SANTIPPO

Enciclopedia Italiana (1936)

SANTIPPO

Gaetano De Sanctis.

Lacedemone, partecipe secondo Polibio della educazione degli Spartiati e perciò, com'è da credere, cittadino spartano con pieni diritti. Si arruolò come ufficiale mercenario al servizio di Cartagine e giunse in Africa nell'inverno 256-5. Allora il console M. Attilio Regolo, dopo aver vinto i Cartaginesi nella battaglia di Adys, posto il campo a Tunisi, aveva iniziato con i Cartaginesi trattative che non ebbero esito per la gravità delle condizioni da lui imposte. I Cartaginesi si prepararono pertanto a rinnovare la guerra.

Le fonti ci dicono che S. ebbe una parte preponderante nel riordinamento dell'esercito, come poi nella battaglia decisiva, il che sembra sostanzialmente vero, se anche non manchi qualche esagerazione dovuta alla tendenziosità degli scrittori greci o degli annalisti romani. Quando gli apparecchi furono compiuti, i Cartaginesi uscirono in campo dalla città, forti, secondo Polibio, di 12.000 fanti, 4000 cavalli e circa 100 elefanti. Può darsi che queste cifre siano per errore o per tendenziosità troppo esigue. A ogni modo è da credere che essi fossero pari a un dipresso ai Romani. Questi erano forti non di 30.000 o 32.000 uomini, come dicono alcune fonti poco degne di fede, ma di due legioni diminuite dei distaccamenti lasciati a Clupea e altrove e accresciute forse di pochi ausiliari libici. Dunque 15-20.000 fanti e 600 cavalieri. La battaglia ebbe luogo in pianura, sicché i Cartaginesi poterono farvi valere tutto il vantaggio dei loro elefanti e della superiorità della loro cavalleria. S., a cui si attribuisce l'ordine di battaglia, schierò al centro la fanteria pesante coperta sulla fronte dagli elefanti, ponendo a sinistra la fanteria africana, a destra la mercenaria; sulle ali pose la cavalleria rinforzata dai mercenarî di lieve armatura. Regolo dispose anch'egli al centro le legioni e sulle ali la cavalleria, innanzi alle legioni le truppe di lieve armatura. Dispose le legioni con gli ordini più del solito serrati e profondi per meglio resistere all'urto degli elefanti. Tale avvedimento tattico si dimostrò esiziale. La cavalleria romana fu facilmente fugata da quella cartaginese, e quando i cavalieri punici tornarono dall'inseguimento, attaccarono per fianco e da tergo i legionari di Regolo, che resistevano con fatica all'urto degli elefanti. Una delle due legioni obliquando a sinistra aveva frattanto sorpassato gli elefanti e s'era gettata poi sui mercenarî cartaginesi uccidendone 800 e respingendoli, nonostante la disperata resistenza di S., fino all'accampamento; ma fu anch'essa travolta quando si delineò la disfatta dell'altra legione quasi circondata dal nemico. Di quest'ultima 500 fuggiaschi con Regolo furono raggiunti dalla cavalleria cartaginese, circondatî e costretti alla resa. Dell'altra legione 2000 Romani poterono scampare e si rifugiarono in Clupea. Gli altri rimasero sul campo.

S., a cui è ascritto il merito della vittoria, per schivare l'invidia, s'imbarcò poco dopo per la Grecia. Secondo la tradizione tendenziosa e poco fededegna che è in palese contrasto con Polibio, egli perì nel ritorno, fatto assassinare dai Cartaginesi. Può darsi che egli sia identico a quel Santippo cui nel 245 Tolomeo III Evergete, tornando in Egitto dopo la sua spedizione vittoriosa in Siria e Mesopotamia, assegnò il comando delle regioni oltre l'Eufrate. Poi scompare dalla storia. Il luogo della battaglia con Regolo è incerto (infondata è l'ipotesi proposta da Ch. Tissot). Della data si discute tra i moderni: la più probabile pare quella del maggio 255.

Bibl.: O. Meltzer, Geschichte der Karthager, II, Berlino 1896, pp. 300 segg., 571; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, 1, Torino 1916, p. 150 segg.; St. Gsell, Histoire ancienne de l'Afrique du nord, III, Parigi 1918, p. 84 segg. Per la topografia: Ch. Tissot, Géographie comparée de la province romaine d'Afrique, I, Parigi 1884, p. 544 segg. - Per la cronologia: G. De Sanctis, op. cit., p. 257 segg. - Per le ultime vicende di Santippo: J. G. Droysen, Histoire de l'Hellénisme (trad. francese), III, Parigi 1885, p. 370, n. 1; p. 373, n. 1.

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