Sāṃkhya

Dizionario di filosofia (2009)

Samkhya (propr. Sankhya)


Sāṃkhya

(propr. Saṅkhya) Sistema filosofico indiano.

Storia

Il S. è probabilmente il più antico fra i sistemi filosofici indiani. Elementi di S. si trovano già nelle Upaniṣad più antiche (soprattutto nella Chāndogya Upaniṣad, 6.4), e un sistema già definibile come S. ma teista è esposto nel Mahābhārata. Il S. è inoltre la filosofia di riferimento dei Purāna (testi mitologico-religiosi fondamentali nella vita religiosa indiana). La scuola viene poi sistematizzata successivamente (ed è a questo livello che si farà riferimento qui), ma elementi di filosofia del S. permangono inoltre in gran parte dei sistemi indiani, dallo Yoga classico (che si fonda sulle Sāṃkhyakārikā) al Vedānta e alle scuole scivaite. Il testo base del S. come sistema si chiama Sāṃkhyakārikā («Succinta esposizione metrica del Sāṃkhya », di Īśvarakṛṣṇa, collocabile almeno a 350 ca., terminus ante quem è la traduzione cinese del 560, che già contiene un commento e deve perciò essere parecchio successiva alla loro composizione) e, al contrario dei testi fondamentali degli altri sistemi, è in versi e non in sūtra e non è il più antico testo che faccia riferimento alla scuola Sāṃkhya. Sul piano filosofico, il suo principale commento è la Yuktidīpikā («La lampada del ragionamento», di Rajana Gopalaka, forse 6° sec.). Forse del 14° sec. è l’altro commento di rilevanza filosofica, il Jayamaṅgala, forse di Śaṅkarārya, un keralese autore anche di un subcommento allo Yogasūtra. Successivamente, il S. non viene più rappresentato come scuola autonoma e trova spazio soltanto all’interno delle riletture di autori vedāntin, i quali enfatizzano gli elementi di somiglianza fra il S. e il proprio sistema (➔ puruṣa).

Epistemologia

Del S. preclassico sono rimasti solo frammenti preservati in altre opere (soprattutto in Dignāga e nel giainista Mallavādin), da cui comprendiamo però la centralità che esso ebbe nell’evoluzione dell’epistemologia indiana, e specialmente della teoria dell’inferenza. Risale a Varṣagaṇya (forse 1°-4° sec.) la prima definizione di percezione sensibile come «il funzionamento dell’organo auditivo e degli altri» e la teoria delle sette connessioni (proprietario-proprietà, ecc.) sulla base delle quali formulare un’inferenza corretta. Nel S. classico, le Sāṃkhyakārikā riconoscono tre mezzi di conoscenza: percezione sensibile (pratyakṣa), inferenza (anumāna) e testimonianza autorevole (āptavacana, ➔ śabda). Come il Nyāya, il S. accetta perciò la parola come strumento conoscitivo purché pronunciata da un parlante esperto e affidabile. Il S. si caratterizza però fra i sistemi indiani per la centralità dell’inferenza (anumāna). Le Sāṃkhyakārika spiegano infatti che l’inferenza può conoscere anche ciò che non è percepibile, e ciò sulla base di un procedimento che generalizza a partire da quanto è percepibile (un esempio è la generalizzazione della relazione di causa-effetto). In questo il S. si pone in aperto dissenso rispetto all’atteggiamento delle altre scuole brahmaniche che sostengono invece che l’inferenza si applichi solo agli oggetti conoscibili tramite percezione o che facciano riferimento alla parola come strumento conoscitivo (śabda), mentre il trascendente deve essere conosciuto solo per il tramite della parola come strumento conoscitivo e/o dell’intuizione intellettuale (yogipratyakṣa). Di fatto nelle Sāṃkhyakārika l’inferenza è usata sistematicamente per fondare gli assunti principali della metafisica e dell’ontologia della scuola, primi fra tutti puruṣa e prakṛti (che è immanifesta, ➔ oltre Ontologia).

Ontologia

S. significa letteralmente «enumerazione», e il termine allude a una delle caratteristiche della scuola, ossia l’enumerazione di 25 principi. Di questi, i primi due sono (1) puruṣa, o «spirito», la pura coscienza; (2) prakṛti, la natura primordiale. Solo questi due primi principi esistono indipendentemente e sono per sempre separati l’uno dall’altra. I restanti 23 principi, in ordine dal più sottile al più grosso, sono evoluzioni di prakṛti. Questi sono, a livello psichico: (3) intelletto (buddhi); (4) senso dell’io (ahaṅkāra); (5) mente come senso interno (manas). Seguono i sensi: (6) udito; (7) tatto; (8) vista; (9) gusto; (10) olfatto. Seguono le facoltà di azione: (11) parola; (12) prensione (pāṇi, letteralmente «mano»); (13) mozione (pāda, letteralmente «piede»); (14) escrezione; (15) procreazione. Poi, i cinque elementi sottili, oggetto dei sensi: (16) suono (śabda); (17) qualità tangibile; (18) forma-colore; (19) gusto; (20) odore. Infine, i cinque elementi grossi: (21) spazio o etere; (22) vento o aria; (23) fuoco; (24) acqua; (25) terra. Puruṣa (➔) e prakṛti (➔) esistono al di fuori di spazio e tempo e sono increati e coeterni. Sono di conseguenza anche semplici, indivisibili, senza parti. La loro relazione è di compresenza, nel senso che esistono affiancati, per così dire (poiché in realtà non esistono nello spazio), ma senza entrare in rapporto. La pura coscienza è intrinsecamente inattiva, mentre la natura è intrinsecamente attiva. Essa è cioè intrinsecamente una natura naturans, costantemente generante e genera appunto i 23 principi al di sotto di sé. Questi sono ordinati, come accennato, dal più sottile al più grosso. Quindi, fino agli ultimi cinque si sta parlando ancora di funzioni o di qualità, a prescindere dalla loro materialità. L’opposizione fra prakṛti e puruṣa non è quindi un’opposizione fra psiche e materia. La natura naturans esiste inoltre al di fuori dello spazio, che appare solo come ventunesimo elemento. Essa è appunto chiamata anche avyakta, o «immanifesto», in contrapposizione ai successivi 23 principi che sono manifesti, vyakta. Solo poi i principi dal 21 al 25 occupano uno spazio fisico. Le facoltà sensoriali e le facoltà d’azione, invece, denominano una facoltà a prescindere dal suo locus fisico. La vista, cioè, esiste a prescindere dal suo localizzarsi nell’occhio fisico (il quale è costituito, come ogni corpo, dagli elementi grossi) e così la mozione o la prensione. Un esempio immediatamente evidente è quello del gusto, dato che è chiaro che la facoltà del gusto esista a prescindere dalla sua localizzazione materiale nella lingua, giacché è possibile perdere il senso del gusto pur mantenendo la lingua. Similmente, forma, colore, odore, ecc. esistono a prescindere dal sostrato materiale in cui poi si trovano di fatto nel mondo.

Liberazione

La liberazione (mokṣa o kaivalya, letteralmente «isolamento») equivale per il S. proprio al riconoscimento della separazione da sempre e per sempre di prakṛti e puruṣa. Ciò significa che di fatto non ‘avviene’ alcuna liberazione. La liberazione è solo il riconoscimento di uno stato che già era presente ab aeterno. Come però può avvenire tale riconoscimento? Ciascuno di noi in quanto puruṣa è in realtà già libero, ma in quanto esseri individuali ci crediamo legati perché ci pensiamo individuati in un corpo fisico, ci riconosciamo in quanto ‘io’, ossia siamo all’interno del quarto principio, o ahaṅkāra. L’inattività del puruṣa fa però sì che, di fatto, per riconoscere che siamo da sempre liberi possiamo contare solo su prakṛti. È questa che, allo stesso tempo, ci imprigiona e ci libera. In quanto ‘io’ individuali siamo parti di prakṛti e quindi suoi prigionieri, ma in quanto essenzialmente coscienza siamo da sempre e per sempre liberi. Dobbiamo solo acquisire coscienza di tale stato e quindi della separazione eterna fra noi (non in quanto ‘io’ individuali, bensì come pure coscienze) e prakṛti. Possiamo realizzare tale separazione nel momento in cui prakṛti ci si mostra e vediamo quanto essa sia diversa dal nostro essere coscienza. Prakṛti è quindi il nostro carceriere, ma anche l’impresaria di uno spettacolo grandioso (l’intera creazione e il suo dispiegarsi) che ha come unico scopo quello della nostra liberazione. Il suo mostrarsi a noi nella sua creatività ha infatti appunto lo scopo che noi prendiamo coscienza del nostro essere differenti. Ci si potrebbe chiedere perché prakṛti operi in direzione della nostra liberazione. In senso stretto, prakṛti non opera a tale scopo poiché, in quanto incosciente, non ha scopi. Tale è però la natura delle cose, da sempre.

TAG

Epistemologia

Sāṃkhyakārika

Trascendente

Mahābhārata

Metafisica