SANT'ANGELO IN FORMIS

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1999)

SANT'ANGELO IN FORMIS


SANT’ANGELO IN FORMIS Basilica benedettina situata nell’od. borgo omonimo (prov. Caserta), in posizione eminente su un terrazzamento alle falde del monte Tifata, tra Capua e Santa Maria Capua Vetere. La chiesa, dedicata a s. Michele Arcangelo, rappresenta la sola emergenza monumentale superstite di quello che fu uno dei più illustri complessi monastici della Campania romanica, legato direttamente all’abbazia di Montecassino.

Il più antico documento noto della presenza cassinese in situ è una bolla papale del 943-944, trascritta nel Regesto di S. Angelo in Formis (1925, pp. 3-6), con la quale il pontefice Marino II imponeva al vescovo di Capua, Sicone, di restituire al cenobio di S. Benedetto la chiesa del monte Tifata, da lui data in beneficio a un suo diacono, ma già ceduta ai monaci di Montecassino dal precedente vescovo capuano, Pietro I (925-938), allo scopo di installarvi un monastero. Dopo circa cento anni, nel 1065 (Regesto, 1925, pp. 56-59), il vetusto santuario - forse di origine longobarda - risulta di nuovo nelle mani del vescovo di Capua, Ildebrando, che lo concesse in cambio di una chiesa della sua città, S. Giovanni qui dicitur de Landepaldi, al normanno Riccardo I, principe di Capua e conte di Aversa, intenzionato a fondare sul monte un cenobium per la salvezza della sua anima. Fra il giugno e l’agosto dell’anno seguente, il sovrano dotò di ricchi privilegi il monastero da lui nuper constructo, ponendolo sotto il controllo dell’abate di S. Benedetto a Capua, e infine, nel febbraio del 1072, lo offrì, insieme a tutte le pertinenze, all’abate Desiderio da Montecassino (Regesto, 1925, pp. 43-45; Chronica monasterii Casinensis; MGH. SS, XXXIV, 1980, pp. 413-414).

Il luogo occupato dalla basilica di S. coincide esattamente con il perimetro del tempio di Diana Tifatina, santuario federale dei popoli campani eretto in due distinte fasi, tra il sec. 4°-3° e il sec. 2°-1° a.C. (de Franciscis, 1956; Ferrua, 1956; Melillo Faenza, 1993). Dell’edificio antico, di cui la chiesa medievale reimpiega largamente il podio e il pavimento musivo, dovevano far parte con ogni probabilità le colonne e i capitelli corinzi posti in opera nelle navate. Gli elementi di sostegno variamente adattati nel portico esterno dovrebbero invece provenire dalle costruzioni scomparse del témenos, sulle quali insistevano le altre fabbriche del complesso monastico, che - al pari di quelle antiche - forse si snodavano lungo il muro di recinzione d’età classica. Gli ambienti sussidiari dell’abbazia, oggi distrutti o fagocitati entro le case dell’abitato moderno - e non ancora archeologicamente indagati -, dovevano comprendere, stando alle fonti, una sacrestia, le officinae monachorum, un ospedale per i poveri, una foresteria, nonché una cappella dedicata a s. Nicola di Myra (de’ Maffei, 1976).

Che l’insediamento cristiano insistesse sul perimetro del tempio classico e sulle costruzioni a esso adiacenti è confermato del resto anche dalla toponomastica adottata nei documenti medievali, che fanno menzione della chiesa e del monastero come S. Angelo ad arcum Dianae oppure ad formam, ad formas, in formis (con riferimento agli acquedotti romani che dal Tifata portavano l’acqua a Capua) o ancora de monte (con riferimento all’ubicazione dell’abbazia alle falde del Tifata). In una pergamena del 1202 (Capua, Arch. Storico Arcivescovile, nr. 46), pubblicata di recente, si parla infine di una «Ecclesiam sancti Angeli informis», espressione quest’ultima che si è voluta fantasiosamente interpretare in chiave teologica, come un epiteto riferibile alla natura angelica, ‘immateriale, incorporea’, di s. Michele (Bova, 1995).

La chiesa, realizzata quasi integralmente nella seconda metà del sec. 11°, è un edificio basilicale senza transetto, eretto in blocchetti di tufo e coperto da un tetto ligneo. L’interno, cui si accede attraverso un unico portale, è a tre navate terminanti in tre absidi semicircolari, con due file di sette colonne che sorreggono archi a tutto sesto. La zona presbiteriale rialzata conserva solo qualche traccia della pavimentazione medievale in opus sectile, messa in opera laddove non fu possibile sfruttare il preesistente tappeto musivo del tempio di Diana, largamente conservato nella zona occidentale dell’edificio. I settori di pavimento a commesso marmoreo che occupano le navate laterali sono stati trasportati a S. probabilmente solo nel 1875-1876 e provengono dalla chiesa di S. Benedetto a Capua, consacrata nel 1108 (Barral i Altet, 1983; Olevano, Paribeni, Grandi, 1997). Dell’originaria recinzione liturgica resta un’unica traccia archeologica negli incassi per l’alloggiamento dell’epistilio sui capitelli della quarta coppia di colonne (Gunhouse, 1991). Subito al di fuori della recinzione, al centro della navata, si trovava in origine l’ambone, oggi spostato a sinistra dell’abside maggiore.

Esternamente, alla facciata della chiesa si appoggia un portico voltato a cinque fornici acuti, di cui quello centrale più alto e spazioso. Nella struttura va riconosciuto un rifacimento più tardo del portico originario, riprodotto, con archi a tutto sesto, nel modellino tenuto in mano da Desiderio nell’affresco dell’abside. Molto verosimilmente, la sua ricostruzione si rese necessaria a causa dei danni provocati non dalla caduta dell’adiacente campanile (de Francovich, 1955), ma da uno smottamento del terreno antistante, che non ebbe invece conseguenze sulla facciata della chiesa (de’ Maffei, 1976). Il crollo delle volte del portico dovette però danneggiare gli affreschi delle sottostanti lunette, sui quali fu stesa una nuova decorazione pittorica negli ultimi decenni del sec. 12° (Anker, Berg, 1958). A destra della basilica, quasi allineato alla parete di facciata, sorge libero un poderoso campanile a pianta quadrata, originariamente scandito in tre livelli, di cui il più alto era costituito forse da un corpo arretrato. A differenza del primo piano, in cortina laterizia, il piano terreno è realizzato con blocchi marmorei di reimpiego ed è concluso da una cornice scolpita, i cui motivi decorativi - vicinissimi a quelli dei portali e delle finestre della cattedrale di Aversa - confermano l’esecuzione della torre nella seconda metà dell’11° secolo.

La quantità e la contraddittorietà di fonti e documenti relativi alla ricostruzione del monastero al tempo di Riccardo I e Desiderio (v.) hanno determinato interpretazioni diverse sia della cronologia dei lavori sia del ruolo effettivo in essi svolto rispettivamente dal principe normanno e dall’abate di Montecassino. Per de’ Maffei (1976), il committente, ideatore e finanziatore dell’impresa architettonica deve essere considerato Riccardo, che, tra il 1065 e il 1066, avrebbe fatto rapidamente costruire la nuova basilica, al posto di quella altomedievale, disponendo poi, in tempi un po’ più lunghi (1065-1078), la realizzazione delle fabbriche conventuali. Altra parte della critica, invece, facendo perno sull’iscrizione del portale della chiesa, recante il nome del solo Desiderio, e sul ritratto di quest’ultimo, effigiato in veste di abbas nell’abside centrale, riconduce essenzialmente a lui l’effettivo compimento architettonico e decorativo dell’edificio, tra il 1072 e il 1086, anno nel quale Desiderio venne eletto papa con il nome di Vittore III (Gunhouse, 1991).

I celebri affreschi che ornano l’interno della basilica costituiscono la più importante testimonianza della cultura pittorica campana negli ultimi tre decenni del sec. 11° e delle nuove tendenze figurative importate in Italia dai mosaicisti bizantini chiamati da Desiderio a Montecassino. Eseguito in una campagna di lavori sostanzialmente unitaria, il ciclo sviluppa un vasto programma narrativo, incentrato su episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, che - in sintonia con le tendenze dell’arte della riforma gregoriana - si ispirano ai modelli paleocristiani delle basiliche apostoliche romane. Perno della decorazione è il Cristo dell’abside centrale, rappresentato in trono tra i simboli degli evangelisti, al di sotto del quale è effigiato S. Michele Arcangelo, titolare della chiesa, affiancato da Gabriele e Uriele e da due figure ‘storiche’, poste alle estremità del semicilindro: Desiderio, con il modello dell’edificio, a sinistra, e S. Benedetto, il fondatore dell’Ordine, a destra. Il secondo, che si presenta oggi in una stesura pittorica dell’inizio del sec. 14°, va a sostituire un’immagine più antica, che si è supposto potesse effigiare non già il santo, ma Riccardo I di Capua (Andaloro, 1995). La Maiestas di Cristo, inizio e fine dei tempi, si rispecchia nel Giudizio finale della controfacciata, mentre le pareti longitudinali della navata centrale sono tutte occupate da episodi neotestamentari, disposti su tre registri e corredati da tituli. Al di sotto sono inserite, tra gli archi, le figure dei profeti e di una sibilla, visti nell’atto di preannunziare gli eventi della vita di Cristo e la sua seconda venuta (de’ Maffei, 1984). Le navate laterali sono invece riservate al Vecchio Testamento, di cui sopravvivono solo pochissime scene. Qui la zona più bassa era completata, con ogni probabilità, da un ciclo agiografico, oggi attestato solo dagli episodi di Gedeone e l’angelo e del Martirio di s. Panteleimone (Gunhouse, 1995). Nei pennacchi degli archi erano invece inserite figure di santi e sante, tra i quali, a sinistra, sei santi appartenenti all’Ordine benedettino. A fianco dell’absidiola destra, da sempre ben nota - con sei sante e, nel catino, Madonna, Bambino e angeli -, i restauri del 1982-1992 hanno riportato alla luce l’absidiola sinistra, che si riteneva perduta. Essa presenta in basso sei santi, mentre in alto compare Cristo tra i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista.

Quanto alla fisionomia stilistica delle pitture di S., si è molto dibattuto, fin dal secolo scorso, sulla loro matrice culturale, difficile da definire soprattutto per l’impossibilità di un diretto confronto con i mosaici e gli affreschi perduti di Montecassino. Appaiono comunque innegabili le loro radici fondamentalmente bizantine (Dobbert, 1894; de Francovich, 1955; Morisani, 1962; de’ Maffei, 1977), dovute se non alla presenza diretta nell’équipe di uno o più maestri costantinopolitani, di certo alla partecipazione dei loro allievi cassinesi, educati nel cantiere-scuola desideriano. Pur riconoscendo il carattere occidentale di certe soluzioni, soprattutto in campo iconografico, l’inquadramento degli affreschi nel solco della tradizione carolingio-ottoniana, affacciato a partire dalla fine dell’Ottocento (Kraus, 1893; Bologna, 1962; Abbate, 1997), ha subìto negli ultimi anni un deciso ridimensionamento. Non meno discussa è anche la distinzione delle mani operanti nel ciclo (tre o cinque: de Francovich, 1955; Wettstein, 1960), una questione che si intreccia inestricabilmente con quella, assai complessa, dei modelli adottati, radicalmente diversi per gli episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento (de’ Maffei, 1977). In linea generale, comunque, gli affreschi di S. mostrano significative assonanze con certi esemplari della coeva produzione miniatoria cassinese, soprattuto con il Lezionario di Desiderio (Roma, BAV, Vat. lat. 1202). Ciò tuttavia non dev’essere inteso, in modo univoco, come un sintomo della qualità locale, campana, dell’opera, quanto forse come una conferma del rapporto, sia delle miniature sia delle pitture, con modelli bizantini comuni. Le affinità individuate tra le figure di santi della navata sinistra di S. e la frammentaria serie di ritratti di abati cassinesi tornati alla luce in S. Benedetto a Capua (Speciale, Torriero Nardone, 1995) sembrano portare infine nuovi argomenti a favore dell’ipotesi che i lavori del cantiere tifatino possano essersi conclusi dopo la morte di Desiderio, forse verso il 1100, al tempo di Oderisio I (Toubert, 1990; 1997).

Un secolo più tardi, verso il 1190, fu realizzata la nuova decorazione pittorica del portico. Essa comprende due lunette al di sopra del portale centrale, con S. Michele Arcangelo in basso e la Madonna Regina tra due angeli in alto, e quattro lunette nelle campate laterali, con le Storie degli eremiti Paolo e Antonio. Sebbene eseguiti da più mani, questi affreschi rientrano senz’altro in un orizzonte figurativo unitario, quello dell’irradiazione in Italia meridionale della koinè tardocomnena, allineandosi peraltro anche alla consuetudine, sempre più diffusa in area bizantina nel sec. 12°, di collocare le vite dei santi nei narteci delle chiese (Tomekoviâ, 1988).

Bibl.: Fonti. - Regesto di S. Angelo in Formis, a cura di M. Inguanez (Tabularium Casinense), Montecassino 1925; Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, in MGH, SS, XXXIV, 1980.

Letteratura critica. - H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelaters in Unteritalien, Dresden 1860, II, pp. 170-182; F.X. Kraus, Die Wandgemälde von Sant’Angelo in Formis, JPreussKS 14, 1893, pp. 3-21, 84-100; E. Dobbert, Zur byzantinischen Frage: die Wandgemälde von Sant’Angelo in Formis, ivi, 15, 1894, pp. 125-159, 211-229; E. Bertaux, L’art dans l’Italie méridionale, Paris 1903 (19682), I, pp. 171-172, 250-267; P. Parente, La basilica di S. Angelo in Formis e l’arte del secolo XI, Santa Maria Capua Vetere 1912; G. de Jerphanion, Le cycle iconographique de Sant’Angelo in Formis, in id., La voix des monuments. Notes et études d’archéologie chrétienne, I, Paris-Bruxelles 1930, pp. 261-280; G. de Francovich, I problemi della pittura e della scultura preromanica, in I problemi comuni dell’Europa post-carolingia, «II Settimana del CISAM, Spoleto 1954», Spoleto 1955, pp. 355-519: 475-496; A. de Franciscis, ‘Templum Dianae Tifatinae’, Archivio storico di Terra di Lavoro 1, 1956, pp. 301-358; A. Ferrua, Il tempio di Diana Tifatina nella chiesa di S. Angelo in Formis, RendPARA 28, 1956, pp. 55-62; P. Anker, K. Berg, The Narthex of Sant’Angelo in Formis, Acta archaeologica 28, 1958, pp. 95-110; J. Wettstein, Sant’Angelo in Formis et la peinture médiévale en Campanie, Genève 1960; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma-Dresden 1962, pp. 43-45; O. Morisani, Gli affreschi di Sant’Angelo in Formis, Cava de’ Tirreni 1962; C.I. Minott, The Iconography of the Frescoes of the Life of Christ in the Church of Sant’Angelo in Formis, Princeton Univ. 1967; A. Moppert-Schmidt, Die Fresken von Sant’Angelo in Formis, Zürich 1967; O. Demus, Romanische Wandmalerei, München 1968 (trad. it. Pittura murale romanica, Milano 1969, pp. 53, 114-118); F. de’ Maffei, Sant’Angelo in Formis. I. La data del complesso monastico e il committente nell’ambito del primo romanico campano, Commentari 27, 1976, pp. 143-178; id., Sant’Angelo in Formis. II. La dicotomia tra le scene del Nuovo e dell’Antico Testamento e l’originario ceppo bizantino, ivi, 28, 1977, pp. 26-57, 195-235; M. D’Onofrio, V. Pace, La Campania (Italia romanica, 4), Milano 1981, pp. 143-152; X. Barral i Altet, Le pavement médiéval de l’église Sant’Angelo in Formis (Campanie), in Mosaïque. Recueil d’hommage à Henri Stern, Paris 1983, pp. 55-60; F. de’ Maffei, La Sibilla «Tiburtina» e «Prophitissa» nel ciclo degli affreschi di Sant’Angelo in Formis, in Monastica, IV (Miscellanea cassinese, 48), Montecassino 1984, pp. 9-30; H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, Roma 1986, I; S. Tomekoviâ, Les cycles hagiographiques de Sant’Angelo in Formis: recherches de leurs modèles, Zbornik za likovne umetnosti, n.s., 24, 1988, pp. 1-22; H. Toubert, Un art dirigé. Réforme grégorienne et iconographie, Paris 1990; D.F. Glass, Romanesque Sculpture in Campania. Patrons, Programs and Style, Univ. Park 1991, pp. 27-29; G. Gunhouse, The Fresco Decoration of Sant’Angelo in Formis, Ann Arbor 1991; G.M. Jacobitti, S. Abita, La Basilica benedettina di Sant’Angelo in Formis, Napoli 1992; L. Melillo Faenza, Sant’Angelo in Formis (Caserta). Tempio di Diana Tifatina, Bollettino di archeologia 22, 1993, pp. 73-76; M. Andaloro, Montecassino: memoria di una fabbrica perduta, in Cantieri medievali, a cura di R. Cassanelli, Milano 1995, pp. 51-69; G. Bova, A proposito di S. Angelo Informis, Santa Maria Capua Vetere 1995; F.S. Paradiso, Sant’Angelo in Formis. Il Tempio di Diana. La Basilica, Gaeta 1995; L. Speciale, G. Torriero Nardone, Sicut nunc cernitur satis pulcherrimam construxit: la basilica e gli affreschi desideriani di S. Benedetto a Capua, AM, s. II, 9, 1995, 2, pp. 87-104; G. Gunhouse, Gideon, the Angel, and St. Pantaleon: Two Problematic Scenes at Sant’Angelo in Formis, ivi, pp. 105-117; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Dai longobardi agli svevi, Roma 1997, pp. 129-134; F. Olevano, A. Paribeni, M. Grandi, Il pavimento di S. Angelo in Formis, «Atti del IV Colloquio dell’AISCOM, Palermo 1996», Ravenna 1997, pp. 621-636; H. Toubert, Didier du Mont-Cassin et l’art de la Réforme grégorienne: l’iconographie de l’Ancien Testament à Sant’Angelo in Formis, in Desiderio di Montecassino e l’arte della Riforma gregoriana, a cura di F. Avagliano (Biblioteca della Miscellanea cassinese, 1), Montecassino 1997, pp. 17-105.

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