SANTI

Enciclopedia Italiana (1936)

SANTI (fr. saints; sp. santos; ted. Heilige; ingl. saints)

Nicola Turchi

Il nome deriva dal lat. sanctus, da sancio, in origine nel senso di ciò che è inviolabile in quanto protetto da una sanzione: gli ambasciatori, i tribuni della plebe, le mura, le porte; poi riferito a persone in virtù del loro ufficio sacro o della loro probità e purezza. Nella chiesa primitiva erano detti santi (gr. ἅγιοι) tutti i cristiani in quanto formavano un gregge a parte, votato al Signore e separato dai gentili.

Si dà nella Chiesa cattolica l'epiteto di santi a quegli individui i quali avendo praticato in terra le virtù cristiane, sia teologali sia cardinali, in misura eroica, hanno meritato di godere dopo morte la visione beatifica di Dio in cielo.

Tutti quelli che stanno in paradiso sono dunque santi, ma non di tutti la Chiesa fa l'elenco, sibbene soltanto di coloro che per varî motivi (peculiarità della loro vita, devozione popolare, sollecitudine di comunità religiose da essi fondate o a cui hanno appartenuto, ecc.) sono stati fatti degni di una speciale menzione e sono stati additati come modelli da imitare.

Nella liturgia cattolica - a parte la Vergine Maria che occupa un luogo tutto suo - i santi si dividono in tre grandi categorie: martiri, confessori e vergini.

Tra i martiri occupano il primo luogo gli apostoli che hanno un'officiatura a parte, poi gli altri martiri, suddivisi in vescovi e non vescovi. I confessori sono coloro che hanno professato la legge di Cristo senza tuttavia attestarla con il sangue, suddivisi anche essi in vescovi, non vescovi e abati. Le vergini sono distinte in martiri e non martiri. Officiatura propria hanno anche i dottori e le sante che non furono né vergini né martiri.

Il culto dei santi è nato da quello dei martiri che diedero il sangue per Cristo, al cui fianco si trovano ora, seduti su un trono e coronati. Essi sono divenuti quindi validissimi intercessori presso di Lui (Gentianus, roges pro nobis quia scimus te in Christo, si legge in un'iscrizione del Museo Crist. Lateranense) e la loro tomba divenne quindi ben presto luogo di venerazione, specialmente nell'anniversario del martirio, che fu il giorno della loro nascita alla gloria (dies natalis, γενέϑλιος). Su di essa si celebrò quindi il sacro banchetto caratteristico della comunità cristiana (v. refrigerium).

Quest'uso differisce da quello analogo pagano in ciò che esso non è soltanto una libazione o un sacrifizio funerario ai mani del defunto e nemmeno un sacrifizio onorario innanzi alla tomba di un morto illustre o eroe, ma è un rito di carattere collettivo che, attraverso il martire, riannoda tutta la comunità alla persona di Cristo. Così le tombe dei martiri divengono altari attorno ai quali i cristiani amano essere seppelliti per stare più vicini al loro celeste protettore nel grande giorno della risurrezione.

Quest'uso di venerare le tombe dei martiri, di cui non si ha traccia prima della metà del sec. III, venne poi esteso alle grandi figure del cristianesimo, che senza avere sparso il sangue avevano sopportato tormenti ed esilî in nome della fede, ed avevano confessato Cristo con la santità della vita. Di questi i vescovi ebbero naturalmente nella propria sede, dov'erano sepolti, un rilievo speciale e il ricordo della loro tumulazione era menzionato accanto a quello della sepoltura dei martiri. Il Cronografo romano del 354 contiene, appunto, due liste separate di deposizioni (depositiones episcoporum romanorum e depositiones martyrum) che si possono considerare rispettivamente come il nucleo del calendario e del martirologio romani.

A decretare agli eroi del cristianesimo l'onore ufficiale della santità fu dunque o l'aureola del martirio o l'alta posizione occupata con decoro d'insegnamento e di opere in mezzo alla comunità cristiana, o infine la fama di opere di penitenza, di pietà e di rinuncia completa al mondo, alle sue pompe, alle sue opere (martirio bianco).

L'alto Medioevo seguitò ad innalzare al rango della santità i personaggi più venerati della comunità cristiana, per consenso popolare, senza che intervenisse nessun processo di canonizzazione, tanto che i Capitolari del 794 e dell'805 protestano contro queste santificazioni popolari e reclamano all'uopo l'autorità del vescovo. Soltanto ad opera di Giovanni XV, in un concilio romano del 993 si ebbe il primo esempio conosciuto di canonizzazione a gloria di Ulrico vescovo di Asburgo, di cui il pontefice aveva visitato le ceneri.

Questo culto dei santi andò aumentando per tutto il Medioevo, alimentato dai pellegrinaggi e dalla letteratura agiografica, sviluppandosi in una venerazione pia e talora credula delle reliquie e delle immagini fino a giungere a quegli eccessi criticati aspramente dai riformatori e ai quali pose un freno la dottrina e l'opera della Controriforma.

Natura del culto dei santi. - Il culto che si tributa ai santi si chiama di dulia (δουλία "venerazione"; quello di Maria Vergine come più eccellente si dice di iperdulia, ὑπερδουλία "grande venerazione") per distinguerlo da quello diretto a Dio che si dice di latria (λατρεία "adorazione"). Questo culto, contro cui all'inizio del sec. V si era levato Vigilanzio, confutato da San Gerolamo (contra Vigilantium), venne teologicamente sistemato da San Tommaso nella Summa theologica (Suppl., Quaest. 72). L'intercessione dei santi è legittima perché essi non per virtù propria ma in Dio, di cui hanno la visione beatifica, conoscono la divozione, i voti e le preghiere che gli uomini indirizzano loro. Pertanto le preghiere dei santi in nostro favore sono da Dio esaudite perché essi vogliono solo ciò che vuole il Signore la cui volontà sempre si compie.

La visione beatifica che essi hanno di Dio (Summa theol., Suppl., Quaest. 92) si attua, nonostante l'infinita distanza, in quanto l'essenza di Dio informa di sé l'anima dei santi realizzando così una specie di unione analoga a quella dell'anima con il corpo.

Essi, tuttavia, pur vedendo Dio, non vedono tutto ciò che Dio vede perché Dio solo conosce tutti i reali e tutti i possibili, mentre la conoscenza dei santi varia secondo il lume di gloria con cui vedono la divina essenza.

I gradi di beatitudine dei santi in cielo (o mansioni) sono diversi a seconda dei gradi di amore, che a loro volta stanno in ragione del merito acquisito in terra.

Il culto dei santi e la sua giustificazione teologica furono violentemente attaccati dalla riforma protestante la quale teologicamente si preoccupò soprattutto di salvare la supremazia assoluta di Dio e la mediazione esclusiva di Cristo. Solo Cristo è mediatore tra Dio e gli uomini, quindi il culto della Vergine e dei santi e tutte le pratiche in cui questo si concreta, reliquie, immagini, pellegrinaggi, sono da escludersi come superflue e contrarie alla S. Scrittura.

Il concilio di Trento, nella sua sessione XXV, pure riconoscendo l'unica mediazione di Cristo, dichiarò che ai santi si deve riverenza e venerazione, come intercessori validissimi presso Dio per i meriti di Cristo (ad eorum preces confugere ad beneficia per Christum a Deo impetranda). Ed invero la preghiera liturgica della Chiesa si rivolge esclusivamente a Dio, mentre i santi vengono invocati perché assumano il nostro patrocinio: perciò le collette della liturgia si chiudono con la frase per Christum Dominum nostrum, perciò nelle preci litaniche diciamo a Dio miserere nobis mentre ai santi ora pro nobis.

I santi nella liturgia.- I santi hanno nell'anno liturgico - tra gl'interstizî del cosiddetto "proprio del tempo" dedicato alla vita di Cristo dall'Avvento alla Pentecoste - un luogo che è detto "proprio dei santi" o "ciclo santorale". Il giorno della loro festa è in genere quello della loro morte, che segna il loro nascere alla vita eterna, ma può anche esser quello della traslazione delle loro reliquie o della dedica delle loro chiese.

Tutti i secoli della Chiesa sono rappresentati nel ciclo santorale. Dal I al IV Maria Vergine, gli apostoli, i martiri; nel IV i grandi padri della chiesa greca e latina; nei secoli V-X i vescovi e i missionarî che diffusero il cristianesimo nell'Europa del nord, il patriarca del monachismo benedettino e i suoi numerosi seguaci, i pionieri del cristianesimo nel mondo slavo; nei secoli XI-XV si moltiplicano gli esempî della santità episcopale, monastica maschile e femminile, cui si aggiungono le nuove falangi fornite dagli ordini mendicanti: domenicani, francescani, agostiniani, mercedarî, trinitarî, carmelitani, serviti. Nel sec. XVI il movimento della Controriforma provoca nella Chiesa la fioritura di nuove congregazioni religiose: gesuiti, barnabiti, somaschi, teatini, oratoriani, i quali diedero alla Chiesa nei loro fondatori e nelle loro reclute campioni insigni di santità che non mancarono neppure nell'episcopato. I secoli XVII-XIX vedono continuare quest'opera di restaurazione cattolica nelle due direttive dell'ascetismo e della carità sociale, inclusavi l'istruzione della gioventù, con le nuove famiglie religiose dei lazzaristi, degli eudisti, dei camillini, degli scolopî, delle figlie della carità, delle visitandine, dei passionisti, dei redentoristi, dei salesiani, ecc., i cui fondatori hanno tutti meritato gli onori degli altari e i cui adepti nelle più varie mansioni del ministero sacro, dell'insegnamento, delle missioni si sono elevati spesso ai fastigi della santità.

Il proprio dei santi, a parte gli sporadici aumenti verificatisi per successive canonizzazioni specialmente da Pio V in poi, ha ricevuto due grandi aumenti: il primo nei secoli V-VII quando Franchi e Sassoni entrati nella Chiesa romana accettarono di questa il ciclo santorale, il secondo nel sec. XVI quando per la revisione dei libri liturgici furono a loro volta ammessi nel ciclo santorale romano i santi dei paesi franchi e anglosassoni.

Le feste dei santi vanno elencate secondo un ordine gerarchico che da Pio X fu fissato con la bolla Divino afflatu. Il primo luogo è tenuto da Maria Vergine alla quale parecchie feste particolari sono dedicate, dalla Concezione immacolata all'Assunzione. Seguono gli arcangeli Michele (8 maggio), Gabriele (24 marzo), Raffaele (24 ottobre) e gli Angeli custodi (2 ottobre), poi san Giovanni Battista di cui si festeggia la nascita (24 giugno) e la decollazione (29 agosto), san Giuseppe (19 marzo), gli apostoli per i quali fu dapprima istituita un'unica festa collettiva che cadeva nell'ottava dei santi Pietro e Paolo (29 giugno), poi furono stabilite altrettante feste particolari; poi san Gioacchino (22 marzo) e sant'Anna (26 luglio); i martiri, i confessori, le vergini e finalmente una festa collettiva di tutti i santi (Ognissanti, 10 novembre) fissata da Bonifacio IV in Roma prima al 13 maggio, con la dedica del Pantheon ai martiri nel 608, poi da Gregorio IV al 1° novembre.

I santi nella vita cristiana. - La Chiesa si compiace oltremodo della schiera dei suoi santi, perché in essi vede nella maniera più eccellente portati a maturità i frutti della redenzione e attuata l'assimilazione del cristiano a Cristo, che è lo scopo precipuo dell'iniziazione cristiana; perché li considera come i modelli e protettori naturali non solo dei singoli individui (santi di cui si porta il nome) ma anche di villaggi, di città, di regni, della stessa chiesa universale; di stati o condizioni della vita (patroni di arti e mestieri, contro particolari malattie o calamità; patroni di speciali attività spirituali o pratiche, ecc.); perché l'esempin da essi dato per raggiungere la santità attraverso le più varie condizioni della vita e le più opposte qualità di temperamento e di carattere è di un altissimo valore pedagogico in quanto inculca un forte dominio di sé, un profondo spirito di mortificazione, un gagliardo senso di carità per gli altri, elementi tutti che attestano il progresso spirituale di un individuo attraverso la vittoria dello spirito sulla materia.

Bibl.: L. Muratori, De Christianorum veneratione erga Sanctos, in Antiquit. italicae, V, diss. 58; Trombelli, De cultu Sanctorum, Bologna 1740; H. R. Percival, The invocation of Saints treated theologically and historically, Londra 1896; J. P. Kirsch, Die Lehre von der Gemeinschaft der Heiligen im christlichen Altertum, Magonza 1900; E. Lucius, Die Anfänge des Heiligenkults, Tubinga 1904; H. Delehaye, Les légendes hagiographiques, Bruxelles 1906; P. Saintyves, Les saints successeurs des dieux, Parigi 1907; M. von Wulf, Über Heilige und Heiligenverehrung, Lipsia 1910; D. Stone, The invocation of Saints, Londra 1909; H. Delehaye, Sanctus, in Anal. Bollandiana, XXVIII (1909), p. 145 e segg.; P. Dörfler, Die Anfänge der Heiligenverehrung, Monaco 1913; G. N. Bonwetsch, Heilige, Heiligenverehrung, in Real Enzykl. für prot. Theol. und Kirche, VII, p. 554 segg.

Per il materiale delle vite dei santi v. acta sanctorum; bollandisti; per le leggende, v. leggenda: Le leggende agiografiche.