochia (questa anche tra le Vitae Patrum, ed. H. Rosweid, in Patrol. Lat., LXXIII 125); Acta SS. Boll., ian. II, Venezia 1734, 107 ss.; E. Buonaiuti, Le origini dell'ascetismo cristiano, Pinerolo 1928, 176 ss.; Baudot-Chaussin, Vies des saints, Parigi 1935, I 337 ss. Recenti studi sulla vita e la personalità di A. in Antonius Magnus Eremita (Studia Anselmiana, n. 38), Roma 1956. Sul passo dantesco cfr. specialmente S. Debenedetti, Il porco S. Antonio, in " Bull. " XXVII (1920) 75-81, con relativa bibliografia.