SAHARA

Enciclopedia Italiana (1936)

SAHARA (A. T., 105-106 e 109-110-111)

Attilio MORI
Emile Félix GAUTIER
Fabrizio CORTESI
Mario SALFI
Paolo GRAZIOSI
Francesco BEGUINOT
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Generalità. - Il Sahara, chiamato talvolta anche Gran Deserto, è in realtà il più vasto deserto del globo. Esso si estende attraverso l'intero continente africano dall'Atlantico al Mar Rosso per un'ampiezza di circa 50 gradi di longitudine e con una larghezza media di circa 2000 km., pari alla distanza da Roma ad Oslo. Nel complesso abbraccia un'area di poco inferiore a 8.000.000 di kmq., cioè il 27% dell'Africa intera; e in realtà si dovrebbe tener conto che, dopo la breve interruzione del Mar Rosso, esso si continua coi deserti asiatici (v. sotto).. A N. il Sahara si affaccia al Mediterraneo in corrispondenza alle Sirti; a S. il confine col Sudan e perciò con l'Africa tropicale non è indicato da cambiamenti nelle forme del terreno, ma da fatti di ordine climatico, ossia dalla graduale comparsa di un periodo di piogge estive, alla quale si accompagna la comparsa della vegetazione steppica. La stretta zona di transizione segue all'incirca il 18° lat. a O., il 16° a E. Il deserto è tagliato in tu̇tta la sua estensione dal Tropico del Cancro.

Esplorazione. - La storia dell'esplorazione del Sahara può dirsi risalga a poco più di un secolo. Sebbene dalle testimonianze degli antichi scrittori appaia come sino dalle età più remote si avessero vaghe cognizioni sulle condizioni fisiche e sulle genti che abitavano la vasta distesa desertica che si estende a sud dell'Africa mediterranea, le grandi lacune che tali conoscenze lasciavano sussistere e le strane favole che le circondavano toglievano loro gran parte del credito. D'altronde il Sahara fu ritenuto per secoli, nel suo complesso, una regione inabitabile, dove l'elevata temperatura e l'estrema siccità rendevano impossibile ogni manifestazione di vita. Le poche notizie tramandateci non riguardavano che alcuni lembi delle zone più settentrionali che erano state teatro d'imprese militari e dove si era affermata la dominazione dei popoli stabiliti sulle coste, principalmente dei Romani, della presenza dei quali cospicue testimonianze ci rimangono. La cartografia tolemaica, come più tardi quella medievale ispirata a fonti arabe, ci dànno la rappresentazione grafica di queste limitate e in gran parte fantastiche conoscenze; ma a parte le scarse notizie che alcuni mercanti italiani riferirono su viaggi da essi compiuti, quale il genovese A. Malfante che fu al Tuat e il fiorentino B. Dei che si sarebbe spinto sino a Timbuctu, possiamo dire che le informazioni dirette manchino addirittura. La regolare ricognizione, dalla quale la scienza poté trarre dati sicuri sulle reali condizioni del Sahara, s' inizia per opera di quell'African Association di Londra che, sullo scorcio del sec. XVIII, si propose di affrontare e risolvere il problema dell'esplorazione del continente africano. Prescindendo da qualche tentativo anteriore fallito, il primo europeo che a scopo di studio riuscì a penetrare nel Sahara compiendone la traversata sino al Sudan, fu Federico Hornemann, inviato dall'associazione anzidetta (1798-1800), che dal Cairo per le oasi di Sīwa e di Åugila e i monti Harugi es-Sod pervenne a Murzuch, raggiunse la costa a Tripoli e di lì ritornato nel Fezzan riuscì a proseguire verso il Bornu e a raggiungere il Niger, dove trovava la morte. Sebbene di questa seconda parte del viaggio compiuto nulla abbia potuto farci conoscere, la descrizione lasciataci dell'itinerario Cairo-Murzuch costituisce il primo documento che si possegga per l'illustrazione del Fezzan. Alle notizie riferite da F. Hornemann seguirono quelle raccolte dal cap. G. F. Lyon (1818-1821) che unitamente al Ritchie (deceduto a Murzuch) si era proposto di riprenderne il programma senza però riuscire a superare i limiti del Fezzan. Esito migliore ebbe la spedizione Oudney-Clapperton-Dehnam (1822-25) che da Murzuch poté compiere la traversata del Sahara da nord a sud e riuscire alla scoperta del Lago Ciad, compiendo così una delle più fruttifere imprese che la storia della esplorazione africana ricordi. Seguirono la spedizione di Gordon Laing (1825-26) che da Tripoli, primo europeo nei tempi moderni, visitò l'oasi di Gadames descrivendola minutamente e di lì per In-Salah raggiunse il corso del Niger e penetrò nella misteriosa Timbuctu dove ebbe tragica fine. Di assai grande profitto per la conoscenza del Sahara riuscì il viaggio di J. Richardson (1845-46) da Tripoli a Gadames e di lì a Gat non ancora da altri visitata, e quindi a Murzuch con ritorno a Tripoli; e più ancora la grande spedizione che sotto la guida dello stesso Richardson (perito per malattia nel Bornu) attraversato il Fezzan penetrava nel Sudan. L'ampia relazione stesane da H. Barth, che ne fu l'unico superstite, costituisce un documento del più alto valore, che illustra una parte del Sahara centrale non prima da altri visitata. Ulteriori contributi vi portarono le disgraziate spedizioni di E. Vogel, che avrebbe dovuto aggregarsi a quella del Richardson (1853-56), e di M. Beurmann, che, partito per rintracciare il Vogel, seguì da Bengasi un itinerario nuovo per raggiungere l'Uadai dove al pari del Vogel veniva barbaramente ucciso.

La penetrazione sahariana, che sino allora si effettuava per le vie di Tripoli e di Bengasi, come consigliavano le ragioni geografiche e i più facili rapporti delle autorità costiere e dei mercanti arabi con l'interno, non poté esplicarsi con pari successo dalle coste dell'Atlantico, dove fra i molti tentativi infruttuosi è da ricordare specialmente quello di Leopoldo Panet, un francese del Senegal, che nel gennaio 1850 compie la traversata del Sahara occidentale movendo da Saint-Louis per raggiungere Mogador e quella del cap. Vincent che da Saint-Louis riuscì a penetrare nell'Adrar. Ma l'espansione che, dopo la conquista definitiva dell'Algeria, prenderà l'occupazione francese nei territorî del sud algerino varrà a dare un impulso validissimo all'esplorazione del Sahara algerino e di quello occidentale in genere. Fra le imprese più fruttifere per la geografia del Sahara algerino e di quello libico ricordiamo la sistematica esplorazione compiuta da H. Duveyrier nel territorio dei Tuareg (1859-61) del sud algerino e nel Fezzan. Fra i principali esploratori che hanno arricchito le nostre conoscenze su tutta la regione sahariana meritano una menzione speciale i tedeschi G. Rohlfs e G. Nachtigal. Dal 1861 al 1880 il Rohlfs perlustrò l'immensa regione desertica dal sud marocchino sino alle estreme oasi orientali del deserto libico. Primo fra i moderni viaggiatori penetrò nel Tuat, attraversò il Sahara da ovest ad est e da nord a sud integrando con tratti nuovi gli itinerarî dei precedenti viaggiatori, e per primo riuscì a spingersi sino alle remote, e sino allora inviolate, oasi di Cufra. Al Nachtigal, oltre a una nuova traversata del Sahara centrale da Tripoli al Bornu e alle coscienziose osservazioni raccolte, dobbiamo informazioni dirette sulla regione montana del Tibesti, nella quale riuscì per primo a penetrare, e nuovi itinerarî nei territorî adiacenti al Lago Ciad. Ricordiamo inoltre i viaggi di H. von Barv a Gat e nell'Air o Asben conclusi con la sua misteriosa fine a Gat, e quelli di notevole importanza scientifica dell'austriaco tìskar Lene nel Sahara marocchino e dal Senegal a Timbuctu (1879-1880). Ma in seguito agli accordi franco-britannici per la delimitazione delle rispettive sfere d'influenza il Sahara occidentale diventa un campo particolarmente riservato all'attività esploratrice dei Francesi, che si manifesterà con una serie di ricognizioni, di studî e di regolari rilevamenti che trasformeranno la rappresentazione cartografica dell'immensa regione. Al progresso delle occupazioni militari si uniscono gli studî per la costruzione di una ferrovia transahariana destinata a congiungere l'Algeria al Niger: antico disegno concepito da oltre un mezzo secolo, vivacemente sostenuto e combattuto, ma non uscito ancora dalla fase delle aspirazioni e delle proposte. Per il compimento di tali studî furono organizzate negli anni 1880-81 le due missioni affidate al colonnello Flatters: la prima fruttò la ricognizione della valle dell'Ighargharnel Hoggar e la seconda, che prometteva per la sua vasta organizzazione i più ampî risultati, doveva tragicamente concludersi con l'eccidio di quasi tutti i suoi membri compiuto dai Tuareg del Hoggar il 16 febbraio 1881. A scopo scientifico dapprima e poi anche politico-militare sono da ricordare i viaggi e le esplorazioni sistematiche compiute da Fernand Foureau tra il 1883 e il 1897 nel grande Erg orientale e quindi (1898-1900) per l'Hoggar nel Sahara algerino orientale, compiendo quella magnifica traversata dall'Algeria al Ciad che assicurava il collegamento dell'Africa mediterranea con l'Africa Equatoriale Francese. Non è qui il caso di ricordare partitamente tutte le imprese che dai primi del sec. XX si compirono dai Francesi per estendere la conoscenza dell'immenso loro dominio sahariano. Ci limitiamo a segnalare quelle del geologo E.-F. Gautier e di R. Chudeau (1906-07) altamente fruttifere per la scienza; del cap. Cortier (1908-1910), che arricchirono la cartografia sahariana di numerose determinazioni astronomiche e topografiche; del tenente Clerget de Saint-Leger che esplorò minutamente l'Erg Chech; del cap. Augiéras che da Algeri attraverso l'Iguidi, penetrò nell'Adrar e raggiunse il senegal seguendo itinerarî in gran parte nuovi; del gen. Laperrine, che svolse quasi tutta la sua carriera nelle regioni sahariane percorrendole in ogni senso e che chiuse la sua nobile esistenza in un tragico accidente aviatorio. Finalmente non possiamo dimenticare l'opera di un grande condottiero ed organizzatore e ad un tempo di un vero scienziato, compiuta dal comandante Tilho per l'illustrazione della regione adiacente al Lago Ciad e specialmente del Tibesti, da lui e dai suoi dipendenti ormai minutamente esplorato. Ciò che i Francesi hanno compiuto negli ultimi decennî sul loro dominio sahariano, studiosi ed ufficiali italiani non hanno mancato egualmente di compiere con non minore impegno in quella parte del Sahara libico sottoposta al dominio dell'Italia. Missioni scientifiche sono state organizzate dalla R. Società geografica, dall'Accademia d'Italia e affidate a specialisti nei varî campi della scienza; i rilevamenti sistematici, fondati su regolari operazioni astronomiche, vengono gradatamente a sostituire le vecchie carte generali a piccola scala, basate sulle scarse osservazioni degli antichi viaggiatori; cosicché in pochi anni la regione del Sahara italiano da Gadames a Gat, al margine settentrionale del Tibesti e ai massicci montani della Auenát e dell'Árchenu è divenuta campo di un'intensa attività scientifica che giornalmente ne arricchisce la conoscenza. Nella sezione orientale del deserto libico l'opera di studiosi e ardimentosi viaggiatori egiziani, fra i quali ricordiamo primo di tutti Hassenein Bey e il principe Kemāl ed-Dīn Hussein e quella degli ufficiali inglesi vale ad integrare questi rinnovati sforzi che con tanto profitto sono rivolti all'esplorazione di un territorio immenso, per secoli sottratto alla investigazione del mondo civile.

Circolazione atmosferica generale. - Il deserto è la conseguenza di fatti d'ordine climatico e la sua esistenza è spiegata dal fatto sopra segnalato che il Sahara è traversato in tutta la sua estensione dal Tropico del Cancro. Infatti in tutti i continenti e più precisamente sulle loro coste occidentali, nel punto in cui il Tropico, sia quello del Cancro sia quello del Capricorno, tocca la costa, si ha invariabilmente una zona desertica: in America il deserto americano a N. e quello d'Atacama a S.; in Africa, il Sahara a N. e il Kalahari a S.; in Australia, il deserto australiano; anche nella grande isola semicontinentale di Madagascar, s'incontra a sud il deserto Mahafaly. È da osservare che il deserto tropicale è esclusivo delle coste occidentali dei continenti e che esso non raggiunge mai le coste orientali; ciò si verifica anche nel caso del Sahara che parrebbe a prima vista un'eccezione.

L'Asia, l'Europa e l'Africa sono continenti distinti solo per convenzione: in realtà esse costituiscono una sola massa continentale che è la più grande del pianeta. È per ciò che il Sahara forma il Gran Deserto; esso oltrepassa il Mar Rosso, che è uno stretto mare interno, e si prolunga nei deserti d'Arabia, di Siria, di Persia, del Belücistān, dell'Indo, sempre lungo il Tropico. Invece sulla costa orientale, in Cina e in Indocina, nessun deserto interrompe le regioni delle grandi piogge monsoniche. Il Sahara obbedisce dunque rigorosamente alla legge che presiede alla distribuzione dei deserti tropicali, legge che è in relazione con la circolazione atmosferica e col senso della rotazione terrestre. Se essa viene applicata al caso speciale rappresentato dal Sahara, risulta essenzialmente quanto in brevi parole verremo esponendo qui di seguito.

Al largo del Sahara, sull'Atlantico, si trova la zona di alte pressioni (circa 770 mm.) che i meteorologi chiamano massimo barometrico delle Azzorre. È questa la principale causa determinante del Sahara. In questa cintura tropicale di alte pressioni, che forma un tramezzo tra le grandi zone di depressione degli alisei a S. e dei venti occidentali a N., e dove si arresta la circolazione degli alisei e dei controalisei, tutta la colonna d'aria, dalla cima al fondo, è animata da un movimento generale discendente; ed è noto che l'aria discendente si scalda e si dissecca.

Il Sahara quaternario. - Connesso com'è col tropico, si potrebbe credere che il Sahara sia esistito in modo permanente in tutto il passato del pianeta. Vero è che noi non sappiamo se la posizione dei poli sia rimasta immutabile attraverso tutta l'esistenza della Terra. È certo tuttavia che nell'epoca immediatamente precedente alla nostra, quella che i geologi chiamano Quaternario o Pleistocene e che nell'uso corrente i profani chiamano epoca glaciale, nella quale già viveva l'uomo preistorico, il Sahara era molto diverso da come lo vediamo oggi.

Quando la maggior parte dell'Europa e dell'America Settentrionale erano coperte da ghiacciai, il Sahara era attraversato da grandi fiumi, ancora ben riconoscibili nelle valli che essi scavarono. Sono valli disseccate, morte, fossili; ma la loro morte è così recente, che la fauna acquatica non è ancora del tutto scomparsa. Nelle buche d'acqua degli uidian quaternarî si trovano pesci dell'Africa equatoriale fino in prossimità del Mediterraneo.

Piccoli pesci chiamati Chromys, che appartengono incontestabilmente alle acque sudanesi, vivono in gran numero nelle oasi della Tunisia meridionale, nell'uadi R'ir e fino a Biskra. Si vedono correre nei seguias (canali d'irrigazione) e hanno certamente trovato rifugio nelle falde acquee sotterranee, perché sono stati visti saltar fuori dai pozzi artesiani. Anche fino a Biskra giungono pesci sudanesi molto più grossi, Clarias lacera (cat-fish degli Americani). Nelle montagne del Hoggar (Ahaggar) e precisamente in un uadi quaternario detto uadi Imihru, non lontano dalla frontiera della Libia italiana, sono stati trovati coccodrilli, e se ne sono trovati anche nel Tibesti, appartenenti alla specie Champse vulgaris (ex Crocodilus niloticus). Questi animali conducono un'esistenza stentata; la loro lunghezza non supera un metro. Del resto, anche i cat-fishes non raggiungono nel Sahara le loro dimensioni normali. Questa fauna acquatica ha insomma i caratteri di degenerazione di una fauna relitta.

Chromys, cat-fishes, coccodrilli vivono oggi un'esistenza normale nel Nilo, unico fiume che abbia mantenuto una comunicazione d'acqua corrente tra l'equatore e il Mediterraneo attraverso il Sahara. La sopravvivenza d'una fauna superstite, degenerata nel Sahara centrale e occidentale, presuppone l'esistenza di altri fiumi simili al Nilo; gli uidian quaternarî morti e fossili che tuttora si vedono hanno necessariamente trasportato masse d'acqua fino a un'epoca che non possiamo far risalire molto indietro nel passato.

Tuttavia non è da credere che il Sahara quaternario sia stato una regione a precipitazioni normali come le nostre. Gli uidian quaternarî non sono diffusi uniformemente su tutta l'immensa distesa del Sahara: le loro valli morte incidono i fianchi dei massicci montuosi, come il versante meridionale dell'Atlante, il massiccio del Hoggar, del Tibesti e la catena arabica. Il caso della catena arabica è particolarmente significativo. Tutta la catena è incisa da uidian quaternarî su entrambi i versanti, quello del Mar Rosso e quello del Nilo. Sul versante niliaco le valli morte sboccano al fiume che non attraversano e al di là del quale non si trovano altre valli simili. Sulla riva sinistra si distende l'immenso deserto di Nubia, altipiano d'arenaria poco elevato, nel quale non è stata trovata nessuna valle morta di qualche continuità. L'alto massiccio del Hoggar è una regione di sorgenti donde gli uidian si sono irraggiati in tutte le direzioni. Uno di essi, l'Igharghar, è stato studiato particolarmente. Esso sboccava nel bacino dei grandi sciott, a S. della Tunisia, e non andava oltre, perché non ebbe mai la forza d'intaccare la mediocre soglia di Gabes per giungere al vicino Mediterraneo.

Bisogna dunque ammettere che il Sahara quaternario era, se non un deserto come oggi, almeno una steppa con immense distese aride, percorsa da grandi fiumi che sboccavano entro bacini chiusi e che in generale non ebbero la forza o il tempo di aprirsi uno sbocco nel mare. In un passato molto più remoto del Quaternario, si hanno indizî che permetterebbero di concludere per una ricorrenza a intervalli diversi del clima arido sul Sahara. In tutta la sua distesa, dal deserto di Nubia alla Mauritania, occupano un posto considerevole delle arenarie rosse sprovviste di fossili marini e che contengono invece talora legno silicizzato. Sarebbero dunque formazioni continentali. I geologi hanno determinato l'età di queste arenarie rosse che appartengono a epoche molto diverse. Le arenarie nubiane sono indubbiamente del Cretacico, come anche quelle del Tidikelt e del Tuat a S. dell'Algeria. Invece le arenarie del Tibesti, del Hoggar (Tasili, Muidir), della Mauritania (Adrar mauritanico, Tagant) sono sicuramente del Devonico, del Silurico e forse anche del Cambrico. Tutte queste arenarie hanno però la medesima facies e un'arenaria del Cretacico non si distingue a occhio da una del Silurico. Per spiegare questo fatto i geologi hanno suggerito che l'identità della facies sia dovuta all'identità dell'origine: tutte le arenarie rosse sarebbero dune desertiche consolidate.

Con oscillazioni nel senso d'una maggiore umidità, della quale il Sahara quaternario sarebbe l'esempio più recente e meglio noto, il carattere desertico della zona tropicale che oggi si chiama Sahara sarebbe dunque attestato fin dal Silurico. Ciò significa che il tropico e i poli non avrebbero più mutato di posto da quella remota epoca.

Geologia. - La geologia dell'intero Sahara è estremamente semplice. Immediatamente a S. dell'Atlante, che è una catena d'increspamento partita dal sistema alpino, il Sahara assume l'aspetto perfettamente opposto d'un vecchio penepiano cristallino, massa rigida, parte integrante del continente africano, il quale conserva questa medesima struttura fino alla Colonia del Capo.

L'antico penepiano cristallino affiora ed è direttamente osservabile su aree enormi; altrove sparisce sotto sedimenti talora continentali e tal altra marini, arenarie, scisti, calcari di epoche ben determinate: Cambrico, Silurico, Devonico, Carbonico, Cretacico, Terziario. Questi strati sedimentarî hanno in comune la caratteristica di formare un rivestimento che all'atto pratico è orizzontale e che attesta la rigidità del penepiano sottostante.

Nel Tibesti, sul perimetro del Hoggar (altipiani di Tasili e di Muidir), nella Mauritania (Adrar, Tagant), gli stessi sedimenti più antichi, forse cambrici e sicuramente silurici, hanno conservato la loro orizzontalità attraverso tutta la prodigiosa durata delle ere geologiche; essi conservano tuttora press'a poco il medesimo andamento che ebbero al momento remotissimo della loro formazione.

Questa caratteristica avvicina il Sahara ad altre regioni della Terra, quali la Siberia e il Canada. Per queste masse della crosta terrestre che hanno resistito ai corrugamenti, i geologi hanno adottato il nome di "scudi".

In generale sarà sufficientemente definito l'aspetto geologico del Sahara, dicendo appunto che esso è uno scudo della crosta terrestre. S'intende che attraverso l'immensa durata delle epoche geologiche la rigidità non significa immobilità assoluta. Corrugamenti leggieri si trovano sull'orlo nord-occidentale dello scudo, nel punto in cui si è fatta sentire la pressione formidabile del piegamento dell'Atlante. In tutta la distesa del Sahara si sono prodotti movimenti epeirogenetici che hanno determinato fratture e faglie. Da queste fratture sono venute alla superficie masse enormi di lave fino a un'epoca assai vicina alla nostra. Non esistono più nel Sahara vulcani attivi; ma la cima più elevata del Tibesti, per esempio, l'Emi Kussi, è un cono vulcanico dal cratere recentissimo, un apparato vulcanico mirabilmente conservato.

Rilievo. - Il rilievo è costituito dai rigonfiamenti epeirogenetici del penepiano. Sono cupole di forma schiacciata, con pendii poco pronunciati, ma di raggio molto ampio, tanto che raggiungono insensibilmente altitudini considerevoli. Nell'O., in vicinanza dell'Atlantico, la cupola degli Eglab raggiunge un migliaio di metri; e la medesima altezza si raggiunge a un dipresso nell'Adrar degli Ifoghas a NE. del grande gomito del Niger.

Tra lo sprofondamento del Mar Rosso e quello della valle del Nilo la catena arabica forma una fascia di penepiano sollevata fino a 1700 o 1800 m.

Le massime altezze si trovano nel Sahara centrale, nel Hoggar, fiancheggiato a S. dall'Air, e nel Tibesti. L'Air (che si chiama anche Asben) rimane al disotto di 2000 m.; le cime del Hoggar raggiungono quasi i 3000 m.; il Tibesti 3400 m.

Questi massicci sono isolati e discontinui. In mezzo e intorno a essi la piattaforma sahariana è scavata di bacini chiusi, senza sbocco. A N. vi è il bacino del Fezzan e quello del basso Igharghar, nel quale l'altitudine discende, nello sciott Melghir, a una trentina di metri sotto il livello del mare; a O., a N. del gomito del Niger, si trova l'immenso bacino del Giuf ancora assai mal conosciuto; nel cuore del Sahara sta l'altro grandissimo bacino del Ciad.

In Egitto l'erosione del Nilo ha aperto la comunicazione col Mediterraneo; ma il Nilo è un fiume recente, come dimostrano le sue cateratte. Esso ha lasciato sussistere sulla sua riva sinistra il piccolo bacino chiuso di el-Fayyūm, quello dell'uadi Natrūn, in cui l'altitudine discende a una cinquantina di metri sotto il livello del mare.

Il rilievo generale del Sahara è una scacchiera d'ondulazioni positive rappresentate da vaste cupole e d'ondulazioni negative rappresentate da bacini chiusi. Sembra che questo sia il rilievo strutturale quale fu plasmato dai movimenti epeirogenetici e rimasto immutato. L'erosione fluviale non è riuscita a cancellarlo e a sostituirgli, come nei nostri paesi dove esistono piogge, un sistema di valli, un rilievo d'erosione. È questo un motivo di più per supporre che il Sahara, nonostante alcuni intermezzi relativamente piovosi, come il Quaternario, sia un deserto molto antico.

Aspetto della superficie. - Ciò che il Sahara ha di più caratteristico per l'occhio dell'europeo è il suo aspetto superficiale. Questo aspetto è naturalmente dovuto in larga misura all'erosione eolica; ma non bisogna dimenticare lo sgrondo degli uragani e l'erosione fluviale, per quanto scarsa. La modellatura risulta da una combinazione di fattori desertici.

Negli altipiani d'arenarie intorno al Hoggar, in quelli del Tibesti, dell'Ennedi, negli altipiani calcarei del Tademait, ecc., si ammirano magnifici cañón stretti e profondi, la cui origine è chiaramente in relazione con gli uidian quaternarî.

Dappertutto alla superficie del Sahara si trovano balze originate da erosioni molto più antiche e accompagnate da innumerevoli colline testimonî.

Nella Marmarica, in Cirenaica, in Tripolitania, nell'Algeria meridionale, gli altipiani terziarî e cretacici terminano, verso S., con alte scogliere. Nell'Algeria meridionale, la balza terminale del Tademait strapiomba da un'altezza di molte centinaia di metri sulle oasi del Tidikelt. I geologi avevano dapprima supposto l'esistenza di una faglia, ma non hanno potuto trovarne traccia: si tratta d'una pura balza d'erosione. Gli altipiani d'arenaria rossa primaria del Muidir e del Tassili terminano a S. con doppie balze che disegnano un'aureola a N. del Hoggar. Nella Mauritania le balze del Hank si spingono a raggiungere quelle dell'Adrar e del Tagant. Nel deserto di Nubia le oasi egiziane di Khārga, Dākhla, ecc., sono circondate da una cerchia di balze.

È facile intendere che all'intermittenza e insufficienza dell'erosione fluviale ha supplito l'enorme durata di tempo durante la quale questa erosione ha potuto svolgersi, dal Silurico e anche solo dal Cretacico.

Al modellamento d'erosione fluviale il clima desertico aggiunge una caratteristica importante, cioè l'eccezionale inclinazione dei pendii che non sono protetti da nessuna vegetazione e il cui carattere pulverulento espone agli eterni assalti dei venti.

Sotto l'influsso combinato delle due forme di erosione, fluviale ed eolica, le cime rocciose appaiono irte di guglie alpestri inaccessibili. II clima desertico produce quivi effetti paragonabili a quelli dei ghiacciai.

Allo splendore delle forme l'aspetto desertico aggiunge la magnificenza dei colori. L'insolazione violenta, l'evaporazione intensa fanno salire e depongono sulla roccia nuda tutto ciò che essa può contenere di minerale di ferro. Ne risulta una colorazione in rosso cupo o nero.

Le immense distese degli altipiani calcarei o d'arenaria fanno parte del Sahara roccioso. Il soffio eterno del vento li ha sbarazzati da ogni terriccio mobile. La roccia è nuda, coperta di piccole schegge, irta di minute protuberanze, tutta percorsa da screpolature aperte, spolverata e verniciata fino ai confini dell'orizzonte. È la hamādah degli Arabi.

Nelle parti basse, ossia nei bacini, il paesaggio è del tutto diverso. Tutto ciò che, nel volger dei tempi, l'erosione ha strappato ai massicci montuosi, si trova necessariamente accumulato nei bacini, perché essi sono chiusi. Nulla ha potuto uscire da essi se non trasportato dal vento. Essi sono dunque tappezzati da un'immensa pianura d'alluvioni. La pianura che si sussegue per giorni e giorni, unita come il mare e chiusa nel cerchio regolare dell'orizzonte, è un paesaggio sahariano tipico.

Attraverso la pianura alluvionale emergono qua e là spuntoni rocciosi, disseminati nella regione pianeggiante un po' come l'arcipelago greco è disseminato nell'Egeo. Per designare questo genere di paesaggio desertico i geografi tendono ad adottare un'espressione introdotta da S. Passarge a proposito del Kalahari: Inselberglandschaft, paesaggio a monti isolati.

L'erosione eolica ha lasciato tracce anche sulla superficie della pianura. Tutte le particelle argillose leggiere sono preda del vento e restano perpetuamente sospese nell'aria, finché siano lentamente trasportate fuori dal dominio sahariano, in regioni in cui le piogge lavano l'atmosfera. Le ghiaie, necessariamente mescolate con le alluvioni argillose, restano sul luogo e s'accumulano formando tappeti analoghi a quelli che i giardinieri creano artificialmente nei viali dei giardini.

A questa pianura di ghiaie gli Arabi dànno il nome di reg nel Sahara occidentale e di serir nel Sahara orientale.

È ugualmente nei bacini che sono accumulati gli enormi ammassi di dune, così tipici e per conseguenza così noti, che è superfluo descriverli. Gli Arabi li chiamano erg e ogni bacino ha il suo erg. Essi rappresentano le alluvioni sabbiose, vagliate, sconvolte, modellate e trascinate dal vento. Nel punto di maggior depressione dei bacini, l'acqua condottavi dai pendii superficiali non può più scorrere; essa prende allora l'unica via che le rimane libera, quella dell'atmosfera. Evaporando, quest'acqua depone gli elementi chimici che conteneva: cloruri e carbonati di sodio. Da ciò derivano gli "sciott" o "sebkha", enormi distese disseminate o pavimentate di sale.

Questi paesaggi sahariani ci sono così poco familiari come, p. es., quelli polari. Essi hanno un fascino potente di solitudine infinita in una cornice fantastica e grandiosa.

Clima. - Il Sahara deve i suoi caratteri al fatto che non vi piove abbastanza. Naturalmente, ciò non significa che non vi piove affatto. Non vi è nessun punto del deserto su cui non possa giungere una volta per caso una depressione venuta dal Mediterraneo o un tornado venuto dal Sudan. Si tratta di vedere quale sia la quantità delle piogge.

Le stazioni meteorologiche sono rare e i loro dati non sempre attendibili, salvo forse in Egitto. Al Cairo tra il 1890 e il 1919 si sono registrate soltanto 18 cadute di pioggia superiori a 10 mm.; queste piogge sono mancate completamente durante 17 anni su 30, specialmente durante tutta la serie di anni tra il 1909 e il 1916. In compenso, il 17 gennaio 1919 il pluviometro dell'Ezbekieh registrò in una sola volta 43 mm. Questi dati sono un'immagine abbastanza fedele di ciò che avviene su tutto il deserto. Un uadi per quanto possa essere morto, sotto l'influsso d'un temporale può trasformarsi improvvisamente in un torrente pericoloso. Ma questi parossismi violenti sono locali ed eccessivamente rari. Sopra un punto determinato si possono attendere inutilmente per una lunga serie d'anni. In base a osservazioni fatte nel Sahara francese è stata stabilita la media annua delle piogge in circa un centinaio di millimetri. È una cifra massima che può servire di riferimento. Ma qualunque media annua è probabilmente illusoria in un paese in cui le precipitazioni sono così irregolari.

Le alte cime del Hoggar (3000 m.), del Tassili (2300 m.), del Tibesti (3400 m.) non si sottraggono, se non in modo molto relativo, all'aridità generale. Anche queste montagne fanno completamente parte del Sahara.

L'aria è fortemente secca. Secondo le cifre raccolte all'osservatorio di Tamanrasset nel Hoggar, a 1400 m. d'altitudine, l'umidità relativa oscilla di mese in mese tra 4 e 21%; il tenore d'un metro cubo d'aria in grammi di vapor d'acqua, tra 1 e 3,6.

Una conseguenza di queste condizioni cono le forti escursioni della temperatura. D'inverno, il ghiaccio non è raro; d'estate, il termometro all'aria libera segna 47° e 48°; nelle sabbie delle dune, fino a 70°. Le variazioni diurne giungono a 25°.

Un'altra conseguenza è l'evaporazione intensa che aggrava l'insufficienza delle piogge. È da notare che la rete degli uidian quaternarî morti, dove è ancora incisa sul suolo, rimedia fino a un certo punto a questa insufficienza. Questa rete coerente, coordinata, impedisce all'acqua piovana di scorrere, la concentra e la convoglia fino alle masse di terra mobile o di sabbia, dove l'acqua stessa trova un riparo contro l'evaporazione. Gli uidian quaternarî morti assumono in tal modo un'importanza postuma come rete naturale d'irrigazione.

Un'altra circostanza ancora aiuta il Sahara a costituire la sua riserva d'acqua. La scacchiera di bacini da cui esso è formato è una zona depressa della crosta terrestre. Tutto all'intorno, nelle zone extrasahariane sorgono alti massicci i cui versanti convergono verso il Sahara. A N. vi è la catena dell'Atlante, a S. la serie dei poderosi massicci sudanesi, dal Futa Gialon all'Adamaua e all'Abissinia. Le piogge che cadono su questi massicci lontani sono in parte avviate lungo i versanti verso i bacini sahariani. In questa maniera il Sahara trae beneficio da piogge lontane che effettivamente non gli appartengono.

Vegetazione e flora. - Tutto considerato, le riserve d'acqua superficiale e profonda sono insufficienti, come è dimostrato dalla vegetazione, sia in sé stessa sia nella distribuzione. Gli alberi sono rappresentati dalla Phoenix dactylifera limitata alle oasi e che alcuni vogliono originaria del territorio sahariano, conservata e tramandata attraverso la coltura, da alcune Acacie e dall'Hyphaene argun palma nana degli uidian nubiani fra il Nilo e il Mar Rosso. Le piante erbacee presentano caratteri nettamente xerofitici con aspetto spartiforme, riduzione o scomparsa delle foglie, spinosità, pelosità più o meno sviluppata e nei terreni salati anche carnosità delle foglie o del sistema vegetativo in genere: altre presentano lunghissime radici che si affondano nel terreno 2 o 3 m. per raggiungere l'acqua; le specie bulbose sono rare e hanno sempre (es. Erythrostictis) gli organi sotterranei piccoli e poco sviluppati. Alcune piante assumono una forma contratta globulare che le difende contro la siccità e permette loro di essere rotolate e trasportate dal vento, senza rimaner seppellite dalla sabbia; così avviene nel lichene della manna (Lecanora esculenta) dal tallo di forma globulare, nella rosa di Gerico (Anastatica hierochuntica) e nell'Odontospernum bygmaeum, e in queste due ultime piante la contrazione dell'apparato vegetativo è in relazione con la difesa dei frutti e dei semi in attesa della pioggia.

Una categoria di vegetali che gli Arabi chiamano " âcheb" lotta contro l'aridità mediante una tattica speciale. Queste piante durano per mezzo dei loro semi che possono resistere all'aridità per un tempo quasi indefinito. Ma appena cade una pioggia di qualche importanza, il seme d'âcheb la utilizza con un'energia ammirevole. In un numero straordinariamente piccolo di giorni, essa germina, sviluppa il sistema vegetativo, fa sbocciare i fiori e produce nuovi semi.

Immense regioni sono totalmente sprovviste di vita, senza una goccia d'acqua né un filo d'erba, senza un insetto, e formano come un paesaggio lunare, il deserto nel deserto. Nell'ovest è il Giuf, a S. e a E. dell'Hoggar, il Tanezrouft e il Ténéré, a E. il deserto libico. Naturalmente, in queste regioni non vivono uomini; ma poiché esse coprono superficie immense e sbarrano le comunicazioni, le carovane sono costrette a traversarle seguendo pochi e pericolosi itinerarî.

Nella hamada la vegetazione è limitata agli uidian. Là dove affiorano formazioni gessose e dove (come avviene presso l'Atlante) le piogge invernali fanno sentire la loro influenza, si trovano formazioni cespugliose di Tamarix, di Retama, di Calligonum, Alhagi, Zizyphus alternati con Salsolacee succolente (Halocnemum, Arthrocnemum), con Limoniastrum quando il terreno è salmastro.

Nel gruppo montuoso del Hoggar per le speciali condizioni ambientali si trovano boschi i cui elementi provengono dall'Atlante o dalla regione mediterranea: Nerium, Rhus, Pistacia atlantica, Olea, Callitris quadrivalvis e forse anche un Juniperus. E qui presso e sull'altipiano di Tassili si trovano anche: Tamarix, Acacia, Salvadora, Balanites.

Presso l'oasi di Mzab (v. XXIV, p. 177) nella hamada si sono trovate solo poche Graminacee isolate, la salsolacea Caroxylum articulatum e un'Artemisia. Nell'erg le piante si trovano nelle vallate: qui si trovano Graminacee di alta statura del gruppo delle stipee insieme a cespugli isolati spartiformi. Negli uidian limitrofi all'Atlante, dopo gli acquazzoni invernali, rapidamente si sviluppa una vegetazione erbacea che permette il pascolo delle greggi.

Nelle oasi la massa principale della vegetazione è costituita da piante coltivate, alla quale si aggiungono talune piante introdotte involontariamente con esse e che sono erbe infestanti.

La flora sahariana è povera di specie: circa 1300. Però il Sahara costituisce un centro importante di vegetazione per le specie endemiche che esso contiene: oltre alla Phoenix dactylifera già accennata, il cui endemismo sahariano alcuni mettono in dubbio, vi sono generi endemici di Crocifere (Loncophora, Henophytum), di Composte (Rhanterium, Rhetinolepis, Warionea), di Plumbaginacee (Bubania) oltre a un numero considerevole di endemismi specifici. Le famiglie numericamente più numerose sono: Crocifere, Composte, Graminacee, Leguminose; vi è anche un numero considerevole di Chenopodiacee, fatto questo che collega la flora sahariana col dominio delle steppe asiatiche.

La frontiera settentrionale è aperta alle immigrazioni delle piante mediterranee. Però poche sono le specie mediterranee penetrate nelle oasi: oleandro, olivo, nel Sahara centrale Ampelodesmos tenax e più a sud nell'altipiano di Agadès Erodium glaucophyllum, e nelle sabbie di Tagama Helianthemum Lippii e sessiliflorum si spingono verso il Bornu, ove crescono piante di altro dominio floristico come Acacia senegal, Adansonia digitata, Borassus flabelliformis, Moringa pterygosperma, Cissus quadrangularis, Euphorbia balsamifera.

Nel distretto centrale sahariano costituito dagli altipiani di Tinghert, Hoggar, Tassili e del Fezzan sono state raccolte numerose specie comuni con la regione desertica mediterranea dell'Algeria: mentre a sud di Anhaf verso Iférouane si trovano alcune specie nettamente africane che divengono sempre più frequenti da nord verso sud: a Tinghert Acacia tortilis; nell'Hamada Issaouan Calotropis procera; a Tindesset Leptadenia pyrotechnica; ad Anahef Maerua rigida, Momordica elaterium, Balanites; a Tadent Boscia senegalensis; a In-Azaoua Acacia arabica, A. Trentiniani, Salvadora persica, Cocculus leaeba, Capparis decidua. A 19°43′ lat. N. compaiono Hyphaene thebaica e Acacia arabica. A sud di Agadès si osservano specie diverse di Graminacee che formano rivestimenti erbosi: Pennisetum distichum e dichotomum, Andropogon schoenanthus; quest'ultimo diviene più frequente andando verso il sud.

Nella zona del Fezzan, a Cufra, ad Áugila non esistono endemismi vegetali e la flora è poverissima. Del centinaio di specie e varietà conosciute per la flora del Fezzan, oltre la metà sono comuni a tutta la vegetazione sahariana dal Marocco al Golfo Persico; a Cufra le specie spontanee sono finora 23, pochissime quelle di Áugila, circa una trentina, mentre a Giarabub esistono in tutto 65 elementi floristici.

Il distretto desertico dell'Egitto si può distinguere in quattro settori: libico, istmico (fra la regione litorale mediterranea e l'uadi Tumilat), l'arabico settentrionale e l'arabico meridionale. Nei due primi settori, accanto alle piante desertiche già esistenti in altre zone sahariane, vi predominio di elementi mediterranei, mentre specie mediterranee orientali si trovano soprattutto nelle zone elevate dei due deserti arabici. Quello arabico settentrionale si collega con l'Arabia Petrea e la penisola del Sinai. Anche in Egitto, fatta eccezione per il delta del Nilo, vi è passaggio rapido dalla regione litoranea alla steppa e al deserto, come già si è osservato in Libia. Già al nord di Sīwa vi è il deserto sabbioso: questo a sud di tale oasi si tramuta in hamada, finché fra 28°-26° lat. N. comincia il grande deserto libico sabbioso, e poiché al 28° parallelo s'incontra Acacia tortilis, questo può considerarsi il limite del Sahara mediterraneo. Mentre fra l'oasi di Sīwa e di el-Farāfra il terreno è nudo e presenta sparsi ciottoli, a nord di el-Farāfra anche su terreni sabbiosi si trovano pascoli dei cammelli con Alhagi maurorum e Zygophillum album. Queste zone sono frequenti presso le oasi e vi si trovano anche: Aristida pungens, Sporobolus spicatus, Leptochloa bipinnata, Calligonum comosum, Nitraria retusa, Tamarix nilotica. In tutto il deserto libico sono frequenti: Aristida pungens e Fagonia arabica; mentre sono endemiche solo due specie: Erucaria crassifolia e Aristida Zittelii.

Nelle oasi la vegetazione spontanea consta di Graminacee, Capparidacee, Resedacee, Zigofillacee, Leguminose: sono frequenti i Tamarix, la calotropis procera e Citrullus colocynthis. Nell'oasi di el-Khārga vi sono due Ombrellifere endemiche: Pimpinella Schweinfurthii e Ducrosia Ismaelis, la Scrofulariacea tropico-africana Striga gesneroides, Schoenus nigricans e nelle sorgenti Utricularia obsoleta e Lemna paucicostata. Nella regione delle piccole oasi P. Ascherson ha trovato nelle dune sabbiose Populus euphratica, che si trova anche nell'Algeria occidentale, nel Sahara marocchino a Figuig e dalla Siria va fino all'India nord-occidentale e dal Belūcistān si spinge nella Zungaria mentre si trova in Africa a N. e S. dell'Equatore. Nelle zone umide delle oasi si trovano piante igrofile che vivono anche in Europa: Typha angustata, Imperala cylindrica, alcuni Cyperus, Fimbristylis ferruginea, Rumex dentatus, Samolus Valerandi, e nei terreni salati: Aeluropus repens, Cyperus laevigatus, Spergularia salina e media, Atriplex leucocladum, Salicornia fruticosa, Suaeda baccata e monoica (questa alta 4 m.), Frankenia pulverulenta e nelle paludi salmastre Ruppia maritima.

Il maggior numero delle specie ruderali delle oasi è d'origine mediterranea, poche sono comuni con l'Egitto; alcune sono state introdotte con la coltura del riso.

Fauna. - La fauna sahariana mostra i tratti caratteristici dei complessi faunistici delle grandi regioni desertiche. Essa appartiene alla sottoregione eremiana della grande regione paleartica. Tra i Mammiferi solo nelle estreme regioni meridionali s'incontrano specie di cercopiteci e lemuri fra le scimmie. Meglio rappresentati i Chirotteri con varie forme di Rinolofidi, Noctilionidi, Vespertilionidi e Pteropidi. Tra gl'Insettivori qualche specie di Sorex. La iena e lo sciacallo tra i Carnivori; nel sud verso il Lago Ciad comincia a comparire il leone; qualche procione ed altri Felidi. Tra i Roditori noteremo nelle regioni meridionali la presenza d'istrici. L'avifauna annovera varie forme: particolarmente predominanti i Passeracei, oltre a varî Rapaci, Trampolieri, Strigiformi. I Rettili annoverano varî Lacertili, tra i quali le iguane, gli uromastici, le agame, ecc. Per gli Anfibî citeremo varie forme di Ranidi. Interessante è la fauna degl'Invertebrati. Fra gl'Insetti predominano i Coleotteri, specie i Tenebrionidi, e gli Ortotteri con molte specie di Acrididi, tra i quali la ben nota cavalletta del deserto. I Crostacei sono rappresentati da Fillopodi e Ostracodi viventi nei pozzi. Varî Molluschi bivalvi popolano le scarse acque dolci della regione.

Preistoria e archeologia. - Da tempo si è potuto constatare che anche nel Sahara le stazioni preistoriche sono numerosissime e manufatti di ogni età vi sono ampiamente rappresentati. Si tratta quasi sempre di stazioni all'aperto con manufatti dispersi su territorî vastissimi, oppure raccolti, a seconda della loro età, in determinati punti favoriti da speciali condizioni ambientali. Sovente si hanno in una stessa stazione strumenti di tipo e di età assai diversi, altre volte invece i manufatti si mostrano tipologicamente omogenei. È stato anche supposto (ad esempio per certe stazioni dell'Adrar Ahnet) che i manufatti di età diversa accumulati in uno stesso luogo provengano da depositi una volta ivi esistenti e poi distrutti dall'azione eolica. A seconda dell'età e specialmente della loro ubicazione, i manufatti presentano tutti i gradi di corrosione dovuti all'azione eolica; da strumenti in perfetto stato di conservazione si giunge ad informi ciottoli, nei quali a malapena s'intravvedono le tracce dell'utilizzazione umana; sovente gli strumenti presentano la caratteristica lucente patina desertica.

Il Chelleano e l'Acheuleano sono ampiamente rappresentati nel Sahara. L'Algeria, ad esempio, ha dato gran copia di manufatti dell'antico Paleolitico e così pure l'Egitto. Anche in Libia sono state individuate stazioni acheuleane. Assai belle e di grandi dimensioni le amigdale dell'uadi el-Agial nel Fezzan.

Le stazioni del Paleolitico medio non sono certo inferiori per abbondanza e varietà di strumenti a quelle del Paleolitico inferiore. Su estensioni grandissime sono disseminati i manufatti di tipo levalloisiano e le schegge lavorate con tecnica mousteriana.

Un'industria ben caratteristica, che dalla costa giunge sino ai confini meridionali del Sahara, è quella ateriana o mousteriana peduncolata, costituita da strumenti di tecnica mousteriana, fra i quali primeggiano le punte con peduncolo. Questa industria, abbondantissima nelle regioni occidentali, va a mano a mano rarefacendosi a quanto sembra verso oriente. Il Sahara tripolitano ha dato varî esemplari del Mousteriano peduncolato, specie nelle stazioni dell'uadi el-Agial, dell'uadi esc-Sciati, ecc.

Il Paleolitico superiore si trova pure in abbondanza nelle regioni sahariane: stazioni del Capsiano, strumenti di tipo solutreano, ecc., si incontrano frequentemente. È da notarsi inoltre che "foglie di lauro" di tecnica solutreana sembrano già comparire nell'Africa settentrionale, sino dal Paleolitico medio. Industrie microlitiche Tardenoisiane sono pure presenti, e infine le stazioni neolitiche si presentano con una straordinaria abbondanza e varietà di manufatti. Benché si tratti anche in questo caso di stazioni di superficie, sembra tuttavia possibile stabilire l'esistenza di varie facies neolitiche nel Sahara. In alcune stazioni predominano, ad esempio, le cuspidi di freccia a base concava, in altre quelle a peduncolo. Secondo alcuni autori queste ultime sarebbero più recenti. Asce polite piatte e a "budino", accette lavorate a larghe schegge di tipo campignano, teste di clava, asce a "rainure", sono state raccolte in varî luoghi. Esiste poi una grande varietà di strumenti microlitici, di grani di collana fatti con gusci d'uovo di struzzo, ecc. Tra le stazioni più abbondanti di manufatti neolitici va ricordata quella di Tabelbalat (Algeria). Nel Sahara tripolitano è di grandissimo interesse quella dell'uadi Messauda (Fezzan).

È stato notato, almeno per quel che riguarda le stazioni preistoriche fezzanesi, che i manufatti di età più antica si troverebbero anche in luoghi oggi inadatti alla vita (grandi hamade, ecc.), mentre le industrie più recenti sarebbero generalmente localizzate in zone più favorevoli all'esistenza umana (punti d'acqua, uidian, ecc.) o in luoghi di transito (passi, percorso delle carovaniere, ecc.).

Oltre a quello delle stazioni preistoriche il Sahara offre allo studio un altro fenomeno assai importante sotto molteplici aspetti, quello cioè delle figurazioni rupestri. Pitture e incisioni preistoriche in grotta, sotto ripari, su rocce all'aperto, sono ben note in Europa, ma nel Sahara e in tutta l'Africa settentrionale in genere, l'arte rupestre si manifesta con una ricchezza di esempî tutta particolare. Dal Marocco all'Egitto s'incontrano incise, o più raramente dipinte, su pareti rocciose, su massi isolati entro caverne, delle figure rappresentanti animali, uomini, cose, le quali furono eseguite durante un lunghissimo periodo che dalla preistoria giunge fino ai nostri giorni. Benché il problema delle figurazioni rupestri nordafricane abbia da tempo attratta l'attenzione degli studiosi, pure grande incertezza regna ancora riguardo alla loro cronologia, anche perché non è stata trovata fino ad oggi alcuna relazione sicura tra le figurazioni stesse e i giacimenti preistorici in situ. Lo studio di tale cronologia è basato essenzialmente sullo stile, sulla tecnica di esecuzione, sulla patina e sull'esame delle cose che le incisioni rappresentano. In base a ciò si è potuto osservare che le incisioni più antiche sono generalmente di tipo naturalistico ed ottenute con un'incisione uniforme e profonda, mentre le più recenti tendono allo schematismo e sono eseguite con la tecnica del martellamento. Le figurazioni nordafricane sono state divise in due grandi gruppi: figurazioni di epoca camelina e figurazioni di epoca precamelina. Le figurazioni del primo gruppo, non preistorico, sarebbero caratterizzate dalla presenza del dromedario di cui si conosce, a un dipresso, l'epoca di diffusione nell'Africa settentrionale (primi secoli della nostra era). L'epoca precamelina, anteriore all'introduzione del dromedario, sarebbe nelle sue linee generali caratterizzata invece dalla grande abbondanza di figure di bovidi, di elefanti, di giraffe, di rinoceronti, ecc.

Circa l'età delle più antiche figurazioni precameline non è possibile ancora dire una parola definitiva. Qualcuno ha voluto vedervi manifestazioni d'arte paleolitica, basandosi sul fatto che le grandi faune di affinità sudanesi avrebbero potuto vivere solo in ambiente del tutto diverso dall'attuale, in età cioè quaternaria: oggi vi è tendenza a considerare più recenti le figurazioni rupestri nordafricane e a considerare le più antiche tutt'al più neolitiche. Un radicale cambiamento delle condizioni ecologiche del Sahara non è infatti necessario per spiegare la scomparsa delle faune in questione; condizioni di poco più favorevoli delle attuali avrebbero potuto permettere la loro esistenza nelle vallate e nei grandi uidian.

Il Sahara italiano è straordinariamente ricco di manifestazioni d'arte rupestre; in alcune zone esse sorpassano per numero e importanza quelle dei famosi centri algerini. Anzi, per quanto riguarda le pittura, è proprio nel deserto libico che si trova uno dei centri più ricchi. Queste pitture, che assommano a parecchie centinaia, e rappresentano uomini e mandrie di bovini, furono scoperte di recente da scienziati italiani ad Ain Doua nel massiccio di el-Auenát. Esse si ricollegano alle pitture preistoriche della Spagna orientale e a quelle boscimane del Sud-Africa.

Centri importanti d'incisioni rupestri sono quelli dell'uadi Abergiug (Fezzan) ove le figure raggiungono grandi dimensioni, e quelli degli uidian Messauda e Zigza, dove oltre ad antiche rappresentazioni di giraffe, elefanti, rinoceronti, ne esistono alcune più recenti di carri a due ruote tirati da cavalli, che sono da mettersi probabilmente in relazione con i famosi carri dei "fezzanesi" Garamanti ricordati da Erodoto.

Popolazioni. - È opinione diffusa che il fondo etnico primitivo del Sahara fosse costituito da gruppi di Etiopici spintisi dal loro centro nell'Africa orientale attraverso le oasi, fino all'Atlantico. Di tale strato antichissimo si avrebbe un residuo nei Tebu. Studî recenti tenderebbero però a vedere in quest' ultima popolazione piuttosto un tipo ibrido europeide negroide e a escludere la diffusione diretta di genti etiopiche nel Gran Deserto.

Possiamo pertanto affermare, in attesa, però, di più ampie ricerche, che il Sahara sia stato anche in epoca antica una zona d' incontro, di lotta e d' incrocio tra Negri provenienti dal Sudan e Bianchi della fascia mediterranea dell'Africa e che la sua popolazione primitiva era verosimilmente composta di Negri e di Negroidi.

Su tale strato vengono in epoca storica a sovrapporsi genti berbere e in seguito arabe, che in parte conservano la loro individualità etnica e sociale, costituendo gruppi a parte che appariscono spesso come elementi dominatori del Sahara. La discesa dei Berberi nella zona centrale e occidentale di questo sarebbe avvenuta, secondo opinioni finora accettate, con la diffusione del cammello (sec. III-IV d. C.), che avrebbe dato modo ai Bianchi mediterranei di vivere e di muoversi nelle vaste solitudini del Gran Deserto. Però ricerche di archeologia, di paleantropologia e di linguistica, fatte da studiosi italiani nel Fezzan e in regioni limitrofe, mostrano che in epoca anteriore e forse già nel 1° millennio a. C. dovevano trovarsi in quelle zone dei Berberi, e tutto lascia credere che la penetrazione di gruppi mediterranei nel Sahara, che vediamo attuarsi in epoca romana, durante il Medioevo e fin quasi ai nostri giorni, sia un processo antichissimo, determinato dalle perenni lotte tra le tribù e dalla necessità per alcuni gruppi di avere nuove terre o di trovare rifugio. In epoca remota sarebbe prevalso l'elemento negro, in tempi più recenti quello bianco, pur con ritorni offensivi e parziali dominazioni del primo.

Il Sahara ha un grande interesse etnico perché forma tramezzo tra le due razze più differenziate che esistano: la bianca e la nera. Si noti che la razza rossa d'America è isolata dai più vasti oceani della Terra, l'Atlantico e il Pacifico. I Gialli dell'Estremo Oriente sono separati da noi dalle più alte, massicce e invarcabili protuberanze che esistono sulla crosta terrestre. In Africa i Neri e i Bianchi non sono separati che da un deserto della mediocre larghezza di appena 2000 km. È bensì vero che questo deserto è il Sahara, il quale si sviluppa nel senso della latitudine sotto il tropico, tra la zona del clima temperato e quella del clima tropicale. Quest'ultima circostanza costituisce appunto la questione principale.

Nell'Estremo Oriente il tropico non forma una divisione etnica. Dalla Manciuria semipolare all'Indocina nettamente equatoriale, si passa per transizioni insensibili dal Cinese settentrionale al Cantonese e all'Annamita; tutti sono gialli e si è talvolta imbarazzati a separarli con esattezza. Sulla costa occidentale dell'Africa, il tropico separa i Neri e i Bianchi in modo così improvviso che forse non se ne trova esempio altrove. Lungo il tropico, linea di separazione in sé stessa teorica, Neri e Bianchi si trovano praticamente accanto. E tuttavia sarebbe impossibile trovare due specie umane altrettanto contrastanti. È un contrasto che rasenta l'assoluto. Sono possibili gl'incroci? vi sono, è vero, Abissini, Nubiani, Peulhs e, nel cuore del Sahara, i Tebu del Tibesti. Essi sono, se si vuole, genti intermedie tra Bianchi e Neri; ma non si sa donde vengano e, dal fondo del passato, essi rappresentano ancora un mistero antropologico.

Oggi, sotto l'aspetto puramente fisico, nella misura delle nostre conoscenze precise, sembra che queste due razze così lontane l'una dall'altra s'incrocino difficilmente; per un biologo esse costituirebbero quasi due generi piuttosto che due specie. L'incrocio tra individui è frequente, ma non è durevole e non ha mai dato origine sotto i nostri occhi a una sottospecie differenziata.

Per quanto riguarda l'aspetto culturale, basta citare un piccolo fatto estremamente significativo. Nei molti millennî dacché esiste, l'aratro mediterraneo non ha mai varcato il tropico. Il negro, che tuttavia è essenzialmente agricoltore, non si serve che della zappa. Questo piccolo fatto può essere considerato straordinario.

Ciò che forma la barriera si vede chiaramente. Il contrasto dei climi ha prodotto negli organismi differenze abbastanza minute in sé stesse, ma che in pratica assumono importanza enorme. La razza bianca è arrestata da un avversario infimo ma innumerevole, l'esercito delle zanzare apportatrici della malaria, contro la quale il fegato dell'uomo bianco non resiste a lungo. D'altra parte il negro è respinto dal Sahara a causa dei pori della pelle, largamente aperti a una traspirazione abbondante che difende l'organismo dagli eccessi del calore. Per traspirare molto bisogna anche bere molto e ciò nel deserto è impossibile all'infuori delle oasi. I bronchi e i polmoni dei Negri sono adattati a un clima da serra, umido e costante. Gli enormi sbalzi di temperatura nell'aria secca del Sahara determinano nel loro organismo gravi malattie dell'apparato respiratorio.

Per rendersi conto del modo preciso con cui si stabilisce il contatto tra i due mondi, bisogna considerare la distribuzione e la funzione della popolazione che vive nell'interno del Sahara.

Naturalmente, non si parla qui dell'Egitto che forma un mondo a parte. All'infuori dell'Egitto, il gruppo Tebu nelle montagne del Tibesti è perfettamente sahariano, ma del tutto particolare. I Tebu non sono né interamente neri né interamente bianchi: sono rossi, piuttosto. Hanno una lingua propria imparentata con le lingue negre, ma dai Negri si distinguono per un adattamento straordinario, atavico, al clima sahariano. Possiedono resistenza ineguagliata alla sete, alla fame, alla stanchezza e hanno incredibili qualità di camminatori. Sono più sahariani di qualunque altra popolazione del deserto, sembra, e più antichi degli altri abitatori: una specie di umanità superstite, rappresentante di un pre-Sahara. Essi partecipano scarsamente alla vita generale. Intorno al nucleo tebu, il Sahara è diviso tra Neri e Bianchi. La linea di contatto è sinuosa; le due razze si compenetrano senza mescolarsi e ognuna resta accantonata nel dominio che la sua costituzione fisica le impone. I Negri sono i coltivatori delle oasi: il loro nome generico nel Sahara, harrāthīn, significa "coltivatore". I Bianchi vivono nomadi con i loro cammelli nei pascoli e lungo le piste.

Il Sahara quale ci appare sarebbe inconcepibile senza il cammello, più esattamente il dromedario, cioè il cammello a unica gobba, la cui diffusione nel Sahara è opera dell'impero romano e risale ai tempi di Settimio Severo, che era nativo di Leptis Magna. Prima di allora il cammello non era uscito dalla sua patria d'origine, a est del Nilo, nella parte asiatica e orientale dell'impero, in Arabia, in Siria.

L'apparizione delle tribù cammelliere ha dato progressivamente al Sahara il suo aspetto attuale. Sono esse che hanno creato col tempo le oasi di palme da dattero, almeno a O. del Fezzan. Quelle dell'uadi R'ir (Ouargla, Touggourt), datano dalla fine del sec. VI d. C. Un'oasi del Tidikelt data soltanto dal sec. XVII. Le oasi di palme da dattero si trovano solo a N., nel Sahara mediterraneo; nel Sahara sudanese non se ne trova neppur una, sia che il clima non riesca propizio, sia che l'impulso creativo, venuto dal Mediterraneo, non abbia raggiunto il Sudan (v. anche mzab; oasi).

Per mezzo delle oasi gli ḥarrāthīn pervennero in prossimità del Mediterraneo. Ma essi non sono proprietarî delle loro oasi, sono mezzadri (khammōs) con diritto alla quinta parte del raccolto. Importati in larga misura dalla tratta degli schiavi, mal nutriti, degenerati, imprigionati dalla mancanza di mezzi di trasporto in un'oasi minuscola, tarati da un'inferiorità generale, gli harrāthīn non pensano neppure a opporre la minima resistenza ai oro padroni. In linea di principio, l'oasi è sotto la sovranità e la protezione d'una tribù nomade che viene ad accamparvisi al momento del raccolto.

I cammellieri nomadi, Bianchi mediterranei, sono i padroni del Sahara, o almeno lo erano. I nomadi si dividono in due grandi gruppi molto diversi tra loro: il berbero e l'arabo. I Berberi sono i Tuareg che occupano al centro del Sahara gli enormi massicci montuosi, il Hoggar con le sue dipendenze settentrionali, Tassili, Muidir, Ahnet, al S. l'Adrar degli Ifoghas e l'Air. Essi dominano il gomito del Niger e Timbuctù è sotto la loro sovranità. Intorno a questo immenso dominio gli Arabi sono disseminati dappertutto: al Ciad (ouled Slima), in Libia (Senussiti), nell'Algeria meridionale (Chaamba); tutta la costa atlantica fino al Senegal appartiene ai Mauri che sono arabi.

I Tuareg e gli Arabi sono profondamente separati per lingua, costumi, odî inestinguibili. Hanno in comune le concezioni e l'organizzazione che il nomadismo sahariano impone agli uni e agli altri. Da molti secoli essi hanno dominato le piste e avuto il monopolio delle carovane e del traffico transahariano. Questo traffico è esistito sempre.

Cartagine visse del commercio sudanese, come attesta il Periplo di Annone, e dopo la distruzione di Cartagine le colonie cartaginesi, sopra tutto quelle delle Sirti, Leptis Magna e del resto la stessa Cartagine romana conservarono le tradizioni del commercio sudanese per via di terra mediante le carovane. Ne è prova la Phazania, l'attuale Fezzan, che è la sola provincia interna del Sahara di cui l'antichità abbia conosciuto il nome conservatosi integralmente. La Phazania era disseminata di posti avanzati romani, punti d'appoggio del commercio transahariano. Questo commercio si svolgeva per mezzo di tribù interposte, tra le quali i Garamanti ebbero una parte importante. Nel Tassili, cioè in pieno dominio Tuareg, sono stati scoperti dei carri da guerra dipinti a ocra o incisi. Ciò farebbe pensare che le comunicazioni transahariane passassero allora come passano oggi attraverso i massicci Tuareg e che i Garamanti siano stati, più o meno, gli antenati precammellieri dei Tuareg.

L'introduzione del cammello ha necessariamente prodotto una rivoluzione enorme nel commercio transahariano e oggi ci troviamo sulle soglie d'una rivoluzione ancora più profonda: il cammello scompare dinnanzi all'automobile e all'aeroplano, il carovaniere dinnanzi al meccanico.

Il Sahara sta per assumere un significato nuovo. Tra il mondo negro equatoriale da una parte e il mondo bianco europeo dall'altra, così violentemente contrastanti che sono fatti per esercitare l'uno sull'altro una viva attrazione, il Sahara, che è stato l'ostacolo, diverrà il legame. (Per le vie di comunicazione v. carta f. t.).

Divisione politica. - Il Sahara occidentale nella maggior parte è francese, poiché vi rientrano per vasto tratto i territorî delle colonie del Niger e del Sudan Francese, e completamente quelli della Mauritania e dei Territorî del Sud, dipendenti dall'Algeria. Un lembo costiero del Sahara occidentale forma poi la colonia spagnola del Río de Oro. Il Sahara orientale è diviso tra la colonia italiana della Libia, l'Africa Equatoriale Francese, l'Egitto e il Sudan anglo-egiziano.

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Carte: Le carte del Geological Survey d'Egitto e quelle del servizio dell'esercito francese. Tali carte servono di base a: Delingette, Carte du Sahara; foglio del Sahara (con commentario) nell'Atlas colonial, pubbl. sotto la direzione del Grandidier. Si veda soprattutto la carta recentissima in 4 fogli dell'intero Sahara pubblicata dal Servizio geografico dell'esercito francese.