ROMA

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

ROMA (XXIX, p. 589; App. I, p. 971)

Roberto ALMAGIA
Enzo PISCITELLI
Lazzaro DESSY
Pietro ROMANELLI
Giuseppe LUGLI
Salvatore AURIGEMMA
Carlo CECCHELLI
Ranuccio BIANCHI BANDINELLI

Sviluppo topografico dopo il 1938 (XXIX, p. 843; App. I, p. 975). - Lo sviluppo topografico più recente di Roma è avvenuto solo in parte su aree pianeggianti, quali l'ansa del Tevere, tra il Ponte del Risorgimento e Ponte Molle sulla riva sinistra (la destra è stata adibita a zona sportiva), ovvero la platea periferica che a nord e nord-est digrada verso il solco vallivo dell'Aniene, o ancora le aree tabulari a sud e a sud-est della città. In questi casi si sono potuti costruire quartieri a pianta regolare con strade ortogonali, ovvero a piano radiale (piazza Tuscolo). Altrove, alla periferia, lo sviluppo è avvenuto su aree collinose, come i Parioli e i colli di S. Paolo, sulla sinistra del Tevere, Monte Mario e le sue propaggini, Monteverde ecc. sulla destra, ovvero ancora con propaggini lungo talune delle antiche vie consolari, come la Casilina, la Prenestina, in territorio già alquanto ondulato: ne sono risultati quartieri o nuclei a pianta più irregolare, perché adattata alla morfologia del suolo. Si sono anche ulteriormente dilatati alcuni nuclei periferici separati, come il quartiere Monte Sacro, il Quadraro, la Magliana ecc. non ancora propriamente saldati col corpo principale della città. La fisionomia generale dell'intero aggregato urbano risulta pertanto oggi molto complessa.

Sviluppo demografico dopo il 1938 (XXIX, p. 853; App. I, p. 977). - Come è noto, l'area urbana si divide in rioni e quartieri: ad essi va aggiunta ormai una parte dell'antico suburbio, un tempo occupato da orti, ville, parchi, oggi sempre più invaso dalle propaggini periferiche dell'abitato. Nel più recente riordinamento, agli antichi quattordici rioni ne furono aggiunti altri otto, cosicché i rioni sono ormai ventidue; i quartieri furono portati a diciassette, dei quali dodici hanno propaggini suburbane. La tabella annessa dà, per i rioni, i quartieri e i suburbî la popolazione presente al 21 aprile 1936 (censimento) e al 30 giugno 1948 (calcolo).

Si rileva dalla tabella il lievissimo incremento demografico dei rioni, specialmente di quelli centrali, racchiusi dagli altri, esterni (Trevi, Colonna, Campitelli, Parione, Regola, ecc.): essi, di fatto, non hanno alcuna possibilità di espansione e sono già in gran parte sovraffollati (nel rione Borgo la popolazione è anzi in diminuzione); in contrapposto, il rapido aumento di taluni quartieri, soprattutto quelli meglio esposti o meglio collegati al centro da comunicazioni (Parioli, Tuscolano, Nomentano, Appio-Latino, della Vittoria). Nel suburbio la popolazione è, in dodici anni, poco meno che raddoppiata.

Il complesso urbano di Roma aveva oltrepassato, alla metà del 1948, un milione e mezzo di ab.; perciò la capitale d'Italia ha probabilmente superato Amburgo ed è la quinta città d'Europa (esclusa l'Unione Sovietica) per popolazione, dopo Londra, Parigi, Berlino e Vienna, a brevissima distanza da quest'ultima.

Il comune di Roma, di gran lunga il più vasto d'Italia, comprende anche l'Agro Romano, che, un tempo pressoché deserto, si viene lentamente popolando (v. tabella: quasi 38% di aumento nel dodicennio 1936-48). Due terzi circa della popolazione dell'Agro vivono oggi in case sparse; ma si contano tuttavia circa 35 centri, il maggiore dei quali è il Lido di Roma in rapido incremento.

Roma fu frequentemente bombardata, quasi esclusivamente nei quartieri periferici: i più gravi bombardamenti furono quelli del 19 luglio e del 13 agosto 1943, che recarono danni al quartiere Tiburtino (S. Lorenzo), al Prenestino, al Casilino, all'Appio, al Tuscolano; il complesso dei vani distrutti fu di oltre 26.000; quello dei danneggiati gravemente di oltre 40.000. Gli edifici distrutti sono per circa due terzi riparati. Interruzioni e gravi danni subirono anche le vie di accesso alla città, per la distruzione di ponti ed altre opere d'arte, per l'asportazione e conseguente perdita dei mezzi di trasporto. Ma alla fine del 1948 anche tutti i danni in questo campo si potevano dire riparati; ripristinata per intero o quasi la circolazione autotranviaria urbana e suburbana, con l'aggiunta di linee automobilistiche celeri, ripristinata interamente la rete delle ferrovie principali e locali, in via di ultimazione la nuova grande stazione ferroviaria centrale e la metropolitana che di qui conduce alla zona già destinata alla esposizione universale del 1942, dove è in progetto la creazione di un centro internazionale per manifestazioni artistiche, culturali, sociali, ecc.

Nonostante la ripresa dei servizî ferroviarî e tranviarî suburbani, enorme è stato, dopo la fine della seconda Guerra mondiale, l'incremento dei servizî automobilistici pubblici: circa duecento sono le linee irradianti da Roma, delle quali la maggior parte serve alle comunicazioni con centri del Lazio o di provincie limitrofe della Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania, ma non poche sono a più lungo percorso (per Napoli, Firenze, Pisa, Livorno, Perugia, Pescara, Siena) e in più casi sostituiscono vantaggiosamente la ferrovia (Ascoli, Avellino, Campobasso, L'Aquila, ecc.).

La popolazione residente della provincia di Roma ammontava, al 31 dicembre 1947, a 2.077.204 (registrando un aumento del 24,8% - in buona parte dovuto, come si è visto, alla metropoli - rispetto al 1936). Il numero dei comuni è ora salito a 112 (da 109 che erano nel 1936) per la costituzione dei comuni di Pomezia (App. I, p. 946) e di Carpineto Romano (precedentemente frazione di Bellegra), e per il passaggio a questa provincia, da quella di Viterbo, del comune di S. Oreste (XXX, p. 749).

Storia (XXIX, p. 841; App. I, p. 975).

Durante la seconda Guerra mondiale Roma fu non soltanto centro di importanti avvenimenti politici, ma anche teatro di notevoli fatti bellici. Il fragore delle armi, non più uditosi sotto le mura della città dal tempo della breccia di Porta Pia, più volte risuonò entro la capitale d'Italia o nelle sue immediate vicinanze.

Fino all'estate del 1943 tuttavia la città non risentì molto delle conseguenze della guerra, salvo le difficoltà generali degli approvvigionamenti. A differenza di molte altre città italiane, già gravemente danneggiate, Roma non era mai stata sottoposta a bombardamenti aerei; sembrava che le millenarie vestigia dell'antichità e il suo carattere sacro le risparmiassero gli orrori della guerra. Di qui l'affluire entro la sua cerchia di masse di profughi, che provenivano dalle regioni della penisola più esposte alle offese nemiche.

Ma nove giorni dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia si produsse l'avvenimento che ebbe vaste ripercussioni in Italia e all'estero: Roma, sul mezzogiorno del 19 luglio fu bombardata da circa 200 aerei. Il bombardamento, diretto contro gli impianti militari e ferroviarî, provocò gravissimi danni alla basilica di S. Lorenzo fuori le mura, al cimitero del Verano, alla città universitaria, al complesso ospedaliero del Policlinico e a numerosi caseggiati dei quartieri popolari di S. Lorenzo, Prenestino e Latino; più di 1000 furono i morti, ancora più numerosi i feriti. L'azione aveva principalmente lo scopo di paralizzare il traffico ferroviario tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, oltre a quello, non meno importante, di natura psicologica, di avvertire che la guerra contro l'Italia entrava nella sua fase risolutiva.

Roma, come tutta l'Italia, accolse pochi giorni dopo (25 luglio) la notizia della caduta del fascismo con manifestazioni di gioia, subito contenute per la gravità del momento.

Il 31 luglio, tramite la S. Sede, il nuovo ministro degli Affari esteri, R. Guariglia, fece conoscere agli Alleati l'intenzione di dichiarare Roma città aperta. Si attendeva notizia delle circostanze entro le quali la dichiarazione avrebbe potuto essere accettata, quando, il 13 agosto, alla vigilia dell'abbandono della Sicilia da parte delle truppe italiane e tedesche, ebbe luogo, alla periferia, un altro bombardamento, di poco inferiore per gravità al primo. Allora il governo non frappose indugi e, unilateralmente, dichiarò Roma città aperta.

L'annuncio della conclusione dell'armistizio con le Nazioni Unite, la sera dell'8 settembre 1943, trovò la capitale insufficientemente preparata agli ardui compiti da assolvere. Il trasferimento del governo al sud della penisola, in territorio occupato dagli Angloamericani, la mancanza di un supremo comando militare, la paralisi che colse le autorità centrali aggravarono una situazione di per sé stessa non facile. Roma visse ore lente e gravi; la cittadinanza si sentì abbandonata e improtetta. Frattanto, nei dintorni, le divisioni destinate alla difesa della capitale (Ariete, Piave, Centauro e Granatieri), entravano in contatto con i Tedeschi, ripresisi da un iniziale smarrimento.

L'8 settembre 1943 la divisione Granatieri di Sardegna era organizzata a difesa su circa 23 km. di fronte tra la via Aurelia (compresa) e la via Tiburtina (esclusa). Il 1° granatieri, schierato a cavallo delle rotabili Ostiense e Laurentina, subì l'urto di una divisione tedesca (2ª paracadutisti) rinforzata da elementi corazzati. Il combattimento, iniziatosi alle ore 22 dell'8 settembre, si protrasse fino alle ore 16 del 10 settembre. Il mattino del 9 a rinforzo del 1° granatieri fu assegnato il reggimento Montebello della divisione corazzata "Ariete". La lotta fu particolarmente accanita attorno ai capisaldi di Acilia sull'Ostiense, dell'Acqua Acetosa sulla Laurentina e alla Montagnola dove fu pressoché interamente distrutto il comando del reggimento. Costretti a ripiegare, il mattino del 10 i granatieri fecero l'ultima difesa di Roma nella zona della Piramide di Caio Cestio a Porta San Paolo. Nel pomeriggio dello stesso giorno, elementi corazzati tedeschi travolsero gli ultimi difensori. In quest'ultima fase del combattimento, cui parteciparono numerosi civili, si può simboleggiare l'inizio della lotta partigiana contro i Tedeschi. Perdite subìte dal 1° granatieri nei giorni 8-10 settembre: 200 morti (6 medaglie d'oro alla memoria); oltre 400 feriti; fra i civili caddero Raffaele Persichetti e Enzo Fioritto, insigniti, in seguito, di medaglia d'oro; la bandiera del reggimento fu decorata di medaglia d'argento al valor militare.

Spostatisi i combattimenti entro la città, la situazione apparve ben presto insostenibile e fu necessario concludere una tregua d'armi. Se ne assunse la responsabilità il conte C. Calvi di Bergolo, genero di Vittorio Emanuele III, comandante della divisione "Centauro". In base alle clausole della tregua, fissate la sera del 10 settembre, nella sede del comando tedesco, a Frascati, si istituiva in Roma un comando della città aperta, a capo del quale era lo stesso Calvi di Bergolo; la città sarebbe stata presidiata dalla divisione "Piave". L'11 settembre, il comando della città aperta si insediò al Ministero della guerra; subito si aprì il dissidio con i Tedeschi che, padroni ormai della situazione, deliberatamente violavano gli accordi presi. La divisione "Piave", accolta con gioia dalla popolazione, che vide in essa protezione e difesa, in capo a poco tempo, fu costretta a dissolversi. Le condizioni della città erano gravissime: le difficoltà annonarie impellenti; la popolazione in continuo aumento per il gran numero di coloro che in quei giorni nascostamente raggiungevano Roma nella speranza che presto sarebbe stata liberata dagli Angloamericani. Tuttavia, dall'11 al 23 settembre quel simulacro di governo italiano, formato dal comando della città aperta, funzionò alla meno peggio. Ma, istituitosi, dopo la liberazione di Mussolini, il governo fascista repubblicano (trasformatosi, poi, in "Repubblica sociale italiana"), il conte Calvi di Bergolo, che non aveva voluto aderirvi, fu arrestato; Roma rimase allora in preda ai comandanti tedeschi (gen. Stahel prima e gen. Maelzer poi), i quali, proclamandosi suoi difensori, mentre il fronte tirrenico della penisola si stabilizzava lungo la linea Minturno, Castelforte, Valle del Liri, se ne servirono come città di retrovia.

Singolare, nei confronti del governo fascista, era la sua situazione: fosse la vicinanza del fronte o un residuo timore reverenziale, quel governo, sparpagliato in varie città dell'Italia settentrionale, non osò stabilire in Roma la propria sede e si limitò ad inviare alcuni funzionarî protetti dai Tedeschi e da poche squadre di fascisti. Queste ultime, riapparse timidamente per le vie del centro, si erano, poco a poco, fatte ardite. Le comandavano, nei primi tempi, certi Bardi e Pollastrini, i quali commisero tali e tante angherie da restare tristamente famosi. La cittadinanza viveva in continuo orgasmo, sotto il duplice giogo. I più esposti erano i giovani che, arbitrariamente chiamati ad obblighi militari e civili, cercavano, a rischio dei più gravi pericoli, di sottrarsene, cambiando nome e domicilio o allontanandosi dalla città, per raggiungere le formazioni partigiane sulle montagne. Moltissimi ufficiali, soldati e pacifici cittadini, anche anziani, furono rastrellati e deportati in Germania; tra questi numerosi gli Ebrei ai quali si diede una caccia spietata. Le razioni erano inesistenti o quasi e i numerosi divieti (ad es. quello di entrare e di uscire dalla città) aggravavano la situazione. I prezzi dei pochi generi alimentari raggiungevano cifre altissime, alla portata di pochi; l'enorme maggioranza della popolazione soffriva la fame. Si distinse, allora, nell'opera di soccorso, la S. Sede, che aveva moltiplicato le sue forme di attività assistenziale, e, per quanto possibile, provvedeva, con i suoi mezzi, agli approvvigionamenti. Nonostante la fame, le fucilazioni senza processo, le deportazioni, gli arresti e le torture (operate, queste ultime, dai Tedeschi nella loro sede di via Tasso e dagli sgherri fascisti in una pensione di via Romagna), l'anima della città non si piegò. A cura dei partiti si svolse un'animosa attività: si costituirono gruppi militari pronti ad entrare in azione, si stamparono giornali, libelli e manifesti invitanti alla resistenza, si tennero in case private, ora qui ora lì, numerose riunioni politiche.

Lo sbarco alleato ad Anzio e Nettuno, il 22 gennaio 1944, sembrò aprire il cuore alla speranza. L'attività clandestina raddoppiò di intensità. Tedeschi e fascisti inferocirono. Il coprifuoco fu anticipato alle cinque pomeridiane. Ma lo sbarco non conseguì i risultati auspicati e, presto, le speranze in un'imminente liberazione illanguidirono. Così Roma si trovò a qualche diecina di chilometri dalla zona di combattimento e, pertanto, le sue condizioni di vita risultarono maggiormente aggravate. Qualche bombardamento periferico degli Angloamericani provocò ancora vittime e danni. Il 13 marzo, nel quinto anniversario dell'incoronazione del Pontefice, un'immensa moltitudine si diede convegno in piazza S. Pietro per udire la parola di conforto di Pio XII e ricevere l'apostolica benedizione. Come nel primo medio evo, la popolazione vedeva nel suo Vescovo il protettore e il difensore della città. Il 24 marzo, in seguito all'uccisione di 32 militari germanici in via Rasella, avvenuta il giorno prima, 335 cittadini furono per rappresaglia trucidati alle Fosse Ardeatine (v. in questa App.). Il 12 maggio il fronte alleato si mise in movimento a Cassino. Questa volta la cittadinanza comprese, senza ombra di dubbio, che la liberazione dall'aborrita occupazione tedesca non avrebbe troppo tardato. Frattanto il comando clandestino civile e militare di Roma, affidato dal marzo al gen. Bencivenga, strinse le fila delle organizzazioni in vista dei futuri sviluppi della situazione. Sulla fine del maggio, la battaglia, condotta con accanito furore dalle due parti, si era spostata sui Castelli Romani. La liberazione era ormai certo prossima: nella città si udiva distintamente il rimbombo del cannone; dalle alture, alla notte, era possibile vedere il fuoco delle opposte artiglierie; dalle terrazze, i cittadini, trepidanti nell'attesa, assistevano alle azioni aeree di spezzonamento e mitragliamento. Il 3 giugno, le divisioni germaniche disfatte cominciarono a transitare per i viali periferici della città defluendo principalmente verso la Cassia e l'Aurelia. Il 4, sull'imbrunire, le truppe anglo-americane entrarono finalmente in città dalla Porta di S. Giovanni. Sottoposta per breve tempo all'amministrazione militare alleata, Roma, dopo oltre 11 mesi di interruzione, tornò ad essere, il 15 agosto, sede del legittimo governo italiano.

Bibl.: P. Monelli, Roma 1943, Roma 1945; R. Guariglia, La mia missione presso la S. Sede e la questione di Roma città aperta, in Nuova Antologia, LXXXI, 1946, fasc. 1748-49; G. Carboni, L'armistizio e la difesa di Roma. Verità e menzogne, Roma 1945; F. Mereu, Crisi della difesa di Roma, in Rivista militare, 1945.

Archeologia e topografia classica (XXIX, p. 593).

Foro Romano. - Al Foro Romano l'esplorazione condotta da A. Bartoli nel 1932 di un pozzo nell'area adiacente al tempio di Vesta ha dato resti riferibili alla prima età di vita della città. Infatti con avanzi ceramici del secolo VIII (frammenti di impasto nerastro levigato e lucidato a stecca) e VII a. C. (buccheri italo-geometrici, un frammento di protocorinzio) sono stati rinvenuti ossa di animali, un frammento di macina, di selce, una discreta quantità di grano e pezzi di tufo che, anneriti dal fuoco, debbono far parte di un focolare. Tutto ha evidente riferimento alla vita domestica, e, gettato intenzionalmente nel pozzo, proviene certo dalle adiacenze, il che è prova sicura che tra l'VIII e il VII sec. a. C. la valle del Foro, almeno da questa parte, dovette essere già abitata. Se il materiale recuperato debba porsi già in relazione col culto di Vesta e con lo stabilimento nel sito delle Vestali è questione che non si può decidere con sicurezza.

Tra il 1930 e il 1938 sono stati compiuti lo scavo e il restauro della Curia. Demolite le posteriori strutture della Chiesa di S. Adriano, che fin dal secolo VII e attraverso successivi rifacimenti e rialzamenti aveva occupato l'interno dell'edificio, si sono di questo messe in luce le strutture originarie. I larghi squarci prodotti dai varî adattamenti, soprattutto nella parete di fondo, dove era l'abside della chiesa, sono stati sapientemente ripresi. L'edificio così ripristinato è quello del restauro dioclezianeo della sede del senato.

Tutto in laterizio, esso ha pianta quadrangolare, con quattro contrafforti agli angoli; la fronte, con la porta (l'originale in bronzo fu portato da Alessandro VII al Laterano ed è oggi sostituito da una copia in tutto simile all'antica) e tre finestre sopra, termina in alto a timpano; alcuni fori fanno ritenere che ad essa si appoggiasse un piccolo portico; la cortina laterizia era rivestita di marmo e stucco. Il lato posteriore aveva una sola finestra in alto e due porte in basso, da cui si passava ad un'area scoperta, nella quale furono rinvenute una bella statua togata in porfido, acefala, probabilmente d'imperatore, e la base iscritta di una statua dedicata, circa il 437, ad Ezio per le vittorie riportate in Gallia. L'interno misura m. 27 × 18 circa, secondo le norme vitruviane, alle quali obbedisce anche l'altezza, pari alla metà della somma dei lati di base. Su due fianchi della sala si distendono tre bassi gradini sui quali avevano posto i seggi dei senatori; contro il lato di fondo è il basso podio della presidenza con in mezzo la base su cui era collocata la statua della Vittoria, che nel tramonto del paganesimo diede luogo alla nota accesa polemica tra S. Ambrogio e Simmaco. Il pavimento dei gradini è in pavonazzetto e giallo antico, quello dell'area centrale in un ricco e vivace intarsio di marmi colorati. Una zoccolatura in pavonazzetto avevano altresì le pareti, la cui superficie è, al disopra di essa, interrotta da nicchie adorne in origine di edicole a colonne su mensole; quando l'edificio fu trasformato in chiesa le pareti stesse furono a tratti coperte di pitture di cui si vedono, per quanto molto evanidi, varî avanzi. Il soffitto - a cassettoni - è tutto moderno.

Dopo la parentesi della guerra è stata ripresa dal 1946 l'esplorazione della basilica Emilia, in relazione con la definitiva sistemazione che si intende dare all'edificio.

Sono stati messi in luce: tre grandi basi in tufo e un piccolo resto di pavimento in travertino sotto il lato corto nord-occidentale della basilica d'età imperiale; filari di fondazioni in tufo, con sopra avanzi di pavimento a lastre pure di tufo, dalla stessa parte, più verso l'interno della basilica. Per quanto occorra andar cauti nelle ipotesi, prima che l'esplorazione sia compiuta, si può ragionevolmente supporre che, mentre questi ultimi avanzi siano da riferire alla prima basilica costruita nel 179 a. C. da Emilio Lepido e Fulvio Nobiliore, le basi in tufo abbiano appartenuto alla ricostruzione dell'edificio in età cesariana. Alcune modeste strutture in cappellaccio, tra cui tuttavia è un'ampia cisterna a tholos, a livello più basso degli avanzi supposti della prima basilica, e tagliate e sepolte da questi, dovrebbero riportarsi a costruzioni, forse private, anteriori al 179 a. C.

Tempio del Divo Augusto nel Foro Romano. - Uno studio recente ha dimostrato che il tempio del divo Augusto non si deve ricercare in quel grande edificio che si trova ai piedi del Palatino prospiciente al vicus Tuscus, nel quale si installò nel primo Medioevo la chiesa di S. Maria Antiqua, ma più verso la chiesa della Consolazione, nel mezzo di una piazza (il Graecostadium) a sud-ovest della Basilica Giulia. Questo tempio fu detto novum in rapporto ad un altro tempio più antico che gli scrittori della prima età imperiale chiamano Aedes Caesarum e collocano sul Palatino nell'area della Vigna Barberini. Gli scavi qui eseguiti hanno mostrato la esistenza di un recinto sacro del I sec. d. C. sul quale fu poi nel Medioevo fondata la chiesetta di S. Sebastiano. In tal modo va esclusa l'ipotesi della presenza in questo luogo degli horti Adonis, mentre deve esservi collocato il primitivo tempio del divo Augusto, che fu eretto da Tiberio e Livia presso la località detta ad Capita Bubula, dove nacque il fondatore dell'impero romano.

Palatino (v. anche XXV, p. 947). - Lo scavo della Domus Augustana, cioè del palazzo di abitazione dell'imperatore, adiacente verso nord-est alla Domus Flavia, iniziato già nel 1926 da A. Bartoli, è stato condotto a termine nel biennio 1936-38, demolendo completamente la Villa Mills, e riducendo e trasformando in Antiquario una parte dell'ex convento della Visitazione.

Oltre al peristilio con impluvio già innanzi scoperto, è stato messo in luce un secondo peristilio a sud-ovest del primo, ma a livello alquanto più basso: si è infatti riconosciuto che il palazzo si estendeva parte sull'alto del colle, parte sul declivio di esso, appositamente alterato con un taglio verticale della roccia: nella prima era a un solo piano, nella seconda a due. Il peristilio inferiore aveva pure esso un vasto impluvio, in parte ricavato nella roccia stessa e disegnato con grande varietà di linee: verso la valle del Circo il palazzo faceva fronte con una parete curvilinea porticata. Le sale presentano un ricco movimento di linee rette e curve, che dimostrano nell'architetto genialità e audacia di fantasia. Poiché anche questo palazzo di abitazione fu certamente costruito da Domiziano insieme con la Domus Flavia, dobbiamo riconoscere in questo architetto Rabirio. Un terzo peristilio, o comunque un'area scoperta, terminata da un'abside, sembra si stendesse a nord-est del primo verso la via di S. Bonaventura.

Allo scopo di far luce intorno alle memorie più antiche del colle e della città, è stata iniziata, al principio del 1948, l'esplorazione della parte del Germalo a sud del tempio della Magna Mater, presso le scalae Caci, e dove la tradizione, ancora viva nel IV sec. d. C., localizzava la Casa Romuli.

Scavi furono eseguiti da questa parte già nel 1907 da D. Vaglieri che credette di aver trovato tombe antichissime coperte di capanne; ma la vivace polemica, allora accesasi tra il Vaglieri e L. Pigorini, pose fine all'esplorazione prima che su di essa si fosse potuta dire una parola sicura. Riscoperta nuovamente una parte dell'area esplorata dal Vaglieri, si volle riconoscere in essa le tracce di fondi di capanna scavati nel piano roccioso: l'ipotesi ha avuto conferma nel ritrovamento, dato dall'ampliamento dello scavo, di un fondo di capanna chiaramente identificabile, che il materiale ceramico raccolto negli strati aderenti al piano, ancora intatti, fa datare in maniera sicura tra la fine del IX e i primi del VII sec. a. C. La capanna ha forma fra la rettangolare e l'ellittica, in tutto simile a quella delle urne a capanna delle necropoli laziali e della Bassa Etruria della prima età del ferro. Le dimensioni sono di circa m. 4,80 × 3,65. Grossi fori lungo il margine e uno al centro sostenevano il tetto, mentre altri quattro fori più piccoli, al di qua e al di là del vano della porta, dovevano reggere una particolare leggera copertura avanti e dietro di questa. Accanto al foro centrale chiarissime erano le tracce del focolare. L'esplorazione continua nell'area adiacente.

Campidoglio. - Una sistemazione urbanistica assai complessa è stata eseguita intorno al Campidoglio ed ha condotto alla scoperta del tracciato quasi intero del clivo Capitolino, dal Foro Romano fino nei pressi del tempio di Giove. Purtroppo gli edifici ai lati del colle erano stati completamente distrutti; presso la via moderna della Consolazione sono apparsi poderosi muri sostruttivi in opera quadrata e in opera incerta con contrafforti arcuati; nell'angolo del colle che guarda la via del Mare, sopra uno sperone di roccia, sono state riconosciute le tracce dei due templi della Fides e della Ops, mentre più in basso numerosi portici fasciavano le pendici del Campidoglio dinanzi al Foro Olitorio. Fra il teatro di Marcello, liberato dalle superfetazioni di età papale, e il Foro Olitorio sono venuti in luce gli avanzi del famoso tempio di Apollo Sosiano con tre eleganti colonne corinzie, rialzate con cura dagli ufficî tecnici del Comune, e parte della trabeazione marmorea. A fianco di questo tempio è stato scoperto il basamento di un secondo grande tempio contornato da un portico, che si deve ritenere quello di Giano, detto ad theatrum Marcelli. Anche un lato dei portici di Ottavia è stato isolato, mostrando i numerosi restauri subìti dall'edificio augusteo sotto Settimio Severo. Sul Campidoglio, nella insenatura fra l'Arx e il Capitolium, è stato rimesso allo scoperto il tempio di Veiove, nella ricostruzione avvenuta nell'età di Silla, con la fronte tetrastila nel lato lungo di sud-ovest; nell'interno della cella è stata trovata l'immagine marmorea del dio fanciullo, simile ad Apollo, a grandezza maggiore del vero.

Mura serviane. - Gli scavi occasionati dalla costruzione della nuova stazione ferroviaria di Termini hanno recato un notevole contributo alla conoscenza sia dell'aggere delle cosiddette "mura serviane", sia della fossa della fortificazione urbana, tra la Porta Viminalis e la Porta Esquilina.

Del muro di contenimento delle terre dell'aggere si è messo in luce un nuovo tratto lungo complessivamente 64 m. Il muro - in nove filari là dove è meglio conservato - è alto m. 2,30, e risulta - come di consueto - di piccoli parallelepipedi di tufo granulare grigio-azzurro (il "cappellaccio" romano, di consistenza e resistenza semilitoide) che proviene, almeno in parte, da cave messe in luce nel corso dei lavori. L'andamento del detto muro di contenimento è, solo in modo grossolano, parallelo al muro urbano esterno in grossi blocchi di tufo di Grottaoscura, seguendo una linea spezzata. I filari sono, sulla fronte accuratamente lavorata, in recesso di circa 2 cm. l'uno dall'altro, a cominciare dal basso; mentre sul rovescio i parallelepipedi non sono rifiniti, ed hanno un andamento ovviamente irregolare; l'altezza di ciascun ordine è di un piede romano.

La fossa ha inizio a m. 5,60 - m. 7 dalla fronte esterna del muro urbano, si approfondisce con declivio pronunciato nel terreno vergine per m. 16,55 (da quota 57,92 a quota 41,37) ed ha nella sua parte più profonda (che rimane sotto il pelo dell'acqua di filtrazione della falda freatica per m. 1,25) le pareti a profilo perpendicolare. La larghezza della fossa nel fondo è di m. 8; al sommo, tra gli spigoli dei due cigli, la larghezza è di m. 36 (si confronti la illustrazione qui sotto).

Regio III. - Tra la via S. Giovanni e la via Labicana sono state scavate le sostruzioni del Ludus Magnus, noto da un frammento della Forma Urbis, di pianta ellittica, costruito contemporaneamente al Colosseo, con restauri del II e del IV sec. d. C.

Regio IV. - Negli anni 1861-62, nel corso dei lavori per la costruzione della stazione centrale delle ferrovie, si misero in luce nella villa Massimo già Negroni, presso il "Monte della Giustizia", alcuni vani d'età romana, di cui si riconobbe la pertinenza a un edificio termale dell'età degli Antonini. Dal novembre 1946 e nel corso degli anni 1947-48, intrapresi nello stesso luogo gli sterri per la costruzione della stazione Termini della ferrovia metropolitana, oltre ai ruderi emersi nel 1861-62, son venute in luce altre più cospicue rovine, poi demolite per far luogo all'imponente complesso di gallerie della stazione sotterranea, mentre le decorazioni sono state asportate e si conservano nel Museo nazionale romano delle Terme.

Entro una rete di strade furono riconosciute alcune insulae o case di abitazione comune, del tipo cosiddetto ostiense, di età Antoniniana. Degno di maggior rilievo è apparso un altro edificio, di cui una parte adibita ad abitazione signorile, l'altra - non comunicante con la prima - destinata a stabilimento balneare, di uso pubblico, ma forse di proprietà privata. Nell'abitazione era soprattutto notevole una vasta sala absidata, con le pareti rivestite inferiormente di grandi crustae marmoree, e con affreschi nell'alto, mentre il pavimento era adorno di un grande mosaico di perfetta conservazione (che resterà a decorare gli ambienti della stazione), con un brioso intreccio di volute e di calici di fiori tra cui campeggiano due pavoni affrontati e quattro coppie di colombi su cesti di frutta.

Nelle terme sono state riconosciute tre successive decorazioni pittoriche sovrapposte, che vanno dall'età degli Antonini al terzo secolo inoltrato. Gl'intonaci più antichi sono perduti quasi interamente; nella decorazione pittorica successiva si hanno inquadrature architettoniche a elementi stilizzati irreali, che recano edicolette e piccoli padiglioni con eroti e animali librati a volo in ambiente fantastico; gl'intonaci dell'ultimo periodo recano inquadrature architettoniche con figure a forma reale rese con evidenza plastica. Gl'intonaci dipinti sono stati trasportati, per il restauro, al Museo nazionale romano; i mosaici più notevoli orneranno una sala della stazione della metropolitana.

Campo Marzio. - Nella primitiva storia di Roma ha una considerevole importanza il Campo Marzio con le sue leggende relative alla donazione di un ager al popolo romano e alla sua consacrazione ad un culto ctonio; questo culto è probabilmente il Tarentum, parola che significa forse "luogo presso il fiume". L'amnis Petronia, piccolo fiume che scendeva dal Quirinale, divideva il Campo Marzio in due zone, una detta in Circo, per la vicinanza col Circo Flaminio, e l'altra in Campo, quella più occidentale, limitata dal Tevere. Il percorso dell'amnis Petronia, ben conosciuto, permette di stabilire quali dei numerosi templi del Campo Marzio si trovassero in Circo e quali in Campo. I quattro templi del largo Argentina restavano in Campo, e due possono essere identificati: il tempio A con Iuno Curitis e il tempio B, quello rotondo, con la Fortuna huiusce diei; per il tempio C si può fare il nome di Feronia. Un nuovo tempio periptero con podio rivestito di travertino, alto m. 1,70, e con colonne in peperino con capitelli corinzî di travertino, è venuto in luce in Via delle Botteghe Oscure. Pare che risalga al periodo cesariano e abbia però un nucleo più antico. Si è fatto il nome di Bellona. Nei recenti scavi sotto il Palazzo della Cancelleria, oltre ai rilievi domizianei, si è scoperto il sepolcro di A. Hirtius, console nel 43 a. C.; ha pianta rettangolare con cippi murati agli angoli, e vicino si è trovato un altro sepolcro repubblicano con recinto in tufo, e anche un tratto dell'Euripus. I Saepta Iulia, che prima si collocavano a fianco della Via Lata, sono ora spostati verso il Pantheon e collegati con la basilica di Nettuno, o Poseidonion, che il Gatti ha riconosciuto nella grande sala absidata a sud del Pantheon; i due portici degli Argonauti e di Meleagro fiancheggiavano i lati lunghi dei Saepta; tutti questi monumenti furono interamente rifatti da Adriano. Dello Stadio di Domiziano sono state messe in luce alcune arcate di travertino della parte curva in Piazza Navona e tutto il monumento è stato studiato nei suoi dettagli. Era costruito in laterizio, tranne la facciata esterna e i portici adiacenti in travertino, i sedili erano forse marmorei e di marmo era rivestito un protiro distilo nel fornice centrale. La facciata era a due ordini ionico e corinzio. L'asse era lungo non più di m. 275.

Mitrei. - Tre nuovi mitrei sono stati scavati e pubblicati in questi ultimi anni: uno nel giardino del Palazzo Barberini particolarmente importante per le pitture sulla parete di fondo con Mithra tauroctono inquadrato dai due dadofori, i segni dello zodiaco e dieci quadretti con scene mitriache, probabilmente del III sec. d. C.

Un secondo mitreo è stato scavato e sistemato nel 1939 sotto il Palazzo dei Musei di Roma, nella Reg. XI. È ricavato in tre vani di un edificio del II sec. d. C., con restauri posteriori, e presenta l'edicola in fondo con una serie di basi e altari a gradini, podî rivestiti di marmo e pavimento di marmo colorati; fra il vario materiale rinvenuto sono due rilievi mitriaci ed iscrizioni. Un terzo mitreo è venuto in luce sotto la chiesa di S. Prisca sull'Aventino, nella Reg. XIII, con nicchie per le statue di Cautes e Cautopates, edicola in fondo decorata di stucchi con figura giacente e scene mitriache. Oltre ad iscrizioni e graffiti, l'interesse maggiore è costituito da pitture con processioni di fedeli che recano offerte a Mithra e di iniziati nei varî gradi mitriaci, distinti da attributi e da iscrizioni dipinte.

Bibl.: In generale: G. Lugli, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946. Per il tempio del divino Augusto v. G. Lugli, in Bull. Com., 1942, p. 185 segg. Sulla sistemazione del Campidoglio v.: A. Muñoz e A. M. Colini, Campidoglio, Roma 1931; id., Via dei monti e via del mare, Roma 1932; id., Via dei Trionfi, Roma 1933. Per il Campo Marzio v.: G. Gatti, I Saepta Iulia nel Campo Marzio, in L'Urbe, 1937, p. 2 segg.; id., Il Portico degli Argonauti e la basilica di Nettuno, in Atti III convegno naz. storia archit., 1941, p. 61 segg.; F. Castagnoli, Il Campo Marzio nell'antichità, in Mem. Accad. Lincei, classe di sc. mor., s. 8ª, vol. I, 1947, p. 91 segg.; A. M. Colini, Stadium Domitiani, Roma 1943. Per le altre regioni: A. M. Colini, Storia e topografia del Celio, in Mem. Pont. Acc., VII, 1944; M. Santangelo, Il Quirinale nell'antichità classica, in Mem. Pont. Acc., V, 1941. Per i mitrei: C. Pietrangeli, Il mitreo del Pal. dei Musei di Roma, in Bull. Com., LXVIII, 1940, pp. 143-173; A. Ferrua, Il mitreo di S. Prisca, ibid., pp. 59-96; G. Annibaldi, Il mitreo Barberini, ibid., LXXI, 1947, pp. 97-108 (con G. Gatti). Dei testi relativi alla topografia della Roma imperiale si ha ora l'edizione critica di R. Valentini e G. Zucchetti, Codice topografico della città di Roma, Roma, I 1940, II 1942, III 1946. Per gli scavi al Palatino e al Foro: A. Bartoli, Il valore storico delle recenti scoperte al Palatino e al Foro, in Atti Soc. Progr. scienze, 1932; id., Domus Augustana, Roma 1938; id., I lavori della Curia, Roma 1938; G. Calza, Una statua di porfido trovata nel Foro, in Rend. Pont. Acc. Arch., XXII, p. 185 segg.; A. Bartoli, Il senato romano in onore di Ezio, ibid., p. 267 segg.; id., La statua porfiretica della Curia, in Not. Scavi, 1948, pp. 85-100.

Archeologia e topografia cristiana (XXIX, p. 607).

L'indagine sulle catacombe romane registra in primo luogo quella sul Cemeterio Vaticano (v. vaticano, in questa App.). Così pure, per quanto riguarda gli altri ipogei cristiani, v. catacombe, in questa Appendice.

Quanto alle singole chiese, nella basilica di S. Clemente furono posti in luce varî ambienti sotto il livello della basilica sotterranea facenti parte dell'edificio recinto da muro a blocchi di peperino. Presentemente sono stati resi accessibili con una scala dalla navata destra. Nella basilica di S. Prisca gli scavi del 1938-39 rivelarono inaspettatamente un mitreo entro i resti di una importante domus. Inoltre i restauri della chiesa superiore posero in evidenza le proporzioni dell'edificio medioevale. Recentissimi lavori nella chiesa di S. Marco hanno rivelato vestigia importanti del più antico edificio (che fu eretto da papa Marco in età costantiniana) e delle costruzioni che furono sovrapposte; gli scavi di S. Sabina hanno posto in luce le varie insulae di un vicus classico sinora ignorato e spiegarono le anomalie del quadriportico del V secolo; nella basilica di S. Vitale, i lavori del 1938-39 liberarono il portico anteriore, che è un prezioso esemplare del V secolo e, in quella delle catacombe di S. Ermete si rivelò un'oratorio con pitture notevolissime, giudicate del secolo VIII, ma, secondo C. Cecchelli, del secolo X.

Oltre gli scavi, sono stati assai importanti gli studî. Va in primo luogo menzionato il Codice topografico della Città di Roma (v. sotto: Bibliografia), il primo volume del quale raccoglie in prevalenza i regionarî classici; ma per i monumenti cristiani vi sono: il Latercolo di Polemio Silvio e la Descrizione di Roma di Zaccaria retore (quest'ultima a cura di M. Guidi). Il secondo (1942) è tutto dedicato a documenti topografici cristiani dei secoli IV-XII: le annotazioni del Cronografo del 354, la monzese Notula degli olea, i cataloghi e gl'itinerarî dei cemeterî, gli estratti dal Liber Pontificalis, ecc. Il terzo (1946), ha la collezione dei Mirabilia, i cataloghi delle Chiese, le descrizioni delle basiliche lateranense e vaticana. L'opera continuerà raccogliendo i documenti topografici sino ai primordî del secolo XVI.

Gli studî sulle chiese si sono avvantaggiati per la nuova edizione con molte rettifiche, aggiunte e con illustrazioni a cura di C. Cecchelli della classica opera di M. Armellini su Le Chiese di Roma. R. Krautheimer, per conto del Pontificio Istituto di archeologia cristiana va curando la monumentale pubblicazione del Corpus delle basiliche cristiane di Roma; e lo stesso Krautheimer ha studiato le particolarità di quelle del sec. IX, che riprendono il tipo paleocristiano; mentre C. Venanzi, B. M. Apollonj Ghetti, A. Ferrua, C. De Angelis d'Ossat hanno iniziato l'esame delle strutture murarie delle basiliche paleocristiane. Secondo Fr. W. Deichmann, la primitiva basilica di S. Agnese non sarebbe quella più modesta, scoperta sotto l'attuale. Questa sarebbe invece la memoria posta sul luogo del sepolcro. Del tempio costantiniano sarebbe ultimo vestigio l'esedra posta accanto a S. Costanza (mausoleo di Costantino), che fu stimata il recinto di un cimitero "sub divo".

L'esame della cripta e del quadriportico di S. Prassede e quello dell'oratorio di S. Zenone ha posto varî problemi nuovi. E. Sjöquist ha potuto rintracciare tutte le fasi della basilica diaconale di S. Maria in Via Lata, accertando la preesistenza di un mercato romano (horreum), in cui nel sec. VI si infiltrò un oratorio, trasformato in chiesa diaconale nel sec. VIII. Circa l'altra diaconia: S. Maria Antiqua, il Cecchelli ne ha dichiarato il cognome ponendolo in rapporto col πρωτόκτιστοςναόςnella parte più antica della reggia di Bisanzio. Anche a Roma si pose un santuario della Madre di Dio nei palazzi imperiali passati sotto l'amministrazione bizantina e ciò avvenne certamente nel V secolo, prima cioè della trasformazione in basilica vera e propria ai tempi dell'imperatore Giustino II (565-567).

Bibl.: Codice topografico della città di Roma, a cura di R. Valentini e C. Zucchetti (Fonti per la storia d'Italia dell'Ist. stor. ital. per il Medioevo), I-III, Roma 1940-46; M. Armellini, Le chiese di Roma dal sec. IV al XIX, nuova ed., ivi 1947; R. Krautheimer, Corpus basilicarum christianarum Romae (saecc. IV-IX), Città del Vaticano 1937 segg.; E. Junyent, in Riv. d'archeol. crist., XV (1938), p. 147 segg. (S. Clemente); id., ibid., 1939, p. 129 segg. (S. Vitale); E. Ferrua, ibid., 1940, p. 271 segg. (S. Prisca); Fr. W. Deichmann, ibid., 1946, p. 213 segg. (S. Agnese); S. Carletti, in Osservatore romano, 21 luglio 1940 e E. Josi, in Riv. d'archeol. crist., 1940, p. 195 segg. (S. Ermete); G. Baldracco, ibid., 1941, p. 177 e 1942, p. 135 (S. Prassede e S. Zenone); B. M. Apollonj Ghetti, ibid., 1946, p. 235 (presbiterio e battistero di S. Crisogono); G. Giovannoni, ibid., 1946, p. 251 (matroneo di S. Susanna); C. Venanzi, ibid., 1946, p. 255 (abside primitivo dei Ss. Quattro Coronati); C. Venanzi e altri, ibid., 1944-45, p. 233 (strutture murarie); "Alfa", in Osserv. rom., 6 giugno 1948 (S. Marco, e altre chiese); E. Sjöquist, Opuscula archaeologica, IV, in Acta Inst. Romani Regni Sueciae, XII, Lund 1946; C. Cecchelli, Mater Christi, I, Roma 1946, p. 254.

Arte antica (XXIX, p. 729).

Età augustea e tiberiana. - In occasione della ricorrenza del bimillenario augusteo, nel 1938, si provvide alla ricostruzione dell'Ara Pacis vicino al Mausoleo di Augusto, in località, quindi, diversa da quella originaria. Alle lastre già esistenti a Roma (Museo nazionale) furono aggiunte quelle degli Uffizî (Firenze) e un rilievo con Flamini a completamento del gruppo, rilievo recuperato insieme ad altri frammenti nuovi, negli ulteriori scavi fatti sotto il palazzo Fiano (via del Corso), che furono resi possibili da una tecnica progredita comprendente anche il congelamento delle acque del sottosuolo. Calchi in cemento sostituirono le parti emigrate aI Louvre e in Vaticano. Nessuna traccia essendo stata trovata del cornicione superiore del monumento, questo è stato ricostruito congetturalmente nelle sue linee generali ed è l'unico elemento non documentato della attuale ricostruzione. L'iconografia augustea si è arricchita, fra l'altro, di un colossale busto rinvenuto a Fondi (Museo di Napoli), di gusto ellenistico, e di una testa (Roma, Museo dei Conservatori), ove la volontà di affinare e spiritualizzare all'estremo i lineamenti, sembra indicare un ritratto creato dopo la morte dell'imperatore. Di epoca tiberiana è la Base dei Vicomagistri (Musei Vaticani), rinvenuta (1938-39) nell'area del palazzo della Cancelleria in Roma. Vi è rappresentato un corteo di magistrati, sacerdoti e altri personaggi che conducono vittime al sacrificio. Formalmente vicina all'Ara Pacis, se ne discosta per un indirizzo più spontaneo e popolaresco e contiene, con un nuovo interesse prospettico, le premesse dell'arte della fine del secolo.

Età dei Flavî. - La più notevole scoperta nel campo dell'arte romana è stata quella di due grandi rilievi, originariamente composti di quattro lastre ciascuno, che rappresentano scene di adventus imperiali, rinvenuti nell'area del palazzo della Cancelleria.

In uno pare celebrato il ritorno di Vespasiano a Roma nel 70, accompagnato dai littori e dalla Vittoria, e il suo incontro col figlio Domiziano, assistito da due genî, personificazioni del Senato e del Popolo romano, mentre di lato lo attendono Roma in trono e le Vestali. Nell'altro, Domiziano, reduce da una impresa militare, sta per entrare nell'urbe scortato da littori e soldati e accolto dalla stessa Roma, mentre alla scena assistono Minerva, Marte e il Senato e il Popolo romano personificati. Il ritratto dell'imperatore, la cui memoria fu condannata, appare rilavorato e trasformato in quello del suo successore Nerva. Documento antiquario e storico di fondamentale importanza, contributo alla iconografia dei due primi Flavî, queste lastre sono venute a colmare una profonda frattura fra il rilievo storico augusteo e quello dell'età di Tito. Esse rivelano come, ancora in età domizianea, il classicismo imperasse nelle espressioni dell'arte ufficiale e sono opere che rispondono ormai ai canoni di una fredda scultura aulica. Alla generale retorica si sottraggono, però, la vivacità e il realismo dei ritratti imperiali e, nella lastra con l'adventus di Domiziano, l'accenno di un gusto illusionistico, che documenta un immediato precedente dei rilievi che decorano l'arco di Tito.

Fra le molte fortunate scoperte, conseguenti ai recenti scavi di Ostia (v. in questa App.), tra le quali una serie di bei ritratti, sono specialmente interessanti quelle di pitture che soccorrono uno dei più lacunosi campi della storia dell'arte antica per l'età posteriore alla distruzione di Pompei. Fra i mosaici, particolarmente notevole è uno a destinazione parietale (esempio rarissimo fra il materiale non cristiano) databile all'età adrianea, a colori delicatissimi e sfumati, con elementi floreali e marini (Ostia, Terme dette dei Sette sapienti). Scavi tuttora in corso sotto la Basilica Vaticana hanno messo in luce un'area cimiteriale pagana ricca di pitture, di mosaici e di sarcofagi (v. vaticano, in questa App.).

Secoli III e IV. - Un notevole numero di sarcofagi del sec. III è stato recuperato nel riordinamento dei frammenti per la costituzione del Museo delle catacombe di Pretestato. Il patrimonio dell'arte romana del sec. IV si è arricchito di pitture tombali scoperte in Bulgaria, espressione di un'arte provinciale, ove un vivace gusto naturalistico e spunti di popolaresco realismo si fondono a una già notevole tendenza alla frontalità (v. bulgaria, in questa App.). Cronologicamente al limite del mondo antico, ma ancora scevre di stilizzazione bizantina e appartenenti alla tradizione ellenistico-romana appaiono le composizioni, alquanto slegate, di un ampio mosaico pavimentale posto in luce dagli scavi inglesi (1935-38) del palazzo degli imperatori a Costantinopoli, databile attorno al 410 (v. turchia, in questa App .).

Bibl.: Manuali e opere generali: P. Ducati, L'arte in Roma dalle origini al sec. VIII, Bologna 1938; M. Pallottino, Arte figurativa e ornamentale, Roma 1940; W. Technau, Die Kunst der Römer, in Geschichte der Kunst, Altertum, vol. II, Berlino 1940; P. E. Arias, Storia della scultura romana, Messina 1941; P. Ducati, Pittura etrusco-italo-greca e romana, Novara 1941; H. Berve, Rom, in Das neue Bild der Antike, vol. II, Lipsia 1942; R. Bianchi-Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Firenze 1943; P. Grimal, Les jardins romains, Parigi 1943.

Età repubblicana e augustea: F. Poulsen, Die Römer der republ. Zeit u. Ihre Stellung z. Kunst, in Die Antike, XIII, 2, 1937, pp. 125-150; id., Probleme der römischen Ikonographie, Copenaghen 1937; id., Privatporträts u. Prinzenbildnisse, ivi 1937; I. Montini, Il ritratto di Augusto, Roma 1938; G. Moretti, Ara Pacis Augustae, ivi 1948; D. Mustilli, L'arte augustea, in Augustus, Studî in occasione del bimillenario, ivi 1938; id., L'iconografia e l'epopea di Augusto nella glittica, ivi 1938; O. Vessberg, Studien z. Kunstgesch. der röm. Republik, Lund 1941; G. Rodenwaldt, Kunst um Augustus, Berlino 1942.

Dall'età Flavia al sec. III: H. Beyen, Die pompejanische Wanddekoration, vol. I, Haag 1938; M. Pallottino, Il grande fregio di Traiano, in Boll. Com. Roma, 1938, pp. 17-56; M. Wegner, Die Herrscherbildnisse in antoninischer Zeit, Berlino 1939; P. H. v. Blanckenhagen, Flavische Architektur, ivi 1940; W. Hatto Gross, Bildnisse Trajans, ivi 1940; M. Squarciapino, La scuola di Afrodisia, Roma 1943; F. Magi, I rilievi Flavi del palazzo della Cancelleria, ivi 1943; M. Pallottino, L'arco degli Argentari, ivi 1946.

Dal sec. III in poi: J. de Wit, Spätrömische Bildnismalerei, Berlino 198; M. Guetschow, Das Museum der Prätextat Katakombe, in Atti d. Pontificia Accad. di Archeol., s. 3ª, Memorie, IV, Roma 1938; H. P. L'Orange, A. v. Gerkan, Der spätantike Bildschmuck des Konstantinsbogens, Berlino 1939; R. Delbrueck, Die Münzbildnisse von Maximinus bis Carinus, ivi 1940; F. Gerke, Die christl. Sarkophage der vorkonstantin. Zeit, ivi 1940; J. Kollwitz, Oströmische Plastik der theodosianischen Zeit, ivi 1941; A. Frova, Pittura romana in Bulgaria, Roma 1943; H. P. L'Orange, Apotheosis in ancient Portraiture, Oslo 1947; G. Brett, The mosaic in the great palace of the Byz. Emp., Oxford 1947.

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