ROMA

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

ROMA

Pietro ROMANELLI
Gustavo GIOVANNONI
Lanfranco MAROI
Virgilio TESTA
Fortunate PINTOR

(XXIX, p. 589).

Roma antica (p. 593).

Commercio e vie di comunicazione nella roma antica.

La posizione di Roma a cavallo della più importante via commerciale tra il centro e il mezzogiorno d'Italia, anzi a dominio del punto più delicato di essa, il passo del Tevere, se non fu proprio una delle ragioni della fondazione della città in questo luogo, certo fu una delle cause che con maggiore efficacia contribuirono al suo rapido sviluppo e alla sua fortuna. Le colonie greche della Magna Grecia da un lato, le città etrusche dall'altro erano già centri fiorenti di commercio, di industria, di civiltà, quando sui colli presso il basso corso del Tevere, e nelle brevi valli comprese fra essi, una popolazione di pastori e di agricoltori conduceva una vita più rude e più chiusa, culturalmente ed economicamente, in sé stessa. Ma il punto stesso in cui essa abitava, l'avviò necessariamente ai commerci o determinò l'immigrazione in mezzo ad essa di elementi estranei, più atti, per naturale inclinazione o per antica abitudine, a tale attività. Tra quei colli infatti passava la via che metteva in comunicazione l'Etruria con la Campania, via che, per quanto gli abitanti dell'una e dell'altra regione fossero certamente adusati alla navigazione, presentava di fronte a questa, soprattutto in certe stagioni, effettivi vantaggi. Non solo: ma era proprio anche in questo stesso punto che il Tevere offriva da un lato, nell'isola che ne spezzava il corso, più facile il transito da una sponda all'altra di esso, e dall'altro, divenendo esso stesso navigabile, veniva in certo qual modo a costituire un punto d'incontro fra i traffici terrestri e quelli marittimi e fluviali. Infine da oriente ivi pure scendevano e si affacciavano alla costa più vicina per loro le popolazioni della Sabina.

Nella giusta valutazione di questi dati di carattere topografico sta il fondamento di quello che noi possiamo pensare del commercio della Roma primitiva e delle vie che dovevano legare la città alle regioni più prossime: il commercio doveva essere soprattutto un commercio di transito; pastori e agricoltori latini non compravano per sé né bronzi né terrecotte della Campania e dell'Etruria, né i prodotti dell'arte e dell'ìndustria della Grecia che questi mercanti portavano con sé, né forse avevano ancora una sovrapproduzione dei loro campi e dei loro pascoli da vendere fuori di patria. E nemmeno forse erano ancora padroni delle saline alla foce del Tevere, dove i Sabini venivano a rifornirsi del prezioso elemento: tuttavia questi scambî essi controllavano dalla loro sede sulla riva del Tevere. E le vie più battute che movevano dalla loro città dovevano essere quelle che divennero più tardi la Latina e l'Appia verso sud, l'Aurelia e la Cassia-Clodia verso nord, la Salaria, di cui il nome stesso dice l'uso precipuo cui serviva, verso est.

Accanto ad esse una funzione limitata ai pochi scambî locali dovevano avere le vie che congiungevano Roma con i centri più prossimi, dai quali prendevano nome: l'Ardeatina, la Gabina, poi prolungata fino a Preneste e detta perciò Prenestina, la Labicana, la Collatina.

L'egemonia etrusca su Roma conduce questa nel quadro della vita commerciale dell'Etruria e dei suoi scambî marittimi con le città della Magna Grecia, con le isole del Tirreno, con la colonia focese di Marsiglia, infine soprattutto con i Cartaginesi: e forse il primo trattato di commercio fra Roma e Cartagine, che Polibio riporta al primo anno della repubblica, è ancora il riflesso dei rapporti creatisi fra l'una e l'altra città nell'ultimo periodo della dominazione etrusca su Roma.

Invero un commercio marittimo di Roma, come città latina, in questo periodo non pare possibile ammetterlo, se, come ormai sembra provato in modo sicuro, la fondazione della colonia di Ostia non è anteriore alla metà del sec. IV a. C. D'altronde, non passeranno che pochi decennî che anche la potenza marittima dell'Etruria verrà definitivamente fiaccata dai Greci nella battaglia di Cuma del 472.

L'espansione e l'affermazione del dominio di Roma sui popoli del Lazio, dell'Etruria meridionale, della Campania stringe sempre più le relazioni commerciali della città con questi popoli, e attraverso le loro terre Roma comincia ad allacciare rapporti con le città e le popolazioni dell'Adriatico e dello Ionio, dove i Greci avevano già fondato loro colonie o avevano avviato scambî fin dai secoli precedenti, e che erano frequentate dai popoli delle opposte sponde dell'Illiria; ma l'economia di Roma rimane ancora sostanzialmente un'economia chiusa, e se prodotti esotici giungono a Roma vi giungono soltanto dai mercati o dai centri industriali più vicini della Campania e dell'Etruria.

Con la fondazione della colonia di Ostia, Roma entra direttamente nel commercio marittimo. Il suo ingresso è naturalmente assai modesto, ed essa è in posizione di evidente inferiorità di fronte a Greci e Cartaginesi, come ci dimostra in particolare il trattato con Cartagine del 348, che vieta ai mercanti romani l'accesso alla Sardegna e all'Africa, nonché quello alle coste iberiche. Roma conosce dunque già i mercati del Mediterraneo occidentale, ma è costretta a tenersene lontana, o a trafficarvi per l'intermediario dei commercianti cartaginesi; l'unico porto aperto ad essa è quello di Marsiglia, i cui abitanti cercano presto la sua amicizia, e attraverso al quale essa comincia a ricevere i prodotti delle miniere della Spagna e della Britannia, le lane della Gallia, l'ambra del Baltico. Il Mediterraneo orientale è campo esclusivo dei Greci, e resterà ancora per oltre due secoli nelle mani degli stati sorti dallo smembramento dell'impero di Alessandro.

Nel 312 abbiamo la prima memoria sicura della lastricatura (stratura) di una via, quella che congiunge Roma con Capua, cioè con la base dell'espansione politica di Roma nella regione e il centro industriale più importante della Campania: è la via che costruisce Appio Claudio il censore, e da lui prende nome.

La conquista di Napoli (326) e di Taranto (272) e quella delle grandi isole del Tirreno, seguita alla prima guerra punica, dànno a Roma la padronanza del commercio del Tirreno e di quello tra l'Italia e la Grecia, che tuttavia essa esercita, più che direttamente, attraverso le flotte delle stesse città venute nel suo dominio o nella sua alleanza. Ma Roma è già frattanto anche padrona di tutta l'Italia peninsulare, e mentre a settentrione si avvia ad affermare il suo dominio nella Pianura Padana, ad oriente dell'Adriatico ha già messo piede in Illiria, donde procede verso la Macedonia. La costruzione delle strade, che quasi sempre non è che la sistemazione razionale e duratura di arterie precedenti, il cui corso è d'altronde segnato dalla topografia stessa del terreno, segue normalmente alla conquista militare per affermarla e nello stesso tempo per consolidare ed intensificare dietro ad essa gli scambî commerciali.

Tra la fine del sec. III e la metà del II si data nelle sue linee maestre e nelle sue arterie principali tutta la rete stradale dell'Italia peninsulare: nel 220 viene costruita la Flaminia da Roma a Rimini, che nel 187 viene con l'Emilia prolungata fino a Piacenza, incorporando nel sistema tutta la pianura di qua dal Po; l'Appia, che dopo il 268 era stata prolungata fino a Benevento, viene dopo il 190 portata a Venosa, e forse non molto dopo a Taranto e Brindisi; l'Aurelia, la Cassia e la Clodia ricevono parimenti sul principio del sec. II la loro sistemazione definitiva. Ma già Roma con la fondazione della colonia di Aquileia (181) è giunta alle porte orientali d'Italia, e da essa allaccia i primi scambî con il bacino danubiano, di dove, tra l'altro, passava una delle più antiche e frequentate vie del commercio dell'ambra dal Baltico al Mediterraneo, mentre con la conquista della Spagna, e la definitiva attrazione di Marsiglia nella sua orbita, ormai tolta di mezzo la concorrenza di Cartagine, va attirando nelle sue mani i prodotti soprattutto minerarî delle regioni ancora vergini dell'Occidente.

In Oriente Roma si trova di fronte a una condizione di cose tutt'affatto diversa: gli stati e le città ellenistiche hanno già fra loro, e con i popoli dell'Oriente più lontano, tutta una fitta rete di interessi e di scambî commerciali, che dalle valli dell'Eufrate e del Tigri o dal Mar Rosso, attraverso la penisola dell'Asia anteriore e attraverso la valle del Nilo, convergono sulle rive del Mediterraneo, e sciamano poi sulle rotte marittime di questo: la progressiva affermazione dell'influenza e dell'egemonia politica di Roma su quegli stati, quindi le sue conquiste della Macedonia e della Grecia, inseriscono Roma in questa rete di interessi: essa non può né pensa in nessun modo a sostituirsi ai suoi predecessori; ma i traffici d'ora innanzi non potranno non far capo, via via in misura sempre maggiore, alle rive del Tevere, sia direttamente per mare attraverso i porti del Tirreno, sia indirettamente per terra e per mare attraverso la grande arteria della Balcania, la via Egnazia, costruita circa la metà dello stesso secolo II, quasi prolungamento, ad oriente dell'Adriatico, della via Appia. Ma soprattutto poi accanto ai commercianti greci ed orientali l'elemento italico e romano andrà entrando sempre più numeroso e potente.

Il periodo dei Gracchi segna in questo campo un momento importante. Per le leggi di Gaio, il ceto dei commercianti romani, che fino ad allora era stato tenuto da parte nella vita e nell'amministrazione dello stato, tanto le attività commerciali erano considerate dalla vecchia mentalità aristocratica romana di rango inferiore rispetto all'agricoltura, e perciò o disprezzate o per lo meno ignorate, ottiene ora particolari riconoscimenti e privilegi. Il che determina una maggiore espansione di questo ceto fuori d'Italia, in relazione anche sia con il nuovo sistema di riscossione delle imposte nella provincia d'Asia da poco acquistata, sia con l'incremento dell'importazione granaria in Italia, in seguito all'approvazione della legge frumentaria. Stimolo e conseguenza insieme di questo impulso al commercio romano è la costruzione e la sistemazione delle grandi vie, disposte da Gaio Gracco con la sua legge viaria (anno 123), la prima di tal genere che noi incontriamo, e che testimonia la larga visione che il tribuno ebbe dei mezzi di sviluppo e di avvaloramento economico e sociale dello stato romano.

Alla seconda metà del secondo secolo, prima o dopo la legge di Gracco, si fissano le seguenti strade dell'Italia: la Postumia, da Genova per Piacenza e Cremona ad Aquileia (tra il 149 e il 146); la via lungo la costa adriatica, da Aquileia a Brindisi (tra il 148 e il 132); la Popilia, arteria principale della Lucania, costruita nel 132 da P. Popilio, e che un'iscrizione di Polla di Lucania menziona insieme con l'applicazione della legge agraria di Tiberio Gracco nella regione; la Domizia (120) attraverso la Gallia arbonense, di recente costituita a provincia, per assicurare le comunicazioni terrestri fra l'Italia e la Spagna; la Cecilia, da Roma ad Atri sull'Adriatico; la Emilia Scauri, con la quale l'Aurelia fu prolungata da Luni a Genova (109). Contemporanee si debbono pensare, per quanto ne abbiamo scarsa testimonianza, le prime opere stradali nella provincia d'Asia, per la difesa di essa lungo le frontiere delle regioni montuose e infestate da briganti dell'Isauria e della Pisidia, e per intensificare gli scambî su quella che fin dall'età delle grandi monarchie orientali era stata la spina dorsale dell'Asia anteriore, la ὁδὸς βασιλική via Regia.

Nell'Africa non pare che per il momento la rete stradale preesistente, a carattere potremmo dire vicinale, abbia avuto particolare sviluppo: una via, di funzione soprattutto militare, si svolgeva forse lungo la fossa regia, limite fra la provincia romana e il regno di Numidia.

Ma la rapida diffusione di commercianti italici e romani per tutto il Mediterraneo ci è testimoniata da fonti e fatti molteplici: a Delo, fatta porto franco e divenuta dopo la distruzione di Corinto centro di tutto il traffico del bacino orientale di quel mare, esiste nel secondo secolo una agorà dei Romani, e sono numerosissime le iscrizioni che a questi commercianti si riferiscono e che provano una pacifica loro convivenza e un comune interesse di affari con i commercianti greci ed orientali; nell'Asia Minore è noto che quando Mitridate ordinò nel suo odio sanguinario contro Roma la strage degli Italici, ben ottantamila di essi caddero in un sol giorno; nell'Africa Italici erano a Cirta al momento dell'assedio di Giugurta; infine nella Spagna, a Cadice, si contavano al tempo di Cesare numerose famiglie di cavalieri, e non è da dubitare che molte di esse fossero di vecchia origine.

Mentre pertanto le singole regioni rimanevano il campo di traffici a carattere locale, il grande traffico andava sempre più decisamente convergendo a Roma. Fatta astrazione di quello che proveniva dai paesi settentrionali della Germania e del Danubio, tutto il rimanente si svolgeva quasi esclusivamente sul mare, e gli strumenti ne erano le compagnie di armatori, fra i quali Alessandrini, Rodioti e Siriani erano certamente i più potenti. Grave ostacolo al suo pacifico corso opponevano le insidie dei pirati, fattisi più numerosi e più audaci durante le lotte fra gli stati ellenistici e Roma: essi si annidavano soprattutto sulle frastagliate coste della Cilicia e nei rifugi dell'isola di Creta: contro di loro Roma dovette combattere a lungo e duramente, riuscendo alla fine, mercé l'energia di Pompeo, a debellarli completamente.

Con il principato augusteo il quadro che noi dobbiamo tracciare del commercio romano e delle vie sulle quali esso si svolgeva, si compone necessariamente in modo diverso.

Roma ha aggiunto ormai al suo impero altre vastissime regioni nell'Africa, nell'Asia, nell'Europa settentrionale e centrale: e da queste terre di nuova conquista essa ha allacciato rapporti con tuttii gli altri popoli o gli altri paesi vicini e lontani, cosi largamente, che, al confronto, le ulteriori conquiste dell'impero da Tiberio a Traiano non porteranno notevoli mutamenti. D'altro lato, se le provincie fioriscono e in esse città antiche assurgono a nuova prosperità, e città nuove o rinnovellate raggiungono rapidamente la dignità di grandi capitali, tuttavia tutto il mirabile rigoglio di potenza civile ed economica delle provincie medesime si può dire sia in funzione di Roma, perché da Roma esso riceve l'impulso e a Roma converge.

Il quadro del commercio dell'impero va perciò tracciato tenendo conto di questa sua unità generale, avente per centro Roma.

L'importanza commerciale delle provincie d'oltremare, dell'Oriente e dell'Africa, e insieme la maggiore facilità ed economia del trasporto marittimo di fronte a quello terrestre, valevole anche per le provincie della Spagna e della Gallia meridionale, fanno sì che il mare sia per Roma durante l'impero una, anzi forse la maggiore, via del suo commercio d'importazione. Di qui lo sviluppo del suo porto alla foce del Tevere, Ostia, di cui Claudio e Traiano ovvieranno alle deficienze e accresceranno la potenzialità con la sistemazione e lo scavo dei due bacini di Porto; dallo scalo marittimo si alimentava il porto fluviale di Roma stessa, situato ai piedi dell'Aventino, dove le merci risalivano mediante barche a fondo piatto (le cosiddette caudicae) trainate talvolta da terra; un'altra parte delle merci veniva invece scaricata direttamente a terra e convogliata lungo le vie Ostiense e Portuense.

Le stationes dei commercianti e armatori nel portico del Piazzale delle Corporazioni di Ostia ci dicono che la maggioranza di questi era costituita da elementi delle provincie occidentali, dell'Africa, della Spagna, della Gallia Narbonese e della Sardegna.

Il commercio orientale, alessandrino, siriano e asiatico, convergeva invece ancora preferibilmente a Pozzuoli, e da Pozzuoli poi per mare ancora, con un servizio che potremmo chiamare di piccolo cabotaggio, o per terra, per l'Appia, giungeva a Roma. Così arriva alla capitale dell'impero S. Paolo, che una nave alessandrina aveva portato dall'Asia a Malta e un'altra, pure alessandrina, da Malta a Pozzuoli; marinai alessandrini acclamano Augusto nell'ultimo suo viaggio in Campania, mentre egli naviga presso Pozzuoli; iscrizioni di Alessandrini, Siriani, Ebrei, Arabi, Africani ci dicono come varia fosse la popolazione della città.

Con Pozzuoli, dopo Traiano, anche Terracina e Centumcellae possono considerarsi, sebbene in grado molto minore e con funzione sussidiaria, altri porti di Roma; né si deve dimenticare che anche dall'Adriatico, e soprattutto da Brindisi, per la via Appia e la Traiana, costruita da Traiano per evitare all'Appia il difficile percorso attraverso la Lucania, il traffico d'origine orientale, e particolarmente quello dell'Oriente più vicino, Grecia, Macedonia, Illiria, tendeva verso Roma.

Verso settentrione le vie della regione peninsulare (Aurelia, CassiaClodia e Flaminia) e quelle della Pianura Padana (Emilia, Postumia, Emilia Scauri) furono, a cominciare dal regno di Augusto, prolungate di là dalle Alpi verso la Gallia, la Germania, le rive del Reno e le provincie danubiane, per convogliare verso l'Italia le merci provenienti da queste provincie, e portare viceversa ad esse le merci italiane.

Lungo la Riviera Ligure l'Aurelia era congiunta mediante la Iulia-Augusta con la via Domizia, arteria principale della Gallia Narbonense, di là dalla quale, attraverso i Pirenei, essa si saldava con il sistema stradale della Penisola Iberica. Da Augusta Taurinorum per le Alpi Cozie si andava a Vienna nella valle del Rodano; da Augusta Praetoria le due strade del Grande (Alpes Graiae) e del Piccolo S. Bernardo (Alpes Poeninae), opera in gran parte di Augusto, congiungevano l'Italia ancora con la valle del Rodano, la seconda pure in direzione di Vienna, la prima verso il lago Lemano, donde proseguiva sia verso nord-ovest, alle coste della Manica e quindi alla Britannia, sia verso nord, alle rive del Reno e alle città e agli accampamenti militari lungo di esse. Il centro della rete stradale della Gallia, la cui prima sistemazione fu dovuta ad Agrippa, ma che Claudio ampliò e perfezionò, anche in conseguenza della conquista della Britannia, era Lugdunum. A Lione convergevano da Vienna, le vie già nominate e da essa a sua volta si partivano quelle che o scendevano verso sud, lungo la valle del Rodano, a ricongiungersi con la via Domizia; o salivano a settentrione, per la valle dell'Arar (Saône) e attraverso il Giura e i Vosgi, per raggiungere la frontiera militare del Reno, o infine irraggiavano verso occidente, all'Aquitania, ai porti dell'Atlantico (Burdigala e Portus Namnetum) e della Manica (Rotomagus, Gesoriacum). I principali di questi porti erano situati alla foce-estuario dei maggiori fiumi della regione: le vie d'acqua, secondo ci testimonia anche Strabone (IV, 1, 2 e 14), erano infatti per questa altrettante importanti arterie di comunicazione e di traffico. Onde a quelle naturali si erano aggiunte nella Germania inferiore, nel paese dei Batavi e dei Frisî, quelle artificiali; noi abbiamo ricordo soprattutto di quelle aperte per ragioni militari: la fossa Drusiana, fatta scavare da Druso fra il Reno e il Mare del Nord, e il canale di ventitré miglia con cui Corbulone congiunse la Mosa col Reno per evitare la traversata per mare. Ma è noto (Tac. Ann., XIII, 53) che un legato della Germania del tempo di Nerone, L. Vetere, affacciò l'audace progetto di collegare con un canale, che non sarebbe stato più lungo di sessanta miglia, la Mosella con la Saône, sì che dal Mare del Nord si potesse raggiungere il Mediterraneo per via d'acqua, evitando tutta la lunga navigazione dell'Atlantico e attraverso lo Stretto di Gibilterra.

La Gallia, che già prima della conquista romana era ricca di cereali, di bestiame, di foreste, divenne sotto Roma una delle provincie di più intensa produzione agricola e industriale: fecondi vigneti furono piantati sia nel mezzogiorno sia nelle valli del Reno e della Mosella; delle lane e delle pelli dei suoì greggi si alimentarono fabbriche di stoffe e di cuscini, fra cui particolarmente famose quelle delle regioni centrali.

Industria di primissima importanza divenne quella delle ceramiche, e accanto ad essa fiori altresì quella del vetro, importata forse da elementi venuti dalla Siria, qui, come in tutto l'impero, numerosi ed attivi. Non molto ricchi di minerali erano i monti, tuttavia di officine per la lavorazione del ferro (ferrariae) noi abbiamo notizia fino per il tardo impero.

La Gallia era la via di passaggio per il commercio con la Britannia, e in parte anche, nel mezzogiorno, per quello con la penisola iberica, che d'altronde, come si è detto, usufruiva largamente, soprattutto per il commercio che proveniva dai porti del mezzogiorno (Gades) o dell'Atlantico (Olisipo), delle comunicazioni per mare.

Il commercio britannico faceva capo a Portus Itius, dove la traversata della Manica era più breve e più facile, e da Portus Itius, sempre per mare, ma costeggiando, si distribuiva agli altri porti del litorale gallico. Sulla sponda inglese il primo approdo era Dubrae, ma l'emporio principale, anzi potremmo dire il solo, era Londra sul basso corso del Tamigi. Da Londra irradiavano le strade per l'occidente, per Aquae Sulis (Bath) e il paese dei Siluri, e per il settentrione,fino a raggiungere, attraverso i centri civili di Verulamio, Camuloduno e Lindo, gli accampamenti militari di Deva e di Eboracum, da cui si comandava il limes.

Lo sviluppo agricolo seguito alla conquista romana aveva portato nel paese ad una forte produzione di grano, della quale, p. es., si valse l'imperatore Giuliano per soccorrere in un anno di carestia le provincie renane; ma i maggiori prodotti della regione furono sempre pelli, lane, bestiame, schiavi, e soprattutto piombo; è strano che dello stagno, che era stato l'articolo di esportazione per eccellenza delle isole britanniche prima della conquista di Roma, non si parli affatto dagli storici al tempo di questa.

Che l'Irlanda, rimasta fuori dal dominio politico di Roma, fosse frequentata dai mercanti, ci è provato dai rinvenimenti di monete verificatisi in essa.

Nella Penisola Iberica la via Domizia della Gallia Narbonense era continuata dalla strada detta Augusta che, lungo il litorale, scendeva a Tarragona, e di qui a Valenza, donde, per Castulo e Corduba, attraversava la Betica fino a Cadice. Da Tarragona d'altro lato si partiva la strada che per la valle dell'Ebro si dirigeva verso le regioni minerarie del nordovest; strada dalla quale a Saragozza si staccava quella che attraverso il centro della penisola raggiungeva Toledo, Merida e infine Olisipo, alla foce del Tago. Conviene peraltro ricordare che la rete stradale della penisola, che, se pur tracciata in alcuni dei suoi elementi già in età repubblicana, è tuttavia opera degli imperatori, a cominciare da Augusto, che vi diede grande impulso, ha nei confronti del commercio con Roma un'importanza secondaria, svolgendosi tale commercio soprattutto, come si è detto, per mare. Ed era esso assai attivo, poiché la penisola era, fra le provincie dell'impero, una delle più ricche e produttive: agricoltura, pascoli, pesca e soprattutto miniere erano le fonti di questi traffici.

Con le regioni danubiane Roma e l'Italia comunicavano attraverso le strade delle Alpi centrali e orientali. Delle prime la via dello Spluga da Como a Coira, nell'alta valle del Reno, e di qui al Lago di Costanza, ebbe sempre un'importanza secondaria rispetto a quella, la Claudia Augusta, delle valli dell'Adige e dell'Inn, che da Verona e Trento, per Veldidena, andava ad Augusta e alle altre stazioni della Rezia e del Norico sul Danubio. Per tale via si convogliavano non solo i prodotti di queste regioni ricche di legname e di ferro, ma altresì quelli del paese dei Marcomanni, l'attuale Boemia, rimasto fuori dell'impero, ma con il quale fin dal tempo di Augusto si erano allacciati rapporti politici e commerciali; i Marcomanni erano d'altro canto gli intermediarî principali del commercio dell'ambra del Baltico. Le monete romane, che si ritrovano frequentemente nei paesi sulle rive di questo, nella Germania, nello Jütland, nella Scandinavia, sono la prova migliore dell'intensità del commercio romano in queste regioni.

Alle porte orientali d'Italia, centro commerciale di primissima importanza era Aquileia, che aveva qui nell'antichità la stessa funzione che nei tempi moderni ha avuto ed ha Trieste: essa era la porta sull'Adriatico, e quindi sul Mediterraneo, di tutte le regioni del medio Danubio. Per le vie che da Nauporto, Emona, Celeia, Poetovio, andavano da un lato a Carnunto dall'altro ad Aquinco, essa era in relazione con i popoli d'oltre Danubio, verso la libera Germania; per quelle invece che o da Emona, per Siscia, Sirmio, Singiduno e Viminacio lungo la valle della Sava, o da Poetovio a Mursa per quella della Drava, scendevano verso oriente, essa raccoglieva i traffici del basso Danubio, della Penisola Balcanica e quindi dell'Oriente. Da Viminacio infatti si staccava la strada che per Naisso, Serdica e Filippopoli, raggiungeva attraverso la Tracia le rive del Bosforo. I grandi fiumi ora nominati erano a loro volta utili e assai frequentate vie d'acqua. Peraltro il traffico che su tutte queste arterie terrestri e fluviali si svolgeva, era più un traffico diretto da Roma e dall'Italia verso le provincie, che da queste verso Roma. Le regioni danubiane, se se ne tolgano i metalli delle miniere della Dacia, non avevano prodotti del suolo, che rimanendo superflui al consumo locale, intenso soprattutto per la presenza dei grandi eserciti di guardia al confine, potessero essere esportati lontano, né avevano creato una qualsiasi produzione industriale: al contrario la civiltà portata da Roma, elevando il grado di cuitura delle popolazioni ed aumentandone i bisogni, aveva necessariamente promosso una corrente verso loro di commercio d'importazione.

Accanto alla funzione commerciale quelle arterie avevano però anche una funzione militare assai notevole, non soltanto per la difesa locale, ma anche per i grandi spostamenti di truppe, che, soprattutto dal sec. III in poi, si rese tante volte necessario effettuare rapidamente dalla Gallia e dai confini occidentali al Mar Nero, all'Eufrate e ai confini orientali: non ci sarebbe possibile comprendere la superba affermazione dell'iscrizione di Ancira in onore di Giuliano l'Apostata: "apertasi la via tra i barbari, facendo strage di coloro che opponevano resistenza, venne in una sola estate dall'Oceano Britannico al fiume Tigri", senza aver presente la magnifica rete stradale che ancora in quel tempo, nonostante i guasti e le difficoltà opposte dalla pressione dei barbari, congiungeva da occidente ad oriente le parti opposte dell'impero. La rete stradale delle provincie europee si continuava infatti a sua volta con quelle dell'Asia e dell'Africa, attraverso i brevi tratti di mare che dividevano un continente dall'altro, per quanto peraltro le comunicazioni tra le provincie asiatiche e africane con Roma si svolgessero di preferenza, cone già più volte si è notato, direttamente per mare. Le vie terrestri, marittime o fluviali, che avvolgevano ciascuna di queste provincie o gruppo di provincie, o avevano la funzione di raccordare i varî punti delle provincie stesse, o delle regioni che fuori di queste vi convergevano, con i porti di partenza per Roma, ovvero, con più ristretto carattere locale, servivano a congiungere fra loro i diversi centri della provincia medesima.

Nell'Africa una grande via costiera legava Cartagine ad Alessandria: su essa, oltre a queste, che erano i due centri commerciali e cittadini più importanti del continente, erano i porti della Cirenaica, che, venuta meno la produzione del silfio, e spostate verso oriente (all'Egitto) o verso occidente (alla Tripolitania) le correnti commerciali dell'interno, ebbero sempre nell'impero un movimento assai limitato, e quelli dell'Africa propriamente detta, tra cui principali Leptis e Adrumeto: da Cartagine la via continuava verso occidente legando i porti della Numidia e della Mauretania, tra cui quelli che erano in più stretti rapporti con l'Italia erano Ippone Diarrito, Saldae, Rusicade, Lesarea: la strada costiera aveva una soluzione di continuità soltanto nell'estremo occidente, a Rusaddir (Melilla); riprendeva invece a Tingi per scendere fino a Sala.

A questa grande arteria costiera mettevano capo le vie dell'interno, sia quelle che recavano il grande traffico dei lontani paesi del mezzogiorno, del Mar Rosso e dell'Etiopia in Egitto, del Sahara nella Tripolitania e in Numidia, sia quelle che nell'Africa propriamente detta servivano a raccogliere e a portare al litorale i cereali e l'olio della Bizacena, della valle del Bagradas e degli altipiani della Numidia e della Mauretania, sia infine quelle che legavano la costa con la frontiera militare, prirna fra tutte la Cartagine-Teveste.

Nell'Egitto le due vie, che risalivano le sponde del Nilo fino a Siene erano integrate dallo stesso fiume, arteria di comunicazione di primissima importanza, al pari dei canali che tagliavano tutta la regione del Delta fra Alessandria e Pelusio, o di quello (amnis Augustus) che da Babilone, alla testata del Delta medesimo, congiungeva il Nilo con Arsinoe sul Mar Rosso. Era su questa robusta e triplice spina dorsale del felice paese che convergevano i copiosi e ricchi prodotti di esso: cereali innanzi tutto, e poi lino, papiro, legumi, marmi dei monti del deserto orientale, avorio e schiavi, non meno che quelli che provenivano da paesi vicini e lontani: l'oro e il ferro della Nubia e dell'Etiopia, che discendevano dall'alta valle del Nilo e dei suoi affluenti; gli aromi, le spezie, le perle che mercanti e naviganti portavano agli scali del Mar Rosso, Mylos Hormos e Berenice Trogloditica, dalle terre africane situate più a mezzogiorno sullo stesso mare, o affacciantisi sull'Oceano Indiano: i paesi del Punt e del To Neter delle iscrizioni faraoniche di Dar el-Bahari, e cioè l'odierna Somalia.

Tale traffico sulle coste egiziane del Mar Rosso era, come si vede, già attivo assai tempo prima di Roma; durò sotto i Tolomei, si intensificò maggiormente durante l'impero. Le strade che congiungevano le coste con la valle del Nilo, attraverso i monti marmiferi, furono meglio sistemate, ed una, la via nova Hadriana, costruita ex novo. Ma soprattutto questo commercio, che l'aumentato consumo delle merci d'Oriente nella ricca società dell'impero rendeva sempre più attivo e redditizio, si giovò sia della maggiore sicurezza portata dall'unità di governo delle regioni cui esso metteva capo, e del prestigio che il nome e la potenza di Roma godevano anche fuori dei confini dell'impero, sia di una fortunata scoperta che alla metà circa del sec. I d. C. un uomo di mare, altrimenti sconosciuto, Ippalo, avrebbe fatto: quella della periodicità dei monsoni, per cui da allora i viaggi dal Mar Rosso all'India, che prima si svolgevano timidamente lungo le coste dell'Arabia meridionale del Golfo Persico, poterono invece effettuarsi direttamente e rapidamente traendo profitto da quei venti. È pure di questo periodo il Periplo del Mare Eritreo, specie di guida marittima che un mercante egizio scrisse a profitto dei suoi colleghi per facilitare loro i viaggi in quel mare. Sulla stessa costa africana, a sud dell'Egitto, lo scalo principale era Adulis, cui faceva capo il commercio dell'altopiano etiopico, particolarmente attivo dopo la fondazione e l'accrescimento di potenza del regno axumita. Sulla costa arabica di fronte, Aila e Leuke Kome, a settentrione, erano i punti di partenza delle strade che, lungo la frontiera della provincia romana di Arabia o attraverso il deserto, si collegavano con la Siria e con la Mesopotamia, o con i porti di Gerra e di Spasinu Charax sul Golfo Persico. Più a sud nell'Arabia detta Felice, dove già Augusto tentò la spedizione di Elio Gallo di stabilire il protettorato romano, la navigazione e l'approdo erano resi difficili dall'importuosità del litorale e dalla natura selvaggia delle popolazioni: è per questo che la via marittima diretta all'India fu di grande giovamento. I mercanti si dirigevano ai porti di Barygaza e di Muziris (qui la Tabula Peutingeriana segna un templum Augusti) portando i prodotti dell'industria dell'Occidente e traendone avorio, pietre preziose, spezie, seta: di lì proseguivano ancora verso oriente, fino a che, al tempo di Marco Aurelio, alcuni più audaci tra loro arrivarono fino alla Cina, come si rileva dagli Annali cinesi. Invero la decadenza dell'impero avviava ormai al declino anche questo commercio, che invece era stato particolarmente intenso nel primo secolo, come ci testimonia la copia di monete del periodo tra Augusto e Nerone ritrovate specialmente intorno a Coimbatore e a Madura.

Con l'India e con la Cina il Mediterraneo era stato in relazione già prima e continuò ad esserlo ancora, per mezzo delle strade che si partivano dalle coste della Siria e della Fenicia, o da quelle dell'Asia, paesi anch'essi che nel commercio dell'impero hanno una posizione di primo piano, sia come scalo di queste terre lontane, sia come paesi intensamente produttivi essi stessi dal punto di vista agricolo e industriale.

Mercanti siriani si trovano dappertutto nell'impero: in Italia, in Gallia, sul Danubio, in Dacia: invero essi si possono considerare come l'elemento più attivo ed intraprendente del commercio romano, esportatori insieme di merci e di idee, soprattutto religiose. Dalle plaghe più felici della loro terra essi portavano vino, frutta, cereali; dalle montagne del Libano legame, dalle città industriali della costa tessuti di porpora e vetri artistici. Ma più che altro essi erano, insieme con gli Egiziani e più degli Asiatici, gli intermediarî dei traffici carovanieri provenienti dall'oriente: essi avevano questa funzione fin dai tempi più antichi, quando questi traffici si svolgevano tra la Babilonia e l'Egitto, la mantennero e l'intensificarono dopo che le conquiste di Alessandro prima, di Roma poi, indirizzarono questi traffici, divenuti ancora più attivi, più oltre verso occidente. I porti a cui questi traffici facevano capo erano soprattutto Gaza, Tiro, Beirut, Laodicea, Seleucia, congiunti essi stessi oltre che dal mare da una via costiera; nell'interno un'altra grande strada, parallela o quasi alla costa, legava i centri civili e commerciali del retroterra, da Antiochia a settentrione, per Emesa, Damasco, Bosra, Gerasa, Filadelfia e Petra, importantissimo nodo carovaniero, dove, con la via ora detta, si incrociava quella che da Seleucia sul Tigri o dal Golfo Persico andava ad Aila sul Mar Rosso e all'Egitto.

Le città che abbiamo ora nominato erano i primi scali di scambio del commercio d'Oriente: infatti mentre da un lato esse erano in relazione con i centri costieri, dall'altro lato esse costituivano il punto di arrivo delle vie carovaniere attraverso il deserto siriano ed arabo. A mezzo del deserto siriano era Palmira, la cui prosperità fu tutta dovuta al fatto di costituire essa il punto di incontro degli scambî fra Roma e il regno dei Parti: le merci che provenivano dalla bassa e dalla media Mesopotamia si distribuivano da essa o verso sud, a Gerasa e a Damasco, o verso nord, a Emes e Antiochia. I passaggi dell'Eufrate erano a Dura, a Sura, a Zeugma: il più frequentato era quest'ultimo, ché da esso scendeva la strada che portava alla vicina Antiochia, da dove, oltre che verso sud, si poteva a nord, tra la catena dell'Amano e il mare, entrare in Cilicia, mentre sulla sinistra del fiume vi si raccordavano sia la strada che scendeva verso sud lungo il suo corso, battuta, soprattutto nei tempi anteriori alla fioritura di Palmira, da coloro che volevano evitare la più lunga traversata del deserto, sia quella che andava direttamente verso oriente, a Edessa, a Nisibi, a Ninive, dove a loro volta mettevano capo le vie dell'Oriente più lontano, della Media, della Battriana, dell'India e della Cina: stazioni principali di queste vie erano Ecbatana, Hecatompylos, Antiochia Margiana, Alexandropolis, Taxila: seta, spezie, avorio erano le merci che formavano precipuo oggetto di questi commerci, e in cambio di esse erano dati i prodotti lavorati dell'Occidente: oggetti in metallo, vetri, ceramiche.

Accanto a queste vie, che possiamo chiamare centrali, rispetto a quelle meridionali del Golfo Persico e della Bassa Mesopotamia, una funzione minore, ma non trascurabile, aveva una via più settentrionale, che per il Caspio e le valli dell'Oxus e del Cyros portava nella regione del Caucaso; di qui si poteva o scendere nell'Armenia e nell'Asia Minore o valicare la catena dei monti per le Porte Caucasiche e pervenire nella Sarmazia (Russia meridionale) e alle città greche della sponda settentrionale del Ponto Eusino. Ci riallacciamo così da questo lato con le vie dei paesi danubiani, dall'altro con quelle dell'Asia Minore.

Al tempo dei re di Persia arteria fondamentale di questa era la ὁδὸς βασιλική, o via Regia, che da Melitene, nella valle dell'Eufrate e alle soglie dell'Armenia, portava alle coste dell'Egeo, tenendosi, pare, piuttosto verso settentrione, e discendendo poi al mare per la valle del Meandro, ad Efeso e a Mileto. In età romana il suo corso fu spostato a mezzogiorno dall'altipiano centrale della Licaonia.

Efeso, divenuta la capitale della provincia d'Asia, e il centro commerciale e civile più importante di tutta la penisola, ne era il punto di arrivo sul mare; attraverso l'immediato retroterra della città, regione fertilissima nei riguardi agricoli, essa andava a Laodicea e ad Apamea, e di qui ad Antiochia di Pisidia, Laodicea Combusta, Mazaca-Cesarea, Metilene. Su di essa si innestavano a Laodicea le strade che venivano dalla Licia e dalla Panfilia, le quali regioni peraltro si giovavano per i loro rapporti soprattutto del mare; a Laodicea Combusta quella che veniva, per Iconio e le porte di Cilicia, da Tarso. Da Iconio questa strada raccoglieva i prodotti dei greggi pascolanti sull'altipiano centrale. Una via parallela alla principale già descritta, correndo più a settentrione, portava a Smirne, passando per Sardi, i marmi delle cave di Sinnada, e da Pessinunte e da Ancira ancora le pelli e le lane delle greggi dell'altipiano. Ancira era a sua volte legata con Nicomedia presso il Bosforo, mentre i porti della costa meridionale del Ponto, Sinope e Trapezunte, a mezzo di strade trasversali, alcune delle quali di antica origine, erano in diretta relazione, attraverso Amasia e Mazaca-Cesarea, sia con la grande via centrale sia con Tarso, principale emporio della Cilicia. Così la rete stradale della penisola, movendo dalla sua base, verso oriente, aveva sempre, come unica meta, le coste di essa, a settentrione, ad occidente, a mezzogiorno.

L'ampiezza e la sicurezza dei traffici, che avevano toccato il loro apogeo nel secondo secolo, nel periodo aureo della pax romana, cominciarono a declinare dall'inizio del terzo, precipitando poi rapidamente, con l'accentuarsi della crisi politico-militare ed economica dell'impero. Mentre in conseguenza di questa la produttività delle singole provincie veniva meno in tutti i campi e gli scambî, per la svalutazione della moneta, diventavano più difficili, la pressione dei barbari ai confini e le lotte fra gli imperatori ponevano ostacolo gravissimo o insuperabile al movimento commerciale, sia a quello fra i paesi fuori dell'impero e le terre di questo sia anche a quello fra le provincie e Roma. Le strade divenivano malsicure o impraticabili, i principi in rivalità fra loro accaparravano a loro profitto i prodotti e le rendite delle provincie a loro fedeli, gli eserciti assorbivano più che per l'innanzi tali rendite, divenute, come si è detto, molto più esigue. All'economia aperta, avente per campo tutto l'impero e centro Roma, si va perciò a mano a mano sostituendo un'economia chiusa: ogni provincia, o gruppo di provincie, tende a vivere di sé stessa. La fondazione di Costantinopoli chiude definitivamente a Roma le vie del commercio delle provincie orientali: Egitto, Asia Minore, Siria, e anche Grecia, Tracia e regioni del Basso Danubio, che d'ora innanzi si indirizzano alla nuova capitale; ma anche le provincie dell'Occidente, via via che passano in dominio dei barbari, divengono per Roma terre inaccessibili o fonti aride: nulla più viene da esse, dove i campi restano incoltivati, l'industria viene meno, le risorse minerarie non sono più sfruttate, e nulla esse più chiedono, tanto primitivi sono i bisogni delle nuove tribù che vi si stabiliscono, e tanto grama e pavida si svolge la vita delle antiche popolazioni, romane o romanizzate, che vi sono rimaste.

Bibl.: T. Frank, An economic history of Rome, 2ª ed., Baltimora 1927 (trad. ital. della 1ª ediz., Firenze 1924); id., An economic Survey of ancient Rome, I-III, Baltimora 1933-37; M. P. Charlesworth, Trade-routes and commerce of the Roman Empire, 2ª ed., Cambridge, Mass. 1926; M. Rostovzeff, Storia economica e sociale dell'impero romano, trad. it., Firenze 1932; id., Città carovaniere, trad. ital., Bari 1934. Per la Gallia: A. Grenier, Manuel d'archéologie préhistorique, celtique, ecc., Archéologie gallo-romaine, parte II, L'archéologie du sol, Parigi 1934; è in corso di pubblicazione da parte dell'Istituto di studî romani una serie di quaderni sulle strade romane delle varie provincie.

Roma capitale (p. 841).

Sviluppo topografico; problemi e prospettive di urbanistica cittadina (p. 843).

L'opera di rinnovamento della città negli ultimi anni si è notevolmente intensificata. Altri provvedimenti essenziali di sistemazione e di sviluppo edilizio sono in corso nell'attuale periodo in cui Benito Mussolini intende fare di Roma una vasta metropoli, degna non soltanto delle sue tradizioni, ma anche della nuova funzione di capitale dell'Impero.

Nell'interno della città le esigenze delle comunicazioni, ormai congestionate nelle vecchie strade, troveranno adeguata soluzione, più che nell'allargamento di vie esistenti (di cui solo è in corso quello di Via delle Botteghe Oscure), in nuovi tracciati che costituiscano un sistema a parte: così il Corso del Rinascimento progettato, e già in attuazione, per congiungere il Corso Vittorio Emanuele con la Via Zanardelli ed il Ponte Umberto girando esternamente alla Piazza Navona e lasciando nel loro carattere tutto il quartiere del Rinascimento compreso nella grande ansa del Tevere. Così la nuova via XXIII Marzo che da Via Friuli andrà ad innestarsi nell'ultimo tronco della Via Regina Elena congiungendo direttamente con la Stazione centrale il quartiere Ludovisi e le vie che vi fanno o vi faranno capo, cioè tutta la zona settentrionale della città. Così l'arteria parallela al Corso Umberto, la via tra Piazza SS. Apostoli e Piazza Barberini, e la galleria sotto il Pincio che, in prolungamento della Via Vittoria, andrà a ricongiungersi con Via Vittorio Veneto; cioè tre lati di un vasto triangolo in cui verranno razionalmente a raccogliersi le principali comunicazioni cittadine, sgombrando la minuta trama viaria della città sviluppatasi negli ultimi tre secoli, per la quale qualunque trasformazione riuscirebbe inadeguata a tale scopo; sicché per essa, sdoppiata la ragione della viabilità dalle altre condizioni urbanistiche, i rinnovamenti potranno avere per tema i miglioramenti edilizî nei campi della bellezza e dell'igiene.

Ma le maggiori opere che la nuova energia ha avviato nel cuore della vecchia Roma sono quelle dell'isolamento dell'Augusteo e del tracciato di una grande via conducente a S. Pietro, ottenuta con la demolizione della "spina" tra i Borghi. La prima viene a sostituire alle casupole che si addossavano al grande monumento romano una vasta piazza, immaginata con criterio unitario, sulla quale si affacceranno le chiese di S. Carlo al Corso, di S. Girolamo degli Schiavoni, di S. Rocco, e la mirabile Ara Pacis Augustae ricostruita in un portico parallelo al Tevere coi resti o già esistenti nei musei o rinvenuti negli scavi recentemente ripresi.

L'apertura della via diretta a S. Pietro (Via della Conciliazione) viene a risolvere una lunga serie di vicende edilizie, ponendo termine a un complesso viluppo di questioni di architettura spaziale e di ambiente che si agitano da oltre quattro secoli.

È noto come Bramante avesse immaginato il tempio vaticano come edificio a pianta centrale racchiuso in un peribolo sacro, che doveva seguirne il perimetro e isolarne la visione dal mondo esteriore, stabilendo rapporti di masse e limitazioni di visuali tali da mostrare la nozione della grandezza; ed era ancora la concezione ambientale dell'antichità e del Medioevo. Questa mirabile soluzione urbani stica, affine a tutta la concezione architettonica bramantesca, dovette già essere abbandonata da Michelangelo, e, in ogni modo, resa impossibile quando ai primi del Seicento il Maderno allungò la chiesa ed avanzò la facciata.

Il Bernini secondò questa spinta in avanti e spostò il centro della sistemazione col prolungare le ali e racchiudere l'obelisco eretto da Sisto V nel doppio emiciclo del colonnato, le cui braccia sembra che si aprano per accogliere l'umanità. Ma intenzione del sommo artista del Seicento, documentata da medaglie di fondazione, da incisioni del tempo, da schematici disegni autografi, era quella di chiudere il giro della piazza anche nel lato anteriore mediante un altro braccio di portico, sì da formarne un immenso atrio, quasi sala sormontata dalla vòlta del cielo, sostenuta dai colonnati, su cui si levano in giro le statue dei santi. Ed era ancora sopravvivenza dell'antico concetto, pur ampliato e sviluppato longitudinalmente.

Non molto dopo cominciarono le proposte per la demolizione della "spina" e per il prolungamento delle visuali, e furono mosse in parte dal desiderio di vedere dal basso la grande cupola non diminuita prospetticamente dalla linea di coronamento della facciata, in parte dal prevalere di una nuova concezione urbanistica, che intanto si affermava in Francia nella sistemazione di Parigi e in particolare nella Piazza della Concordia. Vi risposero intorno al 1800 i progetti del Morelli e del Valadier, ripresi in alcuni studî di piano regolatore dopo il 1870; e l'energia del momento attuale vi ha dato ampia ed immediata attuazione, secondo il disegno degli architetti Piacentini e Spaccarelli.

In questa significativa mutazione nei riguardi del più grande monumento e della più maestosa sistemazione edilizia del mondo, come anche in tutte le altre opere tracciate con magnifica vastità nella Roma di Mussolini, è dunque da vedere l'affermazione di un principio nuovo che tende a sostituirsi all'antico ambientismo e che riflette le modeme condizioni nel modo di vivere nelle città e di apprezzare le espressioni monumentali. Ed è da confidare che alla vastità della concezione urbanistica saranno adeguate le forme architettoniche che la rivestiranno e che dovranno risolvere l'arduo problema (che è poi quello che sovrasta a tutta l'architettura italiana) di essere espressione del nostro tempo pur riannodandosi alla nostra grande tradizione e armonizzando con l'ambiente cittadino. L'esempio dei grandi periodi precedenti, i quali, se distrussero talora monumenti insigni, seppero nobilmente continuare la vita murale della città, servirà pur questa volta di guida.

Le opere di ampliamento e di espansione della città tendono anch'esse a rapidissimo sviluppo secondando l'incremento rapido della popolazione e la sempre maggior importanza del centro. A quelle già segnalate vengono ad aggiungersi: la formazione di grandi parchi donati al popolo come quelli di Monte Mario, del Colle Oppio, della pineta di Castel Fusano presso Ostia, e in un prossimo avvenire quello della Villa Doria Pamphili; la costruzione di numerosi nuovi ponti sul Tevere; il trasporto in Roma di nuova acqua potabile mediante l'acquedotto del Peschiera; la sistemazione ferroviaria; e soprattutto l'avviamento a nuovi sviluppi determinato dall'Esposizione mondiale stabilita per il 1942.

La volontà del Duce è venuta a dare carattere stabile non solo agli edifici dell'Esposizione, che rimarrà come grande quartiere periferico, alle vie, tra cui la grande strada imperiale, ed ai mezzi di comunicazione che vi faranno capo, ma insieme ad orientare decisamente verso una precisa direzione, cioè quella del mare, il nuovo vasto sviluppo edilizio, secondando il richiamo che già la creazione del Lido di Ostia aveva costituito.

Ed era tempo che tale chiara direttiva fosse posta, poiché l'incremento dei nuovi quartieri, la formazione di nuovi centri, l'innesto dell'ampliamento sul tronco della vecchia città, erano avvenuti spesso disordinatamente ed inorganicamente da tutti i lati, contribuendo a congestionare sempre più l'antico nucleo inadatto a tale funzione di cuore di un organismo troppo vasto; e la stessa posizione dei numerosi pubblici edifici, ganglî di detto organismo, aveva seguito analoghe vicende nella mancanza di un regolare programma, che ora alfine giunge.

Per esso verrà a determinarsi per Roma una singolare formazione, costituita da uno sviluppo lineare quasi a coda di cometa nella zona meridionale fino a congiungere la città con la riva del Tirreno. Accanto sarà un'altra fascia, di incomparabile bellezza, per la unione dei grandiosi resti antichi con la vegetazione, costituita dalla zona archeologica, la quale, seguendo la linea direttrice dell'antica via Appia, penetrerà, a guisa di cuneo verde, nella città per la passeggiata archeologica fino al Foro Romano e al Campidoglio, ampliando il programma che fu visto nelle sistemazìoni napoleoniche ai primi dell'Ottocento e nella zona monumentale promossa dopo il 1900 da Guido Baccelli, e realizzando mirabilmente, nel culto della romanità, la disposizione dei parchi radiali voluta dai modernissimi urbanisti.

Nelle regioni circostanti della campagna, ormai redenta dalla malaria, è augurabile che piuttosto che un processo di diffusione "a macchia d'olio", si abbia la costituzione di nuclei lontani, favorita dalla moderna possibilità di rapidi e intensi mezzi di comunicazione; nella quale serie di borgate satelliti potranno avere posto anche i paesi disseminati intorno alla città, sui ridenti Colli Laziali, o sui Tiburtini, o sul Lago di Bracciano, mentre dal lato della marina tutta la spiaggia si popolerà di case e di ville, da Nettuno fino a Palo e a Santa Marinella.

Questa formazione aperta - vero ampio piano regionale - risponderà alla necessità di decentrare l'abitato per le tante ragioni urbanistiche di sanità, di economia, di distribuzione del movimento, cui ora si uniscono quelle insite nel programma fascista di ritorno alla terra e quelle della difesa contro eventuali attacchi aerei. E Roma avrà alfine un vivo organismo, ampio quanto richiede il suo incremento, rispondente per grandiosa e logica bellezza alla meraviglia del suo passato, ai sicuri auspici del suo avvenire.

Sviluppo demografico della città (p. 853).

Aumento e composizione della popolazione in base ai risultati del censimento al 21 aprile 1936. - Al censimento del 21 aprile 1936 la popolazione presente della città di Roma è risultata di 1.179.037 ab. e quella residente o legale di 1.155.722 abitanti con un aumento, quindi, fra il 1931 e il 1936, rispettivamente del 16,96 e del 23,32%. Agli effetti, però, di rendere più esatto il rapporto della popolazione fra i due censimenti, si deve tenere conto delle variazioni di territorio verificatesi in quel periodo di tempo. Con regio decr.-legge 22 settembre 1932, n. 1343, fu staccata una zona di territorio, costituita dalle tenute di Le Castella e Torrecchia, e fu aggregata al comune di Cisterna di Roma. La popolazione di detta zona, al censimento del 1931, ammontava a 1000 abitanti. Con r. decr.-legge 7 marzo 1935, n. 264, furono staccate alcune zone dai comuni di Albano Laziale, Anguillara Sabazia e Genzano di Roma e aggregate al territorio del governatorato. La popolazione complessiva era, in base ai dati del censimento 1931, di 566 abitanti.

In base allo stesso r. decreto-legge furono staccate alcune zone dal territorio del governatorato ed aggregate ai comuni di Genzano di Roma, di Lanuvio, di Sant' Angelo Romano, di Tolfa, di Albano Laziale, di Anguillara Sabazia, di Ariccia, di Bracciano, di Capena, di Cerveteri. La popolazione complessiva ammontava, in base ai dati del censimento 1931, a 1182 abitanti. Con legge infine del 13 giugno 1935, n. 1147, fu disposto il distacco dal territorio del governatorato della frazione di Colleferro, con la quale, unitamente a zone staccate dai comuni di Valmontone e Gennazzano, fu costituito il comune di Colleferro. La popolazione presente di detta frazione era, sempre in base ai dati del censimento 1931, di 976 abitanti e di 4423 ab. nel 1936.

In totale, la popolazione che il governatorato ha perduto dal 1931 al 1936, ammonta a 2592 abitanti secondo i dati del censimento 1931.

Tenuto conto delle speciali condizioni nelle quali si è svolto il censimento in conseguenza della guerra in Africa Orientale, l'Istituto centrale di statistica ha ritenuto conveniente di formare una popolazione speciale, composta dei presenti alla data del censimento e degli assenti temporanei in Africa orientale, nella Libia, e nei possedimenti, per avere una cifra che meglio della popolazione presente del 1936, si presti, specialmente per quanto riguarda la popolazione maschile, al confronto con la popolazione presente del 1931. Questa popolazione speciale, per il governatorato, è di abitanti 1.192.826, la quale messa in rapporto con la popolazione preserite del 1931, segna un aumento del 18,3 per cento.

Riportiamo i dati per le grandi ripartizioni di carattere storico, che delimitano ancora abbastanza bene le zone cittadine secondo determinate caratteristiche, mantenutesi attraverso i successivi sviluppi. Ma questi risultati non sono paragonabili con quelli del censimento 1931, perché nel febbraio del 1932 l'amministrazione ritenne necessario modificare i limiti dei quartieri e del suburbio per adattare le due circoscrizioni allo stato di fatto che si era venuto a creare da tempo per effetto dell'intenso movimento edilizio e demografico. Per rendere, quindi, possibile la comparabilità dei risultati del 1936 con quelli del 1931 è necessario raggruppare i dati dell'ultimo censimento in base alla circoscrizione del 1931. Il seguente prospetto contiene i risultati del censimento secondo la nuova e la vecchia circoscrizione:

La modificazione di cui si è fatto cenno non ha portato nessuna variazione nella circoscrizione dei rioni e quindi la diminuzlone dell'1,26% fra i due censimenti, nella popolazione dei rioni, corrisponde alla circoscrizione rimasta immutata. Se anche la circoscrizione delle altre ripartizioni non avesse subito variazioni, si sarebbe registrato un aumento del 30,13% nella popolazione dei quartieri, un aumento del 31,89% nella popolazione dei suburbî e un aumento del 40,32% nella popolazione dell'Agro. Particolare valore ha quest'ultimo rapporto perché è la prova più sicura che anche la zona rurale, col progressivo e notevole popolamento, partecipa ormai intensamente allo sviluppo della città.

Per quanto riguarda la composizione familiare nel censimento del 1931 si elaborarono i dati sia relativamente alle famiglie di censimento sia alle famiglie naturali, intendendosi per famiglia naturale quella composta dei soli parenti e affini, anche se temporaneamente assenti e per famiglia di censimento quella composta, oltre che dei membri presenti della famiglia naturale, anche dei membri estranei eventualmente presenti (ospiti, domestici, dozzinanti, ecc.). Per il censimento del 1936, invece, la famiglia cui si fa riferimento è quella residente e di censimemo; e cioè quella il cui capo aveva dimora abituale nel comune di censimento, vi fosse presente o ne fosse temporaneamente assente alla data del censimento, e quella che comprende le persone residenti (presenti e temporaneamente assenti) che siano unite da vincoli di sangue o di affinità o che ne facciano parte quali ospiti, domestici, dozzinanti, ecc. Non è possibile, quindi, un confronto esatto dei dati del censimento 1936 con quelli dei censimenti precedenti.

Al censimento del 1936 furono censite 268.758 famiglie residenti con 1.084.149 componenti, e cioè un'ampiezza media di 4,03 membri per famiglia. Secondo il numero dei componenti, si hanno le cifre assolute e relative che più sotto si riportano.

Pur non essendo possibili, come si è detto, i confronti con i dati del 1931, tuttavia si può affermare che variazioni sensibili non si sono verificate.

È possibile il confronto con altre città, limitandole a quelle che hanno una popolazione superiore ai 200 mila abitanti. Si rileva da questo esame come sia più bassa l'ampiezza media delle famiglie in quelle città che hanno una più bassa natalità.

È naturale, infatti, che una bassa natalità influendo sull'ampiezza media delle famiglie naturali, influisca a sua volta sull'ampiezza media delle famiglie di censimento. Torino, Milano, Trieste, Genova, Firenze, con saggi bassissimi di natalità hanno la minima ampiezza, mentre Napoli, Palermo, Catania, con saggi abbastanza alti di natalità, hanno un alto numero di componenti per famiglia. L'ampiezza media delle famiglie a Roma è certamente in relazione alla sua natalità che si mantiene sensibilmente elevata.

È noto come il rapporto numerico dei sessi abbia variato per la città di Roma attraverso i diversi censimenti: ad un'eccedenza di popolazione maschile, determinata dall'improvviso aumento degli uffici della nuova capitale del regno e da una notevole immigrazione a tipo individuale di operai e di impiegati, si è man mano passati ad un maggior equilibrio nella proporzione dei due sessi, per effetto dello stabilirsi e formarsi di regolari famiglie, finché nel 1931 l'equilibrio si era perfettamente raggiunto. Al censimento del 1936 lo squilibrio si manifesta in favore della popolazione femminile, come si è rilevato del resto per tutte le altre grandi città considerate. Varî elementi hanno contribuito a tale spostamento: alcuni di carattere generale, come le perdite della guerra mondiale e la circostanza che nelle ultime classi di età è più forte la mortalità nel sesso maschile; ed alcuni proprî delle grandi città, quale l'aumento nel personale di servizio e la maggiore proporzione, in genere, di donne immigrate negli ultimi anni (nel 1930 a Roma la proporzione dei maschi immigrati era stata di 125,20 per 100 femmine e nel 1936 di 106,08 maschi per 100 femmine).

Si ritiene opportuno effettuare i confronti relativi al sesso in base alla popolazione speciale di cui più sopra si è fatto cenno; ed allora per la città di Roma si hanno i seguenti rapporti per gli ultimi tre censimenti:

S'intende come la distribuzione sia diversa nelle varie suddivisioni territoriali: rioni, quartieri, suburbî ed Agro Romano; ma i rapporti per questa distribuzione sono calcolati in base alla popolazione presente, e quindi il rapporto di mascolinità è inferiore nel complesso a quello che sarebbe se anche questi calcoli fossero eseguiti in base alla popolazione speciale.

Nel 1921 si rivelò un equilibrio tra popolazione maschile e femminile nei rioni, mentre nei quartieri si osservava una piccola eccedenza di popolazione femminile e nel suburbio e nell'Agro Romano una sensibile eccedenza di popolazione maschile.

Nel 1931 la situazione si trovò modificata nel senso che nei rioni e quartieri si aveva un'eccedenza di popolazione femminile sulla maschile, maggiore nei quartieri che nei rioni, mentre si manteneva un'eccedenza maschile, riducendosi, però, in confronto del 1921, nei suburbî e nell'Agro Romano.

Nel 1936 aumenta l'eccedenza di popolazione femminile, in confronto del 1931, nei rioni e nei quartieri, laddove nel suburbio e nell'Agro si nota ancora una sensibile eccedenza di popolazione maschile. La diversa entità, poi, dell'eccedenza nei rioni e quartieri trova la spiegazione nel fatto che la maggior parte della guarnigione si addensa ancora nei rioni per le caserme ivi esistenti. La natura della popolazione che vive nelle zone periferiche e rurali della città giustifica come la popolazione maschile prevalga sulla femminile nei suburbî e nell'Agro. Tutto ciò risulta più chiaro dai dati che qui appresso si riportano:

L'eccedenza ancora forte di popolazione maschile nell'Agro è in rapporto con la popolazione che vi immigra, costituita in massima parte di maschi; e infatti, mentre nella popolazione con dimora abituale nell'Agro, il numero dei maschi è di 128 per 100 femmine, nella popolazione con dimora occasionale è di 372 maschi per 100 femmine.

Per quanto riguarda la distribuzione della popolazione per età, esaminiamo dapprima i risultati del censimento del 1936, per poi fare il confronto con i censimenti precedenti. Si premette che i dati si riferiscono alla popolazione presente, non essendo stata, per singole classi di età, effettuata l'elaborazione dei dati della popolazione speciale.

Oltre un quarto della popolazione romana appartiene alle giovanissime età; il 45% al gruppo dai 15 ai 39 anni e oltre il quinto della popolazione al gruppo dai 40 ai 59 anni. Il rapporto dei maschi sulle femmine diminuisce man mano che si passa alle età più avanzate per la maggiore mortalità del sesso maschile in tali età.

Mettendo in rapporto i dati del censimento 1936 con quelli di alcuni dei censimenti anteriori (per i quali cfr. tabella) si osserva come la distribuzione della popolazione per classi di età si sia modificata attraverso il tempo e come i sensibili spostamenti, in confronto al penultimo censimento, vadano attribuiti all'assenza delle parecchie migliaia di maschi appartenenti a giovane età, dislocati nell'Africa Orientale. Senza questa speciale circostanza le differenze sarebbero state certamente minori. Dal 47,18 su cento gli appartenenti al gruppo dai 15 ai 39 anni è sceso, infatti, al 45 su cento. La stessa diminuzione si è verificata nelle altre città. A Milano, nel 1931, il rapporto degli appartenenti al gruppo dai 15 ai 39 anni era del 48,26 su cento e nel 1936 è sceso a 47,78 su cento; a Torino dal 47,50 è sceso al 43,82; a Firenze dal 43,77 al 41,34; a Venezia dal 43,62 al 41,50.

Il rapporto dei sessi (per cui cfr. tabella) mette in evidenza una deficienza di mascolinità nella classe da 15 a 39 anni, dovuta in gran parte alla stessa causa sopra accennata; infatti, mentre si è passati dal censimento 1931 al censimento 1936 da 101,4 a 100,9 nel gruppo da 0 a 14 anni e da 91,5 a 89,4 nel gruppo da 40 a 59, si è discesi da 108,9 a 94,8 nel gruppo da 15 a 39 anni.

Anche la distribuzione della popolazione per stato civile è un elemento di grande importanza per determinare la fisionomia demografica della città. Il seguente quadro ci dà i rapporti per le varie forme di stato civile e ci dà possibilità di eseguire confronti nel tempo:

In confronto al 1931, per l'assenza dal regno di alcune migliaia di combattenti nell'Africa Orientale, si nota una minore proporzione di celibi alla data del censimento del 1936. Attraverso il tempo si rileva una sensibile diminuzione di celibi e un aumento di coniugati, dovuto in parte al nuovo carattere dell'immigrazione, più a tipo familiare che individuale, e in parte all'allungarsi della vita media per cui è diminuito il rapporto dei vedovi e delle vedove.

Un ultimo rilievo, che completa la fisionomia della capitale, è la popolazione suddivisa secondo le cagetorie di attività economica. Si riportano i dati assoluti relativi alla popolazione presente:

La popolazione attiva, per l'intelligenza del prospetto, comprende i censiti presenti in età di 10 anni e più esercitanti una professione, arte o mestiere; compresi, quindi, i coadiuvanti del capo famiglia o di qualsiasi altro membro della famiglia. Sono pure compresi i militari di leva secondo la professione esercitata prima della chiamata alle armi. Sono esclusi, invece, i censiti di condizione non professionale (compresi i pensionati, i possidenti, i benestanti) o senza indicazione di professione o in attesa di prima occupazione.

Su 100 abitanti della popolazione attiva, il 7,8% erano addetti all'agricoltura; il 42,1 all'industria e ai trasporti e il 13,8 al commercio.

Non sono possibili esatti confronti col 1931 dei dati sopra riportati per i diversi criterî che hanno presieduto alla classificazione della popolazione per categorie di attività economica; ma una conclusione da quelle cifre, per quanto riguarda la fisionomia economica di Roma, può trarsi perché il rapporto del 42%, come popolazione attiva sulla popolazione complessiva, non presenta forte distacco da quello di altre città a caratteristica completamente industriale o commerciale (52,4 per cento a Milano, 51,9%, a Torino, 46,7% a Trieste, 43,3% a Genova); laddove, poi, un approssimativo confronto per qualche categoria speciale, come per quella degli addetti all'industria, dà la netta impressione che una volontà operosa domina in modo decisivo tutta la vita di Roma.

Movimento della popolazione (p. 860). - a) Nuzialità. - Nel triennio successivo al 1934 è continuato l'aumento del tasso di nuzialità: dal 7,65 per mille abitanti, nel 1934, si è saliti al 7,81 nel 1935 con 9054 matrimonî in cifra assoluta, si è discesi nel 1936 a 7,07 con 8423 matrimonî, ma nel 1937 si è raggiunto il tasso di 8,31 per mille abitanti con 10.178 matrimonî.

b) Natalità. - Anche nella natalità si è avuta, nell'ultimo triennio, una leggiera ripresa: 24.552 nati vivi nel 1935 (21,16 per mille abitanti), 25.346 nati vivi nel 1936 (21,26 per mille abitanti), 26.850 nati vivi nel 1937 (21,92 per mille abitanti). Si è verificato, quindi, un aumento di 0,98 punti in confronto al 1934 (20,94 per mille abitanti).

c) Mortalità. - Normali sono state le condizioni della mortalità, eon qualche oscillazione in dipendenza di cause di morte di carattere stagionale: 14.228 morti nel 1935 (12,27 per mille abitanti), 13.642 morti nel 1936 (11,44 per mille abitanti), 14.267 morti nel 1937 (11,65 per mille abitanti).

d) Movimenti migratorî (p. 861). - Con notevole intensità sono continuati, nel triennio 1935-1937, i movimenti migratorî, come risulta dalle seguenti cifre:

e) Eccedenza naturale e migratoria. - Vi è stato, nell'ultimo quinquennio, un miglioramento nel rapporto con cui l'aumento naturale (eccedenza dei nati sui morti) e l'aumento artificiale (eccedenza degl'immigrati sugli emigrati) hanno contribuito all'accrescimento della popolazione (come qui appresso indicato).

Al 31 dicembre 1937 la popolazione presente calcolata ammontava a 1.247.165 abitanti con un aumento assoluto di 68.128 abitanti su quella censita al 21 aprile 1936 (1.179.037 abitanti), e la popolazione residente calcolata ammontava a 1.226.550 con un aumento assoluto di 70.828 abitanti su quella censita al 21 aprile 1936 (1.155.722 abitanti).

Attività edilizia (p. 861). - I vani adibiti per abitazione al censimento 1931 erano 670.558; successivamente l'attività edilizia è stata intensa pur non essendosi sviluppata con regolare uniformità nei varî anni: dal 1931 a tutto il 1937 è stata autorizzata la costruzione di 219.364 vani e calcolando che l'85 per cento siano stati adibiti ad uso esclusivo di abitazione, si può fare ammontare a circa 850.000 vani quelli attualmente abitati, con un rapporto medio di 1,46 persone per vano.

Ordinamento interno del governatorato (p. 865).

Le aziende municipalizzate e quelle in economia sono (1938) le seguenti: l'A. T. A. G. (Azienda tramie e autobus del governatorato) l'Azienda elettricità ed acque, il Giardino zoologico, la Centrale del latte.

Nella competenza delle varie ripartizioni ricordiamo i seguenti mutamenti: la Ripartizione II, sovrintende anche alla formazione del demanio delle aree fabbricabili; la Ripartizione IV, non provvede più al servizio toponomastica; la Ripartizione V (servizî tecnici), risulta ora composta di 9 divisioni: 1. Esposizione Universale 1942, espansione della città verso il mare; 2. Urbanistica; 3. Edilizia governatoriale; 4. Edilizia privata; 5. Strade, ponti, gallerie e collettori; 6. Manutenzione strade e fogne; 7. Agro Romano; 8. Espropriazioni e contributi; 9. Servizî tecnologici; Ripartizione VI, non sono più alle sue dipendenze i servìzî assistenziali (scuole all'aperto), né ha più sede ivi l'ufficio speciale per le scuole elementari; Ripartizione VII, ha anche la vigilanza sul commercio ambulante e sull'estetica cittadina; Ripartizione IX, sovrintende anche ai censimenti e alla toponomastica cittadina; Ripartizione X, non ha più sede presso di essa la commissione per l'estetica cittadina.

3. Servizî scolastici (p. 867). - La popolazione scolastica è salita, nell'anno scolastico 1936-37, a 92.996 alunni delle scuole elementari e a I6.043 alunni degli asili d'infanzia. Sono stati costruiti numerosi altri edifici scolastici.

4. Comunicazioni (p. 867). - Dal 1936 sono entrate in servizio numerose linee filoviarie sia alla periferia, sia anche al centro dove le filovie hanno sostituito in tutto o in parte preesistenti linee di autobus.

5. Servizî industriali (p. 867). - L'Azienda elettrica del governatorato aveva, alla fine del 1937, una rete di distribuzione di km. 1351 ad alta tensione e di km. 1267 a bassa tensione; in totale km. 2618. L'energia erogata a fine 1937 fu di kWh 173.000.000, per 128.943 utenti.

7. (p. 868). - Per il Teatro Reale dell'Opera è stato costituito - in conformità alle disposizioni legislative che disciplinano il funzionamento dei teatri lirici gestiti dai comuni - un Ente autonomo che è amministrato da un comitato presieduto dal governatore e di cui fanno parte un sovrintendente, tre rappresentanti del governatorato, e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali interessate. Del comitato fa parte anche un rappresentante dell'ufficio antichità e belle arti del governatorato.

Istituti di cultura (p. 868).

Istituto coloniale fascista (p. 871). - Con decreto 6 gennaio 1938, n. 442, l'istituto ha assunto la denominazione di Istituto fascista dell'Africa Italiana.

Commissione nazionale italiana per la cooperazione intellettuale e Istituto interuniversitario italiano (p. 872). - La prima è stata soppressa e il secondo sciolto attribuendosene i compiti al nuovo Istituto nazionale per le relazioni culturali con l'estero, che è regolato dal r. decreto 27 gennaio 1938, n. 48, ed ha per scopo di "promuovere le relazioni scientifiche, artistiche e sociali fra l'Italia e l'estero, con riferimento ai mezzi di diffusione della cultura".

Centro italiano di studi americani. - Ente morale, costituito con r. decr. 17 settembre 1936, n. 2027, con l'intendimento di promuovere e diffondere lo studio del continente americano e lo sviluppo dei rapporti culturali e politici fra l'Italia e le Americhe. Possiede una ricca biblioteca cui sono state principale fondamento la Biblioteca Nelson Gay, creata nel 1920 e donata al Centro nel 1935, e la raccolta F. Giordano Dalle Lanze, donata dal capo del governo, B. Mussolini. Si divide ora in due sezioni: una comprendente opere relative agli Stati Uniti e al Canada e l'altra quelle relative alle repubbliche dell'America latina.

Pontificia accademia dei Nuovi Lincei (p. 876). - Ricostituita da Pio XI col motu proprio del 1936 In multis solaciis, è diventata la Pontificia Accademia delle Scienze (v. accademia, App.).

Bibl.: F. Ascarelli, Biblioteche e ist. stranieri in Roma, Roma 1937.

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