SABATINI, Andrea, detto anche Andrea da Salerno

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SABATINI, Andrea detto anche Andrea da Salerno

Andrea Zezza

– Nacque probabilmente verso il 1490 e fu attivo a Napoli e in Campania fino al 1530.

Bernardo De Dominici ne colloca la nascita «circa gli anni 1480»; tale data è da allora molto spesso ripetuta nella letteratura, ma viene da una fonte inaffidabile ed è poco plausibile. Nella celebre lettera di Pietro Summonte a Marcantonio Michel, datata 20 marzo 1524, Andrea viene citato tra coloro «de’ nostri che cominciano con buona indole», cosa sorprendente per un artista che aveva alle spalle almeno quindici anni di attività, ma impossibile per un quarantacinquenne. In assenza di elementi certi sarà prudente rifarsi alla più antica notizia documentaria, un contratto del 1510, che vede Andrea già attivo a Napoli a quella data, con la qualifica di ‘maestro’ (Filangieri, 1891, p. 399), e allo stile delle più antiche opere, che mostrano un artista pienamente cinquecentesco, senza relazioni con la cultura della Napoli aragonese, il quale sviluppa il suo stile confrontandosi con la ‘maniera moderna’ dei leonardeschi e di Raffaello: sembra pertanto consigliabile presumere una data di nascita verso il 1489-90 (Summonte, 1524, in Nicolini, 1925, p. 260).

La rarità delle notizie e di opere databili rende incerta la ricostruzione di tutta la sua carriera. L’opera più antica che gli sia stata attribuita è un trittico su fondo d’oro, raffigurante la Madonna col Bambino e santi, nella chiesa di S. Andrea a Teggiano, datato 1508, che mostra un pittore formato sulla pittura di impronta umbra in voga in Italia centrale negli anni appena precedenti. Nel trittico si vedono tangenze con la pittura di Perugino e soprattutto di Pinturicchio, pittori la cui fama era allora al culmine, al punto che i due più facoltosi mecenati napoletani di quegli anni, il cardinale Oliviero Carafa e il ricchissimo mercante Paolo Tolosa, procuravano, quasi a gara, di far arrivare in città opere come l’Assunta del Vannucci per il duomo di Napoli (1506 circa), e quella del Pinturicchio per la cappella Tolosa nella chiesa di Monteoliveto (oggi Napoli, Museo di Capodimonte, 1510 circa).

L’opera commissionata con il già citato documento del settembre 1510, una pala d’altare con la Madonna di Loreto e santi per la chiesa di S. Arcangelo di Cava dei Tirreni, è oggi perduta, ma si conservano, sia pure frammentarie, due opere commissionate poco dopo, che mostrano un pittore in rapida trasformazione, pronto a rielaborare le grandi novità in arrivo dall’Italia del Nord e dalla Roma di Giulio II. La più antica è il polittico della chiesa di S. Giacomo Apostolo a San Valentino Torio (Madonna delle grazie e santi), eseguito tra il novembre del 1510 e il luglio del 1511, dove lo stile di Sabatini presenta ancora ben evidenti caratteri ‘protoclassici’, alla Pinturicchio e alla Perugino, e qualche tangenza con il veronese Cristoforo Scacco – molto attivo nel Meridione nell’ultimo decennio del Quattrocento e nei primi anni del secolo successivo – ma anche aperture verso una nuova monumentalità cinquecentesca: l’artista sembra qui orientarsi verso l’esempio fornito da Pedro Fernández, il pittore noto a lungo come Pseudo-Bramantino, che, dopo un soggiorno nella Milano sforzesca e un passaggio romano, doveva essersi stabilito già da tempo a Napoli.

Nel polittico già nella chiesa di S. Antonio a Buccino (Madonna delle misericordia e santi, oggi nella Pinacoteca provinciale di Salerno), commissionato nel gennaio del 1512, appena sei mesi dopo la consegna del precedente, Andrea sembra avere già intrapreso una strada diversa e più moderna, sviluppando in modo più maturo la ricerca di una dimensione monumentale delle figure, infondendo ai suoi personaggi una nuova vitalità e una più realistica capacità di movimento e di espressione, e mostrando un interessamento per lo stile del primo Raffaello romano, declinato attraverso una inflessione lombarda, leonardesca. Ciò ha fatto credere che questa maturazione possa essere stata facilitata da un incontro con il pittore milanese Cesare da Sesto, già seguace di Leonardo a Milano, poi operoso fino al 1511 negli appartamenti papali di Giulio II, documentato al Sud a partire dal 1514, quando probabilmente doveva frequentare Napoli e Andrea già da qualche tempo.

Un piccolo altro gruppo di opere riferibili a Sabatini e databili alla prima metà degli anni dieci è stato messo insieme dalla critica, permettendo di seguirne in dettaglio gli sviluppi in questa prima fase della carriera: tra queste opere la più antica è probabilmente la grande Andata al Calvario del refettorio del convento di S. Maria la Nova a Napoli, a cui si può avvicinare una lunetta con S. Anna Metterza con la Vergine che consegna l’abito ai domenicani, del convento di S. Anna a Nocera Inferiore, databile al 1510-11 circa; una tavoletta con S. Francesco e il lupo di Gubbio del Museo di Capodimonte (Giusti - Leone de Castris, 1985, pp. 133 s.), un trittichetto già nella badia di S. Maria a Banzi, raffigurante la Madonna col Bambino tra i ss. Pietro e Giovanni Battista ora nel Museo di palazzo Lanfranchi a Matera (di Majo, 2002), un’Adorazione dei Magi presso la quadreria dei Girolamini di Napoli, il frammento di una grande Adorazione dei Magi oggi in collezione privata (1512 circa; Naldi, 2009); infine una Natività nota per un passaggio sul mercato antiquario (Romano, 1970), tutte opere che mostrano un’originale rielaborazione delle novità giunte nel Meridione grazie all’arrivo di Pedro Fernández e di Cesare da Sesto.

L’attività di Andrea negli anni Dieci è intrecciata a quella di Cesare da Sesto, come è dimostrato dalle difficoltà incontrate dagli studi nel distinguere la mano dell’uno da quella dell’altro; la vicinanza è tale che il grande polittico già sull’altar maggiore della badia di Cava dei Tirreni è stato fin dal Seicento ritenuto una delle opere principali di Andrea (Pacichelli, 1685, p. 222), prima che un documento non la rivelasse come opera di Girolamo Ramarino, pittore salernitano fino allora del tutto sconosciuto, e dello stesso Cesare (Leone, 1977). Sorte simile ha avuto la Natività già in collezione Goro, ora presso il Museo diocesano di Salerno, anch’essa ritenuta a lungo di Sabatini prima di essere restituita al lombardo e alla sua bottega (Naldi - Porzio, 2009).

Un ruolo fondamentale nell’indirizzare definitivamente Sabatini sulla strada dell’emulazione di Raffaello dovette avere l’arrivo a Napoli di un prestigioso originale del maestro urbinate, la Madonna del Pesce (1512 circa), opera la cui imitazione caratterizzò poi la scuola napoletana fino alla fine del secolo.

Nel corso del secondo decennio Sabatini stabilì una relazione di fiducia con l’abbazia di Montecassino – per la quale lavorò con continuità fino alla morte – e con gli altri maggiori stabilimenti benedettini del Regno: l’abbazia della Trinità di Cava dei Tirreni, il monastero napoletano dei Ss. Severino e Sossio e quello salernitano di S. Giorgio.

A Cassino, dove, a partire dal 1510 l’abbazia fu oggetto di un radicale rinnovamento, Sabatini eseguì, intorno alla metà del secondo decennio, la decorazione di due cappelle dedicate a S. Bertario e a S. Nicola di Bari; cappelle poi distrutte, ma di cui sopravvivono una pala d’altare con S. Bertario in cattedra (oggi al Museo di Monserrat, databile al 1513-14), la documentazione fotografica di una lunetta a fresco con una Madonna col Bambino e angeli per la stessa cappella (Pantoni, 1962 e 1963), e la pala d’altare con S. Nicola in cattedra, oggi al Museo di Capodimonte di Napoli.

Per motivi stilistici si può ritenere coevo il polittico per la chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio con la Madonna col Bambino e i santi, mentre sono perdute alcune delle opere di Andrea più spesso lodate dalla letteratura antica, che probabilmente risalivano a questo stesso periodo: il polittico dell’altare maggiore della chiesa di S. Gaudioso (forse del 1513; Resta, 1707, p. 53) e l’Incoronazione-Assunzione della Vergine della cappella Barrile nel duomo di Napoli (forse 1515; Ortolani, 1933, p. 21). Sopravvivono invece, seppure assai sciupati, gli affreschi dell’atrio della basilica napoletana di S. Gennaro fuori le Mura, con Storie della passione di s. Gennaro.

Nel 1518 Andrea era impegnato a Napoli nella preparazione di una cona per Montecassino (talvolta identificata con quella di S. Nicola: Pantoni, 1962, p. 148; ma forse è quella del Battesimo di Gesù, ancora oggi nell’abbazia) e appare in contatto con il miniatore Matteo da Terranova, autore della decorazione dei corali dell’abbazia. Nello stesso tempo continuava ad avere un rapporto stretto con Salerno, da dove ricevette commissioni rilevanti: circa alla metà del secondo decennio risalgono probabilmente due importanti pale per il duomo, ovvero l’Adorazione dei Magi (ora Napoli, Museo di Capodimonte) e poi la Lamentazione sul Cristo morto (ancora in situ), che mostrano caratteri di stile vicini a quelli delle prime pale cassinesi.

Sul finire del decennio le opere di Andrea mostrano una brusca evoluzione nel senso di un’interpretazione particolarmente espressiva del raffaellismo più maturo: la svolta è evidente nello Sposalizio mistico di s. Caterina (Nocera, convento di S. Antonio, firmato e datato 1519, parte di un polittico solo parzialmente conservato) e in un altro gruppetto di opere risalenti allo stesso periodo – la Madonna di Costantinopoli di Eboli; la Madonna delle grazie di Capriglia; la paletta con la Madonna delle grazie e i ss. Girolamo, Andrea e un donatore, oggi a Monaco di Baviera – che risentono vistosamente dell’esempio del pittore spagnolo Pedro Machuca, probabilmente presente a Napoli in quel momento (cfr. la Madonna delle grazie, Madrid, Museo del Prado, 1517).

Si trattò di una fiammata destinata a spegnersi rapidamente, giacché le opere più tarde di Sabatini segnano un ripiegare dell’artista verso formule di sereno ed equilibrato classicismo, improntato nuovamente sulla Madonna del pesce, rinunciando a seguire gli ultimi svolgimenti dello stile di Raffaello e dei suoi allievi, come mostrano le opere databili nei primi anni Venti (Polittico per Iacopo de Riccardo, datato 1521, Napoli, Museo di Capodimonte; Madonna col Bambino e santi per il generale dei vallombrosani Biagio Milanesi, datata 1522, già nel duomo di Gaeta, poi a Compton Wynyates House; Madonna col Bambino in trono e santi, con Cristo risorto appare alla Madre nella lunetta, nella chiesa benedettina di S. Giorgio a Salerno, datata 1523).

L’artista è probabilmente identificabile con l’Andrea Sabatino iscritto a Napoli alla Augustissima disciplina della Santa Croce nel 1523 (D’Aloe, 1882): doveva dunque essere in città quando vi giunse, per un breve ma fortunato soggiorno, Polidoro da Caravaggio. Le novità portate dal giovane artista lombardo, esibite negli ammiratissimi affreschi (oggi perduti) del palazzo di Ludovico di Montalto, non sembrano però avere scosso più di tanto Andrea, che rimase estraneo al mondo espressivo di Polidoro.

Nel corso del terzo decennio comincia a farsi più evidente l’apporto della bottega nell’opera dell’artista, che diversificò la sua produzione su più fronti, lavorando con continuità non solo per Cassino, quanto per Napoli, per Cava dei Tirreni, per il Salernitano, e anche per la Puglia (sembra della sua bottega il polittico con Madonna con Bambino e santi della chiesa di S. Agostino a Barletta, datato 1523), raccogliendo evidentemente un notevole successo, così che appare sorprendente, come detto, la sua menzione tra coloro «che cominciano con buona indole» nella lettera di Summonte a Michiel del marzo 1524.

È noto inoltre che Sabatini ricevette in quell’anno la commissione per una cona a Cava dei Tirreni, forse mai eseguita, mentre la documentazione si fa più rada negli anni successivi, così da rendere difficile seguire una carriera che dovette essere ancora assai fortunata. Nel 1526 firmò un polittico su fondo oro della chiesa di S. Pietro a Fisciano, dove i caratteri arcaizzanti sono probabilmente più marcati per compiacere una committenza tradizionalista, mentre in altre opere uscite dalla sua bottega sul finire del decennio comincia a essere individuabile la mano di Severo Ierace, cognato di Sabatini e futuro erede della bottega: a lui può essere attribuita almeno in parte l’esecuzione della pala dell’altare maggiore della chiesa di S. Giorgio dei genovesi a Napoli.

Negli ultimi anni Venti Andrea fu ancora a Cava, dove fu pagato per alcune pitture nel cimitero della badia, saldate nel 1528 (può forse essere collegato a questa commissione un semidistrutto S. Benedetto che consegna la regola, affresco staccato oggi nel museo della badia), poi a Montecassino, dove il 21 gennaio 1529 ricevette la commissione per l’altare maggiore della chiesa abbaziale, e a Gaeta, dove si trovava nell’estate di quell’anno. Nel 1529 datò il S. Andrea della cappella Lauri in S. Maria delle Grazie a Caponapoli, ora al Museo di Capodimonte (attribuito da molti al suo seguace Giovan Filippo Criscuolo). Negli ultimi mesi dell’anno fu stabilmente impegnato per Montecassino, ma alle prese con problemi di salute. Nel novembre del 1530 è documentato in vita per l’ultima volta mentre lavorava alla cona con S. Benedetto in cattedra con i ss. Mauro e Placido e i ss. padri della Chiesa. Morì prima del maggio 1531, quando Ierace, suo cognato ed esecutore testamentario e tutore del figlio Giovanni Battista, ricevette una serie di pagamenti per la grande cona dell’altare maggiore e per altri lavori condotti per l’abbazia (Caravita, 1869-1870, pp. 26, 35-38).

L’opera di Sabatini lasciò una memoria profonda tra i napoletani, ma non fu apprezzata da Vasari, che non ne fece menzione nelle Vite..., pur avendo avuto certamente modo di vedere almeno qualche suo dipinto nel corso del soggiorno meridionale del 1544-45. Tra Sei e Settecento la figura di Sabatini acquistò così una posizione centrale nella rivalsa polemica cercata dagli eruditi meridionali contro le vere o presunte ‘parzialità’ dell’aretino: se le più antiche guide seicentesche avviarono questo processo indirettamente, limitandosi a lodarne l’opera e a ricordarne con insolita metodicità i lavori presenti nelle chiese napoletane (D’Engenio Caracciolo, 1623; Sarnelli, 1688; Celano, 1692), l’atteggiamento iniziò a cambiare sul finire del secolo, quando in tutta Italia si accese la polemica contro Vasari. Protagonista di una tenace campagna di valorizzazione dell’opera di Sabatini fu allora Sebastiano Resta, che ne cercò con passione i disegni e i dipinti, rivendicando per lui un ruolo centrale in una storia della pittura meridionale allora tutta da scrivere («Per la città di Napoli Andrea Sabbatini da Salerno è stato quello che fu per Roma Raffaele d’Urbino [...]»: Epifani, 2006-2007, p. 86), arrivando a parlarne come una sorta di corrispettivo meridionale di Correggio. Gli appunti di Resta rimasero per lo più manoscritti ed ebbero una circolazione limitata, ma la rivendicazione del valore di Andrea e della sua importanza nella storia dell’arte napoletana diventò una bandiera per De Dominici, che nel 1742 dedicò all’artista una biografia molto dettagliata, e molto romanzata, evidenziandone la grandezza e il ruolo di apripista della maniera moderna nel Sud, in aperta e diretta polemica con Vasari. Da allora il pittore ha ricoperto un ruolo assai significativo come campione di una scuola napoletana del Rinascimento: fu particolarmente apprezzato nel secondo Ottocento da Jacob Burckhardt e da Gustavo Frizzoni, che ne lodarono la «grazia spontanea» e il «naturale senso artistico» (Frizzoni, 1891), anche se per arrivare a una prima ricostruzione della sua personalità bisognò aspettare gli studi novecenteschi di Sergio Ortolani e Ferdinando Bologna. La letteratura recente ha tenuto alto l’apprezzamento per l’artista, ma ne ha ridimensionato il ruolo di guida nell’affermazione della ‘maniera moderna’ nel Sud, restituendo centralità in questo processo all’opera di artisti immigrati come Cesare da Sesto, Pedro Fernández, Bartolomé Ordóñez, Diego Siloé, Pedro Machuca, messi in ombra dalla ricostruzione sciovinista di De Dominici.

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