Roberto Grossatesta

Dizionario di filosofia (2009)

Roberto Grossatesta Filosofo (Contea di Suffolk 1168 ca


Lincoln 1253). Della prima parte della sua vita, almeno fino agli anni 1225-30, si sa molto poco. Maestro di arti e poi di teologia, è probabile che abbia soggiornato anche a Parigi. Arcidiacono di Leicester dal 1229 al ’31, fu maestro di teologia al convento dei francescani a Oxford dal 1230 ca. fino al 1235. In questa data venne eletto vescovo di Lincoln, carica che ricoprì fino alla morte. La produzione di G. è molto ampia e diversificata. Innanzitutto, come conoscitore del greco, tradusse in latino opere di carattere sia filosofico sia teologico. Tra le prime si segnalano l’importante traduzione dell’Etica nicomachea di Aristotele (prima versione latina completa del trattato), insieme a un corpus di commenti sull’opera elaborati da diversi autori quali Eustrazio di Nicea e Michele di Efeso, e inoltre una traduzione incompiuta del De caelo con il corrispondente commento di Simplicio. R. G. tradusse inoltre due testi pseudo-aristotelici: il De lineis indivisibilibus e il De laudabilibus bonis. Tra i testi di carattere teologico, vanno menzionati la traduzione di alcune opere di Giovanni Damasceno (De haeresibus, Dialectica, e altri), tra le quali spicca anche una nuova versione latina del De fide orthodoxa (testo già tradotto nel 12° sec. da Burgundio di Pisa); gli scritti dello pseudo-Dionigi (anche questi già resi in latino per due volte nel 9° sec. rispettivamente dall’abate Ilduino e da Giovanni Scoto Eriugena, e nuovamente nel 12° sec. da Giovanni Saraceno); e il Testamentum XII Patriarcharum. Anche per quanto concerne la produzione propria, in R. G. è possibile distinguere un gruppo di testi a carattere filosofico-scientifico, e uno più propriamente teologico. Del primo gruppo fanno parte un commento agli aristotelici Analytica posteriora e alla Physica (quello di R. G. sembra essere il primo commento prodotto nell’Occidente latino a queste due opere che ci sia pervenuto); un testo dedicato alle arti liberali (De artibus liberalibus); alcuni trattati di astronomia e cosmologia (De sphaera, De cometis, De motu supercelestium); diversi opuscoli di filosofia naturale (De natura locorum, De calore solis, De iride, ecc.); e gli importanti scritti De luce seu de inchoatione formarum e De lineis angulis et figuris. Della produzione teologica è opportuno menzionare l’Hexaëmeron, dove viene sviluppato un puntuale commento al racconto genesiaco dei sei giorni della creazione; diversi Sermones; il commento ai Salmi; e il De libero arbitrio, in cui è discusso il difficile tema del rapporto tra libertà umana e volere divino. La dottrina filosofica di R. G. è strettamente legata a quella corrente di pensiero, solitamente designata come ‘metafisica della luce’, la cui matrice va ricercata in molteplici direzioni (esegesi biblica, neoplatonismo, alcune opere della filosofia araba). Nel De luce il maestro inglese espone infatti una cosmogonia nella quale la luce rappresenta l’elemento cardine intorno a cui ruota tutta la spiegazione della nascita dell’Universo, e delle leggi che lo regolano. Creata da Dio insieme alla materia prima, la luce (lux) viene intesa da R. G. come prima forma della corporeità (prima forma corporeitatis), avente la capacità di diffondersi all’istante in ogni direzione, autogenerandosi continuamente. Questo processo espansivo non è tuttavia infinito, ma si esaurisce con il firmamento, il quale costituisce il limite esterno dell’Universo. A questo punto entra in gioco quello che R. G. definisce il lumen, ossia la luce riflessa dal firmamento, grazie al cui processo autogenerativo vengono prodotte le nove sfere celesti. Al di sotto dell’ultima di queste (la sfera della Luna), il lumen trova però una densità corporea maggiore che non riesce a rendere incorruttibile e inalterabile. Nascono così le sfere degli elementi (fuoco, aria, terra e acqua), che costituiscono il mondo sublunare corruttibile e alterabile. Attraverso lo studio delle leggi della sua propagazione, la teoria della luce di R. G. pone in evidenza l’importanza di due discipline che nel pensiero scientifico inglese troveranno notevole favore anche dopo la sua morte: la matematica e l’ottica (Perspectiva).

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