RONDI NASALLI, Gian Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

RONDI NASALLI, Gian Luigi

Italo Moscati

– Nacque a Tirano (Sondrio) il 10 dicembre 1921 da Umberto, piemontese, tenente dei Carabinieri reali e Maria Virginia Gariboldi, lombarda.

Sia Gian Luigi sia suo fratello minore Brunello furono significative presenze nel cinema italiano, dal dopoguerra in poi: il primo come critico e direttore di importanti rassegne; il secondo in veste di sceneggiatore e regista.

Al seguito della famiglia, costretta a trasferirsi a causa degli spostamenti del padre per servizio, Rondi frequentò scuole cattoliche a Genova e a Roma, dove arrivò a quindici anni, nel 1936, quando Cinecittà era già in costruzione per avviare la prima produzione: Scipione l’Africano, un kolossal girato nella Piana di Sabaudia, appena bonificata, diretto da Carmine Gallone. Nel 1940, l’anno in cui l’Italia entrò in guerra, s’iscrisse a giurisprudenza. Frattanto aveva cominciato a scrivere di teatro, frequentando i cinema che aprivano soltanto nel pomeriggio per via del coprifuoco. Chiamato alle armi, non fece il servizio militare a causa di un arteriopatia al piede sinistro. Laureatosi nel 1945, non fece mai l’avvocato o il magistrato, ed entrò nei gruppi dei comunisti cattolici romani di Adriano Ossicini e Fedele d’Amico, marito di Suso Cecchi, poi grande sceneggiatrice di Luchino Visconti e di altri registi nell’Italia democratica e antifascista.

Nel 1947 Silvio d’Amico invitò il ventiseienne Rondi a scrivere su Il Tempo, collaborazione che durò tutta la vita: il giovane critico agiva da principe con la vocazione dello spettacolo cinematografico e non solo, ostentando misura ed eleganza, in abiti squisitamente borghesi. Venne poi l’abituale sciarpa al collo, un tocco che divenne quasi subito moda, da quando Fellini e altri seguirono, suggestionati dalla classe di un vero aristocratico, il conte Luchino Visconti.

Nel 1948 Rondi era già in piena attività: scriveva sul Tempo, e si unì in matrimonio con Yvette Spadaccini dalla quale ebbe due figli Joël Umberto (n. 1950) e Francesco Saverio (n. 1955). Vivendo tra Roma e Parigi, ove per la maggior parte dell'anno risiedeva la moglie coi figli, divenne corrispondente dall’Italia di Le Figaro per il cinema, nonché dei periodici francesi Cinémonde e Le Film français, e del periodico belga Cinérevue.

Sempre nel 1948 riaprì Cinecittà, con il film Cuore di Duilio Coletti, mentre negli studi si celebrò la riapertura con Fabiola, diretto da Alessadro Blasetti, coproduzione italofrancese cui partecipavano divi italiani e d'Oltralpe. Era il segnale di una nuova fase in cui il giovane Rondi intendeva inserirsi, tentando la via del cinema non solo come critico ma come autore. La fase della ricostruzione, con l’avvìo del piano Marshall e dei massicci aiuti americani ebbe effetti anche nel cinema: le autorità militari, infatti, avevano convocato gli esponenti del cinema, ed erano state al riguardo piuttosto esplicite: l’Italia era stata fascista e aveva bandito i film di Hollywood, ora era venuto il tempo di dare avvio a un rapporto diverso e stabilire nuove quote d’export e import.

Sempre nel 1948 avvenne l’incontro fra Rondi e un non ancora trentenne Giulio Andreotti, già sottosegretario di De Gasperi ed esponente della destra democristiana. Rondi, iscrittosi al partito, collaborò con Andreotti a un'azione moralizzatrice e per l'aggiornamento della normativa sulla censura: il sottosegretario non amava il neorealismo ed espresse giudizi negativi, fra gli altri, su Umberto D (1952) di Vittorio De Sica, Palma d’oro al Festival di Cannes: «Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudeli, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti – erroneamente –  a ritenere che quella di ‘Umberto D’ è l’Italia del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria […]». De Sica scrisse una gentile replica a quell’attacco, riassunta dalla stampa con la sintetica accusa che «i panni sporchi si lavano in famiglia», una formula destinata ad affiorare ogni qual volta veniva citato un film non gradito. Così avvenne anche per Ladri di biciclette, premio Oscar 1950.

Divenuto critico cinematografo della rivista della destra DC, Concretezza, Rondi scrisse una critica negativa a Le mani sulla città di Francesco Rosi (Leone d’oro a Venezia nel 1963), un film che denunciava con forza la speculazione edilizia a Napoli. Benché il rapporto con Andreotti non si interruppe mai, si allentò progressivamente. Rondi diventò il parafulmine su cui si scatenavano le sinistre.

La posta in gioco era l'egemonia culturale e tra i critici il conflitto politico andava di pari passo con le intense trasformazioni nel mondo del cinema, almeno da quando gli americani arrivarono con i kolossal. Il primo dei quali fu Quo Vadis? di Mervyn Le Roy, destinato fin da subito a provocare sensazione. Ai cancelli di Cinecittà si presentarono per fare le comparse due persone che avrebbero fatto strada: la giovanissima Sofia Scicolone, poi Sophia Loren, e Pier Paolo Pasolini.

Nel 1949 Rondi entrò nella giuria della decima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia; scriveva, collaborava alla radio, cominciava a collezionare incarichi in organizzazioni come i cineforum, la segreteria della Fondazione dei premi Roma con competenza per il cinema, il Congresso internazionale dei Film club e della Accademia del cinema, di cui era presidente Vittorio De Sica. Dall’estero giunsero segni di stima e riconoscimenti: cavaliere della Legion d’onore, dalla Francia pubblicò libri con Cesare Zavattini e Alessandro Blasetti, e collaborò alla rivista Bianco e nero, edito dalla Cineteca nazionale.

Negli anni successivi, Rondi diventò autore di documentari d’arte (fra cui Van Gogh, premiato alla Mostra di Venezia). Conobbe grandi registi come Georg Wilhelm Pabst, Ladislao Vajda, Joseph L. Mankiewicz, che gli chiesero di collaborare; curò, su richiesta di Ingmar Bergman, i dialoghi di Luci d’inverno, e per René Clair i dialoghi di Tutto l’oro del mondo.

Intanto il neorealismo sfumava nella frenetica ricostruzione e industrializzazione del Paese. Gli italiani volevano andare incontro a una realtà che, senza dimenticare, facesse ritrovare i sorrisi, la voglia di vivere; e lo chiedeva al cinema in cui anche i registi, con produttori famosi tra cui Carlo Ponti (marito della Loren) e Dino De Laurentiis (marito di Silvana Mangano), accettarono la sfida. La competizione Cinecittà-Hollywood dominò a lungo le scelte e i generi di produzione. Nel 1953 riscosse grande successo Pane, amore e fantasia con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, storia popolaresca considerata un esempio di neorealismo "dolcificato", seguito da Poveri ma belli (1957) di Dino Risi, con Marisa Allasio e Maurizio Arena. Prendeva il via la cosidetta commedia all’italiana con registi del calibro di Risi, Pietro Germi e Mario Monicelli. Al contempo debuttava Pasolini con Accattone e, nel 1965, Marco Bellocchio presentava I pugni in tasca, l’esordio di una nuova generazione.

Rondi chiese e venne ammesso al Sovrano Militare Ordine come cavaliere di Grazia magistrale. Riformò e guidò gli Incontri internazionali di Sorrento, partecipò e frequentò giurie a Cannes, San Sebastián e di molti altri festival. Fondò con Giancarlo Menotti, Luchino Visconti, Federico Fellini, Franco Zeffirelli, l’Ente Spoleto Cinema, di cui fu direttore artistico dal 1969 al 1971.

Frattanto, per la Mostra internazionale d'arte cinematografica, nel clima della contestazione studentesca e per chiudere dispute e soluzioni scartate dai partiti per il 1971-72, venne chiamato Rondi, subito ribattezzato «doge di Venezia». Le critiche furono esplicite, pungenti. Un coro. La Sinistra si mobilitò. Pasolini scrisse di getto un epigramma famoso, che esprimeva un giudizio sferzante, non isolato: «Sei così ipocrita che quando l’ipocrisia ti avrà ucciso/ sarai all’inferno e ti crederai in paradiso». Tuttavia, poco tempo dopo Pasolini accettò di essere fotografato con «l’Ipocrita».

A Venezia, il "doge" andava e veniva. Le controversie non finivano e la Mostra fu sospesa per due anni. Riprese nel 1979 con Carlo Lizzani. Rondi ritornò l’anno seguente, resistette un anno, poi fu la volta di Guglielmo Biraghi. Richiamato fra il 1983 e l'86, tornò ancora dal 1993-96 come presidente della Biennale d’Arte, di cui la Mostra era una delle manifestazione più importanti.

Il cinema si era lasciato ormai alle spalle i periodi migliori e cercava con affanno nuovi talenti. Rondi era intanto impegnato in un nuovo Grand Tour in Europa per ricevere premi, incarichi, cavalierati, inviti a festival; lavorava per la radio e la tv, presiedette il dipartimento spettacolo della Presidenza del Consiglio dei ministri, fu insignito nel 1994 con il premio Vittorio De Sica e cinque anni dopo ne divenne presidente. Venne iscritto d’ufficio all’Associazione dei partigiani cristiani, e nominato presidente di un rassegna, nata in concorrenza con la Mostra di Venezia, il Festival internazionale del film di Roma, da cui si dimise nel 2012 quando il sindaco di destra Giovanni Alemanno non nominò una persona da lui sostenuta come direttore artistico. Rondi commentò: «Non potevo chiedere al sindaco di dimettersi, l’ho fatto io».

Molte cose erano cambiate. Rondi aveva ormai 93 anni e aveva costruito abilmente un percorso, con una strategia attenta ai mutamenti politici negli anni, cui si era dedicato, attraverso incarichi cercati o assegnati per la sua bravura, inconsapevolmente forse dapprincipio, poi con sempre maggiore consapevolezza.

Rondi è stato il “testimone”, il narratore del cinema italiano, e non solo; del cinema diffuso attraverso festival, premi, tributi, rapporti politici. Attenzione, consuetudine, collaborazione, amicizia con attori, registi, produttori, protagonisti gli  consentirono di raccontare ciò che vedeva, con la sciarpa al collo anche non in inverno: una sorta di “romanzo” molto personale, dentro un Paese che da un certo momento in poi, non è stato più in grado di mantenere alta la qualità e la fortuna del suo cinema. Da ultimo si era iscritto al Partito democratico (PD). Era tornato partigiano. Una storia italiana. La trama, come quella di un film, una commedia non all’italiana, una commedia italiana, anzi “degli italiani”.

Morì a Roma, il 22 settembre 2016, e fu sepolto in Piemonte nella tomba di famiglia.

Fonti e Bibl.: G.L. Rondi, Il cinema dei maestri, Milano 1980; Id., Un lungo viaggio. Cinquant’anni di cinema raccontati da un testimone, Firenze 1998; Id., Kurosawa, Bergman e altri, ibid. 2000; S. Casavecchia, R. visto da vicino, Cantalupo in Sabina 2008; G.L. Rondi, Immagini del cinema…, a cura di S. Casavecchia, con un'intervista a G. Lollobrigida e una testimonianza di Paolo e Vittorio Taviani, Roma 2013; Tutto il cinema in 100 (e più) lettere, I, G.L. Rondi, a cura di S. Casavecchia - D. Monetti - L. Pallanch, Roma 2015; G.L. Rondi: vita cinema passione (dvd Istituto Luce), regia di G. Treves, Roma 2015; G.L. Rondi, Storie di cinema: cinquantotto voci dal set, a cura di T. Provvidera, Torino 2016.

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