Ḥusayn, Ṣaddām

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Husayn, Saddam

Ciro Lo Muzio

Ḥusayn, Ṣaddām (propr. Ṣaddām al-Takrītī)

Uomo politico iracheno, nato ad al-Awǧa, presso Takrīt (anche Tikrīt), il 28 aprile 1937. È stato presidente della Repubblica dal 1979 al 2003. Orfano di padre, fu allevato da uno zio materno; nel 1955 si trasferì a Baghdād, dove si iscrisse in una scuola secondaria. Nel 1957 divenne membro del partito al-Ba̔ṯ, di ispirazione laicista e panarabista; nel 1959 risultò coinvolto nel tentato omicidio del generale ̔Abd al-Karīm Qāsim, che l'anno precedente aveva rovesciato il re Faiṣal ii. Rifugiatosi in Siria, si trasferì poi in Egitto (in ̔Irāq era stata pronunciata nei suoi confronti una condanna a morte), dove nel 1962 completò gli studi secondari e iniziò quelli universitari di legge. Tornato nel suo Paese nel 1963, l'anno successivo fu imprigionato, ma nel 1967 riuscì a evadere, diventando in breve tempo uno dei membri più autorevoli del partito. Dopo il colpo di Stato ba̔ṯita del 1968, che portò Aḥmad Ḥasan al-Bakr (suo parente) alla presidenza della Repubblica, Ḥ. divenne presidente del consiglio del comando rivoluzionario e vice presidente della Repubblica. Nel 1973 venne anche nominato tenente generale dell'esercito (e in seguito generale), e, data l'anzianità di al-Bakr, assunse de facto le redini del governo. Negli anni successivi promosse un ambizioso piano di modernizzazione del Paese in ambito sia economico sia sociale (scolarizzazione di massa, creazione di un sistema sanitario pubblico, abolizione della šari̔a, concessione di più ampie libertà alle donne).

Nel luglio 1979, esautorato al-Bakr, divenne presidente della Repubblica, capo del partito e comandante delle forze armate. Per consolidare il suo potere, basato sul consenso di una parte minoritaria della popolazione (di bassa estrazione socioeconomica e di fede sunnita) e minacciato dalle divisioni sociali e religiose che attraversavano il Paese, Ḥ. si circondò di un imponente apparato di sicurezza, costituito da organizzazioni paramilitari e di polizia, in particolare quella dei servizi segreti generali, il ǧihāz al-Muẖābarāt al-ā̔ma (Servizio iracheno di informazione), comunemente chiamato Muẖābarāt, che fece sistematico ricorso alla tortura e all'assassinio. La repressione si accanì soprattutto contro la consistente minoranza sciita, potenziale testa di ponte del radicalismo religioso affermatosi in Irān con la Rivoluzione islamica (1979), e contro la minoranza curda (sunnita, ma di etnia iranica e da sempre avversa agli ideali panarabisti del partito al-Ba̔ṯ), concentrata nel Nord del Paese. Oltre al massacro di Ḥalabǧa (v. oltre), tra gli episodi più gravi si ricorda quello verificatosi a Duǧayl (1982), roccaforte sciita, dove, a seguito di un tentativo di assassinio di Ḥ., le forze di sicurezza uccisero 137 persone (molte delle quali giustiziate dopo processi sommari) e oltre 1000 furono imprigionate e torturate.Intanto la vecchia ostilità con l'Irān degenerava. Dopo diversi mesi di schermaglie nell'area di confine dello Šaṭṭ al-̔Arab, nel settembre 1980 Ḥ. invase la regione iraniana del H̱ūzistān, proclamandola provincia irachena e dando inizio a una lacerante guerra con l'Irān che si protrasse fino al 1988.

Negli anni del conflitto Ḥ. fece uso di armi tossiche (in gran parte di produzione occidentale) sia contro l'esercito avversario sia contro la minoranza curda in ̔Irāq: l'attacco alla cittadina curda di Ḥalabǧa (marzo 1988) provocò la morte di 5000 civili, mentre altri 10.000 subirono gravi menomazioni. Oltre alle enormi perdite in termine di vite umane, il conflitto con l'Irān ebbe effetti catastrofici sull'economia dell'Irāq. Durante la guerra, infatti, Ḥ. aveva ricevuto ingenti aiuti dai Paesi occidentali, in particolare dagli Stati Uniti (40 miliardi di dollari), ma anche da alcuni Paesi arabi, principalmente dal Kuwait, il quale, al termine del conflitto, non accolse la richiesta di Ḥ. di cancellare il debito (circa 30 miliardi di dollari). Le tensioni che ne derivarono riaccesero un'annosa rivendicazione dei nazionalisti iracheni i quali sostenevano infatti che il Kuwait appartenesse all'Irāq e che la sua indipendenza fosse illegittima. Il 2 agosto 1990 Ḥ. invase il piccolo Emirato; l'atto fu condannato sia dalla Lega araba sia dall'ONU, che impose all'Irāq pesanti sanzioni economiche e, successivamente (nov.), decise un ultimatum per il ritiro delle truppe, che Ḥ. ignorò.

Nel gennaio 1991 l'Irāq fu attaccato da una coalizione guidata dagli Stati Uniti e, nel giro di pochi mesi, costretto a capitolare. Nonostante le gravi devastazioni, le drammatiche condizioni economiche e il riacutizzarsi di conflitti politici e sociali, Ḥ. rimase al potere. Negli anni seguenti, tuttavia, egli fu ripetutamente accusato di produrre armi di distruzione di massa e di violare le no-fly zones stabilite nel Nord e nel Sud del Paese. Le crescenti tensioni culminarono negli attacchi missilistici statunitensi e britannici su località nei pressi di Baghdād tra il dicembre 1998 e il febbraio 2001. In quegli anni, inoltre, si intensificavano i sospetti sui legami tra Ḥ. e il terrorismo islamico; all'indomani degli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington, nonostante indagini condotte da diversi organismi di intelligence avessero smentito relazioni tra Ḥ. e la rete di al-Qā̔ida, il presidente G.W. Bush (genn. 2002) annoverava l'Irāq tra i Paesi costituenti l'"asse del male", prospettando l'eventualità di attaccare il Paese mediorientale per destituirne il leader, colpevole di disporre di arsenali di armi di distruzione di massa (accusa poi rivelatasi infondata). L'offensiva, condotta da una coalizione capeggiata da Stati Uniti e Gran Bretagna, fu lanciata il 20 marzo 2003 e in capo a tre settimane, in cui l'esercito iracheno oppose una debole resistenza, gran parte dell'Irāq era occupata; in clandestinità forse già dall'aprile 2003 e privo del controllo sul Paese, Ḥ. fu catturato il 14 dic. dello stesso anno ad al-Dāwr, presso Takrīt, dove si nascondeva in un rifugio sotterraneo. Sotto processo in ̔Irāq dal giugno 2004 per crimini di guerra e contro l'umanità e genocidio, nel novembre 2006 era condannato in primo grado alla pena capitale per il massacro di Duǧayl; accolta positivamente dagli Stati Uniti, la sentenza suscitava le proteste dell'Unione Europea. Ḥ. veniva giustiziato il 30 dicembre 2006.

bibliografia

M. Allam, Saddam. Storia segreta di un dittatore, Milano 2004; Sh. Balaghi, Saddam Hussein. A biography, Westport (CT) 2006.

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