SANITÀ

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

SANITÀ

Amalia Donia Sofio

Economia. - La salute e il mercato ad essa collegato sono oggetto degli studi economici relativamente da poco: si fa infatti risalire a un articolo di K.J. Arrow del 1963 la nascita dell'economia sanitaria come disciplina autonoma nell'ambito delle scienze economiche. Negli stessi anni Sessanta in tutti i paesi a economia avanzata è cominciato a crescere il peso del settore sanitario e la relativa spesa come proporzione del PIL.

In tali paesi, infatti, lo sviluppo economico ha provocato un mutamento in quelli che erano i modelli di consumo precedenti e il sorgere di nuovi bisogni con la conseguente produzione dei beni destinati a soddisfarli. La salute può essere considerata come un esempio abbastanza clamoroso di questi nuovi beni, nel senso che è stato improvvisamente individuato come ''bene economico'', non solo individuale ma anche collettivo, e quindi si è notevolmente ampliato il settore produttivo, atto a fornire quei servizi necessari a difenderla e migliorarla. Tuttavia, pur essendo cresciuta fra gli anni Sessanta e i primi anni Novanta la ricchezza dei singoli paesi, il divario tra le risorse disponibili e quelle necessarie, per assicurare a tutti un uguale accesso all'assistenza sanitaria, è aumentato in misura tale da porre la questione al centro della politica economica di quasi tutti i paesi.

La crescita dell'offerta dei servizi sanitari e un consumo sempre più elevato in termini sia quantitativi che qualitativi sono riconducibili a una serie di fattori quali: a) l'allungamento della durata della vita e quindi l'aumento della quota di popolazione anziana, la cui domanda di assistenza è molto alta; b) variazioni di tipo epidemiologico, come un aumento delle malattie croniche, che richiedono lungo-degenze molto costose, o nuove malattie come l'AIDS, per la cui cura si stanno effettuando ingenti spese in ricerca; c) l'aumento dell'intensità tecnologica sia per la diagnostica che per la terapia; d) un aumento del livello generale dei prezzi e di quelli relativi ai servizi sanitari in particolare; e) la diminuzione dell'assistenza familiare, legata ai mutamenti sociali avvenuti nei paesi industrializzati; f) l'ampliamento dei programmi pubblici per una copertura sanitaria la più ampia possibile della popolazione.

Dal 1960 al 1990 tali voci hanno contribuito, in misura diversa, a un aumento continuo della spesa sanitaria totale e di quella pubblica rispetto al PIL in tutti i paesi OCSE, qualunque sia la tipologia di sistema sanitario in essi adottata (v. tab.). Da questo punto di vista possiamo identificare principalmente tre modelli sotto cui classificare, pur con le opportune differenze, i sistemi sanitari dei vari paesi: il modello del Servizio sanitario nazionale, il modello delle assicurazioni sociali e il modello delle assicurazioni private.

Il primo sistema si rifà alla Relazione Beveridge del 1942, su cui si fonda il National Health Service britannico, istituito nel 1948, che rappresenta il principale esempio di servizio sanitario pubblico, sul quale poi si è modellato anche il Servizio sanitario nazionale in Italia. I principi fondamentali di tale sistema sono: copertura di tutta la popolazione, erogazione diretta dell'assistenza da parte di strutture prevalentemente pubbliche, finanziamento attraverso il gettito fiscale.

Il secondo sistema è detto ''bismarckiano'' perché il primo paese a utilizzarlo è stato la Germania imperiale del cancelliere Bismarck, con l'istituzione nel 1883 della legge nazionale di assicurazione contro le malattie. Lo si può anche indicare come un sistema misto o delle assicurazioni obbligatorie: l'assistenza sanitaria è gestita da diverse casse malattie con un legame diretto tra contributi e prestazioni, corretto da schemi assicurativi speciali per particolari categorie, come i pensionati e gli invalidi; nei diversi paesi che adottano questo modello (come per es., oltre la Germania, il Belgio, l'Olanda e la Francia) i contributi sono ripartiti tra lavoratori e datori di lavoro in proporzioni variabili; in alcuni casi l'assistenza è erogata direttamente, in altri vige il sistema del rimborso delle spese effettuate.

Il terzo sistema è fondato sulla correlazione, di tipo liberista, tra disponibilità a pagare e accesso all'assistenza, e quindi pone il mercato come il migliore meccanismo di allocazione delle risorse, con eventuali correttivi per le categorie più deboli.

L'esempio tipico di questo sistema sono gli Stati Uniti d'America, in cui il mercato privato dell'assistenza sanitaria costituisce la voce principale nell'offerta dei servizi sanitari. La maggior parte della popolazione è coperta da assicurazioni private sia individuali (molto diverse per entità dei premi da versare e per quantità e qualità dei servizi coperti), sia sociali a base occupazionale, i cui premi sono pagati dai datori di lavoro delle imprese più grandi per i lavoratori occupati. Esistono due soli programmi pubblici di assistenza, introdotti nel 1965 e finanziati dal governo federale, il Medicaid, che copre le madri con figli a carico, gli anziani poveri, i ciechi e i disabili, e il Medicare, che copre (ma non per il totale della spesa effettuata) gli anziani di oltre 65 anni di età. Tuttavia, una parte rilevante della popolazione statunitense (36 milioni nel 1991) non gode di alcuna copertura assicurativa e il peso economico maggiore dell'assistenza grava soprattutto sulle famiglie del ceto medio, che non possono usufruire dei sussidi pubblici ma non hanno sufficienti risorse private, e sui disoccupati, dato il legame diretto tra occupazione e assicurazione sociale. Tale situazione di disagio è alla base di un lungo e dibattuto processo di revisione del sistema sanitario statunitense che ha portato alla riforma proposta dal presidente B. Clinton, in discussione al Congresso, in cui il principio fondamentale è la garanzia di un'assistenza sanitaria globale per tutti.

Comunque, con nessuno dei tre modelli esaminati si è riusciti a risolvere il problema del contenimento della spesa sanitaria, anzi la controversia tra i sostenitori del mercato e i sostenitori dell'intervento pubblico è stata rinfocolata dalla crisi fiscale, intervenuta in misura più o meno grave in tutti i paesi e causa principale del fallimento del welfare state.

L'esistenza di un terzo pagante sia nel sistema pubblico (lo stato), sia in quello misto (le compagnie d'assicurazione) invogliano l'utente consumatore a espandere il consumo di servizi sanitari, che hanno per lui un prezzo uguale a zero, sino a quando anche il beneficio addizionale che egli crede di conseguire sarà pari a zero. Questo fenomeno produce sprechi e sovraconsumo e costituisce la critica principale dei fautori del regime di mercato contro l'intervento statale. A tale critica vanno aggiunte quelle rivolte alla scarsa efficienza nell'attività di organizzazione e di produzione delle strutture pubbliche rispetto a quelle private. D'altro canto, i sostenitori del modello ''pubblico'' pongono l'accento su problemi di efficacia e di equità distributiva in campo sanitario e sottolineano i costi sociali che derivano dal considerare i servizi sanitari normali come beni e gli ospedali come imprese con l'obiettivo del profitto, mentre la ''sovranità del consumatore'', elemento base di un'economia di mercato, comporta pesanti disuguaglianze in presenza di disparità di reddito.

L'alternativa pubblico-privato in s. non può essere comunque affrontata pienamente da un punto di vista economico se non si prendono in esame le caratteristiche del mercato della salute e, quindi, dell'assistenza sanitaria. Anzitutto esiste un'obiettiva difficoltà nella definizione del ''bene salute'', che comporta una conseguente difficoltà nella sua misurazione a fini economici. La definizione più nota è quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l'assenza di malattie o di stato di malessere". Tale definizione comporta però, tra i tanti, due limiti fondamentali da un punto di vista economico: anzitutto tale stato non è misurabile e, inoltre, sembra più una meta ideale, difficilmente conseguibile nella realtà, anziché un processo dinamico in continua evoluzione. In concreto invece, a parte l'alternativa estrema tra la vita e la morte, il concetto di salute è estremamente soggettivo e variabile, a seconda del periodo storico considerato, delle condizioni sociali, ambientali ed economiche in cui l'individuo vive. Queste difficoltà nella stessa definizione di salute fanno sì che i tentativi degli economisti di elaborare indicatori utili a misurare lo stato di salute di un individuo o di una collettività siano riusciti soltanto a ottenere indici più o meno grossolani, come il tasso di mortalità (generale o specifico per classi di età o in relazione ad altre variabili) e quello di morbilità (per specifiche malattie), o indicatori più o meno complicati che collegano i vari stati di salute a limitazioni di tipo fisico o psicologico con diversi gradi di gravità, cui si associano pesi diversi.

D'altronde, gli indici sullo stato di salute rappresentano uno strumento indispensabile in ogni processo di valutazione economica dell'intervento sanitario. Nell'analisi costi-benefici, che è uno degli strumenti più usati per un'analisi dell'allocazione efficiente delle risorse scarse, la valutazione economica della vita umana si effettua prevalentemente secondo due metodi. Con il primo, quello della ''disponibilità a pagare'', il valore attribuito è l'ammontare di moneta che l'individuo è disposto a dare in cambio di una determinata riduzione del rischio di morte. Con l'altro, i costi delle diverse malattie sono stimati come la somma delle spese per i vari servizi sanitari cui si deve ricorrere, il mancato guadagno attribuibile alla malattia, e il costo di una morte prematura, che si assume essere uguale al valore presente, cioè scontato, dei futuri guadagni. Se poi passiamo a considerare le caratteristiche del ''bene salute'', esso riveste la duplice funzione di bene di consumo e di bene d'investimento: da un lato infatti lo stato di buona salute è un bene finale che tocca direttamente l'utilità dell'individuo, dall'altro il miglioramento dello stato di salute rappresenta un vero e proprio investimento in capitale umano che può accrescere il benessere economico di un soggetto in quanto incide immediatamente sulla sua attività lavorativa. Mentre nel primo caso i benefici sono difficilmente monetizzabili e l'inserimento della salute in una funzione di utilità crea diversi problemi, nel secondo caso i benefici possono facilmente misurarsi in termini monetari. Sotto entrambi gli aspetti, comunque, la salute, e quindi l'assistenza sanitaria, sono sicuramente da comprendere tra i beni cosiddetti ''meritori'', cioè tra quei beni e servizi ritenuti dalla società talmente importanti e meritevoli di tutela da richiedere un intervento pubblico, attraverso sussidi, incentivi o produzione diretta.

L'intervento pubblico è giustificato anche dal sorgere di ''esternalità'', che si presentano in generale quando il comportamento di un soggetto economico influenza quello di altri senza che egli paghi un indennizzo nel caso di danno (esternalità negativa), o riceva un compenso nel caso di un beneficio (esternalità positiva). In campo sanitario, gli esempi più ovvi di esternalità positiva e negativa sono, rispettivamente, una campagna di vaccinazione per una malattia infettiva e il costo dell'inquinamento ambientale. In entrambi i casi, senza un intervento pubblico, si produrrebbe un divario tra l'ottimo individuale e l'ottimo sociale in senso paretiano. Tali fenomeni costituiscono una prima motivazione per una partecipazione dello stato all'erogazione dei servizi sanitari. Le insufficienze del mercato sanitario costituiscono un altro valido motivo per l'intervento statale, nelle varie forme che esso può assumere. Una prima insufficienza è costituita dalla non perfetta conoscenza del consumatore. Contrariamente al caso del mercato dei beni ordinari, in cui il soggetto è perfettamente in grado di effettuare le sue scelte poiché conosce le caratteristiche e i prezzi dei prodotti offerti, nel caso invece del mercato dell'assistenza sanitaria il paziente è solo in grado di percepire uno stato d'insoddisfazione perché non si trova in buona salute, ma non è capace di scegliere tra i diversi servizi in quanto gli manca la conoscenza scientifica necessaria per valutarne la relativa efficacia. Proprio la non perfetta conoscenza del paziente- consumatore rende determinante il ruolo del medico: tra medico e paziente s'instaura infatti una speciale relazione, per la quale è stato configurato il cosiddetto ''modello di agenzia'', in cui il medico agisce come ''agente'' del paziente effettuando le scelte per suo conto. Così, però, il medico controlla non solo l'offerta di servizi sanitari, ma anche la loro domanda, creando una situazione conflittuale e potenzialmente inefficiente nel funzionamento del mercato.

Nella realtà, poi, ben difficilmente il medico agirà come un perfetto agente del paziente, in quanto diversi fattori possono influenzare il suo comportamento nel momento della diagnosi e della prescrizione. Particolarmente rilevante è la relazione che intercorre tra le modalità di retribuzione del medico e la sua condotta: a seconda infatti che il medico sia retribuito con quota capitaria, con sistema tariffario o con stipendio, diverse saranno le conseguenze sulla quantità e qualità delle prestazioni erogate agli assistiti.

L'assenza di perfetta informazione da parte del consumatore provoca una diminuzione dell'effettivo grado di concorrenza del mercato e favorisce il sorgere di situazioni di monopolio assieme ad altre cause che costituiscono vere e proprie barriere all'entrata, come gli ingenti capitali fissi richiesti per l'attività ospedaliera, o le enormi spese in ricerca necessarie in campo farmaceutico per scoprire nuovi principi attivi. Se infatti si esamina quali siano le voci più importanti nell'ambito del totale della spesa sanitaria, si nota che in tutti i paesi la percentuale più alta è imputabile alla spesa ospedaliera (la media OCSE è stata del 41,1% nel 1990), seguita da quella ambulatoriale e da quella farmaceutica (13,8%). Non a caso quindi l'esigenza a livello internazionale di contenere la spesa si è rivolta prevalentemente verso queste due voci, individuando due possibili direzioni d'intervento: un aumento delle forme di compartecipazione alle diverse voci di spesa e una ricerca di nuove strategie finanziarie e organizzative che permettano una profonda razionalizzazione produttiva e un'utilizzazione delle risorse secondo criteri più efficienti.

Al primo tipo di interventi appartengono le misure adottate in Italia negli ultimi anni per un contenimento della spesa farmaceutica pubblica, che hanno determinato un aumento della quota del prezzo dei farmaci a carico dei privati e un restringimento delle fasce di popolazione esenti. Nella seconda ottica, ha assunto un ruolo cruciale la possibilità di pervenire a una gestione più aziendalistica dell'ospedale, che è stato da sempre considerato l'unità di produzione di assistenza sanitaria più vicina all'impresa tradizionale. Infatti, è nell'ambito della struttura ospedaliera che i diversi fattori (personale medico e paramedico, attrezzature a più o meno alta intensità di capitale, materiali vari) vengono combinati insieme per fornire un prodotto finale che consiste nel miglioramento della salute dei propri utenti. Ma poiché questo prodotto finale coincide con quel ''bene salute'' di cui abbiamo già notato i problemi di misurabilità, spesso anziché il prodotto finale si prendono in considerazione i vari prodotti intermedi, cioè i diversi servizi di tipo diagnostico, chirurgico, terapeutico, assistenziale, ecc., offerti dall'ospedale. Per questo motivo, sino a qualche anno fa, per la valutazione dell'attività ospedaliera si usavano indicatori abbastanza approssimativi: il numero dei posti letto, il numero dei giorni di ospedalizzazione per paziente, il numero dei casi affrontati, il numero degli interventi chirurgici effettuati, l'indice di occupazione e l'indice di rotazione del posto letto, ecc.

Nella realtà, però, ogni struttura ospedaliera produce una serie di servizi e prestazioni con gradi di complessità, durata e intensità che variano in base alla tipologia dei singoli pazienti; ne deriva una tipologia di casi, anch'essi di diversa complessità, che rappresenta il cosiddetto case-mix ("complesso tipologico dei casi") della struttura in questione. Si è quindi passati dai tentativi di valutazione economica dei singoli casi alla valutazione del case-mix, raggruppando i singoli pazienti in gruppi con caratteristiche cliniche simili e, quindi, con simili necessità assistenziali che richiedono l'utilizzo di risorse di pari entità. Tra gli strumenti di valutazione del case-mix, quello più usato, e introdotto recentemente anche in Italia, è il sistema DRG (Diagnostic Related Groups), introdotto negli USA già negli anni Sessanta e successivamente ampliato e migliorato. Con tale sistema ci si propone di raggruppare tutti i pazienti ricoverati in gruppi omogenei, in base alle caratteristiche cliniche (tipo di malattia, età, sesso, complicanze, ecc.) tali da richiedere risorse simili (intese in realtà come giornate di degenza) e simili procedure. Come passo successivo, si è attribuito a ogni DRG un costo medio che rappresenta il prezzo da pagare per quel determinato servizio: negli USA, per es., tale sistema è stato introdotto nel programma federale Medicare fissando il prezzo in base a una media dei costi sostenuti per ciascun servizio in diversi ospedali.

Purtroppo non sembra che tale sistema abbia contribuito a una diminuzione dei costi ospedalieri, mentre ha spesso provocato una diminuzione della qualità dei servizi offerti. Per quanto paradossale possa sembrare, il fenomeno dell'aumento della spesa sanitaria, e ospedaliera in particolare, si è infatti accompagnato, nella maggior parte dei sistemi sanitari, a un aumento dell'insoddisfazione dei pazienti consumatori nei riguardi dell'assistenza.

Mentre quindi, dopo la crescita incontrollata degli anni Sessanta in tutte le componenti del settore sanitario, si è passati, negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, a un periodo di contenimento dei costi (non sempre riuscito) senza alcun riguardo alla qualità dell'assistenza, negli anni Novanta si profila una terza fase, che potremmo chiamare ''l'era della valutazione'', con una crescente accentuazione del concetto di valore. Il ''valore'' dell'assistenza sanitaria può essere definito come il perseguimento di un'alta qualità al più basso costo possibile. Ciò significa che, nell'obiettivo di fornire un'assistenza con il più alto valore possibile, non è lecito separare l'aspetto dei costi da quello della qualità: un controllo aggressivo dei costi dev'essere bilanciato dalla consapevolezza degli effetti che questo tipo d'intervento può avere sui risultati dell'assistenza sanitaria.

In quest'ottica, il concetto di ''qualità'' e la sua valutazione diventano quindi d'importanza cruciale ai fini di un'analisi costi-efficacia, in cui si pongono a confronto i costi totali di differenti terapie per determinare quale sia l'approccio più efficiente per raggiungere il risultato desiderato. Questo rapporto tra qualità e costi dell'assistenza è stato sinora molto trascurato: mentre gli studi sulla razionalizzazione e sul contenimento dei costi (soprattutto quelli ospedalieri) sono davvero innumerevoli, non altrettanto sviluppate e certamente molto più problematiche sono le analisi relative alla valutazione della qualità, ma soprattutto ben poco si è studiato sulla natura del rapporto tra questi due aspetti e sui fattori che lo influenzano.

La qualità è stata considerata un aspetto a sé stante dell'assistenza: in diversi paesi, come gli USA e il Canada, da tempo esistono sistemi di Quality Assurance, tradotti in italiano con la sigla VRQ (Verifica e Revisione della Qualità), affidati normalmente a esperti che valutano la condotta dei singoli ospedali sulla base di parametri prefissati. Tuttavia esiste oggi un nuovo approccio al problema della valutazione della qualità, inteso come un miglioramento continuo o TQ (Total Quality, "qualità totale"), basato sui ''circoli della qualità'' tipici delle imprese manifatturiere giapponesi (v. qualità, in questa Appendice). L'applicazione del metodo al settore sanitario significa adottare un processo di continua valutazione e revisione dei parametri di assistenza prestabiliti, adottando una filosofia manageriale che favorisce un cambiamento organizzativo attraverso la partecipazione di tutti gli operatori e il lavoro di gruppo.

Efficienza macroeconomica ed efficienza microeconomica sono dunque, oggi, gli obiettivi principali della politica sanitaria di tutti i paesi industrializzati. Efficienza macroeconomica significa che la spesa sanitaria deve consumare una frazione del PIL appropriata, compatibile cioè con gli altri obiettivi di politica economica e la scarsa dotazione di risorse economiche; efficienza microeconomica significa scegliere un insieme di servizi che massimizzi allo stesso tempo il prodotto sanitario e i benefici dei consumatori, data la quota del PIL spesa in assistenza sanitaria (efficienza allocativa), ma significa anche produrre tali servizi in modo da minimizzare i costi (efficienza tecnica).

I benefici devono tener conto non solo della salute del singolo paziente, ma anche della sua soddisfazione riguardo alla qualità del servizio; i costi devono tener conto non solo del costo dell'erogazione dei diversi servizi, ma anche dei costi-opportunità del paziente e dei suoi familiari (come per es. il tempo sottratto all'attività lavorativa), dei costi amministrativi e delle distorsioni fiscali. Infine, si dovrebbe anche perseguire un'efficienza dinamica, nel senso che dovrebbe esserci una continua ricerca volta a promuovere progressi tecnologici e organizzativi che aumentino la produttività delle risorse date.

È difficile giudicare se tali obiettivi possano essere meglio perseguiti in un sistema pubblico, privato o misto. Quello che è certo è che in tutti e tre i sistemi attualmente si registra una tendenza verso un processo di riorganizzazione, che ha prodotto o sta producendo riforme in paesi dai sistemi diversi come la Gran Bretagna, l'Italia, la Germania, gli Stati Uniti. In queste riforme si nota una sorta di convergenza organizzativa nella scelta tra pubblico e privato: da un lato i sistemi con un servizio sanitario nazionale cercano d'introdurre criteri di gestione privata nel tentativo di evitare gli sprechi e di seguire invece principi di efficienza e di produttività; i sistemi privati, d'altro lato, cercano d'introdurre misure che garantiscano un accesso equo all'assistenza sanitaria, soprattutto per le categorie più deboli.

Bibl.: K.J. Arrow, Uncertainty and the welfare economics of medical care, in American Economic Review, 5 (1963); M. Grossman, Demand for health: a theoretical and empirical investigation, National Bureau of Economic Research, New York 1972; Health economics, selected readings, a cura di M.H. Cooper e A.J. Culyer, Harmondsworth 1983; G. Clerico, Economia della salute. Un'analisi introduttiva, Milano 1984; Pubblico e privato nei sistemi sanitari, a cura di A. Maynard, ivi 1986; M.F. Drummond, G.L. Stoddard, G.W. Torrance, Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari, ivi 1987; Deregulation versus Regulation nei sistemi sanitari in cambiamento, a cura di V. Ghetti, ivi 1987; A. Mc Guire, J. Henderson, G. Mooney, The economics of health care. An introductory text, Londra 1988; F. Palazzo, L'approccio costi-benefici nel settore sanitario, Milano 1988; La valutazione della qualità: una nuova frontiera del sistema sanitario nazionale, a cura di V. Ghetti, ivi 1989; OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), The reform of health care, Parigi 1992; C. Phelps, Health economics, New York 1992; OECD, OECD health systems, 2 voll., Parigi 1993; The World Bank, World development report 1993. Investing in health, Oxford 1993.

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