CANE, Ruggero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CANE, Ruggero

D. M. Bueno de Mesquita

Le notizie pervenuteci sulla sua carriera abbracciano il periodo che va dal 1371 al 1394 e nulla si sa sulla sua vita precedente. Figlio di Odoazio Cane di Casale di Sant'Evasio, forse lontano parente di Facino, il C. non deve essere confuso con un minore condottiero della generazione successiva, Ruggero Cane di Raniero di Perugia. Un Ruggero Cane è testimone nel 1346 ad un accordo tra il marchese del Monferrato e quello di Saluzzo: il C. a quella data non doveva avere più di venti anni, dato che sarà attivo fino al 1394, ma non è da escludere in modo assoluto che già allora facesse parte della corte del Monferrato. Dovette entrare al servizio dei Visconti dopo la conquista di Casale da parte di Galeazzo nel 1370; ma la prima notizia sicura su di lui lo indica come "familiaris" di Bernabò Visconti che lo inviò in Toscana nel luglio 1371 insieme con Tommaso Gropello. Il C. doveva essere il meno importante tra gli ambasciatori; a quel tempo, comunque, aveva già acquistato una certa notorietà militare dato che l'anno successivo fu uno dei comandanti dell'esercito inviato da Galeazzo Visconti contro Asti. Quando l'esercito fu costretto a ritirarsi, il C. - a detta dei Della Chiesa - rimase come capitano del Piemonte per conto di Bernabò e Galeazzo; si stabilì a Cuneo, ma non riuscì a conservare la città, che il 28 ott. 1372 cadeva nelle mani di Amedeo VI. Le fonti non dicono se il C. riuscì a fuggire, oppure se fu fatto prigioniero. Nel 1374 era capitano di Reggio per conto di Bernabò Visconti: dovette assentarsi per qualche tempo dalla città, forse per missioni di cui però non abbiamo notizie, dato che a Reggio troviamo suo padre che amministra la città quale suo luogotenente. Ancora con il Gropello ed altri due fece parte dell'ambasceria inviata a Bologna dai Visconti e che riuscì a concludere, il 4 giugno 1375 con il cardinal legato una tregua tra i Visconti e la Chiesa. Successivamente accompagnò gli inviati fiorentini a Bologna al campo che il condottiero inglese Giovanni Acuto aveva posto nei pressi di Imola; egli è indicato come uno dei mediatori dell'accordo concluso il 21 giugno tra l'Acuto e Firenze. Il C. aveva già conosciuto l'Acuto in Piemonte nel 1372 e probabilmente aveva una certa influenza su di lui.

Il 23 luglio giunse a Lucca, incaricato da Bernabò di cercare un'alleanza con i Comuni toscani. Probabilmente poco dopo fece ritorno in Lombardia, poiché il governo fiorentino scrisse il 25 agosto e poi ancora l'8 settembre a Bernabò sottolineando la vitale importanza di inviare il C. presso l'Acuto "cum ipsum solum noverimus cui ille solet arcanos credere sensus". Delineandosi, infatti, una guerra con la Chiesa, le intenzioni del condottiero erano di importanza cruciale poiché il cardinal legato stava cercando di assicurarsene i servizi. Il C. giunse a Lucca il 10 settembre e proseguì per il campo inglese. Non riuscì a evitare che Giovanni Acuto accettasse la condotta della Chiesa, ma si trattenne molti mesi presso di lui, fungendo da tramite tra il condottiero da un canto e Firenze e Lucca, che cercavano di scongiurare un attacco alle loro terre, dall'altro. La sua era una posizione delicata e tale da attirargli non pochi sospetti da parte dei suoi signori. Il governo fiorentino, scrivendo a Bernabò alla fine di novembre, parla di "turbatione quam contra Roggerium, vestrarum litterarum tenore vos perpendimus concepisse", riferendosi forse alla riluttanza di Bernabò a confermare l'arruolamento compiuto dal C. di un distaccamento della compagnia inglese per la lega. Il disaccordo non durò a lungo: nel giugno 1376 il C. continuava a fungere da intermediario tra Giovanni Acuto da un lato e Firenze e Bernabò dall'altro. Probabilmente rientrò a Milano nel mese di agosto. Nell'aprile del 1377 passò per Firenze durante il viaggio verso Roma ove si recava quale ambasciatore di Bernabò al papa Gregorio XI: era, questo, un incarico di una certa importanza, dato che allora le potenze italiane stavano manovrando per arrivare ad unsi conclusione della guerra degli Otto Santi. Ritornò a Milano in dicembre: durante il viaggio si era incontrato con Giovanni Acuto a Firenze. Il 6 maggio 1378 era di nuovo in Toscana, a Pisa ove, ancora in compagnia dell'Acuto, scortava il rappresentante del pontefice, cardinale d'Amiens, ai colloqui di pace che si aprivano a Sarzana: e in seguito accompagnò a Firenze gli ambasciatori fiorentini che rientravano per discutere con il loro governo alcuni particolari del negoziato.

Durante la guerra del 1375-78 il C. ebbe dunque incarichi di una certa importanza e responsabilità al servizio di Bernabò Visconti. In una lettera inviata nel gennaio 1378 dal governo fiorentino a Bernabò si rinviene un oscuro riferimento a un "factum Roggeri et sociorum"; ma sembra che da allora il C. ricevesse incarichi diplomatici più che militari, anche se si giovò per essi della sua fama e delle sue qualità di soldato. Era ormai ben conosciuto dai governi della Toscana. Nell'agosto del 1379 a lui si rivolse l'inviato lucchese a Milano per ottenere una udienza da Bernabò. Sempre in agosto il C. partì per l'Inghilterra con gli ambasciatori inglesi che si erano recati a Milano per proporre il matrimonio del giovane re Riccardo II con una figlia di Bernabò Visconti. Fu forse la sua amicizia con Giovanni Acuto a farlo scegliere per questo incarice. Trascorse circa quattro mesi in Inghilterra nel corso dell'inverno 1379-1380, ma non riuscì a far progredire i negoziati per il matrimonio. Nel luglio 1380 fu inviato da Bernabò a Carlo di Durazzo la cui presenza in Italia era considerata un fattore di disturbo nella guerra di Chioggia. Più tardi - sempre nel 1380 - discusse a Milano con i rappresentanti delle città toscane le proposte avanzate da Bernabò per una lega contro le compagnie di ventura. Nella primavera del 1382 partecipò alle trattative per un'alleanza matrimoniale tra Bernabò e gli Angiò, collegata al progetto di una spedizione angioina nel Regno. Forse nel corso del suo viaggio in Inghilterra aveva stabilito contatti con la Francia. Certamente era ad Avignone nel marzo del 1383, dopo essersi recato in pellegrinaggio a San Giacomo di Compostella, e a Parigi il 6 aprile per trattare il problema del matrimonio tra Luigi d'Angiò e Lucia figlia di Bernabò Visconti. Al suo ritorno in Italia rappresentò a Hautecombe Bernabò alle esequie di Amedeo VI di Savoia nel maggio (è ricordato come "escuyer de mons. Bernabo Visconte"). Ripartì, poi, per la Francia nel febbraio del 1348 e raggiunse Avignone all'inizio del mese di maggio dopo aver fatto visita al conte di Armagnac.

Egli agiva quale agente di Bernabò presso Enguerrand VII, signore di Coucy (del quale aveva fatto conoscenza a Parigi l'anno precedente), che stava per muovere con unesercito verso il Regno al fine di restaurarvi le incerte fortune di Luigi d'Angiò. Il C. lo accompagnò quando durante l'estate passò dalla Lombardia alla Toscana e fu ancora al suo seguito quando più tardi nello stesso anno, morto Luigi d'Angiò e crollato il progetto angioino, il signore di Coucy rientrò in patria. L'inviato di Lucca, cui il C. aveva dato consigli circa il comportamento che quella Repubblica doveva tenere con il Coucy, dichiarò che quest'ultimo era interamente "a posta di meser Bernabò". Era questo senza dubbio il compito di cui il C. era stato incaricato. Tuttavia non gli riuscì di evitare che il Coucy, prima di lasciare la Toscana, vendesse a Firenze la città di Arezzo di cui aveva conquistato il controllo: un duro colpo per i piani di Bernabò. Il C. e il Coucy dovettero, comunque, rimanere in rapporti amichevoli, poiché nel febbraio del 1385 il C., che era a Saluzzo (il Gabotto, 1898, ritiene che il C. aveva congiunto le sue forze a quelle di Antonio Porro contro il principe di Acaia, ma non ci sono prove al riguardo), ricevette la richiesta di incontrare il Coucy a Pinerolo.

La caduta di Bernabò Visconti nel maggio del 1385 dovette privare il C. di un impiego stabile per un certo periodo. Non abbiamo notizie su di lui per i successivi tre anni. Forsesi recò in Francia col Coucy. Comunque lo troviamo al servizio del nuovo signore di Milano nel luglio del 1388 quando fu incaricato, insieme con Niccolò Spinelli e Pasquino Capelli, di convincere l'inviato fiorentino delle buone intenzioni di Gian Galeazzo Visconti. In agosto era a Chambéry probabilmente per trattare a nome di Gian Galeazzo la soluzione delle dispute in Piemonte. Nell'inverno 1388-89 era a Pavia, poiché sappiamo che fu invitato a pranzo dal rappresentante di Amedeo, principe di Acaia; e quando nell'aprile 1389 Amedeo rese visita a Gian Galeazzo, il C. fu inviato ad accoglierlo per scortarlo a Pavia. In questa città, poi, egli ricevette, insieme con Pasquino Capelli, l'inviato senese il 24 sett. 1389; e ancora a Pavia era nel giugno 1390 quando versò ad Enguerrand de Coucy una parte della dote di Valentina Visconti.

Non conosciamo il ruolo da lui svolto nella guerra contro Firenze del 1390-1391; ma quando si aprirono a Genova le trattative per la pace nell'autunno del 1391, il C. ricevette il compito di fungere da collegamento tra i plenipotenziari di Gian Galeazzo e Pavia. Fu infatti a Pavia dal 25 al 27 ottobre, il 6 novembre e ancora all'inizio del gennaio 1392 per riferire sui problemi sorti nel corso delle trattative e per ricevere le relative istruzioni di Gian Galeazzo da riportare a Genova. A seguito della pace di Genova dovette recarsi due volte in missione a Firenze, la prima con Pietro da Candia e Andreasio Cavalcabò nel settembre 1392, la seconda con Piero da Corte nel maggio 1391 per discutere circa "il fatto del Mincio". Nel 1394 il Coucy ritornò in Italia alla testa delle truppe inviate a imporre la sovranità francese su Genova. Gian Galeazzo appoggiava l'impresa, poiché Genova doveva andare al suo genero Luigi d'Orléans, e pertanto inviò il C. ad Asti per unirsi con il Coucy. Da Asti il C. si recò in missione il 20 nov. 1394 presso il doge Antoniotto Adorno. È questa l'ultima sua missione a noi nota. E possibile che egli morisse subito dopo, ma è anche possibile che, in età avanzata, si ritirasse dalla vita pubblica.

Poche sono le notizie da aggiungere allo scarno profilo della carriera del C., soldato che arrivò a svolgere una parte attiva nella diplomazia del suo tempo, che fu considerato un utile amico dai governi di Firenze e di Lucca e che riuscì ad acquistare il rispetto e l'amicizia di un condottiero inglese e di un nobile francese di antico lignaggio. Possedeva probabilmente una buona conoscenza delle lingue. Coluccio Salutati, che dovette incontrarlo a Firenze durante la guerra degli Otto Santi, continuò a considerarlo un amico. E quando nel 1392 non riusciva ad avere alcuna risposta da Pasquino Capelli e da Antonio Loschi alla sua pressante richiesta di una copia del manoscritto veronese delle lettere di Cicerone, si rivolse al C., come disse al Loschi, "non quod hanc procurationem a te transferam et illi, maioribus occupato, confidem: sed quoniam facilius poteris forte per ipsum quam per te vel Pasquinum meum, quod expedit, impetrare". È possibile che il C. non avesse a corte l'influenza che il Salutati gli attribuiva; comunque il fatto che il Salutati si sia rivolto a lui in questa occasione sta a dimostrare che tra i due era nata una certa simpatia.

Quando, il 16 genn. 1382, Teodoro marchese del Monferrato rinunciò alle sue pretese su Asti a favore di Gian Galeazzo Visconti, nel relativo trattato fu inserita una clausola speciale in virtù della quale era riservata al marchese la competenza su ogni disputa che fosse insorta tra il C., sua moglie Giacobina e la madre di questa da un lato e Antonio, Ludovico e Francesco degli Asinari dall'altro. Sembra trattarsi di questioni relative a diritti dotali e che Giacobina appartenesse all'importante famiglia astigiana degli Asinari. Del C. conosciamo soltanto una figlia, Beatrice, che sposò prima Facino Cane e poi Filippo Maria Visconti. Quando si sposò per la seconda volta nel 1412 Beatrice aveva circa quarant'anni: si può perciò pensare che il C. si sposò intorno al 1370. Una lettera inviata a Beatrice dal doge Giorgio Adorno nel 1413 rivela che il C. aveva alcuni interessi a Genova, interessi di cui però non si indica la natura, né il modo in cui il C. li aveva acquisiti. Nel 1417 Beatrice rivendicò alcune proprietà nel Genovese che "hereditario nomine predicti eius genitoris habere debet in dote a civitate et communitate Janue". È possibile che il C. o sua moglie avessero vincoli familiari con la nobilità della Riviera di Ponente? Si tratta di unsi mera ipotesi che però potrebbe spiegare la leggenda di "Beatrice di Tenda" che è stata trasmessa da Bernardino Corio ed ha confuso generazioni di storici, finché il Cognasso nel 1956 stabilì esattamente la parentela di Beatrice.

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