SALONICCO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi SALONICCO dell'anno: 1965 - 1973 - 1997

SALONICCO (Θεσσαλονικεία, Θεσσαλονείκη, Θεσσαλονίκη; su alcune monete imperiali romane e iscrizioni funerarie: Θεσσαλονείκη, Θεσσαλονεικέων [πόλις]; in qualche scrittore bizantino: ῾Αλία, ῾Ημάϑια, Θέρμα)

L. Vlad Borrelli

Nome moderno dell'antica Tessalonica, il più importante porto marittimo della Macedonia, situato nell'angolo più interno del Golfo Termaico. Strabone (Geogr., vii, Fragm. 24) ne attribuisce la fondazione a Cassandro che, nel 316-15 a. C., avrebbe riunito sul sito dell'antica città di Therma (di cui restano elementi di un tempio ionico arcaico) gli abitanti di ventisei borgate dei dintorni e avrebbe dato al nuovo agglomerato urbano il nome della propria moglie, sorella di Alessandro Magno. Secondo un'altra versione, meno attendibile, sarebbe stata fondata da Filippo II a ricordo di una sua vittoria sui Tessali. Tessalonica raggiunse ben presto grande prosperità per la sua situazione geografica, che la poneva come il principale nodo stradale fra Occidente e Oriente. In età romana la traversò, infatti, sul tracciato della più antica via Regia, la via Egnazia, grande arteria militare che, attraverso l'Illiria, la Macedonia e la Tracia, collegava l'Adriatico con il Mare Egeo. Dal reticolato stradale della città moderna si è tentato di ricostruire la pianta antica; secondo il Tafrali quella bizantina risulterebbe divisa in tre grandi strisce dalla via Egnazia e dalla via S. Demetrio, ma il Castagnoli ritiene che non si possa affermare se la divisione fosse per strigas o sulla base di quadrati, né se la pianta della città bizantina sia riconducibile a quella ellenistica o a quella romana.

Al tempo della sua fondazione la città fu cinta da un perimetro murario lungo sette, otto chilometri, che fu tutto rimaneggiato in età bizantina (VI sec. d. C.), ma di cui si riconoscono ancora dei tratti a O, al disotto delle fortificazioni bizantine, una porta (di Eski-Delik) e una postierla sull'acropoli. Si sa, però, che nel I sec. a. C. gli spalti erano già inservibili, tanto che la popolazione per sfuggire ad un'invasione di Traci dovette chiudersi sull'acropoli. Riattamenti alle mura furono compiuti dai Romani, dopo la battaglia di Filippi (42 a. C.), quando S. fu teatro della lotta fra Cesare e Pompeo che l'aveva scelta a suo rifugio nel 49. Un ampliamento delle mura verso occidente fu compiuto sotto Teodosio. Le porte principali dovevano essere quelle per cui transitava la via Egnazia: la porta di Cassandro (o di Calamara) ad E, accanto alla quale, più a S, si apriva la grande porta di Roma, e la porta d'Oro (del Vardar), ad O, che all'epoca di Teodosio dovette essere preceduta verso la campagna da una seconda porta, doppia, come lo erano quelle del muro orientale. Sul tratto settentrionale delle mura c'erano solo porte militari. Esigue tracce rimangono delle mura del porto. La fortezza, sulla sommità dell'acropoli (Heptapyrgion) è probabilmente dell'epoca dei Paleologhi, ma conserva tracce dei muri del IV secolo.

Dopo il 146 a. C., S. divenne la capitale della provincia romana della Macedonia; ma un più grandioso impulso edilizio lo ebbe all'inizio della tetrarchia, quando l'imperatore Galerio (293-311 d. C.) la elesse a propria residenza, facendola divenire per breve tempo una delle quattro capitali dell'Impero. La fama e lo splendore della città tetrarchica prima e di quella bizantina poi hanno soverchiato quelli della S. ellenistica e dei primi secoli della S. romana; poco resta dei monumenti di tali epoche sebbene molti ne fossero ancora riconoscibili nel sec. XVIII, tanto che il Beaujour, che la visitò nel 1796, scrisse che S. era la città ove più si vedevano monumenti antichi dopo Atene.

Attorno a S. si elevano frequenti tumuli sepolcrali, di epoca preistorica (a forma rettangolare allungata) o di età macedonica ed ellenistica (a pianta circolare).

Alla necropoli del IV sec. appartengono un gruppo di tombe trovate presso l'aeroporto di Sedes, una delle quali particolarmente ricca di monili aurei, vasi d'argento, oggetti in osso, vetro, alabastro, dischi in terra, ecc. (320-305 a. C.); da due sepolture costituite da cassoni a lastre di pietra calcarea, rinvenute a Derveni, circa 9 km a N-E di S., proviene insieme a frammenti di papiri greci, di stoffe intessute con fili d'oro ed altri oggetti d'argento e corone in foglia d'oro, un grande cratere di bronzo dorato, ove erano conservati i resti incinerati, con rilievi a sbalzo di menadi e satiri, fregi applicati e figure a tutto tondo poste sulla spalla del vaso, di altissima qualità artistica.

Testi romani e medievali, fra cui i preziosi Atti di S. Demetrio, parlano di un'agorà, degli archivî, del praetorium, di un teatro, di un tempio di Dioniso, di uno di Apollo, di un altro dei Cabiri, ecc. Negli iniziati scavi dell'agorà romana si riconoscono i resti di un odeion con base della scena decorata a nicchie. Resti di un Serapeion sono stati rinvenuti presso il rione di Vardar. Alla metà del II sec. d. C. (150-160) sono databili i resti del portico detto Las Incantadas (v.), che deve il proprio nome a una vecchia leggenda di magia sorta nel ghetto di S. ove si trovava ed i cui abitanti discendevano dai profughi di persecuzioni spagnole. Nel 1864 E. Miller trasportò a Parigi gli elementi scultorei di questo portico lasciando a S. le parti architettoniche. Al Louvre sono conservate otto figure in altorilievo che decoravano dei pilastri e rappresentano divinità e personaggi mitici e allegorici: una Nike che aveva sulla faccia opposta del pilastro una Menade, un'Aura a cui si opponeva un Dioniso, un Dioscuro cui rispondeva Arianna e Ganimede rapito da Zeus, opposto al quale si trovava Leda col cigno. Lo smembramento di questo complesso rende molto difficile là ricostruzione dell'edificio cui si riferiva, sebbene soccorrano descrizioni e disegni dei secoli XVII e XVIII; doveva trattarsi di un portico monumentale, situato in un'area a N della via Egnazia e identificata con quella dell'agorà romana, formato da un ordine di colonne su cui si elevava un secondo ordine di pilastri decorati con gli altorilievi: forse una stoà appartenente a un'agorà con basilica annessa di tipo microasiatico e che rispecchia nello stile delle sue forme, il gusto dominante della provincia macedone, aperta, nella metà del II sec. ad influssi orientali. (Discordano per la datazione la Guerrini che la pone alla seconda metà del II sec., lo Hommel che la pone nel III sec. e il van Essen che la ritiene degli inizî del IV sec. d. C.).

I resti più cospicui della S. romana sono quelli che appartengono al complesso edilizio fatto costruire dall'imperatore Galerio ed esplorato in una serie di campagne di scavo condotte dal 1880 fino ai nostri giorni da archeologi danesi della Fondazione Ny Carlsberg di Copenaghen e, per un certo periodo, da studiosi francesi appartenenti all'armata di Oriente, in proficua collaborazione con il servizio delle antichità ellenico. Il palazzo imperiale, di cui si riconoscevano i resti in una serie di gallerie con vòlte, fu studiato nella sua planimetria e nei singoli edifici ad esso collegati soprattutto dal Dyggve. Al complesso galeriano appartenevano un ippodromo, presso di questo un edificio ottagonale (nell'odierna piazza Navarrinon) e, a N, una rotonda e un arco di trionfo. L'edificio ottagonale, orientato verso N-E, ha 25 m di diametro, presenta all'interno una decorazione di otto nicchie, in una delle quali si apre la porta d'ingresso, era rivestito interamente di lastre marmoree ed è di incerta destinazione. A S dell'ottagono sono stati trovati recentemente i resti di un arco in marmo, anch'esso di epoca tetrarchica, riccamente decorato con medaglioni ove sono rappresentati Galerio, la Tyche di S., una danzatrice e Pan col pedum (ora trasferito in museo). La Rotonda, trasformata poi nella chiesa di S. Giorgio, era legata al palazzo da un grandioso vestibolo di 42 × 17 m, ornato di un ricco tappeto di mosaici, che incrociava la via Egnazia e, oltre il trionfale arco quadrifronte, si apriva in un grandioso peristilio coperto lungo 90 m. Probabilmente serviva da sala di culto o da mausoleo imperiale; resti di gradini in porfido, trovati nell'interno, possono aver appartenuto al podio di un sarcofago o a quello di un trono. La Rotonda è una grandiosa sala circolare, coperta di cupola emisferica (del diametro m 24,15) impostata su un muro forato alla base da otto grandi finestroni con sopra altrettante nicchie rettangolari. Nel mezzo della sala è stato trovato un pozzo profondo che farebbe supporre che in origine la sala aveva un opàion aperto sulla sommità della cupola (come il Pantheon). L'ingresso si trovava a S, nell'asse del peristilio. Alla fine del IV sec., ad opera di Teodosio, la Rotonda fu trasformata in cappella palatina e subì profondi rimaneggiamenti: venne costruita una navata esteriore circolare, si aggiunse un'abside, un vestibolo e, ad E e ad O, due grandi edifici di culto a due piani; l'interno fu rivestito di marmi e la cupola decorata di mosaici divisi in due zone sovrapposte. La zona inferiore comprende otto immensi pannelli decorativi di stile siropalestinese, imitanti sete e tappeti iranici con uccelli, palmette, frange, il cui carattere plastico si armonizza con la decorazione marmorea delle pareti; la zona superiore, invece, presenta apostoli, martiri e patriarchi, di proporzioni sottili, con piccole teste e modellato sfuggente, caratteri tipici dei ritratti del basso Impero, davanti ad un complesso architettonico rappresentante la Gerusalenune celeste, ispirato alle scaenae frontes e ai templi orientali, che sono a loro volta derivati dall'architettura dei palazzi imperiali. Nel mezzo della calotta il Cristo trionfante è circondato da una immensa corona di vittoria portata da quattro angeli. Secondo il Theòcharidis in epoca bizantina la chiesa era dedicata agli Angeli (τῶν ᾿Ασωμάτων) ai quali era anche intitolata quella porta di S. che, poi, i Turchi chiamarono Porta Kapi. Alla Rotonda (ove in una delle sale annesse è stata rinvenuta la base) databile probabilmente all'epoca del rifacimento teodosiano, appartengono i resti di un grande ambone marmoreo conservato ai musei di Istanbul (G. Mendel, Musées Impériaux Ottomans, Istanbul 1914, 11, p. 393) formati da due blocchi trovati rispettivamente nelle Corti di S. Giorgio e S. Panteleimon, allora moschee. Sono rappresentate l'Adorazione dei Pastori e quelle dei Magi davanti alla Vergine in trono col Bambino. La preminenza della figura della Vergine fa datare quest'opera a un'epoca di poco successiva al Concilio di Efeso (440-50 d. C.); i suoi caratteri stilistici la fanno attribuire ad artisti orientali, mentre, d'altro canto, sono stati rilevati stringenti confronti fra la rappresentazione del corteo dei Magi e il rilievo con i tributarî dell'Arco di Galerio.

L'Arco di Galerio (chiamato localmente Kamara), il monumento antico più importante della città, fu eretto sulla via Egnazia per commemorare le vittorie dell'imperatore sui Persiani. Il grandioso arco quadrifronte posava su un basamento ed è formato da due muri paralleli, con un'arcata maggiore e due minori, laterali. I muri erano congiunti da vòlte a tutto sesto e lo spazio rettangolare al centro era coperto da una cupola. I quattro pilastri (ne restano solo due) erano ornati da quattro file orizzontali di rilievi divisi da grandi elementi architettonici decorati da viticci e foglie di quercia. Sul pilastro di S-O è figurata la campagna di Armenia e su quello di N-E la campagna di Adiabene; le scene sono concepite secondo quel criterio narrativo di cui la Colonna Traiana e quella Antonina avevano aperto la tradizione, ma è stato rilevato come qui due tipi di narrazione romana, quella degli annales e quella del panegyricus, vengono fuse per creare una nuova unità illustrativa. Le figure sono disegnate con una certa sommarietà e con un profondo chiaroscuro che contribuiscono ad una loro vivacissima espressività; quelle di primo piano sono concepite con forte e vigoroso rilievo, mentre quelle del fondo sono puramente indicate mediante il segno inciso ("rilievo negativo"), carattere questo che, anche se annunciato fin dal II sec. d. C. e presente ancor prima nella scultura provinciale, è una delle peculiarità dell'arte della tarda antichità. Prevale, inoltre, nelle figure di primo piano una certa frontalità e una ricerca di paratassi, anche se personaggi caduti o altre immagini sul fondo sono realizzati mediante arditissimi scorci. Stilisticamente si notano più mani. Notevole una scena ove sono rappresentati i quattro imperatori, Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo. I dati storici consentono di datare l'arco fra il 297 (battaglia di Galerio contro i Persiani) e il 305 (morte di Diocleziano). La disposizione insolita dei suoi rilievi, che corrono intorno ai pilastri, e non sono quindi concepiti distesi su una facciata unitaria, come era consuetudine negli altri archi trionfali, e talune caratteristiche tecniche (presenza dei pennacchi nella cupola, costruzione delle arcate per sezioni e senza centina), pongono già quest'architettura alle soglie dell'arte bizantina.

Importanti tombe adorne di pitture e databili al IV sec. d. C. sono state recentemente trovate presso la moderna università di Salonicco.

La maggiore chiesa paleocristiana di S. è la basilica di S. Demetrio, costruita sopra un edificio termale romano. Anche se fu rifatta più volte, ultimamente dopo un incendio del 1917, gli scavi e le ricerche di questi ultimi anni hanno permesso di riconoscere le strutture più antiche. All'epoca più antica appartiene un piccolo santuario, o forse martỳrion, o reliquiario del santo, ritrovato sotto l'altare e distrutto quando fu costruita la basilica, cioè verso la metà del V secolo. La basilica aveva cinque navate separate da quattro file di colonne, il transetto era rialzato e le sue braccia, secondo il gusto orientale, erano circondate da portici con colonne. Al disotto della chiesa e a livello di una strada che fiancheggiava l'edificio verso E, un ninfeo a cinque nicchie, appartenente alle terme romane, fu trasformato in hagiasma, abbellito, poi, in fasi successive, da un'edicola in marmo a sette colonne e connesso, evidentemente, con un antico culto delle acque. La basilica fu distrutta da un primo incendio nella seconda età del VII sec. e immediatamente ricostruita sulla stessa pianta, ma con alcune trasformazioni nella cripta e nel transetto e abbassando il tetto di circa m 1,50. A sinistra della navata centrale sono state trovate le fondazioni di un'edicola esagonale che il Sotiriou interpretò come i resti del ciborium in marmo che rimpiazzò il ciborium in argento distrutto forse nel sec. X dai Saraceni. L'incendio del 1917 distrusse la maggior parte dei mosaici che ornavano la chiesa e che risalgono alle due fasi primitive del V e del VII secolo.

Fra le chiese paleocristiane di S. vanno altresì ricordate la chiesa dell'Achiropitos, grande basilica a tre navate, di tipo nettamente orientale (le sue ascendenze si ritrovano nella Siria centrale e nell'Anatolia) con pareti forate da un doppio piano di arcate e nell'intradosso di queste ricchi mosaici ornamentali con vasi, pampini, uccelli, serpenti, foglie, fiori, croci, ecc. (seconda metà del V sec.) e l'oratorio detto del Cristo Latomos (V sec.), a pianta quadrangolare, che presenta nell'abside uno splendido mosaico con il Cristo imberbe circondato dai simboli degli evangelisti (m 5,50 × 2,50), Al VI sec. appartiene la chiesa di S. Sofia con una cupola sostenuta a N e a S da due grandi archi, decorata più tardi, nell'VIII sec., da mosaici. Ad E di questa chiesa sono stati recentemente trovati i resti di una grande basilica del V secolo. A queste chiese più antiche si aggiungono poi le numerose chiese dei secoli X-XIV, tutte trasformate in moschee durante il dominio turco e che contribuirono a fare di S. una delle capitali del mondo bizantino.

Nel vecchio Museo Archeologico sono conservati i ricchi materiali provenienti dal territorio di S.: rilievi funerarî, sarcofagi di età romana e di particolare importanza per l'alta qualità artistica, iscrizioni delle necropoli greche e romane, sculture, statue, ecc. Un nuovo e moderno museo è in allestimento nella zona della città universitaria.

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