Rivoluzione industriale

Dizionario di Economia e Finanza (2012)

rivoluzione industriale

Tito Menzani

Processo di superamento dell’economia agricolo-pastorale e delle sue appendici artigianali e commerciali, attraverso l’introduzione di un sistema produttivo fondato sull’uso di macchine, azionate da nuove energie (➔ anche rivoluzione agricola). A seguito del variare delle tecnologie e del paradigma energetico si è soliti distinguere tra prima, seconda e terza r. i., anche se i contorni di quest’ultima, ancora in corso negli anni 2010, sono abbastanza incerti.

La prima rivoluzione industriale

Gli inizi della r. i. sono collocabili in Inghilterra tra gli ultimi decenni del 18° e la prima metà del 19° secolo. Il suo sviluppo fu reso possibile dalla combinazione di una serie di precondizioni: istituzioni che favorivano l’iniziativa individuale, una ricerca scientifica avanzata che stimolava le scoperte tecnologiche, un vasto settore di agricoltura capitalistica nelle mani di grandi e medi proprietari aperti all’innovazione e dotati di elevate capacità di investimento, un’industria manifatturiera ed estrattiva dinamica e in grado di liberare capitali, un’eccellente rete di trasporti, un tasso di urbanizzazione che non aveva riscontro in alcun altro Paese, un prospero commercio interno e internazionale all’interno di un impero coloniale, come quello inglese, ricco di risorse. Tutti fattori che nel loro insieme davano vita a un mercato pronto ad assorbire sempre nuovi prodotti.

Dal punto di vista energetico, essa fu caratterizzata dalla caldaia a vapore, che era alimentata a carbone, mentre, dal lato tecnologico, l’acciaio e altri materiali metallici consentirono la costruzione di reti ferroviarie e di macchinari che andavano a meccanizzare fasi produttive di beni già in uso, precedentemente realizzati con procedimenti artigianali.

La prima r. i. non necessitò di alti livelli di istruzione e addirittura varie innovazioni furono realizzate da singoli, con alcuni aiutanti e senza laboratori particolarmente attrezzati. Una serie di invenzioni nate tra il 1760 e il 1780 rinnovarono la tecnologia delle industrie imprimendole uno straordinario progresso: con semplici rudimenti scientifici, separatamente, furono costruiti nuovi telai meccanici, e J. Watt inventò e perfezionò la macchina a vapore.

Dal punto di vista organizzativo e sociale, la prima r. i. spostò molte produzioni dai domicili e dalle botteghe nelle fabbriche, dove era possibile installare i vari macchinari e attuare una prima divisione del lavoro. Ciò significò un potente impulso all’urbanizzazione (➔) e, superati gli estremi e disperati sabotaggi del luddismo (➔), alla nascita delle prime forme di sindacato (➔).

La seconda rivoluzione industriale

Gli stessi processi che avevano contraddistinto l’Inghilterra videro poi ampia diffusione, con alcune peculiarità, anche in altre aree dell’Europa, a iniziare da alcune regioni del Belgio, della Francia e della Germania, nel corso della prima metà del 1800. Nella seconda metà, invece, ebbe luogo la cosiddetta seconda r. i., che si protrasse fino alla Seconda guerra mondiale, e che interessò buona parte dell’Europa, ma anche alcune realtà più distanti, quali gli Stati Uniti e il Giappone. ● Il nuovo paradigma energetico venne dato dall’elettricità e dal motore a scoppio, e quindi dal petrolio. Dal punto di vista tecnologico, acquisì grande rilevanza la chimica, soprattutto per la produzione farmaceutica e di esplosivi, ma anche la meccanica, con la realizzazione di automobili, aeroplani e radio; in particolare tutte le radiocomunicazioni, dal sistema di telegrafia senza fili (1896) di G. Marconi in poi. Queste invenzioni ebbero un ruolo centrale nelle guerre coloniali e nella Prima guerra mondiale. Esse richiedevano saperi più complessi, non solo per la loro fabbricazione, ma anche per l’utilizzo da parte del consumatore. Di qui, la crescita degli investimenti nell’istruzione, in particolare in quella tecnica. ● La conseguenza certamente di maggior rilievo della seconda r. i. fu la necessità di capitali per imprese che in genere nascevano già più grandi rispetto a quelle della prima. Si affermò il gigantismo industriale, con fabbriche di migliaia e anche decine di migliaia di addetti, un’organizzazione del lavoro maggiormente efficiente e segnata da una rigida disciplina (➔ catena di montaggio), da precise gerarchie di funzioni e di poteri, dall’incremento, accanto alle masse operaie, di schiere di dirigenti, tecnici, impiegati con funzioni direttive e amministrative. Si formarono, su scala nazionale e anche internazionale, alleanze e combinazioni tra settori produttivi ‒ i trust, i cartelli, le corporation ‒ per ottenere maggiori rendimenti e controllare o addirittura dominare il mercato. Gli enti dotati di grandi patrimoni e in specie le banche strinsero legami organici con l’industria, tanto da indurre l’avvento del capitalismo finanziario (➔ capitale finanziario). Si era generata così la necessità di trovare canali di finanziamento, attraverso le banche o la borsa (capitale di debito e capitale di rischio), correlata all’aumento della dimensione delle imprese, a sua volta necessario per il controllo del mercato e il miglior sfruttamento delle economie di scala (➔ scala, economie di).

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