SCALERO, Rosario

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCALERO, Rosario

Michele Curnis

SCALERO, Rosario. – Nacque a Moncalieri il 24 dicembre 1870 da Bartolomeo e da Rosa Gambaudo. Fu battezzato anche con i nomi di Natale Bartolomeo Melchiorre. I genitori erano servitori della famiglia reale e vivevano in un umile appartamento nel locale castello.

All’età di sei anni, nell’oratorio S. Filippo di Torino, iniziò lo studio del violino sotto la tutela di Pietro Bertazzi, maestro del Teatro Regio; tra il 1882 e il 1888 fu allievo di Luigi Avalle nel liceo musicale, ma abbandonò la scuola un anno prima del diploma, forse per divergenze con un insegnante.

Il 4 giugno 1890 si esibì al teatro Scribe nel Concerto in Re maggiore op. 61 di Ludwig van Beethoven, con accompagnamento di pianoforte: era la seconda esecuzione dell’opera a Torino. Decise di perfezionare i propri studi a Genova con Camillo Sivori, l’unico discepolo riconosciuto da Niccolò Paganini. Sivori si rese conto delle capacità dell’allievo e lo esortò a viaggiare in Europa per ampliare le conoscenze e formarsi una personalità artistica di più ampie vedute. Ma la vita errabonda di Scalero iniziò soltanto nel 1895; prima, infatti, tornò a Torino, dove alla scuola di pianoforte Giovanni Verri conobbe Clementina Delgrosso, figlia di un noto avvocato civilista. L’amore tra i due fu dapprima contrastato dalla famiglia di lei, di ceto borghese, anche per le umili origini di Scalero; il 17 novembre 1892 il matrimonio fu comunque celebrato, e poco dopo i coniugi si stabilirono a Roma. Il giovane violinista tentò di aprirsi una carriera negli ambienti musicali romani, ma trovò buona accoglienza soltanto presso il compositore Giovanni Sgambati, che lo apprezzava come interprete delle sue musiche. Il 19 ottobre 1893 a Torino nacque Alessandra, e il 29 luglio 1895, nella casa padronale che la famiglia Delgrosso aveva a Mazzè, nel Canavese, nacque Liliana. Subito dopo Rosario partì per Londra, per esibirsi come concertista e continuare gli studi con August Wilhelmj, già Konzertmeister di Wagner a Bayreuth. I concerti londinesi ebbero successo e accreditarono il magistero violinistico di Scalero, che a Londra, da Chanot, pubblicò la Romance per violino e pianoforte op. 4, eseguita nel 1895 alla Queen’s Hall: un pezzo costruito con eleganza, in cui il discorso musicale persegue sempre la bellezza formale e melodica.

Tra il 1896 e il 1900 Scalero si stabilì a Lione con la famiglia dedicandosi all’insegnamento (un figlio, Leonardo, nato nel 1898, morì quasi subito di erisipela). Ambiva però a diventare compositore. L’amico Leone Sinigaglia, musicista piemontese assai noto all’estero, gli consigliò di recarsi a Vienna per intraprendere un nuovo ciclo di studi. Il soggiorno austriaco si protrasse dal 1900 al 1907 e Scalero poté godere della guida di Eusebius Mandyczewski, bibliotecario della Gesellschaft der Musikfreunde, editore di Franz Joseph Haydn e Franz Schubert, intimo amico ed esecutore testamentario di Johannes Brahms, ma soprattutto maestro di armonia e contrappunto. Grazie alle competenze e conoscenze di Mandyczewski, Scalero trascorse anni di straordinaria crescita culturale e artistica: risale al periodo viennese la maggior parte delle composizioni da camera, nonché l’irrobustimento strutturale delle doti di compositore.

Il 30 maggio 1901 nacque a Torino la terza figlia, Maria Teresa, che fu cresciuta dalla nonna materna in Piemonte fino a quando gli Scalero non fecero ritorno in Italia nell’ottobre 1907. Da quel momento la famiglia si stabilì a Roma, nella grande casa di un cognato, l’avvocato Piero Delgrosso, e lì restò unita fino al 1919. Di nuovo il compositore tentò d’imporsi sulla scena musicale romana, ma con esiti modesti. Per questo, disponendo di numerose musiche inedite composte nel periodo viennese, nel 1909 si decise a organizzare una tournée in Germania con la pianista Alice Elinor Bocconi, conosciuta a Roma. Il marcato successo di pubblico delle composizioni di Scalero a Lipsia e Berlino ebbe una conseguenza immediata: Oskar von Hase, proprietario delle edizioni Breitkopf & Härtel, volle acquistare in blocco tutte le musiche.

Nel 1910 la casa lipsiense pubblicò i due mottetti corali op. 6-7 Über einem Klagegesang des Propheten Jeremias e Über Worte der heiligen Schrift, e una serie di brani per violino e pianoforte: 14 Variazioni su un tema di Mozart op. 8, Sonata in Re minore op. 12 (forse il brano meglio riuscito, che ancor oggi sopravvive nei programmi cameristici), Suite im alten Stil op. 15, 3 Walzer-Capricen op. 16, 3 Stücke op. 17; per pianoforte solo i 6 Romantische Stücke op. 19 e la Pugnani-Sonate. Nel 1911 e poi nel 1921 l’editore berlinese Simrock pubblicò trascrizioni di Scalero, per violino e piano, di opere di Antonín Dvořák (Humoresken op. 101, Danze slave op. 72). La collaborazione con Breitkopf & Härtel durò anche negli anni a venire, ma in modo più sporadico: nel biennio 1911-12 apparvero 6 Geistliche Stücke op. 18 per coro, 8 Präludien (Canons) op. 21 per pianoforte; per violino e pianoforte le 12 Variazioni sopra le variazioni sul Barucabà di Paganini op. 14 e Eine kleine Suite nach Scarlatti; nel 1921 la Suite op. 20 per due violini, viola, violoncello e archi. Organici, titoli e generi indicano chiaramente che Scalero guardava al tardo romanticismo di Brahms e Dvořák, che nei primi del Novecento in area germanica stava rapidamente tramontando sull’orizzonte artistico, ma non ancora nel gusto del pubblico (lo dimostra la lusinghiera accoglienza ricevuta dal compositore violinista).

Dopo la fortunata tournée tedesca Scalero fondò a Roma un proprio quartetto d’archi, costituito ufficialmente nel 1913 come La società del quartetto: attivo nelle principali sale da concerto, coltivava un vasto repertorio che si estendeva agli autori contemporanei (nel 1914 si esibì in duo con Alfredo Casella al pianoforte). Spesso agli strumentisti si affiancava un quartetto vocale per offrire al pubblico il repertorio polifonico italiano, dal Rinascimento all’Ottocento. L’esperienza – fortunata, seppur destinata a esaurirsi con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 – pose in risalto l’eclettismo di esecutore e di direttore artistico di Scalero. Sciolto il quartetto, divenuto libero docente di analisi delle forme musicali all’Accademia di Santa Cecilia in Roma, nel 1919 ricevette da David Mannes l’invito a ricoprire la cattedra di composizione nella Mannes School di New York, lasciata vacante da Ernest Bloch.

A pochi mesi dalla conclusione del conflitto iniziò dunque il lungo periodo statunitense di Scalero, che si protrasse fino al 1946: la collaborazione con la Mannes School durò dieci anni; ma già nel 1924 l’apprezzamento delle sue capacità didattiche gli procurò l’incarico più prestigioso di tutta la carriera: l’insegnamento al Curtis Institute of music di Filadelfia, dove alla fine del 1927 fu nominato direttore del dipartimento di teoria e composizione musicale. Nel 1928 Arturo Toscanini gli scrisse per pregarlo di seguire un allievo di gran talento ma bisognoso di studi rigorosi, Gian Carlo Menotti. Le mutate condizioni economiche permisero al maestro di acquistare nel 1929 il castello di Montestrutto (a Settimo Vittone, nel Canavese settentrionale), un edificio ricostruito agli inizi del secolo in stile gotico, situato su di un rialzo verso l’imbocco della Valle d’Aosta: qui trascorreva le vacanze estive, senza cessare di dar lezione a studenti italiani e agli americani che lo seguivano in Italia. Assidui frequentatori del castello furono i tre allievi destinati al successo internazionale: Menotti, Samuel Barber e Nino Rota (Marola, in Rosario Scalero, 2004, pp. 20-27; e Marola, 2006). Tra gli allievi americani che poi si fecero un nome ebbe inoltre Marc Blitzstein e Lukas Foss.

Le composizioni musicali del periodo americano sono numerose, al pari delle loro esecuzioni (cfr. Marola, in Rosario Scalero, 2004, pp. 55-72), ma quasi tutte inedite. Frequenti i Lieder su testi di autori vari e brani da camera (come la Suite per orchestra d’archi op. 29, del 1919-20, le Sette canzoni op. 33 per soprano e quartetto d’archi, del 1937-39, e il coevo Concerto in Do minore per violino e pianoforte). In Italia il poema sinfonico per orchestra La divina foresta op. 32 (ispirato al canto XXVIII del Paradiso dantesco), dato all’Augusteo di Roma il 20 novembre 1932, direttore Bernardino Molinari, non ebbe molto successo: la composizione era nata dalla rielaborazione del fortunato quartetto con voce La pioggia nel pineto op. 31 (di cui restano più versioni degli anni Venti), a sua volta ispirato ai versi di Gabriele D’Annunzio.

In Scalero non venne mai meno la passione per l’insegnamento; al contrario, «la composizione vera e propria [...] tacque poi in lui, dolorosamente, nella crisi dell’arte che violentemente mutava» (L. Scalero, Tre figlie e un padre: memorie [Roma 1972-1973], p. 76). Eppure la scrittura della Divina foresta non ha nulla di antiquato o convenzionale; al contrario, «potrebbe suonare [...] come uno dei grandi lavori sinfonici di Debussy: tinte tenui, qualche cromatismo languido, atmosfere soffuse» (Ruo Rui, in Rosario Scalero, 2004, p. 44). La figlia Liliana, autrice di saggi, traduzioni, romanzi (nel 1963 vinse il premio Deledda per La ruinette) e soprattutto innumerevoli cronache musicali per giornali e riviste italiani, seppe formulare in più occasioni giudizi equilibrati sulla carriera di compositore del padre, rimarcando «le sue varie fasi, i suoi successi, i suoi errori, le sue mancanze, nel senso di vuoto, di non completamente adempiuto» (Tre figlie e un padre: memorie, cit., p. 52).

In seguito a temporanee difficoltà economiche del Curtis Institute la cattedra di composizione fu abolita: Scalero trascorse un periodo di due anni in Italia (1933-35) prima di essere reintegrato nell’incarico. A questo intervallo corrisponde la pubblicazione di quattro articoli nel quotidiano Il Popolo di Roma, tra gennaio e maggio 1935, dedicati a Bach, Beethoven, Palestrina, Wagner: si tratta degli unici suoi scritti editi (eccettuati due brevi articoli apparsi su The Musical Quarterly nel 1921 e nel 1926), probabilmente suggeriti da Liliana, la quale sin dal 1932 collaborava assiduamente al giornale romano. Gli avvenimenti rilevanti di questo periodo riguardarono soprattutto la famiglia: nel 1935 la figlia Maria Teresa sposò il medico belga Victor De Ruette (1879-1966); nel 1939 il Curtis Institute volle insignire Scalero di una laurea ad honorem (‘Laurel Wreath’); il 15 novembre dello stesso anno morì a Roma la moglie Clementina. Tra 1941 e 1944 fu allievo di Scalero l’enfant prodige canadese Clermont Pépin (1926-2006), che divenne poi compositore e didatta, professore e infine direttore del Conservatoire de musique du Québec a Montréal (1955-1973). La sorella maggiore di Clermont, Germaine (1919-1997), aveva ricevuto una buona educazione musicale e si adoperava perché il fratello conoscesse i migliori maestri operanti nel Nordamerica; aveva ventitré anni quando, nel 1942, Scalero decise di sposarla. Dopo il matrimonio si dimise dal Curtis Institute, indicando come successore Menotti; per tornare in Italia dovette però attendere la conclusione della guerra.

Il 24 luglio 1944 morì a Ivrea la prima figlia Alessandra, apprezzata traduttrice dall’inglese per Corbaccio e Mondadori. Scalero attraversò l’oceano per l’ultima volta nel maggio 1946 con la seconda moglie, ritirandosi a Montestrutto, dove impartì ancora per alcuni anni lezioni private ad allievi italiani e stranieri. L’ottima salute del maestro fu compromessa da una caduta sul selciato ai primi del 1954; con quell’incidente iniziò una rapida decadenza fisica e mentale.

Morì a Montestrutto la notte del 24 dicembre 1954. Fu tumulato il 26 dicembre nel cimitero di Moncalieri.

Per quasi vent’anni la figlia Liliana fu pressoché l’unica a preservarne la memoria e l’eredità culturale, con brevi articoli d’occasione; le più ampie memorie di famiglia (Tre figlie e un padre) restarono inedite. Liliana e Maria Teresa morirono a Roma, rispettivamente il 9 maggio 1976 e il 5 agosto 1990. L’oblio in cui caddero la vita e l’opera di Scalero in Italia si spiega con tre ragioni fondamentali: per circa un trentennio era vissuto all’estero; le sue composizioni erano inedite o risalivano a molti anni addietro (un solo brano era stato pubblicato da un editore italiano: la Divina foresta, Milano, Carisch, 1932); lo stile era lontano da quasi tutti i movimenti di avanguardia. Al momento della morte rappresentava «una figura assolutamente fuori tempo nell’Italia del secondo dopoguerra e fuori schema per la propaganda culturale fortemente ideologizzata di quel periodo» (E. Negri, Il paesaggio musicale italiano intorno a Rosario Scalero, in Rosario Scalero (1870-1954)..., 2004, p. 37).

Fonti e Bibl.: Gli autografi musicali di Scalero sono quasi tutti conservati nell’Archivio di Laval (Canada), di proprietà degli eredi della figlia Maria Teresa; alcuni sono nella Biblioteca del Curtis Institute. A Laval sono anche le bozze di un più ampio progetto (La creazione musicale: trattato di teoria musicale) e numerose lezioni su singoli violinisti (forse destinate a una monografia sull’arte violinistica italiana da Corelli a Paganini). L’Archivio di Montestrutto, di proprietà dei medesimi eredi, dal 2005 è stato trasferito nell’Istituto per i beni musicali in Piemonte - Centro di ricerca e documentazione di Saluzzo (Cuneo): vi sono custodite copie delle opere a stampa, gran parte dell’epistolario (circa 1500 lettere, per lo più di Scalero ai familiari, ma anche di colleghi e allievi), carte di lavoro (corsi e lezioni presso gli istituti americani) e il dattiloscritto di Liliana, Tre figlie e un padre: memorie [Roma 1972-1973]. In tempi recenti gli eredi hanno messo a disposizione presso la Biblioteca civica Francesco Mondino di Mazzè (Torino) anche i fondi delle tre figlie, con materiali e documenti relativi al padre e alla famiglia.

L. Scalero, Il maestro mio padre, in Discoteca, 15 febbraio 1961, pp. 32-36; Ead., R.S., in L’osservatore politico letterario, XIII (1967), 1, pp. 49-56; Ead., Uomini e memorie, Parma 1968; Ead., Ricordi di mio padre, in L’Osservatore politico letterario, XXI (1975), 5, pp. 83-86; J. Gruen, Gian Carlo Menotti, Torino 1981, pp. 21-26; R.B. Hilton, R.S., in The new Grove dictionary of American music, IV, New York 1986, p. 147; Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, VI, Torino 1988, p. 602; B.B. Heyman, Samuel Barber: the composer and his music, New York-Oxford 1992, ad ind.; C. Marola, Il musicista S. “riscoperto” dal Festival della Via Francigena, in Il Canavesano, dicembre 2004, pp. 94-99; R. S. (1870-1954), un maestro fra «i due mondi», Atti della Giornata di studi... 2004, a cura di E. Negri, in Civiltà musicale, XIX (2004), 53, n. monografico (in partic. C. Marola, L’Archivio di Montestrutto. Fonti inedite per una biografia, pp. 20-27; A. Ruo Rui, L’evoluzione della tecnica compositiva in R. S., p. 44; C. Marola, Catalogo delle opere di R. S., pp. 55-72); F. Ingrosso - C. Marola, Il carteggio Sinigaglia-S. (1899-1913). Due compositori piemontesi a Vienna, in Miscellanea di studi, Istituto per i Beni musicali in Piemonte, 6, a cura di A. Basso, Torino 2006, pp. 259-313; C. Marola, Musica al castello di Montestrutto: R. S. e l’allievo prediletto Gian Carlo Menotti, in G.C. Menotti, The Consul, programma di sala, Teatro Regio di Torino, 2006, pp. 55-65; A. Ferrando, Fonti inedite: l’archivio delle due traduttrici Liliana e Alessandra S., in La fabbrica del libro, XIX (2013), 1, pp. 43-47. Sulle figlie Alessandra e Liliana, i loro rapporti con il padre e il milieu familiare: F. Dassano, Alessandra S., una traduttrice. Materiali per una biografia, in L’Escalina, I (2012), pp. 285-335; M. Curnis, La critica musicale di Liliana S., in L’Escalina, II (2013), pp. 73-98.

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