ROSSI GABARDI BROCCHI, Isabella

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI GABARDI BROCCHI, Isabella

Gabriele Scalessa

– Nacque a Firenze il 25 novembre 1808 da Anton Cino Rossi, avvocato, e da Elvira Giampieri, poetessa.

Si dedicò presto alla poesia e nel 1838 pubblicò la cantica polimetrica Cinzica de Sismondi, rilettura della leggenda della nobildonna che agli inizi dell’anno Mille esortò i pisani a respingere l’assalto dei saraceni. Risoltasi in una celebrazione delle virtù muliebri, l’opera, che le valse un diploma da parte dell’Accademia degli Infecondi di Prato, si poneva nel solco della parenesi risorgimentale e individuava nell’esortazione alla missione patriottica il destino delle donne italiane.

Nel 1838 ebbe inizio la sua relazione con Giuseppe Giusti, che sarebbe terminata nel 1840.

Nel 1839 pubblicò a Bologna le Rime, con dedica al letterato Giuseppe Ignazio Montanari. In una lettera del 14 novembre Francesco Fabi Montani diceva di volerla includere in una collana di poetesse stampata a Padova dall’editore Vedova.

Sul Poliorama pittoresco del 29 febbraio 1840 apparve una sua risposta all’abate Pietro Contrucci, che aveva accusato le donne italiane di inferiorità tout court rispetto alle inglesi e alle francesi. Lo scritto, in cui Rossi menzionava alcune letterate contemporanee (fra cui se stessa), esempi di gloria italica, comparve poi su La Moda del 30 marzo e fu apprezzato dalla poetessa Matilde Joannini.

In questo torno di anni la sua casa divenne uno dei salotti intellettuali più in vista di Firenze, frequentato, oltre che da Giusti, da Giuseppe Montanelli, Francesco Dall’Ongaro, Vincenzo Salvagnoli, Lorenzo Mancini, Giuseppe La Farina, Ippolito D’Aste, Pietro Giordani, Giovan Battista Bulgarini, Massimo D’Azeglio, Giovanni Rosini, Giovan Battista Niccolini, Amalia Bettini, Amelia Sarteschi Calani-Carletti. Alcuni, come Achille Castagnoli, le dedicarono versi di ammirazione (Alla preclara Isabella Rossi fiorentina, in Vari componimenti poetici, 1840).

Il Florilegio femminile compilato da Emanuele Rossi (1840-1841), raccolta di letture in tre volumi per l’educazione delle giovanette, pubblicò suoi racconti di virtù muliebre e spirito patriottico: Le donne pisane (con la vicenda di Cinzica e quella di Camilla del Lante); Le donne fiorentine (con la storia di Lucrezia Mazzanti e quella di monna Ghitta, che sacrificò suo figlio e i suoi pochi preziosi alla causa della Signoria, durante l’assedio di Firenze del 1529); Le donne sanesi (sulla vicenda della fanciulla che durante l’assedio da parte di Firenze del 1554 si sostituì al fratello durante un turno di guardia, e quella della donna che si fece torturare pur di non inneggiare al duca fiorentino); Le donne aretine (che riportava la vicenda di Ippolita degli Azzi).

Nel 1841 uscirono due tomi di Opere per i tipi fiorentini della Stamperia Granducale.

Il primo (Prose) raccoglieva apologhi morali, alcuni dei quali inediti, come il racconto La madre e il granatiere e Mandella; il secondo (Poesie) conteneva cantiche polimetriche di carattere storico: la Cinzica, I vespri siciliani, La morte di Galeazzo Sforza, Lucrezia Mazzanti, La giornata del 5 dicembre 1746 a Genova (rievocazione della rivolta di Portoria), Alla Repubblica di San Marino; carmi storici: Carlo V in Italia, Alle ceneri di Napoleone; carmi funebri: In morte di Girolamo Segato, In morte di Cesare Montalto; odi d’occasione: Per l’incanalamento del Tevere nella valle tiberina-toscana; epistole poetiche: Al professor Ignazio Montanari; poesie ai genitori, alla sorella, al fratello, al marito; a letterati: A Gio. Battista Nicolini, Ad Antonio Mezzanotte; inni religiosi: Cristo che lascia la Vergine per madre a Giovanni, A Maria.

Una dispensa dell’Enciclopedia popolare o collezione di letture amene, diretta da Ignazio Cantù, pubblicò nello stesso anno la cronaca popolare La madre bolognese, storia di una donna che accoglie e perdona l’assassino del figlio.

Il 1841 è anche l’anno del matrimonio con il conte carpigiano Olivo Gabardi Brocchi, futuro autore delle Leggende istoriche in ottava rima (1859). Gli sponsali ispirarono un carme celebrativo a Mantica Gabardi Brocchi (madre di Olivo) e una dedica a Giusti, che avrebbe continuato a manifestare affetto nei confronti di Isabella, come testimoniato dalla dedica autografa sull’edizione 1845 delle sue poesie.

Su La Moda del 2 maggio 1842 apparve la prosa Il cimitero di Bologna, mentre il periodico annuale Museo scientifico, letterario ed artistico accolse nel 1843 i versi di Morto! (per la scomparsa del padre avvenuta l’anno prima) e due novelle, fra cui il racconto storico Maria. Il «racconto vero» Marito e padre comparve invece su Letture di famiglia del 10 e 17 maggio 1845. Il 1845 è anche l’anno della nascita, a Firenze, del figlio Gabardo, futuro critico musicale, giornalista e autore di una dettagliata biografia della madre.

Isabella dedicò un canto a Vincenzo Gioberti per il suo arrivo a Firenze nel 1847 e si fece promotrice di iniziative filantropiche durante i moti del 1848, divenendo corrispondente fiorentina per il giornale torinese Risorgimento e celebrando nella prima lettera l’operato di Leopoldo II. Il 3 giugno dello stesso anno il periodico La donna italiana pubblicò la sua risposta (scritta con la madre) all’anonimo che aveva affermato che le donne toscane avevano avuto un ruolo marginale rispetto ad altre italiane durante la guerra d’indipendenza.

Nel 1849 fu condannata dal delegato politico carpigiano a due mesi di arresti domiciliari per aver consigliato a suo cugino di arruolarsi nelle truppe sabaude invece che in quelle estensi. Scontata la pena, rientrò con la famiglia a Firenze.

Dopo aver commemorato, il 20 maggio 1850, il secondo anniversario di Curtatone e Montanara con un articolo sul Costituzionale, scrisse un salmo funebre per la morte di Giusti (il 31 maggio). L’anno dopo tornò a Carpi, pur continuando a mantenere contatti epistolari con gli amici fiorentini (soprattutto Gino Capponi, fino alla morte di questi).

È del 1853 (ma elaborato già nel 1846) il romanzo Dio non paga il sabato, con dedica alla Calani-Carletti che ne aveva incoraggiato la pubblicazione e rivisto le bozze.

Accompagnato da preoccupazioni linguistiche (l’autrice dichiarava nella prefazione di voler scrivere una storia nella lingua viva di Toscana con qualche concessione francofona), narra la vicenda della povera e religiosa Maria, accolta in casa dal losco Federigo, da cui rischia di essere compromessa, e quella dell’altrettanto virtuosa ma nobile Giulia, a sua volta corteggiata da Federigo, che alla fine viene arrestato per furto. Pretesto per la rappresentazione di scene di vita fiorentina (come nel capitolo sulla festa di s. Giovanni), il romanzo veicola concetti quali il ruolo di guida della figura maschile all’interno della società (alla fine del romanzo il facoltoso Randalli salva Maria facendole prendere i voti, e patrocina le nozze fra il figlio adottivo Carlo e Giulia) e la fragilità dell’animo muliebre, facile al traviamento.

Nello stesso anno pubblicò a Padova il pamphlet apologetico Girolamo Segato a Firenze per riabilitare la figura dello studioso bellunese calunniata in una pièce teatrale rappresentata a Padova il 6 maggio.

Nel 1856 tradusse Les devoirs des femmes dans la famille dell’abate Frédéric-Édouard Chassay (I doveri delle donne nella famiglia, per i tipi milanesi di Arzione), cui aggiunse una premessa, nella quale sposava nel complesso il pensiero del francese, e alcune note, pubblicando l’anno successivo i Cenni sopra il collegio di San Carlo in Modena, della cui Accademia di scienze, lettere e arti faceva parte Gabardo.

Già interessata al magnetismo e allo spiritismo, nel 1864 entrò in contatto con la società spiritica torinese, distaccandosene subito perché contraria alle sue convinzioni cattoliche. Nello stesso anno strinse amicizia con lo scultore Giovanni Duprè e con Aleardo Aleardi, che le avrebbe dedicato le poesie Cosa è Dio? e Cosa è Satana?

Adopratasi con opere di beneficenza durante la guerra del 1866, accolse in casa, alla fine del conflitto, il generale Giuseppe Avezzana, che aveva combattuto a fianco di Giuseppe Garibaldi.

Due sue lettere a Bartolomeo Chifenti per i suoi Ricordi storici intorno alla tentata fuga della regina di Etruria dal territorio francese apparvero nell’opuscolo di Niccolò Tommaseo Di un omicidio politico, che includeva anche lettere di Mauro Ricci, nel 1869. Il 28 aprile confutò poi la teoria di Charles Darwin in un articolo sulla Gazzetta d’Italia, che trovò riscontro presso Capponi e lo stesso Tommaseo.

Del 1871 sono invece le Riflessioni sul proletariato a seguito degli eventi della Comune parigina, in cui sottolineava l’importanza di un’equa distribuzione dei beni e dell’integrazione delle masse nell’agricoltura e nell’industria.

A testimonianza della sua fama e del suo impegno patriottico, fu menzionata da Eugenio Comba nel suo Donne illustri italiane proposte ad esempio alle giovinette del 1872.

Commemorò Tommaseo in un salmo funebre il giorno della sua morte, il 1º maggio 1874, e fu impegnata nello stesso anno in uno scambio epistolare con Luciano Scarabelli, che le chiedeva pareri sulla sua produzione letteraria.

Sono, questi, gli ultimi anni di attività scrittoria. Nel 1875 fu redattrice del giornale politico L’Epoca; scrisse il pamphlet Una nuova specie di schiavitù contro l’atteggiamento filogermanico che vedeva diffondersi all’epoca; si strinse d’amicizia con Cletto Arrighi. Giovanni Verga le inviò una copia di Primavera e altri racconti l’anno della sua uscita (1876).

Il tema dell’inferiorità muliebre nei confronti dell’uomo si riaffacciò nel libello Emancipazione! Considerazioni sui diritti della donna, che vide la luce per i tipi dell’Arte della Stampa a Firenze nel 1877.

Prendendo le distanze dai movimenti protofemministi d’Europa, l’autrice condannava la donna a una consustanziale debolezza d’animo e le attribuiva il mero ufficio di moglie e madre, riservando all’uomo, al contrario, il pieno esercizio delle facoltà razionali e il ruolo di guida all’interno della famiglia e della società.

A parte un canto biblico per la morte di Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, per la ghirlanda funebre dal titolo Fior di passione, non scrisse più nulla di significativo, diradando per giunta le corrispondenze epistolari. È del 1884 l’incontro con la Contessa Lara, che le dedicò il sonetto Quadro dal vero.

Morì a Firenze il 28 luglio 1893.

Postuma uscì la sua riproposizione di Dio non paga il sabato con il titolo Un gentiluomo ladro (1908).

Fonti e Bibl.: G. Gabardi, Mia madre, Firenze 1900-1902; La storia d’amore fra I. R. G.-B. e Giuseppe Giusti, a cura di P. Dini, in Nuova Antologia, 2008, n. 2247, pp. 309-325; n. 2248, pp. 251-269; A. Benedetti, La ‘Lettera al Chiarissimo Profess.e Corrado Gargiolli’, in Antologia Vieusseux, n.s., XIX (2013), 55, pp. 65-75.

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