GALDIERI, Rocco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALDIERI, Rocco

Giorgio Taffon

Nacque a Napoli il 18 ott. 1877 da Michele e da Rosa Cipriani.

Il padre, chimico farmacista, avrebbe voluto avviarlo alla professione di medico o di farmacista, continuando la tradizione familiare. Il G., però, non si sentiva portato per tali attività, sin dai suoi studi presso il liceo Vittorio Emanuele di Napoli, dimostrando forte interesse per le discipline letterarie a discapito di quelle scientifiche. Ancora giovanissimo scriveva i temi di italiano in versi, con gran disappunto del suo insegnante, rivelando di fatto e con caparbietà le sue doti poetiche. Si delineò un forte contrasto tra il giovane G. e il suo professore di letteratura italiana, che esplose quando l'allievo scrisse e divulgò tra i compagni alcuni sonetti satirici contro il docente; in seguito a tale conflitto il G. dovette lasciare la scuola.

Per punirlo il padre lo mandò a Penta, un paesino sperduto nella campagna dell'entroterra salernitano, dove il G. visse a stretto contatto con la natura, traendone ispirazione per quello che sarà il suo mondo poetico più maturo. Ancora molto giovane, a partire dal 1892, aveva preso a collaborare, pubblicando pensieri e riflessioni, a piccoli giornali e periodici: Fulgor, Il Fortunio, La Gazzetta letteraria. Nel 1893 diede alle stampe la sua prima composizione letteraria in dialetto napoletano, 'O semmenario (Napoli). Tornò a Napoli stabilmente, con la speranza, dapprima delusa, di svolgere il lavoro di giornalista e di guadagnarsi da vivere in tal modo. Non riuscendovi subito, puntò all'insegnamento, ottenendo, appena ventiduenne (nell'anno 1899-1900), l'incarico per un corso libero di giornalismo all'Università.

Intanto, nel 1897 a Firenze aveva pubblicato la raccoltina Penta (rist. Napoli 1899): quattordici sonetti in lingua per ricordare quel paesino di "cinquanta case e ciente masserie", in cui aveva trascorso una fase della giovinezza. In questi versi si veniva evidenziando quel sentimento intimamente sofferto del vivere, con toni e stilemi che si ripeteranno, con assai maggior efficacia formale e contenutistica, nelle raccolte successive; e vi sono già in nuce alcuni fra i motivi fondamentali che poi avrebbero contrassegnato la sua opera poetica: la brevità della vita, l'ineluttabilità del dolore umano, il malinconico fuggire del tempo, l'incombere della morte, in lui reso più acuto anche da una costituzione fisica gracile e dalla malattia polmonare che si sarebbe acuita col passare degli anni.

Tra il 1900 e il 1901, aveva fondato l'Ateneo-convitto Rocco, di cui fu proprietario, direttore e insegnante; l'esperienza ebbe, però, breve durata a causa di un inopinato e banale disguido che discreditò la sua scuola costringendolo a chiuderla. Finalmente, ebbe l'occasione per rientrare stabilmente nell'attività giornalistica. Lavorò al Mattino, poi al Giornale d'Italia; diresse le pubblicazioni periodiche L'Amico Cesare e La Tavola rotonda; entrò nella redazione del Monsignor Perrelli, foglio allora molto diffuso a Napoli, dove la sua fisionomia intellettuale e le sue caratteristiche personali ebbero a esprimersi al meglio. Raggiunta la tranquillità economica e professionale, diede un forte impulso alla scrittura più propriamente letteraria e poetica, producendo articoli, poesie, copioni di riviste, canzoni, quasi tutti con lo pseudonimo di Rambaldo.

Altro pseudonimo da lui usato fu quello di Giulietta, quando scriveva in collaborazione con Romeo, ovvero L. Cipolletta; in parte suoi gli articoli firmati Floretta e Patapan, alcuni, però, in collaborazione con U. Ricci, il brillante Mascarillo, redattore capo del Perrelli.

Nel 1902 si sposò con Maria Cozzolino, da cui ebbe tre figli; dopo il matrimonio iniziarono a manifestarsi con maggior frequenza e gravità i segni della sindrome asmatica che lo perseguitò per il resto della vita. Ciononostante intensificò il suo lavoro, scrivendo ora col suo vero nome e pubblicando le sue liriche, in cui, tra sarcasmo, comicità e rassegnazione, faceva trasparire tutta l'assurdità della sua condizione di persona che sa a priori di essere irrimediabilmente condannato.

Continuò a lavorare senza risparmio, con stoica resistenza, sempre in attesa che la morte venisse a prenderlo. Scrisse così canzoni per le feste di Piedigrotta, come pure poesie per giornali umoristici, riviste per il teatro Nuovo e per la compagnia di E. Scarpetta (con il quale compose nel 1908 L'ommo che volò!). Afferma R. Minervini: "Ho amato Rocco G. anche per questo suo modo di piegare il fato, di correggerlo" (p. 23).

Tra i suoi lavori per il teatro si segnalano: il dramma Zia carnale, "rappresentato dalla compagnia Murolo nel 1916" (Viviani, p. 798), Quanno 'o coreparla e Chi ha visto 'a guerra, del 1920. Nel 1919, essendo scomparsa la prima moglie, si risposò.

Morì a Napoli il 16 febbr. 1923.

A. Tilgher così scrisse del G.: "I terrori e le angosce seppe domarle e imprigionarle nella lucida carcere del verso. Con questo esempio di virile calma e di fermezza veramente classica, il poeta della Morte, Rocco Galdieri, diede un'ultima e magnifica lezione di vita" (p. 77). A. Consiglio sottolineò la duplice personalità creativa del G.: da una parte il poeta, intimo, con accenti vicini ai crepuscolari, con una sua espressione che, pur energicamente napoletana, "tende irresistibilmente a distaccarsi dal contingente e a porsi al di sopra dei riferimenti alle cose, agli ambienti, agli uomini" (p. 445); dall'altra il fecondo produttore di commedie dialettali e riviste: spettacoli organizzati con gusto e vivo spirito satirico, come La famiglia di Iorio.

Va inoltre osservato che la poesia del G., pur con radici nella cultura e nell'antropologia napoletane, ha saputo distinguersi dalle coeve esperienze e tradizioni rappresentate da S. Di Giacomo o F. Russo; e questo anche perché il G. prestò attenzione alla poesia d'avanguardia del primo Novecento, come dimostra la sua collaborazione a La Diana, la rivista di G. Marone (pubblicata fra il gennaio 1915 e il marzo 1917), che ebbe fra i suoi collaboratori poeti quali G. Ungaretti e A. Onofri, e nelle cui pagine il G. ottenne due profili critici che ne rivendicarono l'importanza nell'ambito della poesia dialettale napoletana (E. Palmieri, La poesia di R. G., in La Diana, I [1915], n. 3, pp. 13-16; E. Jenco, R. G., ibid., II [1916], n. 6, pp. 115-120).

Importante è il giudizio sul G. di P.P. Pasolini: "Galdieri, nelle sue cose migliori […] pronuncia nell'antico, colorito, ancora grossolano linguaggio materno, irto di convenzioni locali, una sua pena sottile e crudele che non ha nulla in comune con un dolore collettivo, fame o miseria o passione, ma che, secondo uno schema comune, lo conduce a moraleggiare, crudamente, a scherzare. Con G. si incrina, tenuamente, il connettivo che si sarebbe detto incorruttibile della retorica napoletana, l'orecchiabile digiacomismo" (pp. 21 s.). Sul piano del linguaggio è da condividere il giudizio di F. Brevini: "La sua pronuncia è vicina al parlato, ma senza indulgenze al popolaresco. In quella sua lingua media, "borghese", come egli stesso disse di sé per distinguersi dagli scrittori "popolari", il senso di angoscia, il fatalismo appaiono più cupi e ossessivi" (p. 188).

Le opere poetiche del G. hanno avuto, postume, due edizioni: la prima ('E lluce-luce. Poesie, Napoli 1928) ripropone quasi tutti i componimenti sia in lingua, sia dialettali; la seconda (Poesie, ibid. 1953) raccoglie le più significative creazioni dialettali. Si segnalano, inoltre, come tappe importanti del percorso poetico del G.: 'O nievo. Raccontino in versi napoletani, ibid. 1898; Poesie, ibid. 1914; Nuove poesie, ibid. 1919; Mamme napulitane, ibid. 1919; 'O sciopero d' 'e pezziente, ibid. 1921. È da rammentare ancora il volume postumo Liriche e canzoni, a cura di S. Di Massa, ibid. 1966.

Fonti e Bibl.: A. Costagliola, Napoli che se ne va, Napoli 1918, pp. 395-397; T. Rovito, Letterati e giorn. ital. contemporanei, Napoli 1922, p. 182; A. Tosti, Poeti dialettali dei tempi nostri, Lanciano 1925, pp. 38-43; A. Tilgher, La poesia dialettale napoletana (1880-1930), Roma 1930, p. 77; L. Bovio, I miei Napoletani, Napoli 1935, pp. 67-72; S. Di Massa, La canzone napoletana, Napoli 1939, p. 162; R. Bracco, Nell'arte e nella vita, Lanciano 1941, pp. 131 s.; M. Vinciguerra, Pensieri su R. G., Roma 1953; F. Fortini, R. G., in Avanti!, 20 marzo 1953; Mostra stor. della canzone napoletana (catal.), a cura di A. Mammalella - E. De Mura, Napoli 1954, ad ind.; A. Consiglio, Antologia di poeti napoletani, Firenze 1955, pp. 444 ss.; M. Venditti, in Il Fluidoro, III (1956), ff. 1-2; G. Artieri, Funiculì funiculà, Milano 1958, ad ind.; R. Minervini, Napoletani di Napoli, Napoli s.d. [ma 1958], pp. 21 ss.; E. Malato, La poesia dialettale napoletana, II, Napoli 1959, pp. 411-437; P.P. Pasolini, La poesia dialettale del Novecento, in Passione e ideologia, Milano 1960, pp. 21 s.; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 751-805; F. Brevini, Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino 1990, pp. 188 s.; La Diana (rist. anast.), a cura di N. D'Antuono, Cava dei Tirreni 1990, pp. 96 s. Si vedano inoltre le voci relative al G. in Grande diz. encicl. (UTET),V, e in Diz. della letter. ital. contemporanea (Vallecchi), I.

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