REVELLI, Salvatore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

REVELLI, Salvatore

Fulvio Cervini

REVELLI, Salvatore. – Nacque a Taggia il 1° settembre 1816, secondo di quattro fratelli, da Giovanni Battista e da Caterina Arrigo, entrambi contadini (Gallo, 1860, p. 3; Boggero - Cervini - Ghio, 1995, pp. 11, 93). Nella cittadina natale (Riviera ligure di Ponente, dal 1814 Regno di Sardegna) manifestò un precoce talento artistico ed ebbe un’istruzione di base grazie all’erudito canonico Vincenzo Lotti, che nel 1836 lo presentò a Maurizio Littardi (1790-1858), membro di una famiglia che a Porto Maurizio animava un cenacolo intellettuale dalle aperture progressiste e liberali.

Le lettere spedite da Revelli a Littardi (Archivio di Stato di Imperia) documentano un lungo e regolare rapporto, interrotto solo dalla scomparsa del secondo, e un percorso di maturazione d’artista dapprima lento, poi altrimenti rapido e intenso a partire dalla metà degli anni Quaranta. Il carteggio concorre a stabilire una cronologia puntuale delle opere (Boggero - Cervini - Ghio, 1995) e permette anche di ridisegnare una personalità che le biografie ottocentesche (Gallo, 1860; Rossi, 1892) evocarono come un eroe da romanzo, in base al luogo comune dell’artista nato povero e divenuto famoso grazie alla tenacia come al favore divino. Un secondo epistolario, contenente le lettere inviate da Revelli al canonico Lotti e al parroco Stefano Semeria (1836-57), si trova nell’Archivio parrocchiale di Taggia e non è meno interessante nel tratteggiare una sensibilità religiosa sconfinante spesso nel misticismo (Salvatore Revelli (1816-1859), 2013 [2014]).

Littardi mandò subito Revelli a Tolone dal fratello Tommaso (1789-1871), funzionario dell’amministrazione fiscale francese, intellettuale di larghe vedute e frequentazioni, collezionista d’arte e corrispondente dello storico Carlo Botta. A Tolone il giovane entrò nella scuola di intaglio dell’Arsenale marittimo e frequentò la bottega di François Rossi, scultore originario di Carrara. Dal settembre del 1836 al luglio del 1839 fu stipendiato dall’Arsenale, dove apprese la pratica della scultura in legno, ben documentata dal busto reliquiario di S. Benedetto Revelli, di gusto neobarocco (1838; Taggia, parrocchiale), ma lavorò anche il marmo e la terracotta; con la guida di Rossi, si dedicò alla Tomba Salasc nel cimitero di Tolone (1838).

Nell’estate del 1839, incoraggiato anche dal fratello maggiore di Salvatore, Giovanni Battista, cappuccino con il nome di padre Felice (1811-1880), Tommaso Littardi gli offrì di proseguire gli studi a Roma: la scelta si rivelò decisiva per la sua maturazione anche perché l’alternativa presa in considerazione da Revelli e Littardi riguardava Parigi, dunque la possibilità di una carriera affatto diversa, percorsa da altri afflati romantici. Con l’intercessione del segretario di Stato, il cardinale Luigi Lambruschini (che fu tra i suoi primi committenti), Revelli entrò nello studio di Pietro Tenerani, ma prese a studiare disegno anche con Tommaso Minardi. Aprì uno studio indipendente soltanto nel dicembre del 1844, ma seguitò a lavorare per Tenerani ancora alcuni anni (nel 1845 lo aiutò in una statua di grande formato, probabilmente il Simon Bolivar per Bogotá): indizio di un cammino formativo lungo, ma pure della fedeltà a una temperie culturale classicista, nutrita da una linea politica neoguelfa, che con diversa intensità venne da lui perseguita per tutta la carriera.

Nel 1840, con una copia del Torso del Belvedere, vinse il primo premio nel concorso annuale dell’Insigne e Pontificia Accademia Romana. Nel frattempo aveva lavorato a diversi busti e sculture di piccolo formato, soprattutto per i Littardi, e cercato di ingraziarsi la corte sabauda con una Madonna imperatrice che venne però rifiutata. Tuttavia, nel 1845 la regina di Sardegna Maria Cristina, vedova di Carlo Felice, gli commissionò per la chiesa di S. Massimo a Torino un bassorilievo in marmo della Deposizione di Cristo, soggetto al quale Revelli stava lavorando per proprio conto da almeno un anno: terminata nel 1851, l’opera proclamava una forte sensibilità per l’interpretazione purista del tema religioso e sanciva un punto di svolta nella sua carriera. Revelli vi rimase molto legato, tanto che due versioni in gesso furono da lui donate all’Accademia Ligustica di Genova quando venne designato accademico di merito (1850), e nello stesso anno all’Accademia di Perugia, che lo nominò professore nel 1851; un terzo gesso è nell’oratorio della Trinità a Taggia, dove giunse dopo la morte dello scultore per iniziativa del fratello Giuseppe (1819-1881). La solenne temperatura espressiva della Deposizione distingue altre opere eseguite nel quinto decennio per i Littardi o per loro mediazione, come i busti degli Evangelisti (Imperia, cattedrale di S. Maurizio).

Nell’agosto del 1846 ottenne il secondo incarico di grande respiro: il rilievo raffigurante Colombo, che incatenato sale la nave che deve condurlo in Europa, destinato al monumento a Cristoforo Colombo da costruirsi a Genova, nel quale furono coinvolti alcuni dei più importanti scultori italiani del momento, da Lorenzo Bartolini a Giuseppe Gaggini (Sborgi, 1983-1985). La gestazione del Colombo fu elaborata e tormentata: soltanto nel gennaio del 1851 il marmo venne presentato a Genova, con forte consenso, insieme ad altre opere di Revelli. La prima uscita pubblica dell’artista sull’orizzonte genovese (dove, per quanto ligure di origine, fu sempre considerato uno scultore romano) avvenne però già nel settembre del 1846, quando partecipò alla mostra organizzata per l’ottavo Congresso degli scienziati italiani, esponendo un Cardinal Lambruschini in bronzo, una Madonna in marmo e alcuni dagherrotipi di altre sculture. L’apparizione di Revelli sulla scena genovese coincise con un momento di particolare favore verso un nobile classicismo ispirato da Lorenzo Bartolini (Olcese Spingardi, 2014). Così alla fine del quinto decennio Revelli lavorò a molti ritratti per committenti liguri, tra cui spiccano, oltre ai Littardi, i Pallavicino: Teresa Corsi Pallavicino, Maria Spinola Pallavicino (Genova, palazzo Pallavicino); Tommaso Littardi, la moglie Anna Corvetto (Imperia, coll. privata: Risorgimenti, 2011, pp. 82-85).

Si dedicò anche a temi mitologici (Bacco giovane con la pantera, 1848; il gesso si conserva all’Accademia Ligustica di Genova) e storico-allegorici, in linea con il clima politico del momento: i Pallavicini gli chiesero nel 1848 una statua raffigurante il Risorgimento d’Italia, da ritenersi perduta (Salvatore Revelli (1816-1859), 2013 [2014], p. 93); il Prode Carlo Alberto nell’atto che libera la Lombardia dagli artigli dell’aquila bicipite fu lodato da Vincenzo Gioberti (che visitò il suo studio con Minardi e Tenerani nel giugno del 1848), ma venne distrutto nel 1850 dallo stesso artista, deluso dalla parabola del sovrano. A Carlo Alberto aveva offerto invano anche i busti dell’Angelo Annunziante e dell’Annunziata (Torino, Palazzo Reale), che vennero acquistati dalla corte proprio in quest’anno (Canavesio, 2011). Gli orientamenti culturali della monarchia concedevano ora spazio al purismo delicato di Revelli, cui venne commissionata una statua a grandezza naturale di Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II. Revelli, giunto a Torino insieme alla Deposizione, modellò dal vero a Moncalieri il busto della regina nel febbraio del 1851 e terminò la statua in marmo, con la sovrana in abiti moderni e assisa su un trono neoclassico, nell’estate del 1855 (Torino, basilica di Superga; una versione del solo busto, del 1855, è nel castello reale di Racconigi; un secondo busto gli fu ordinato dall’arciduca Ranieri, fratello di Maria Adelaide, nel 1855). Nel 1856 Vittorio Emanuele gli attribuì la croce di cavaliere dei Ss. Maurizio e Lazzaro.

Il classicismo aggiornato di Revelli piacque anche nell’ambiente genovese, dove il duca Raffaele De Ferrari gli commissionò l’Innocenza oppressa (1851, Genova, Palazzo Bianco; distrutta durante la seconda guerra mondiale), con la giovane seminuda che riprendeva la lezione di Tenerani e Bartolini; e la marchesa Teresa Corsi Pallavicino due grandi e magnifiche statue di Elena e Paride (1854) per l’atrio di palazzo Pallavicino di piazza Fontane Marose. A Genova partecipò all’esposizione della Società promotrice di belle arti nel marzo del 1854, presentando l’Innocenza oppressa e due busti.

Non venne meno la parallela coltivazione di temi religiosi, che gli procurò notorietà non solo artistica: una piccola Madonna del Sacro Cuore in gesso, colorata come una statua lignea, e da lui donata alla parrocchiale di Taggia nel 1851, fu protagonista di un supposto movimento degli occhi vitrei nel 1855, riconosciuto ufficialmente come miracolo. L’occasione venne sfruttata politicamente per ribadire il dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato da Pio IX l’8 dicembre 1854: la Madonna di Taggia fu incoronata nel 1856, e in parallelo prese quota la mitologia di un artista che proprio in virtù della sua fede sapeva interpretare il tema sacro con valore aggiunto, tanto da plasmare immagini miracolose (Gallo, 1860), come sarebbe stata poi ritenuta l’Immacolata (1857) in gesso per i cappuccini di Loano. La frequentazione assidua di temi sacri, o comunque connotati da un forte rigorismo morale, lo portò in alcuni casi ad assumere atteggiamenti di radicale intransigenza: nel 1858, per esempio, fece a pezzi una Nascita di Venere modellata nel 1853, che più non rispondeva ai suoi alti ideali. Il viaggio che nel 1856 portò Revelli a Torino, Tolone, Taggia, Porto Maurizio e Genova fu dunque una rivisitazione del suo cammino e la verifica di un successo che mieteva riconoscimenti istituzionali e popolari.

A Roma Revelli fu coinvolto direttamente nella costruzione di una retorica per immagini del dogma e insieme del consenso intorno al potere papale. Non tanto con il rilievo, perduto, di Pio IX che proclama il dogma dell’Immacolata concezione di Maria (1855), benché lo stesso pontefice lo avesse lodato durante una visita nello studio in cui l’artista fu ammesso al bacio del piede (13 agosto 1855); ma soprattutto con la statua colossale del Profeta Isaia (1855-57) per la colonna dell’Immacolata Concezione e con il non meno grandioso S. Paolo per S. Paolo fuori le Mura (1855-58: rimasto incompiuto, venne terminato da Ignazio Jacometti), dove nel 1855 Revelli aveva già ricevuto l’incarico per un Angelo reggistemma da sistemarsi in controfacciata. Il medesimo linguaggio, in declinazione meno monumentale e forse più felice, ispirava anche i ragguardevoli monumenti funerari, come quelli per Adele Ravina Lomellini nel cimitero di Staglieno a Genova (1852-54), per Giuseppe Littardi, fratello maggiore di Tommaso e Maurizio (rilievo della Riconoscenza afflitta, 1854; Imperia, S. Nicola), per il cardinale Giacomo Luigi Brignole in S. Cecilia in Trastevere a Roma (Gesù benedice i fanciulli, 1855), e ancora quello dei marchesi di Lugros in S. Maria di Montesanto a Roma (con le statue della Religione cattolica e dell’Amor familiare che fiancheggiano i busti-ritratti dei due defunti, 1856-59); ovvero opere di arredo liturgico, come il fonte battesimale della parrocchiale di Finalmarina (1853).

Nelle opere di soggetto contemporaneo o storico-celebrativo degli anni Cinquanta, Revelli apriva invece a posizioni storiciste e veriste che lasciavano intravedere possibilità di sviluppi linguistici rimasti interrotti dalla morte precoce: così era già nel Colombo in catene; ma ancor più nel gruppo monumentale di Colombo e l’America, commissionatogli dal governo peruviano il 20 luglio 1853, spedito nel giugno del 1857 e inaugurato nel 1860 (Lima, Paseo Colón).

Molto lodato dalla critica (in particolare da Federigo Alizeri), il grandioso marmo avviava la lunga stagione della statuaria monumentale proposta da artisti genovesi e liguri in America Latina, e insieme forniva un paradigma di storicismo moderato, temperato da una sottile vena ideologica: l’eroe non era un conquistatore, ma un civilizzatore che suscitava la resurrezione del continente, rappresentato in allegoria da un’avvenente giovane seminuda. Un medesimo tempo lento, con sentore più schiettamente verista, distingueva la statua a figura intera, in abiti contemporanei, del benefattore Giuseppe Pozzo (1858-59; Genova, Albergo dei Poveri), segnato da una vena ritrattistica non idealizzata che si ritrova anche nel busto in gesso del primo mentore dell’artista, il Canonico Lotti (1858; Taggia, parrocchiale).

Ormai affermato sul circuito internazionale, Revelli aprì un nuovo studio nel giugno del 1857 in via S. Basilio, e nel novembre del 1858 divenne accademico di S. Luca, ma la salute malferma ne rallentò il lavoro. Non si sposò e non ebbe figli.

Morì a Roma, per le conseguenze di febbri malariche, il 14 giugno 1859, e venne sepolto nella chiesa dei Ss. Luca e Martina (Boggero - Cervini - Ghio, 1995, p. 74).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Imperia, Fondo Littardi, faldone 28, f. 1, Lettere di Salvatore Revelli a Maurizio Littardi, 1838-58; Taggia, Archivio parrocchiale, fondo Santuario Madonna Miracolosa di Taggia ed opere annesse, Lettere di Salvatore Revelli, 1836-57.

G.B. Gallo, Biografia e descrizione delle opere artistiche dell’esimio scultore Cav. S. R., Genova 1860; G. Rossi, S. R., in Rivista italiana di scienze, lettere ed arti, II (1861), pp. 805-807; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, III, Genova 1866, pp. 233-295; F. Rossi, Salvator R. Biographie précédée d’une notice sommaire sur l’art statuaire, Toulon 1892; L. Merlo, Uno scultore ligure nella Roma di Pio IX. S. R. da Taggia, in Strenna dei Romanisti, XLIII (1982), pp. 332-339; F. Sborgi, Colombo, otto scultori e un piedistallo, in Studi di storia delle arti, 1983-1985, n. 5, pp. 329-347; La scultura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp. 344-352, 384-389, 397-399; F. Boggero - F. Cervini - L. Ghio, «Titanico e cristiano». L’arte di S. R., Taggia 1995; Risorgimenti di marmo e di colore. L’unità italiana vista dal Ponente ligure (catal.), a cura di F. Cervini, Imperia 2011, passim; W. Canavesio, S. R. e la corte torinese, ibid., pp. 22-26; S. R. (1816-1859). L’ambiente, i percorsi, le committenze. Atti del Convegno... Taggia 2009, a cura di F. Boggero - F. De Cupis, Pisa 2013 (2014); C. Olcese Spingardi, Sculture genovesi sotto l’egida bartoliniana, in Lorenzo Bartolini. Atti del Convegno..., Firenze... 2013, a cura di S. Bietoletti - A. Caputo - F. Falletti, Pistoia 2014, pp. 141-151.

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