SANTIAGO DE COMPOSTELA

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1999)

SANTIAGO DE COMPOSTELA

M.A. Castiñeiras González
M. Silva Hermo

SANTIAGO DE COMPOSTELA Città della Spagna, situata nella parte meridionale della provincia di La Coruña e capitale della regione autonoma di Galizia.

L’origine di S. sarebbe in un primitivo nodo di comunicazioni romano che continuò a esistere nell’Alto Medioevo. Agli inizi del sec. 9° la popolazione si distribuiva in tre villaggi, ai quali si aggiunse, dopo l’invenzione della tomba dell’apostolo s. Giacomo nell’820-830 sotto Teodomiro (m. nell’847; López Alsina, 1988), vescovo di Iria Flavia, e durante il regno di Alfonso II il Casto, re delle Asturie (791-842), il locus sanctus o locus beati Iacobi. Esso era costituito da una semplice chiesa a una navata (Díaz De Bustamante, López Pereira, 1990), addossata all’edicola dell’apostolo e circondata da un cimitero romano-altomedievale (Suarez Otero, 1997), dal battistero dedicato a s. Giovanni (Arbeiter, 1997), dal palazzo vescovile di Teodomiro, localizzato a S-O, e dal contiguo muro di cinta del monastero di San Salvador de ante altares con la sua primitiva chiesa (S-E), la cui comunità era tra l’altro incaricata del culto sepolcrale dell’edicola (López Alsina, 1988). Non esiste ancora accordo tra gli studiosi sulla configurazione e sulla datazione di questa primitiva struttura o domuncula (Historia Compostellana, I, 2, 1), nella quale si è per lo più voluto vedere un monumento funebre romano dell’Alto Impero (López Ferreiro, 1893; Guerra Campos, 1982; Mezquiriz Irujo, 1985; González Millan, 1993); tuttavia lo scarso spessore delle pietre squadrate (m 0,70) e l’assenza di una modanatura base rispetto ad altri mausolei romani della penisola iberica hanno recentemente spinto non solo a scartare (Hauschild, 1992) l’ipotesi di una struttura a due piani (Guerra Campos, 1982), ma anche a negarne l’origine romana, dato che i muri esistenti, con la peculiare disposizione ‘di costa e di testa’, presentano equivalenti nelle costruzioni mozarabiche galleghe (San Miguel a Celanova, São Pedro a Lourosa in Portogallo, San Martiño de Pazó) e perfino omayyadi (Iñiguez Almech, 1954; Caballero Zoreda, 1994). Si tratterebbe perciò più probabilmente del recinto absidale a doppio muro (con passaggio interno) della basilica preromanica del re delle Asturie Alfonso III il Grande (866-910) o forse della sua ricostruzione a opera del vescovo s. Pietro di Mezonzo (985-1003), dopo la razzia di al-Manõùr (978-1002) nel 997. La struttura, un vano unico coperto a volta, che ospitava un altare, nel 1105 fu demolita fino al pavimento dal vescovo Diego II Gelmírez (1098-1140), che chiuse l’ambiente alla vista del pubblico, rendendolo accessibile solo attraverso una botola situata nel presbiterio della cattedrale romanica (López Alsina, 1988); quando anche questo accesso venne sigillato, le spoglie dell’apostolo e dei suoi discepoli Atanasio e Teodoro rimasero nascoste. Nel 1893 si procedette alla creazione, sotto un nuovo altare, di una cripta in stile medievale.

In un contesto di forte appoggio da parte dei sovrani, sotto il vescovo Sisnando I (m. nel 920), si demolì il santuario di pietra e fango consacrando nell’899 la più grande basilica preromanica della Spagna occidentale, eretta secondo schemi dell’architettura asturiana, con un’abside di forma rettangolare (che ingloba l’edicola apostolica), tre navate, colonne e atrio, analoga nell’impianto a edifici quali per es. San Julián de los Prados, detta Santullano, San Miguel de Liño (o Lillo), San Salvador de Valdediós, e con tetto di legno e quattro porte di accesso come a Santullano (Núñez Rodriguez, 1978); la chiesa, realizzata in pietre squadrate ben tagliate, riutilizzava inoltre spolia antichi (López Alsina, 1988; Díaz De Bustamante, López Pereira, 1990); dell’edificio si conservano alcuni elementi architettonici che potrebbero appartenere alla ricostruzione del santuario voluta dal vescovo Pietro di Mezonzo e dal re di León Bermudo II (981-999) e conclusa intorno al Mille (Núñez Rodriguez, 1978; Hauschild, 1992).

Intorno alla basilica di Alfonso III si trovava un gruppo di chiese monastiche che seguivano anch’esse modelli asturiani: la rinnovata chiesa di San Salvador de ante altares, con tre altari dedicati rispettivamente al Salvatore, a s. Giovanni Evangelista e a s. Pietro, distrutta quando si dette inizio al capocroce della cattedrale romanica ma perpetuata tramite la dedicazione delle tre cappelle assiali di quest’ultima (Moralejo Alvarez, 1983; López Alsina, 1988), e la chiesa del monastero di San Esteban, dedicata a Maria nel 912 e ricostruita intorno al Mille, la cui pianta basilicale con una sola abside corrisponde alla pianta dell’edificio di Alfonso III, ancora visibile nel suo rifacimento del sec. 13°, ovvero l’od. Santa María de la Corticela (Yzquierdo Perrín, 1995).

L’edificio romanico della cattedrale (1075-1211), mascherato in epoca barocca, costituisce - insieme a Saint-Martin a Tours, Saint-Martial a Limoges, Sainte-Foy a Conques e Saint-Sernin a Tolosa - un classico esempio della tipologia di chiesa di pellegrinaggio: grandi dimensioni, lunga navata centrale con due navate laterali, tribune che proseguono in un ampio transetto e nel deambulatorio che circonda la spaziosa cappella maggiore (Conant, 1926; 19742). Completano la costruzione diverse cappelle: due in ogni braccio del transetto e cinque radiali nel capocroce; una confessio dedicata a s. Maria Maddalena si trova dietro l’altare. Tutto il complesso è coperto da volte: la navata centrale da volta a botte con archi trasversi, quelle laterali da volte a crociera e le tribune da volte a quarto di botte; all’esterno si ergevano nove torri.

La chiesa fu iniziata - o almeno progettata - nel 1075 (Moralejo Alvarez, 1992a; 1995a), come confermano un’iscrizione mutila (Del Castillo López, 1926) e quella di due capitelli commemorativi con le effigi inserite tra angeli dei suoi promotori, il re di Castiglia e di León Alfonso VI il Valoroso (1072-1109) e il vescovo Diego Peláez (1071-1088; López Ferreiro, 1898-1909, III). Questi e altri capitelli vengono attribuiti alla mano di uno scultore alverniate, dato che proprio nel coro del Saint-Priest a Volvic e in Saint-Victor-et-Sainte-Couronne a Ennezat (1070 ca.) in Alvernia si trovano formule iconografiche simili (Swiechowksy, 1973; Moralejo Alvarez, 1983; 1995a), presenti pure a Conques, con la quale si possono stabilire anche altri paralleli (Gaillard, 1938; Deschamps, 1941; Durliat, 1990). Alla prima campagna (1077-1087/1088) corrispondono le tre cappelle centrali del deambulatorio e i muri contigui (Moralejo Alvarez, 1983).

I lavori ripresero slancio nel 1093, con la nomina di Gelmírez a vicario e amministratore della diocesi. Questa seconda campagna costruttiva, che durò forse fino alla morte del vescovo nel 1140, ebbe inizio con un cambiamento di progetto o di direzione visibile nella cappella poligonale dedicata a s. Fede; essa è attribuita a maestro Stefano (Moralejo Alvarez, 1983), «magister operis sancti Iacobi», che nel 1101 stava lavorando alla cattedrale di Pamplona, la cui cappella dell’altare maggiore era anch’essa poligonale (Moralejo Alvarez, 1995a). Questo legame navarro-aragonese è visibile anche nei capitelli della già citata cappella compostellana, dove si narra nello stile della cattedrale di San Pedro a Jaca (Moralejo Alvarez, 1983) il martirio dei santi francesi Fede e Caprasio (Gaillard, 1965). La conclusione dei lavori legati alla committenza di Gelmírez, che non andarono oltre la settima campata della navata (Moralejo Alvarez, 1983; 1995a), si situa verso il 1120. Questa seconda campagna corrisponde principalmente al periodo di maturità della c.d. arte del Camino de Santiago ed è rappresentata dalla decorazione plastica del transetto (1103-1112), nel quale si osserva una specifica distinzione tra la scultura dei portali e quella dell’interno; quest’ultima, di minore qualità, mostra nei capitelli temi iconografici e motivi decorativi propri della chiesa dedicata a s. Pietro e al Salvatore nel castello di Loarre, di Conques (Gaillard, 1965) o di Saint-Sernin a Tolosa (Durliat, 1990). Caratteristico è anche l’uso del modiglione lobato e dell’arco polilobato, elementi in cui si è voluta vedere un’influenza islamica (Yzquierdo Perrín, 1983; 1997), ma che indicherebbero piuttosto, insieme all’arco a mitra, un influsso dell’arte dell’Alvernia, del Velay, del Nivernais e di Conques (Gómez Moreno, 1934; Gaillard, 1938; Regal, 1973; Moralejo Alvarez, 1983).

La terminazione occidentale della cattedrale corrisponde alla terza campagna costruttiva, iniziata probabilmente nel sesto decennio del sec. 12° (Moralejo Alvarez, 1983; D’Emilio, 1992b) e conclusa l’11 aprile 1211 con la solenne consacrazione della chiesa. In questa fase dei lavori furono portate a termine le ultime campate della navata - tre nella parte inferiore e cinque nelle tribune (Ward, 1978; Moralejo Alvarez, 1983; D’Emilio, 1992a; 1992b) - e la struttura occidentale di sapore borgognone, con due torri che fiancheggiano un portico a tre arcate coperto da volte e aperto verso l’esterno, poggiante su una cripta, denominata cattedrale vecchia. Essa superava il forte dislivello del terreno e la sua struttura può essere messa in relazione con il primo Gotico dell’Ile-de-France, con volte a croce quadripartita, e caratterizzata da una decorazione scultorea attribuita a una bottega di chiara derivazione borgognona (Sainte-Madeleine a Vézelay, Saint-Lazare ad Avallon), che lavora a sua volta nelle ultime campate delle navate e delle tribune insieme a un’altra bottega di carattere più locale (Ward, 1978; Moralejo Alvarez, 1983; D’Emilio, 1992b; Stratford, 1992). Il progetto fu diretto a fundamentis da maestro Matteo, probabilmente architetto-gestore o sovrintendente ai lavori (Ward, 1978; Moralejo Alvarez, 1983) piuttosto che scultore; l’intervento della bottega di Matteo si estese poi ad altre parti della chiesa agli inizi del sec. 13° (Conant, 1926).

Il Liber sancti Iacobi (V, 9) descrive sette portici minori, per la maggior parte distrutti, e tre maggiori; nella struttura dei tre portici maggiori - la Porta Francigena (transetto nord), la Puerta de las Platerias (transetto sud) e la porta occidentale (progettata ma non costruita fino a Matteo) - S. anticipa lo schema che avrebbe caratterizzato in seguito le cattedrali gotiche francesi a partire da Notre-Dame a Chartres (Bony, 1982-1983; Moralejo Alvarez, 1986). I tre portali costituivano un unitario programma della storia del genere umano con i capitoli dedicati alla caduta e alla promessa di redenzione, al suo compimento e al Giudizio e alla Gloria (Azcárate, 1963; Moralejo Alvarez, 1969; 1977). Se per stabilire la data di inizio delle facciate del transetto (1103) ci si basa su una controversa iscrizione dei piedritti della porta destra della Puerta de las Platerias (López Ferreiro, 1898-1909, III; Gómez Moreno, 1934; Bouza Brey, 1962; Regal, 1973), per la loro ultimazione si considera l’anno 1112, data della demolizione della basilica preromanica, oppure l’iscrizione Anfus Rex della lastra di S. Giacomo tra cipressi del frontone, che alluderebbe all’incoronazione di Alfonso VII (m. nel 1157) come re di Galizia nel 1111 o al suo ingresso trionfale a S. nel 1116 dopo una vittoria sugli Almoravidi (Williams, 1976). Davanti alla Porta Francigena, incentrata sul racconto della Genesi, si estendeva il paradisus con un fons vitae coronato da quattro leoni; esso costituiva una cornice perfetta per i riti penitenziali, propri di un centro di pellegrinaggio, del mercoledì delle Ceneri (Werckmeister, 1972; Moralejo Alvarez, 1985c) e documentati già all’epoca del Vescovo Cresconio (Castiñeiras González, 1996b). A sua volta l’area antistante la Puerta de las Platerias, compresa tra il palazzo di Gelmírez (iniziato nel 1101 e incendiato nel 1116/1117) e la canonica, era - seguendo forse il modello del Laterano - il luogo delle udienze pubbliche del vescovo (Castiñeiras González, 1995b; López Alsina, 1995).

La ricchezza tematica e il continuo ricorso alla metafora e alla tipologia biblica del programma di queste facciate - che devono essere messi in relazione con l’arrivo a S. tra il 1100 e il 1110 del maestro di teologia Giraldo di Beauvais, uno degli autori della Historia Compostellana (López Alsina, 1988), e con la composizione dei sermoni del Liber sancti Iacobi (Azcárate, 1963; Moralejo Alvarez, 1969) - sono soprattutto frutto delle idee riformatrici di Gelmírez (Moralejo Alvarez, 1977; 1987; Castiñeiras González, 1995a; 1995b; 1996a; 1996b), al quale non a caso il cardinale romano Gregorio di S. Crisogono dedicò il Polycarpus (ca. 1105), collezione canonica per eccellenza della riforma gregoriana (García y García, 1987; Castiñeiras González, 1996b). Questa adesione alla riforma è evidente anche nell’associazione dei fregi della Genesi con quelli dei Mesi della Porta Francigena, frutto di una visione ottimistica della storia dell’uomo, che può arrivare alla redenzione attraverso il lavoro (Castiñeiras González, 1996a), così come nella curiosa articolazione del timpano di sinistra della Puerta de las Platerias, dedicato alle Tentazioni di Cristo (Moralejo Alvarez, 1977; Castiñeiras González, 1995b; 1996b).

Quando la primitiva Porta Francigena fu distrutta nel 1758, molti dei pezzi vennero riutilizzati in quella de las Platerias con un chiaro atteggiamento antiquario, che conferì alla facciata l’aspetto di un lapidario romano (Focillon, 1931; Moralejo Alvarez, 1969; Castiñeiras González, 1989-1990; 1995b). Ambedue i portali - descritti nel Liber sancti Iacobi - rispondevano nelle forme a una matura tipologia ispano-tolosana che, partendo dal modello delle porte gemine strombate della Porte des Comtes del Saint-Sernin a Tolosa, risulta similare alla Porte Miègeville della medesima chiesa, risalente alla stessa epoca. D’altra parte, l’ampio sviluppo del fregio con rilievi (e con il gruppo degli apostoli) ha un precedente nella penisola iberica (Loarre) e un’eco nel doppio portale occidentale di Tolosa (senza gli apostoli), del San Salvador a Leyre, del monastero di Santa Maria a Ripoll e di Santiago a Carrión de los Condes, così come nella porta sud di San Quirce de Burgos. La facciata della Puerta de las Platerias, con la sua porta gemina e un primo piano con finestre doppie, costituisce inoltre un lontano prototipo per il portale sud del transetto della chiesa crociata del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Conant, 19742). A S. è opportuno segnalare anche l’originalità delle sculture dei piedritti - con paralleli nella cattedrale di Cremona e derivazioni nella sala capitolare di Saint-Etienne a Tolosa (Durliat, 1990) - così come la valorizzazione della policromia (Castiñeiras González, 1996c).

Ai due portali lavorarono quattro maestri principali: il Maestro di Platerias, erede del gusto per l’Antico del Maestro di Frómista-Jaca, e il suo discepolo Maestro della Puerta del Cordero (Moralejo Alvarez, 1969), il Maestro della Traición (Porter, 1923; 1928), la cui scultura attesta l’influenza del Maestro della Tentación (Durliat, 1990), il quale invece, riprende lo stile del Maestro dell’Abate Bégon III a Conques (Durliat, 1990), ma a sua volta preannuncia lo stile del gran portale dell’abbazia di Sainte-Foy.

Si è voluta attribuire parte della mancanza di articolazione dei timpani e del fregio della Puerta de las Platerias a una probabile ristrutturazione della facciata dopo l’incendio del 1117 (Naesgaard, 1962; Otero Tuñez, 1965; Yzquierdo Perrín, 1995). Tuttavia nel caso dei timpani, di evidente unità dottrinale e tematica, si dovrebbe pensare piuttosto a errori iniziali di calcolo (Moralejo Alvarez, 1977) - plausibili in un periodo in cui i timpani narrativi erano ancora una novità, poiché di fatto i rilievi sono per la maggior parte rettangolari - o anche a un concetto particolare di ‘ordine’, come quello attestato nella Genesi della Bibbia di Burgos (Burgos, Bibl. Pública Prov., c. 12r), dato l’abituale ‘caos’ dei portali ispanici (Leyre). Ciò nonostante, è evidente un intervento nel fregio, dove compaiono due programmi sovrapposti (Naesgaard, 1962; Otero Tuñez, 1965; Moralejo Alvarez, 1977) e sostituzioni (Moralejo Alvarez, 1977; 1992a; Durliat, 1990) che ne hanno fatto un portale-palinsesto.

Il magnifico portale occidentale con tre archi, noto come Pórtico de la Gloria (1168-1188), costituisce uno degli spazi figurati più belli dell’arte del 12° secolo. Il suo programma iconografico ruota intorno al Giudizio finale e alla Gloria a partire dalle visioni di Mt. 25, 31-46, e di Ap. 4-5. Gli evidenti legami con il Romanico francese, tanto nello stile quanto nell’iconografia, hanno portato a suggerire un’origine francese per lo stesso Matteo o almeno una conoscenza diretta di alcuni esempi francesi. Rinviano a Beaulieu-sur-Dordogne il Cristo che mostra le piaghe con il torso seminudo, gli animali nei basamenti, gli angeli con gli strumenti della passione (Silva, Barreiro Fernandez, 1965) e il capitello con le Tentazioni di Cristo (Moralejo Alvarez, 1985d). Gli uomini divorati dagli animali dei basamenti rinviano anche a Saint-Gilles-du-Gard e a Saint-Trophime ad Arles. Se i ventiquattro vegliardi disposti in forma radiale si trovano nella cattedrale di Sainte-Marie a Oloron-Sainte-Marie, nell’abbaziale del Saint-Sauveur a Saintes e in Saint-Pierre ad Aulnay-de-Saintonge, l’archivolto destro, con gli eletti e i reprobi disposti tangenzialmente e divisi dalle teste di Gesù e di s. Michele, presenta un parallelo nell’abbaziale di Saint-Denis, così come l’iconografia dell’albero di Iesse del trumeau (Pita Andrade, 1952). A ciò si aggiunge il bizantinismo (Buschbeck, 1919), visibile nel trattamento realistico dei volti, degli abiti e delle posizioni degli apostoli e dei profeti, evidente soprattutto in Mosè e Isaia, che è stato paragonato a quello delle pitture del monastero di S. Pantaleimone a Nerezi (Ward, 1978). A questo bizantinismo, giunto forse attraverso l’Inghilterra, la Renania o la Sicilia, si somma la conoscenza del primo Gotico, in particolare di Notre-Dame a Senlis (Buschbeck, 1919; Ward, 1978; Moralejo Alvarez, 1985d; Ocón Alonso, 1994). Tutto ciò rende S. uno dei grandi centri catalizzatori dell’arte della fine del sec. 12° (Sauerländer, 1992), in un eclettismo internazionalista fortemente debitore della tradizione ispanotolosana (Stokstad, 1957; Gaillard, 1958; Ward, 1978) e caratterizzato dall’ampio sviluppo delle statue-colonna, che ha un precedente nell’opera di Gilabertus a Saint-Etienne di Tolosa (Buschbeck, 1919). Nel complesso vengono distinte tre mani principali (Stokstad, 1957; 1992). La policromia è dovuta, in parte, a un intervento seicentesco, benché un lavoro di ripulitura del timpano centrale nel 1993 abbia rivelato numerosi strati di policromia medievale (Moralejo Alvarez, 1985c; Stokstad, 1992; Castiñeiras González, 1996c). Di questa facciata esterna si conservano vari resti decorativi (Santiago de Compostela, Mus. Diocesano, La Catedral; Pontevedra, Mus. Mun.; coll. private; Regal, 1973). Sopra le tre porte si aprivano tre rosoni, come in seguito nella facciata occidentale della cattedrale di Orense (Yzquierdo Perrín, 1987-1988). L’arte delle botteghe matteine ebbe un’ampia diffusione sia in Galizia (v.) sia nei regni di Portogallo, León e Castiglia (Pita Andrade, 1953; Gaillard, 1958).

A S. molti sono gli edifici di origine medievale, sia pure per lo più totalmente rimaneggiati nel periodo barocco. Molti furono costruiti ex novo - o riconsacrati - dal vescovo Gelmírez nel suo desiderio di dotare la città di un’ampia rete di chiese; se ne conservano ancora resti a San Miguel dos Agros, Santa Susanna e San Fiz (Yzquierdo Perrín, 1995). Il primitivo altare dell’apostolo (Santiago de Compostela, Mus. de Antealtares) è costituito da un’ara romana, con base del sec. 9° recante un’iscrizione risalente a una data intorno al 1152, anno nel quale i monaci benedettini lo acquisirono definitivamente, inserendolo a mo’ di reliquia nel piano dell’altare maggiore del monastero de ante altares. Questo era sorretto da quattro statue-colonna raffiguranti gli apostoli - se ne conservano due a Madrid (Mus. Arqueológico Nac.) e una a Cambridge (MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.; Moralejo Alvarez, 1993f) - appartenenti a una corrente stilistica che partiva dal Béarn (Oloron, Sainte-Foi a Morlàas), con ramificazioni in Santa María a Uncastillo, San Martín a Fuentidueña e San Justo a Sepúlveda. Opera della stessa bottega sono un frammento di stipite con due figure femminili sotto arcate (Santiago de Compostela, Mus. Diocesano, La Catedral) - anch’esso proveniente dal monastero de ante altares e che ricorda rilievi padani (San Benedetto al Polirone) - e il Salvatore su fusto di colonna proveniente dalla chiesa di Santiago di Vigo (Madrid, Mus. Arqueológico Nac.; Moralejo Alvarez, 1993f).

La chiesa di Santa María Salomé, fondata poco dopo il 1140, presentava una facciata - rimossa nel 1700 ca. - composta di una porta fiancheggiata da due archi ciechi, formula che ebbe grande successo nel Romanico gallego, e terminante con un fregio di modiglioni e metope che ricorda quello della Puerta de las Platerias, a cui rinviano anche i fantastici modiglioni delle gronde laterali (Yzquierdo Perrín, 1967-1968). Con la cattedrale presenta a sua volta stretti contatti la canonica agostiniana di Santa María do Sar, fondata nel 1136 (D’Emilio, 1992a). L’impronta matteina del portico è visibile nei resti del portale della chiesa di San Pedro da Fora, oggi distrutta (Barcellona, Coll. Cruañas; Yzquierdo Perrín, 1974-1975).

Prova dell’importante attività di uno scriptorium della cattedrale durante il sec. 12° sono il Tumbo A, il Liber sancti Iacobi (entrambi a Santiago de Compostela, Arch. de la Catedral y Bibl.), il Codex Complutense (Madrid, Bibl. Nac., 1358) e il Corpus Pelagianum (Madrid, Bibl. Nac., 2805). Il Tumbo A è una raccolta, avviata intorno al 1129 e conclusa intorno al 1255, dei privilegi reali concessi a Santiago de Compostela. Il manoscritto del Liber sancti Iacobi, comprendente cinque libri - erroneamente attribuiti a papa Callisto II (1119-1124) - risale al 1160 ca. (Díaz y Díaz, 1988) ed è un codice lussuosamente miniato in cui si distinguono due mani: la prima, di migliore qualità, legata alla miniatura anglonormanna, in particolare al channel style; la seconda, di qualità inferiore, legata al Sud della Francia e forse attiva intorno al 1170 (Stones, 1992). Il Codex Complutense e il Corpus Pelagianum danno testimonianza dell’attività dello scriptorium di S. nell’ultimo terzo del sec. 12°, quando seguiva formule della miniatura inglese - iniziali istoriate, ritmi intricati - che ricordano anche l’arte del Pórtico de la Gloria.

Del ricco tesoro della basilica di S. si sono conservati pochi pezzi, custoditi per lo più nella c.d. cappella de las Reliquias. Il più antico, la croce di Alfonso III, donata da questo re nell’874 e rubata nel 1906, era molto simile alla Cruz de los Ángeles (Oviedo, Mus. de la Cámara Santa) - ma con la novità dello smalto cloisonné (Barral Iglesias, 1993; 1995). La c.d. croce di Ordoño II (che regnò dal 911 al 924), in oro sbalzato e anima di legno, presenta analogie con la croce di Ottone o ‘prima croce della badessa Matilde’ (Essen, Münsterschatzmus.), ma si tratta di un’opera prodotta da una bottega renana attiva a León intorno al 1060, a cui si attribuisce anche l’arca della collegiata di S. Isidro a León (Moralejo Alvarez, 1993d). A questa stessa epoca appartiene la croce de los Roleos, in argento dorato su legno, contenente anch’essa un lignum crucis (Barral Iglesias, 1993; 1995).

Il momento di avvio di un laboratorio di oreficeria della cattedrale risale indubbiamente all’epoca del vescovo Gelmírez. Nel 1105 il prelato dotò l’altare di due pezzi decorati con un complesso programma iconografico descritto nel Liber sancti Iacobi (V, 9): un frontale d’argento - con iscrizione commemorativa - e un ciborio d’oro e d’argento, all’esterno scolpito e all’interno dipinto. Questo insieme fu completato nel 1135 con una tabula retro altaris (Historia Compostellana, III, 44), la cui struttura costituiva un richiamo a elementi architettonici dell’edificio romanico: forma pentagonale dell’architrave, mandorla polilobata e archetti trilobati. Questa stessa relazione con le botteghe di scultura è evidente nel caso della colonna di bronzo, della fine del sec. 12°, addossata al pilastro sudorientale del transetto della cattedrale, che conserva il bordone dell’apostolo e quello del beato Franco da Siena: il fusto elicoidale con volute è stato messo in relazione con le colonne di marmo dell’arco centrale del Pórtico de la Gloria. Il bel lignum crucis di Santa María di Carboeiro, una semplice croce patriarcale eseguita a metà del sec. 12° nel regno latino di Gerusalemme nel cui recto rimane traccia di una rappresentazione schematica del Santo Sepolcro (Moralejo Alvarez, 1993e), sembra sia stato utilizzato come croce processionale (Barral Iglesias, 1993; 1995).

Nel Mus. Diocesano, La Catedral, si conservano resti provenienti dalle basiliche preromaniche, lapidi sepolcrali altomedievali (per es. quella di Teodomiro) e numerosi pezzi della cattedrale romanica, provenienti per lo più dalla primitiva facciata settentrionale; è opportuno segnalare anche due magnifici altorilievi, databili intorno al 1170, che mostrano l’impatto di una corrente borgognona, di impronta anticheggiante, presente a San Vicente ad Ávila, Santiago a Carrión de los Condes e nella porta meridionale della cattedrale di Lugo (Moralejo Alvarez, 1973). A parte qualche altro resto decorativo proveniente dalla cattedrale, conservato nel Mus. de las Peregrinaciones e nell’Inst. de Estudios Gallegos Padre Sarmiento, un’altra grande collezione di scultura è quella della collegiata di Santa María del Sar, dove si trovano i resti decorativi di un chiostro del sec. 13° legato alle botteghe matteine.

È opportuno infine segnalare il Diurnale di Ferdinando I (Santiago de Compostela, Univ., Bibl. General, Res. 1), realizzato intorno al 1055 a León dallo scriba Pedro e dal miniatore Fruttuoso per incarico della regina Sancia come regalo al suo sposo (c. 208v); questo manoscritto presenta un curioso dualismo tra lo stile mozarabico - visibile per es. nell’ex libris del labirinto (c. 3r; Moralejo Alvarez, 1995b) - e l’introduzione di correnti ultrapirenaiche, evidenti tanto nell’uso di immagini e colori propri della miniatura dell’impero ottoniano - scena di presentazione del libro (c. 3v), tabellae, combinazione di porpora e oro - quanto nello stile ‘romanico’ di alcune iniziali, legate al channel style (Sicart Jimenez, 1981), degli indumenti e della posizione delle figure (Gómez Moreno, 1934; Perrier, 1984; Williams, 1986).

Bibl.: Fonti inedite. - J. de Vega y Verdugo, Memoria sobre las obras de la Catedral de Santiago (ms. del 1655-1657), Santiago de Compostela, Arch. de la Catedral.

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Età gotica. - Le prime opere del Gotico a S. si rintracciano nelle statue giacenti del pantheon reale e nel disperso complesso di sculture del coro della cattedrale compostellana, distrutto nel 17° secolo. Quest’ultimo è stato datato all’ultima campagna della cattedrale romanica, culminata nella consacrazione del 1211 (Otero Tuñez, Yzquierdo Perrín, 1990), sebbene questa non sia che una data di riferimento, dal momento che una collocazione cronologica intorno al primo quarto del sec. 13° sembra più probabile. Diverse ipotesi (Pita Andrade, 1953; Hofmann, 1970; Chamoso Lamas, 1971; 1973), hanno costituito la base di uno studio esaustivo dei materiali rinvenuti a partire dagli anni Settanta (Otero Tuñez, Yzquierdo Perrín, 1985; 1990); il coro, che sarebbe stato dotato di un complesso di stalli alto e di uno basso, avrebbe occupato le prime quattro campate della navata centrale chiudendo il transetto alla circolazione. Il leedoiro, una struttura simile al jubé delle cattedrali francesi, occupava la quarta campata (López Ferreiro, 1898-1909). Il complesso doveva constare di un banco decorato con serie di archi ciechi e di mensole in forma di capitello corinzio, sopra cui poggiavano le colonne che delimitavano ciascuno degli stalli; il coronamento sarebbe stato decorato da rosoni e da architetture con baldacchini ornati da un ricco bestiario tra i quali si disponevano figure di giovani cantori; il prospetto del coro sembra prevedesse un colonnato che sosteneva arcate doppie coronate da un fregio con architetture e figure di profeti e apostoli (Otero Tuñez, Yzquierdo Perrín, 1985; 1990). Relativamente allo stile, si trattava di un’opera appartenente alla corrente matteina, che sopravvisse a S. fino al sec. 13° inoltrato.

Il pantheon reale ospita cinque sepolcri identificati come quelli dei conti Raimondo di Borgogna (m. nel 1107), della moglie di Alfonso VII di Castiglia, la regina Berenguela (m. nel 1149), dei re di León Ferdinando II (m. nel 1188) e Alfonso IX (m. nel 1230), nonché della regina Juana de Castro (m. nel 1374). I tre giacenti maschili sono giunti con le attribuzioni cambiate a causa della non conoscenza della dinamica della stilistica matteina, che identificava i prodotti artistici più antichi come più arcaici e imperfetti. Così nel monumento di Alfonso IX - in realtà Ferdinando II - lo stile matteino appare nella sua fase più matura, con un vigoroso naturalismo che ricorda le morfologie del Pórtico de la Gloria e del coro in pietra, e presenta notevoli paralleli con l’effigie del monarca illustrata nel Tumbo A (Santiago de Compostela, Arch. de la Catedral y Bibl.); questa scultura si potrebbe datare dunque tra il 1210 e il 1215. Il giacente di Ferdinando II - in realtà Alfonso IX - è al contrario un’opera regressiva, tendente a un maggiore appiattimento del corpo, a un grafismo ricercato e a svuotare i volti di contenuto individuale; pertanto sembra improbabile per essa una datazione anteriore al 1240 (Moralejo Alvarez, 1975). È ugualmente erronea l’identificazione del terzo giacente con Raimondo di Borgogna; l’immagine potrebbe raffigurare forse un figlio di Alfonso IX, di nome Ferdinando (m. nel 1214; González, 1944); tale cronologia sembra confermata dallo stile (Moralejo Alvarez, 1975; 1990).

Le statue dei giacenti si presentano reclinate, leggermente rivolte verso lo spettatore, mentre portano con una mano un lembo del mantello alla guancia, in uno schema abituale del dormiente che non ricorre in nessun contesto funerario precedente a eccezione dell’arte imperiale romana, che non si deve escludere come modello (Moralejo Alvarez, 1975; 1988).

I resti conservati del chiostro gotico della cattedrale di S. datano all’episcopato di Juan Arias (1238-1266; López Ferreiro, 1898-1909, IV-V; López Alsina, 1988; Yzquierdo Perrín, 1989); esso si trovava a un livello più basso ed era di dimensioni inferiori rispetto a quello attuale; le gallerie si dividevano in cinque campate, tra le quali si elevavano pilastri con contrafforti all’esterno, e in ognuna un arco di scarico avrebbe ospitato due archi a tutto sesto, mentre la copertura sarebbe stata a crociera quadripartita, come evidenziano gli elementi strutturali conservati (Santiago de Compostela, Mus. Diocesano, La Catedral; Yzquierdo Perrín, 1993). Le chiavi illustrano lo stile scultoreo dell’inizio del sec. 13°, con la ripetizione del repertorio vegetale matteino a fianco di elementi del Gotico francese più diretto, visibili nel profilo campaniforme, nella terminazione a crochet dei capitelli e nella ricca ornamentazione con figure umane e animali (Otero Tuñez, 1965; Moralejo Alvarez, 1975). Le caratteristiche del chiostro della cattedrale sono peraltro perfettamente illustrate da quello della collegiata di Santa María do Sar.

Le eccellenti relazioni che Juan Arias mantenne con i re di Castiglia e León Ferdinando III il Santo (1230-1252) e Alfonso X il Saggio (1252-1284) favorirono la costruzione di un nuovo capocroce nella cattedrale. L’opera dovette essere iniziata nel 1258, quando si pose la prima pietra del nuovo capocroce (López Ferreiro, 1898-1909, V); il complesso, mai terminato, attesta numerosi punti di contatto con monumenti francesi e spagnoli (Notre-Dame a Chartres e Notre-Dame ad Amiens, cattedrali di Burgos e di León) e sembra avere agito da tramite tra le novità ultrapirenaiche e il progetto compostellano soprattutto nell’organizzazione della parete, mentre gli elementi decorativi mantengono una relazione diretta con la Sainte-Chapelle di Parigi (Puente Míguez, 1985).

Oltre che nella cattedrale, Juan Arias intervenne anche nel palazzo del vescovo Diego II Gelmírez, dove gli si deve attribuire il refettorio, un ampio spazio la cui decorazione è il più espressivo documento della scultura dell’epoca (López Ferreiro, 1898-1909, IV; Moralejo Alvarez, 1988).

Il primo esempio di architettura mendicante a S. è la chiesa di Santo Domingo de Bonaval, la cui fondazione si colloca verso il 1222-1224 (Manso Porto, 1992; 1993); ne sussistono parte della campata del transetto e quattro campate delle navate, tutte molto alterate nell’alzato dalle trasformazioni barocche. A una data prossima alla consacrazione (dopo il 1230) apparterrebbe anche il timpano con l’Entrata di Cristo a Gerusalemme (Santiago de Compostela, Mus. Diocesano, La Catedral), opera che si inserisce all’interno dell’orbita matteina (Manso Porto, 1992; 1993). Durante l’episcopato di Rodrigo González (1286-1304) si progettò l’ampliamento del transetto, il cui cantiere si protrasse a lungo; i lavori nella cappella maggiore vennero portati a termine nel 1419 (Manso Porto, 1990; 1993).

Quando Berenguel de Landoria (1317-1330) si insediò nella sede compostellana decise di commissionare due nuovi libri destinati a raccogliere i privilegi reali, il Tumbo B, e la documentazione privata, il Tumbo C (Santiago de Compostela, Arch. de la Catedral y Bibl.); il Tumbo B include un’unica miniatura (c. 2r), raffigurante S. Giacomo cavaliere che calpesta i corpi dei suoi nemici (Hechos, 1983; Moralejo Alvarez, López Alsina, Díaz y Díaz, 1985), in uno stile nel quale si manifesta il predominio del linearismo, con pieghe verticali di notevole rigidità e un senso del volume sminuito caratterizzato dalla tendenza alla monocromia (Sicart Jiménez, 1981).

Tra i pezzi del tesoro della cattedrale il più rilevante è il busto-reliquiario di s. Giacomo il Minore. I problemi che sollevava l’identificazione della reliquia come appartenente a s. Giacomo il Maggiore rispetto alle versioni compostellane della traslazione del corpo dell’apostolo (López Alsina, 1988) avrebbero indotto a identificarla come reliquia di s. Giacomo il Minore; l’attuale reliquiario venne commissionato nel 1322 da Berenguel de Landoria. Data l’inaccessibilità delle reliquie apostoliche, il busto di s. Giacomo di Alfeo finì per sostituirle nelle grandi festività e il suo doppio uso cultuale ne motivò il continuo arricchimento mediante l’aggiunta di gioielli, tra i quali emerge la collezione di gemme e di cammei antichi dell’arcivescovo di S. Juan García Manrique (m. nel 1416; Santiago, 1993, pp. 345-346).

Bibl.: Fonti. - Lucas de Tuy, Chronicon mundi, in A. Schotti, Hispaniae illustratae, IV, Frankfurt a. M. 1608, pp. 1-116; Viage de Ambrosio de Morales por orden del Rey D. Phelipe II a los reynos de León, y Galicia, y principado de Asturias para reconocer las reliquias de Santos sepulcros reales y libros manuscritos de las cathedrales y monasterios, a cura di E. Flórez, Madrid 1765 (rist. anast. Oviedo 1977); M. Castellá Ferrer, Historia del Apóstol Santiago, Madrid 1610; A. López Ferreiro, Historia de la Santa A.M. Iglesia de Santiago de Compostela, 11 voll., Santiago de Compostela 1898-1909; J. González, Alfonso IX, Madrid 1944; Hechos de D. Berenguel de Landoria, arzobispo de Santiago, Santiago de Compostela 1983.

Letteratura critica. - A. López Ferreiro, F. Fita, Monumentos antiguos de la iglesia compostelana, Madrid 1883; K.J. Conant, The Early Architectural History of the Cathedral of Santiago de Compostela, Cambridge (MA) 1926; X. Carro García, A imaxen pétrea do Apóstol Santiago, Nós 94, 1931, p. 174ss.; id., As esculturas empotradas da Porta Santa, Boletín de la Universidad de Santiago 1, 1933, pp. 67-80; id., El Palacio y la Torre de don Berenguel en la cabecera de la Catedral de Santiago, Cuadernos de estudios gallegos 3, 1948, pp. 347-360; id., La imagen sedente del Apóstol en la Catedral de Santiago, ivi, 5, 1950, pp. 43-52: 44; J.M. Pita Andrade, En torno al arte del Maestro Mateo. El Cristo de la transfiguración en la portada de Platerías, AEA 23, 1950, pp. 13-25; id., Un capítulo para el estudio de la formación artística de Maestre Mateo. 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