PEPOLI, Romeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PEPOLI, Romeo

Massimo Giansante

PEPOLI, Romeo. – Figlio di Zerra di Ugolino e di Paola Anguissola, nacque a Bologna verso il 1250.

Oltre a Romeo, Zerra Pepoli ebbe almeno tre figlie: Egidia, Donella e Giovanna; delle ultime due, morto il padre nel 1267, si occupò il fratello Romeo, che diede in sposa Donella, nel 1276, a Uguccione Tettalasini e Giovanna, nel 1281, a Giacomo Caccianemici (Sommari, 141, pp. 78, 85, 90). Si trattava di due fra le famiglie più prestigiose dell’aristocrazia cittadina di Bologna, anche se schierate su opposti fronti politici, essendo guelfi i Caccianemici e ghibellini i Tettalasini. A questi ultimi si legò, nel 1280, lo stesso Romeo, sposando Azzolina Tettalasini, da cui ebbe almeno sette figli e tre figlie, coinvolti anch’essi dal padre in una fitta rete di importanti legami familiari: si dovranno ricordare almeno il matrimonio di Francesco, detto Tarlato, con Besia Galluzzi, quello di Taddeo con Bartolomea Samaritani (1308), e soprattutto il prestigioso matrimonio che Romeo riuscì a concludere nel 1317 fra la figlia Giacoma e Obizzo III d’Este.

Già dal 1269, neppure ventenne, Pepoli era attivamente impegnato, al fianco del padre e dello zio Zoene, nel mondo degli affari, sia nel settore degli investimenti immobiliari, sia, secondo una solidissima tradizione di famiglia, in quello creditizio. Nel luglio 1274 stipulò i primi contratti di credito con la comunità di San Giovanni in Persiceto, ottenendo in pegno alcuni beni comunali e avviando una sistematica pratica del prestito che lo portò, negli anni seguenti, a impossessarsi a titolo definitivo dei beni obbligati da privati cittadini, abitanti del contado e intere comunità, costretti, gli uni e le altre, a ricorrere al credito spesso per far fronte a una gravosissima pressione fiscale.

Nel 1276, ad esempio, una sentenza gli assegnò tutti i beni di un debitore insolvente, Caccianemico Cazitti, fra cui una casa situata a Bologna in strada Castiglione, edificio che divenne il cuore del nucleo immobiliare dei Pepoli, su cui Taddeo, figlio di Romeo, avrebbe poi eretto, negli anni Trenta del Trecento, il grande palazzo di famiglia tuttora esistente. Iniziava così una prodigiosa carriera professionale, che avrebbe affiancato, fino all’esilio del 1321, i prevalenti interessi politici del banchiere bolognese e che fece di lui, secondo Giovanni Villani, l’uomo più ricco d’Italia: «acquistato quasi tutto d’usura, che venti mila fiorini d’oro avea di rendita l’anno senza il mobile» (Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, 1991, p. 333).

Quella straordinaria fortuna, splendidamente documentata dagli atti notarili dell’archivio di famiglia e dagli estimi presentati da Romeo nel 1296 e nel 1315, fu costruita con l’uso abilissimo di una varia tipologia contrattuale, ma soprattutto attraverso molte migliaia di contratti di mutuo, i cui interessi non superavano mai il limite statutario del 20% annuo, pur prevedendo sempre adeguate garanzie immobiliari, destinate spesso, come si accennava, a coprire debiti insoluti.

L’incremento del patrimonio immobiliare che si registra fra il 1296 e il 1315, tappe dettate dalla superstite documentazione, è, in proposito, assai significativo. Al primo accertamento patrimoniale il banchiere denunciava terreni per complessivi 200 ettari circa; nel 1315 il suo patrimonio fondiario superava i 2600 ettari, con un incremento del 1500% nell’arco di un ventennio, che ne faceva di gran lunga il maggior proprietario bolognese dell’epoca. Oltre ai terreni Pepoli possedeva a quella data numerosi edifici: quelli di strada Castiglione occupati dalla sua famiglia e una sessantina di altre abitazioni di varia tipologia, distribuite su tutto il territorio urbano, che costituivano un lucroso investimento, ma anche uno strumento di controllo, tramite le locazioni, di vaste clientele. Lo stesso valore di elemento di pressione e controllo, in questo caso delle popolazioni rurali, avevano i mulini, una ventina circa, che il banchiere affiancava alle terre, possedute in una vasta zona di pianura a nord della via Emilia, a cui i contadini erano costretti a rivolgersi per la molitura, in conseguenza di antichissimi diritti di monopolio connessi a quegli impianti (Giansante, 1991, pp. 137-144). Mentre aumentava in percentuale così significativa il patrimonio immobiliare, non si attenuavano affatto, fra il 1296 e il 1315, le attività creditizie di Pepoli. Al contrario, i contratti di mutuo, già numerosi nel primo estimo, furono notevolmente incrementati nel secondo, nel contado, ma soprattutto in città. Cambiava, nel frattempo, la clientela prevalente del banco di Romeo. Ai piccoli commercianti, artigiani, salariati, che costituivano nel 1296 la maggioranza dei suoi clienti, alla continua ricerca di finanziamenti minimi, talvolta di pura sussistenza, erano subentrate, nel 1315, le forze economiche più vivaci: grandi famiglie, attive nel settore agricolo, nell’allevamento del bestiame e nei commerci, enti religiosi, impegnati in complesse operazioni immobiliari, potenti società artigiane, soprattutto, come la Società della lana, che per entità dei contratti era fra i migliori clienti di Pepoli.

Romeo Pepoli, tuttavia, non fu solo un grandissimo uomo d’affari: fin dai primi anni di attività, e per tutta la vita, fu profondamente coinvolto nelle tensioni e nei rapporti di potere interni alla società comunale. La sua carriera pubblica si presta a una scansione in due grandi periodi: durante il primo (1275-1296) i suoi impegni nelle istituzioni comunali non sono diversi da quelli di tanti suoi colleghi d’affari e corrispondono più o meno agli incarichi cui erano chiamati tutti gli esponenti di rilievo del ceto mercantile; il secondo periodo invece (1299-1321) lo vede ricoprire ruoli istituzionali ed extraistituzionali sempre più rilevanti, espressione di un potere personale ormai in chiara evoluzione signorile. Fra i due periodi stanno gli anni della guerra fra Bologna e la signoria estense (1296-1299), decisivi nella crisi delle istituzioni comunali bolognesi. Con il sostegno dei legami matrimoniali stabiliti con famiglie sia guelfe (Beccadelli, Galluzzi, Asinelli) sia ghibelline (Foscardi, Pizzigotti, Tettalasini), Romeo intraprese alla fine degli anni Settanta una brillante carriera politica, ricoprendo incarichi nell’arte del cambio e nella società d’armi dei Castelli, cui era iscritto con altri membri della sua famiglia, e inoltre nel Consiglio degli Ottocento e nei vari collegi di sapienti, che affiancavano gli organi istituzionali nella gestione degli affari di maggior rilievo economico e politico. I ruoli ricoperti in varie ambascerie e le linee deducibili dalle sue scelte di politica matrimoniale ci portano ad accostare Pepoli, in questo periodo, alle correnti del guelfismo moderato (Giansante, 1991, pp. 35-48).

Il conflitto lungo e devastante intrapreso dalla città, negli ultimi anni del Duecento, con la signoria estense ebbe gravissime conseguenze, sia di ordine politico e diplomatico, sia nel settore economico, colpendo in maniera irreparabile gli equilibri già delicati fra città e contado, fra produzione agricola e sistema annonario, fra presenza studentesca ed economia urbana. Sul piano istituzionale, crebbe in quegli anni, stimolato dall’emergenza bellica, il ruolo politico di alcune balìe, commissioni ristrette destinate a esautorare progressivamente gli organi tradizionali di governo: gli Otto di guerra, e le balìe in materia annonaria e finanziaria. Di queste tre commissioni fece ripetutamente parte Romeo Pepoli nei primi anni del nuovo secolo, concentrando su di sé i poteri di organi come gli Anziani e Consoli o i Difensori dell’avere, ai quali la costituzione comunale delegava il controllo dell’amministrazione fiscale, delle questioni militari e diplomatiche, dell’approvvigionamento alimentare. Con questi strumenti e mobilitando per fini politici le sue straordinarie risorse economiche, soccorrendo cioè di persona e ripetutamente le finanze pubbliche, nel primo ventennio del Trecento Romeo Pepoli realizzò un progetto di potere, prima velatamente, poi, dal 1315-16, apertamente signorile (Giansante, 2002, pp. 100-107). I pochi dubbi che i concittadini potevano avere in proposito furono probabilmente cancellati dal matrimonio, celebrato con grande apparato nel marzo del 1317, fra la figlia di Romeo, Giacoma, e Obizzo, figlio ed erede del marchese Aldobrandino d’Este: in esilio dal 1309, gli Estensi si preparavano a rientrare a Ferrara con l’appoggio dell’alleato bolognese; raggiunto l’obiettivo, nell’agosto del 1317, attestavano pubblica gratitudine a Romeo. Un’altra tappa fondamentale del progetto fu rappresentata dai pubblici festeggiamenti che, nel maggio 1320, si celebrarono per il dottorato di Taddeo, figlio ed erede designato di Romeo, evento nel quale, da un lato, la città tributava in forma del tutto inedita la sua gratitudine a Pepoli, dall’altro, si legittimava una più che probabile successione di Taddeo al padre nel ruolo di arbitro della vita politica bolognese.

L’ascesa di Romeo si interruppe bruscamente nel luglio 1321, quando un’insurrezione coordinata dai più accesi avversari dei Pepoli (le famiglie Beccadelli, Rodaldi, Sabadini e Galluzzi) costrinse alla fuga Romeo e i suoi. Dopo una serie di falliti tentativi di rientro, Romeo cadde nelle mani del legato pontificio Bertrando del Poggetto, che lo trasferì alla corte di Avignone, perché rispondesse al pontefice Giovanni XXII delle molte accuse politiche e giudiziarie che gli erano rivolte. Ad Avignone morì nell’autunno del 1322.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Famiglia Pepoli, Istrumenti, serie I/A, Sommari, 141-142; Archivio di Stato di Bologna, Comune. Governo, Ufficio dei riformatori degli estimi, serie II: Estimi di città, b. 12 (estimo del 1296), b. 161 (estimo del 1315); G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991.

F. Papi, Romeo Pepoli e il comune di Bologna dal 1310 al 1323, Orte 1907, ripr. facs. a cura di M. Giansante, Bologna 2011; M. Giansante, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli, banchiere bolognese (1250c.-1322), Bologna 1991; Id., Romeo Pepoli. Patrimonio e potere a Bologna fra comune e signoria, in Quaderni medievali, LIII (2002), pp. 87-112; G. Antonioli, Conservator pacis et iustitie. La signoria di Taddeo Pepoli a Bologna (1337-1347), Bologna 2004, pp. 25-36.

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