SAMARRA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

SAMARRA

A. Bisi

Località preistorica mesopotamica, situata sul Tigri a N di Bagdad, da cui prende nome un tipo di ceramica del V millennio a. C.

Nel maggio del 1911 E. Herzfeld rinvenne, al di sotto del pavimento di abitazioni islamiche (periodo abbaside, IX sec. d. C.) uno strato spesso m 1,50 e riposante sul suolo vergine, contenente tre sepolture in mattoni crudi e terra battuta, in cattivo stato di conservazione; in queste tombe furono trovati abbondantissimi resti di una ceramica dipinta, interamente fatta a mano, oltre a pochi utensili (punte di coltelli, teste di mazza, pietre da fionda, aghi d'osso, vasi di alabastro): i frammenti di rame sono da considerarsi intrusivi del periodo islamico, come riconobbe in un secondo tempo lo stesso Herzfeld. Egli distinse in questa ceramica di argilla depurata, con pittura variante dal rosso arancione al bruno violetto, talora associata alla tecnica dell'incisione, ma priva di policromia, nove forme vascolari, ma questi tipi possono ridursi a due o tre fondamentali, perché i più usati a S. sono i piatti e le tazze, più o meno profonde, insieme ad altre anfore panciute con fondo piatto in cui venivano conservate le provviste (più che variare le forme ceramiche, variano piuttosto le dimensioni).

La decorazione è assolutamente caratteristica, sia nei singoli elementi che nel sistema di sintassi compositiva; i motivi più comunemente ricorrenti (linee orizzontali, verticali o oblique combinate in meandri, zig-zag, scacchiere; svastiche, rombi e quadrati, limitati di solito da più sottili bande orizzontali), mostrano che l'ispirazione predominante è quella geometrica. Tuttavia non mancano gli elementi figurati: sono preferiti gli animali (scorpioni, cervi, uccelli con pesci nel becco); le rappresentazioni umane, che sembrano riservate all'interno dei piatti, mostrano un'altissima stilizzazione: sono teorie di donne che si tengono per mano, le cosiddette "danzatrici", probabilmente figuranti in una cerimonia di magia, ma in cui l'astrazione è giunta a tal punto che del motivo originario restano solo triangoli (le teste), semicerchi (le braccia congiunte), e gruppi di triplici tratti verticali che rappresentano in modo "abbreviato" il corpo o, più verosimilmente, la lunga veste (un vaso da Rey, Iran, presenta un motivo analogo, ma reso in modo più naturalistico).

Altrove appaiono donne con le braccia allargate (dèmoni per lo Herzfeld), e capelli espansi in linee serpentiformi orizzontali, in movimento vorticoso nel centro di un piatto, movimento accresciuto dalla corona di scorpioni che è sul margine. Oppure vi sono uccelli con lunghissime ali erette, stilizzate a spina di pesce. Il Parrot ha visto un progressivo passaggio dal naturalismo primitivo all'astrazione nella ronda di cervi intorno a uno specchio d'acqua, dato da un rombo centrale (secondo altri si tratterebbe di una rete da caccia); a poco a poco degli animali rimangono solo triangoli dipinti a guisa di scacchiera, da cui rispuntano talora elementi naturalistici, come rami e appendici trifogliate (seppure non si tratta di un residuo delle code) che compaiono anche alle estremità delle svastiche, avendosi in tal caso il processo inverso a quello sopra descritto, cioè la "animazione" di un disegno astratto.

A S. si trovano anche frammenti della ceramica di Tell Ḥalaf (v.), appartenenti alla fase primitiva di quella cultura, che hanno qualche analogia colla ceramica trovata a Tell Arpashiyya (v.).

La ceramica di S. si inquadra per la maggior parte nella cultura nord-mesopotamica di Tell Ḥassūnah (v.) ed ha un amplissimo raggio di diffusione; appare a Tell Ḥassūnah (livelli III-VIII, con un massimo nei livelli IV-V), a Baghuz sul medio Eufrate, presso Abu Kemal, a Ninive (Ninivita 2 b), a Tell Arpashiyya (livelli TT 8-10, intrusiva in una fase halafiana), a Tell Maṭṭārah (fase superiore), e procedendo verso O, nella valle del Khābūr, a Tell Brak, Chagar Bazar, e oltre il Tauro, fino a Sakçegözü, ove deve considerarsi importata. Sono stati trovati nella ceramica di S. addentellati iranici (soprattutto Tepe Musiyan, Chashmah Ali I A, Tepe Giyan V A-B, Bakun B II, Tepe Siyalk II, III 5-6) sia negli elementi della decorazione (primo fra tutti, il motivo del cervo, che è tipico degli altipiani dell'Iran), sia in alcune particolarità tecniche (il disegno negativo, in cui il fondo è riempito di bianco mentre la decorazione ha il colore naturale dell'argilla del vaso). Tuttavia, secondo il Pallis, non è necessario supporre, sulla scia del Parrot, che i motivi decorativi della ceramica di S., mediati da materiali deperibili come tessuti, tappeti, intrecci di vimini, siano di origine straniera; in genere l'influenza dall'altopiano iranico è operante in un periodo più tardo, e comunque, anche se l'importazione di tessuti dall'Iran si rivelasse come realmente esistita, è certo che in Mesopotamia si crea una libera fioritura ceramica, che supera a un dato momento, come livello artistico, gli stessi modelli iranici (la ceramica di S., secondo il Braidwood, deve considerarsi un tipo "di lusso" nell'ambito di quella di Tell Ḥassūnah, ovvero, a detta del Leslie, ne rappresenta lo stadio più evoluto).

Una posizione intermedia assume il McCown, formulando l'ipotesi che la cultura di S. entrò nel N della Mesopotamia contemporaneamente alla penetrazione della ceramica dipinta di Bakun B II nel Fars. Si tratta perciò di ceramiche portate da popoli con una civiltà comune, sebbene divergente in alcuni particolari aspetti: giacché è stato giustamente osservato che i temi simili fra le due ceramiche sono quelli geometrici, i più facilmente imitabili mentre i motivi culturali specifici, come pure le forme vascolari, sono diversi: gli scorpioni di S. sono assenti in Iran, come lo saranno, in una fase posteriore, i bucrani di Tell Ḥalaf e di Tell Arpashiyya.

Bibl.: E. Herzfeld, Die vorgeschichtlichen Töpfereien von Samarra (= Die Ausgrabungen von Samarra, V), Berlino 1930; R. J. Braidwood, L. S. Braidwood, E. Tulane, A. L. Perkins, New Chalcolitic Material of the Samarran Type Found at Baghouz on the Euphrates, in Journal of Near Eastern Studies, III, 1944, p. 57 s.; A. Moortgat, Die Entstehung der sumerischen Hochkultur, in Der Alte Orient, XLIII, Lipsia 1945, pp. 28-33; M. E. L. Mallowan, Excavations at Brak and Chagar Bazar, in Iraq, IX, 1937, pp. 245-8, tav. LXXX; Du Mesnil du Buisson, Baghouz, l'ancienne Corsôté. Le tell archaïque et la nécropole de l'âge du Bronze, Leida 1948, pp. 18-29, tavv. XVIII-XXV; A. L. Perkins, The Comparative Archaeology of Early Mesopotamia, Chicago 1949, pp. 5-8, 25; R. J. Braidwood, L. S. Braidwood, J. G. Smith, Ch. Leslie, Matarrah. A Southern Variant of the Hassunan Assemblage, Excavated in 1948, in Journ. Near East. Stud., XI, 1952, pp. 1-75; A. Parrot, Archéologie mésopotamienne, II, Parigi 1943, pp. 122-3, 126-36, 166, 174-8; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954, pp. 1-2, 200; S. A. Pallis, The Antiquity of Iraq, Copenaghen 1956; D. E. Mc Cown, The Comparative Stratigraphy of Early Iran2, Chicago 1957, pp. 35-6, figg. 12; A. Parrot, Sumer, Parigi 1959 (ediz. italiana, Milano 1960, pp. 44-8, figg. 60-627.