RITRATTO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

Vedi RITRATTO dell'anno: 1965 - 1996

RITRATTO (v. vol. VI, p. 695)

M. G. Picozzi
K. Fittschen

(v. vol. VI, p. 695). Grecia. - Nel corso dell'ultimo trentennio gli studi relativi ai problemi del r. greco hanno avuto uno sviluppo notevolissimo, sono stati ripresi e approfonditi sotto molteplici aspetti, e si sono potuti giovare anche del contributo di nuove importanti scoperte archeologiche.

All'inizio di questo periodo va innanzitutto ricordato il fondamentale apporto dell'opera di G. M. A. Richter, la sua raccolta ampia, ben documentata e illustrata, dei r. greci identificati con certezza o con probabilità, compresi quelli soltanto menzionati da fonti letterarie o iscrizioni. Accanto alle poche sculture greche originali e alle copie romane, che costituiscono com'è noto la maggior parte della documentazione, sono state utilizzate le immagini restituiteci dai coni monetali di età greca e romana, dalle gemme, dalle pitture e dai mosaici; i r. sono ancora ordinati tuttavia, come le più antiche opere di iconografia greca sino a Bernoulli, secondo la cronologia dei personaggi rappresentati. Il lavoro ha costituito e costituisce un punto di riferimento insostituibile, anche nella più recente veste di sintesi a cura di R. R. R. Smith, consentendo di disporre del materiale di base per ogni nuovo approccio a questo campo di studi; più che le ricerche strettamente iconografiche, sono state infatti privilegiate negli ultimi anni quelle volte a inserire la ritrattistica greca dei diversi periodi nel relativo contesto politico e sociale, spostando sovente l'interesse dai problemi di identificazione a quelli riguardanti la funzione e l'interpretazione dei r. stessi.

A una più ampia conoscenza dei r. conservati nei musei e nelle collezioni europee e americane hanno contribuito in modo particolare i numerosi cataloghi editi in questi anni; pochi dedicati esclusivamente ai r. greci, in maggior numero quelli che comprendono insieme r. greci e romani. Ugualmente significative per la presentazione di materiali e per l'individuazione dei problemi anche alcune mostre, tra cui di particolare importanza quella di Berlino del 1980, in cui il r. greco è stato considerato all'interno di un panorama più ampio, che spazia dall'antichità all'età contemporanea.

Origine del r. - Nell'arte greca il r. «fisiognomico», secondo la terminologia adottata da R. Bianchi Bandinelli per indicare l'immagine di un individuo determinato, rappresentato nella completezza delle sue caratteristiche fisiche e spirituali, era stato ritenuto possibile in questa sua piena espressione solo a partire dalla metà circa del IV sec. a.C. (v. vol. VI, pp. 697, 705 ss.), sulla base di un'interpretazione del processo culturale e artistico ricostruito soprattutto in sintonia con i contributi dello Schweitzer (che aveva posto sullo scorcio del V sec. i primi r.), e ancor prima dello Pfuhl; nello svolgimento così delineato, che prevedeva prima del IV sec. solo immagini ritrattistiche classificate come intenzionali o tipologiche, non riusciva tuttavia a trovare il giusto posto, p.es., la raffigurazione del personaggio identificato come Temistocle dall'iscrizione sull'erma ostiense (rinvenuta alla fine degli anni Trenta del nostro secolo), in cui l'unione di evidenti caratteri di stile severo con chiari elementi di individualizzazione veniva spiegata in maniera poco convincente, ipotizzando una creazione molto successiva all'epoca del rappresentato.

In realtà proprio la definizione di r. da parte di Schweitzer e Bianchi Bandinelli, sostanzialmente dipendente dall'elaborazione teorica moderna del concetto iniziata nel Rinascimento, e messa in discussione solo dalla crisi della figuratività all'inizio di questo secolo e dal diffondersi della fotografia, non esaurisce i problemi del r. greco, e ha trovato chiare difficoltà soprattutto in relazione alla ricerca di un «momento iniziale» di questo genere artistico (destinato a rimanere uno dei più discussi della cultura occidentale), che potesse coincidere con i moderni criteri. È stato a più riprese messo in luce in questi anni come il concetto «moderno» di r. si riveli inadeguato alla comprensione del r. greco (v. tra gli altri Voutiras, 1980; Schefold, 1982; Fittschen, 1988), che andrebbe considerato piuttosto per quanto possibile dal punto di vista degli antichi, a seconda delle epoche e della funzione rivestita; la critica recente è tornata in massima parte a formulazioni più generali (da ultimo, p.es., Fittschen, 1988; Himmelmann, 1994, che si ricollega al pensiero di Buschor), nella consapevolezza che è preferibile studiare il sorgere e lo svilupparsi della rappresentazione artistica dell'individuo nell'arte greca - distinta dai tipi ideali anche solo attraverso pochi elementi di diversa natura - senza richiedere al concetto di «r. individuale» implicazioni non controllabili. Non siamo quasi mai infatti in grado di giudicare, p.es., se un r. individuale fosse «somigliante» al rappresentato nelle caratteristiche fisiche e psicologiche (farà eccezione com'è noto l'immagine di Socrate, corrispondente con esattezza a quanto ci è stato tramandato dalle fonti letterarie); del resto la somiglianza doveva far parte del concetto di r. per i Greci in senso assai ampio, dal momento che il termine greco είκών indica sia il r. presumibilmente aderente al vero di un personaggio contemporaneo, sia l'immagine ricostruita di un personaggio del passato o del mito.

I contributi più significativi di questi anni sull'origine del r. individuale in Grecia (Zinserling, 1967; Gauer, 1968; Metzler, 1971; Torelli, 1977; Voutiras, 1980; Dörig, 1980; Himmelmann, 1994) lo hanno affrontato da diversi punti di vista, evidenziando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che il problema ritrattistico appartiene alla storia della cultura come alla storia dell'arte greca, e proprio per le diverse motivazioni alla base del suo sorgere e del suo svilupparsi appare così difficilmente circoscrivibile.

Una delle principali fonti¡ connesse con l'origine del r. greco, il celebre passo di Plinio (Nat. hist., XXXIV, 16), nonostante nuove analisi approfondite, rimane ancora in gran parte sostanzialmente oscura, anche se mostra l'innegabile intenzione di collegare al mondo aristocratico degli àthla la creazione di immagini «iconiche» ancora in periodo arcaico. Com'è noto il passo pliniano pone tra le prime creazioni di effigi di uomini che meritarono l'immortalità «aliqua inlustri causa» quelle dei vincitori di Olimpia, che avrebbero avuto l'onore di statue riproducenti la somiglianza delle membra se per tre volte avessero riportato vittorie; non troviamo riscontri a questo passo nei monumenti più antichi, ed è difficile immaginare il grado di individualizzazione o di «realismo» di queste figure di vincitori (forse solo «somiglianti» in quanto rappresentate nell'atteggiamento proprio della gara, secondo Gross, 1969). Gli studi più recenti sulle rappresentazioni realistiche dell'arte greca hanno consentito una valutazione anche sotto questo profilo delle prime manifestazioni riconosciute di r. individuale (v. infra), in cui tuttavia certamente sin dall'origine le caratteristiche dei personaggi rappresentati erano messe in rilievo in senso positivo, a differenza di quanto avveniva p.es. nella caricatura, che segue un diverso cammino di tipizzazione, parallelo e analogo a quello espresso dalle maschere della commedia attica.

Di particolare interesse è stato l'approfondimento dei rapporti che collegano gli inizî del r. greco individuale al contesto politico e sociale in grado di esprimerlo (Gauer, 1968; Metzler, 1971; Hölscher, 1973; Torelli, 1977)j è stato messo in rilievo come al r. onorario pubblico o a quello dedicato come importante dono votivo anche privato, sin dalle origini siano state evidentemente richieste caratteristiche particolari di rappresentatività e di «messaggio» , legate soprattutto al sistema politico e alla volontà dei differenti gruppi sociali cui potevano appartenere i committenti. È quindi emersa pienamente la differenza fra i condizionamenti imposti dalla democrazia ateniese alla rappresentazione individuale, e la maggior apertura in questo senso consentita in altre regioni, come p.es. la Ionia, culturalmente più vicina ai modelli individualistici di tradizione orientale, in cui non a caso si svilupparono nel V sec. a.C. anche le prime narrazioni letterarie con caratteristiche autobiografiche, e dove è assai precoce l'apparire del r. nelle raffigurazioni monetali (Bodenstedt, 1982); segni di individualizzazione sembrano comparire anche in un'immagine plastica arcaica dalla stessa area culturale, di rinvenimento recente (Akurgal, 1986).

Devono essere ancora segnalati due diversi approcci proposti per il problema del r. greco in generale, che coinvolgono tuttavia anche le sue prime manifestazioni; da un lato ne è stata suggerita un'interpretazione in rapporto con la fisiognomica, la scienza che studia il carattere dell'individuo in relazione all'aspetto fisico (Voutiras, 1980) (per il r. romano questo tipo d'interpretazione è stato, com'è noto, più volte sperimentato) e anche se non ci sono pervenute testimonianze letterarie anteriori alla fisiognomica pseudoaristotelica, sappiamo che questa disciplina (che la tradizione fa risalire per lo più a Pitagora) era comunque già assai diffusa nel V sec. a.C. I tratti caratteristici e permanenti di un individuo possono effettivamente in determinati casi costituire altrettante «cifre» comprensibili all'osservatore in base alle regole della fisiognomica; ma appare difficile trovare in quest'ultima una chiave interpretativa più generale, senza incorrere in forzature.

Dall'altro lato (partendo in realtà dallo studio di r. tardo-repubblicani) si è invece tentata una lettura dei r. greci, anche dei più antichi, attraverso la patognomica (Giuliani, 1986), un termine moderno adoperato sulla scia di Lichtenberg per indicare lo studio sistematico dei segni «mobili» del volto umano, della mimica cioè che esprime le diverse passioni: se i più antichi r. offrono all'analisi una mimica non complessa, per il periodo ellenistico esiste una più ampia gamma di segni di pàthos, interpretabili anche attraverso il confronto con le descrizioni di diversi tipi di mimica nelle fonti letterarie, che è difficile comunque studiare isolandoli dal più ampio e verificabile contesto delle tendenze stilistiche dei diversi periodi (in particolare Fittschen, in AA, 1991).

L'età classica. - Importanti acquisizioni si sono avute per quanto riguarda singoli r. attribuibili al V sec. a.C.; ci riferiamo evidentemente ai r. plastici, restituitici in massima parte attraverso le copie romane, dal momento che per la pittura del periodo, almeno a partire da Polignoto anch'essa interessata alla rappresentazione individuale, possediamo com'è noto solo poche testimonianze delle fonti letterarie.

Il r. di Temistocle restituitoci dall'erma ostiense è ormai universalmente riconosciuto su basi stilistiche come appartenente al periodo 470-460 a.C. (specialmente Linfert, 1967; Voutiras, 1980), anche se non si riesce agevolmente a ricollegarlo con le immagini ricordate dalle fonti letterarie; è stata più volte messa in luce la voluta analogia con l'immagine di Eracle, è stata individuata la corrispondenza con il tipo umano «leonino» della fisiognomica pseudoaristotelica (Voutiras, 1980), ma è stato anche evidenziato il particolare dell'orecchio deformato come quello dei pancraziasti, che testimonierebbe la volontà da parte di Temistocle di autorappresentarsi realisticamente come «combattente» (Himmelmann, 1994). Ugualmente non sussistono più dubbi per l'inquadramento attorno al 460 a.C. dell'Omero «tipo Epimenide»; il r. del c.d. Pausania è ora sicuramente identificato con Pindaro (v.), attraverso il ritrovamento dell’imago clipeata iscritta di Afrodisiade, e la datazione intorno al 450-440 a.C. ne risulta confermata. I caratteri realistici presenti in questi r. (almeno nei due riferibili a personaggi storici) sono stati interpretati sia come segni dell'emergere della personalità dei raffigurati, che intendono intenzionalmente staccarsi dalla collettività (Hölscher, 1973), sia come indicativi di una rappresentazione di sé con funzione e significato analoghi a quella delle immagini realistiche espresse dalla categoria dei bànausoi, sin dal periodo arcaico (Himmelmann, 1994).

Un rinvenimento di grande importanza, che ha suscitato interesse e discussione è rappresentato dall'originale bronzeo restituito nel 1969 dal mare dello Stretto di Messina, presso la rada di Porticello sulla sponda calabra; si tratta dei frammenti di una statua-r. stante, con himàtion che lasciava scoperte le gambe sotto il ginocchio, di cui si è conservata la testa di personaggio anziano caratterizzato dall'ampia fronte e dal naso aquilino, con lunga barba e capigliatura che originariamente era cinta da uno stròphion, particolare che avvalorerebbe un'interpretazione come immagine di poeta (tra le proposte più recenti si ricorda quella di Himmelmann, 1994, che lo ritiene un r. di ricostruzione, suggerendo il nome del favolista Esopo). Il bronzo era stato imbarcato già in frammenti sulla nave che fece naufragio nello stretto, insieme ad altre statue frammentarie dello stesso materiale (è stata recentemente resa nota una testa barbata ideale classica, dallo stesso ritrovamento, restituita all'Italia dalla Svizzera, dove era giunta più di vent'anni fa); i resti del carico, soprattutto la ceramica e le anfore, hanno permesso di stabilire per il naufragio una cronologia compresa tra la fine del V e gli inizî del IV sec. a.C., ed è recente l'ipotesi che la nave provenisse dalla Sicilia, da una delle città conquistate dai Cartaginesi tra il 409 e il 406 a.C. (Selinunte o Agrigento), dove aveva caricato anche bronzo destinato a essere venduto a una fonderia, costituito da parti di statue abbattute durante il saccheggio e la distruzione (Paoletti, 1991-92); questo terminus ante quem conforta una datazione che anche su basi stilistiche non può essere di molto posteriore al 440 circa (da ultimo Sismondo Ridgway, 1986; Himmelmann, 1994), nonostante sia stata proposta, prescindendo dal contesto di rinvenimento, una cronologia più bassa di oltre un secolo (Paribeni, 1984).

Altri r. ben noti sono stati più approfonditamente interpretati: si è osservato come nell'Atene classica l'idealizzazione del r. di Pericle opera di Kresilas, dedicato poco prima della sua morte nel santuario dell'Acropoli, abbia costituito una scelta consapevole, non per ottenere un'immagine «eroizzata», ma per esprimere pienamente il pro- gramma politico democratico, e le virtù del cittadino; non è infatti lontano dalle raffigurazioni ideali coeve di cittadini ateniesi sui rilievi funerari, e si inserisce perfettamente nella «norma» rappresentativa contemporanea (in particolare Hölscher, 1975). Seguendo la via tracciata dal r. di Pericle, le immagini degli strateghi attici contrassegnati dall'elmo corinzio della fine del secolo e gli inizî del successivo (approfonditamente studiate come classe unitaria: Pandermalis, 1969; Dontas, 1977), mostrano ugualmente una notevole idealizzazione; non è certo tuttavia che vada cercata tra esse, come è stato proposto, anche l'immagine di Conone, che com'è noto ebbe l'onore della statua nell’Agorà a spese dello stato (come poi il figlio Timoteo: Nep., Timoth., 2, 3), dopo l'erezione pubblica delle statue dei Tirannicidi quasi un secolo prima, interrompendo forse anche la resistenza della pòlis ateniese all'individualizzazione nel r., in un momento che vede la fioritura artistica dell'anthropopoiòs Demetrio di Alopece. È difficile invece in quest'epoca distinguere tipologicamente dagli altri r. di intellettuali i r. di «filosofi», testimoniati com'è noto sin dagli ultimi decenni del V sec. a.C., in connessione con Kolotes, discepolo di Fidia (Plin., Nat. hist., XXXIV, 87). Si trattava con ogni probabilità di immagini di sofisti che non sono stati identificati; della statua di Gorgia a Olimpia è conservata la base iscritta, e anche a Delfi ne esisteva un'altra a lui dedicata.

Di Socrate è stato di recente nuovamente analizzato il primo tipo di r., forse opera giovanile di Silanion, assegnato al 380 a.C. circa (Scheibler, 1989). È soltanto dall'inizio del IV sec., con il sorgere delle prime scuole, che l'attività filosofica si istituzionalizza, e i filosofi cominciano ad avere la definizione sociale che favorirà la creazione di r. (von den Hoff, 1994). Non è chiaro se nell'Accademia il r. di Platone sia stato eretto prima o dopo la sua morte; le rughe e la contrazione delle sopracciglia possono indicare la concentrazione dell'attività intellettuale, ma nello stesso tempo può essere ribadita l'affinità tipologica di quest'immagine con quelle delle coeve stele funerarie, che presentano volti severi di cittadini, non individuali, ma caratterizzati dai segni dell'età. In generale è stato chiaramente messo in rilievo come nell'Atene del IV sec. a.C. i r. di intellettuali (siano essi filosofi, o poeti come i tragici rappresentati in età licurghea) non si distacchino in realtà da un modello di immagine di «buon cittadino» (Zanker, 1995).

Appartengono alla serie dei r. di intellettuali della metà circa del IV sec. anche due interessanti teste di bronzo (una delle quali frammentaria), con ogni probabilità originali greci, rinvenute nel mare di Brindisi in località Punta del Serrone nel 1992, insieme a r. romani e a un gran numero di frammenti di statue, facenti parte di un trasporto forse destinato a una fonderia; se ne attende l'edizione completa e lo studio specifico (v. esplorazione archeologica).

Lisippo e l'ellenismo. - All'interno dell'opera dello scultore sicionio, oggetto di numerosi e importanti studi (culminati in una recentissima mostra romana: Moreno, 1995), un ruolo importante è rivestito dalla sua attività come ritrattista a livelli diversi, che è stata nuovamente evidenziata nelle immagini di ricostruzione di celebri atleti (tra cui soprattutto Agias e Polydamas), nel Pugile bronzeo seduto dal volto realistico del Museo Nazionale Romano, di recente attribuzione all'artista, in quella della poetessa Prassilla (riconosciuta nel tipo del tutto ideale della «menade danzante»). Particolarmente interessante è inoltre l'attribuzione proposta dell'originale bronzeo di giovane atleta vincitore dal mare Adriatico, ora al J. P. Getty Museum, che è stato identificato come Demetrio Poliorcete (v.), o anche come Seleuco Nicatore giovinetto, e attribuito a età di poco anteriore all'Agias (Viacava, 1994). Sono ancora in parte aperti i problemi del r. di Aristotele: l'unica delle immagini di cui possediamo una tradizione copistica, tra quelle ricordate dalle fonti letterarie, è infatti tradizionalmente attribuita a Lisippo, dal momento che l'iscrizione su un'erma acefala col nome di Aristotele riporta una dedica da parte di Alessandro: di recente è stato però posto in dubbio che il dedicante sia proprio Alessandro Magno, l'allievo di Aristotele, e non invece un omonimo personaggio di età imperiale (Voutiras, 1986). Il nome di Lisippo come autore può tuttavia essere probabilmente recuperato tenendo conto della descrizione di Cristodoro (Anth. Graec., I; Anth. Pal., II, 18 ss.) dell'intera statua, stante con le mani intrecciate, in un'iconografia nota anche per altre sculture del maestro sicionio, e in questo caso l'opera potrebbe essere collocata intorno al 325 a.C. (Moreno, 1987 e 1995). Importante anche la precisa definizione storica del periodo in cui si inquadra la statua ateniese di Socrate, l'età di Demetrio Falereo (autore, com'è noto, di opere relative al filosofo), e la ricostruzione dell'immagine seduta collocata nel Pompèion, secondo lo schema lisippeo riportato dalla pittura di Efeso (Moreno). I diversi r. di Alessandro creati da Lisippo sono stati a più riprese nuovamente analizzati, ribadendo soprattutto come lo scultore, nel porre le basi dell'iconografia successiva di Alessandro e di quella dinastica in generale, avesse creato un'immagine giovanile di eroe, che inseriva i tratti individuali in una rappresentazione volta a esprimere un generale messaggio di regalità, sottolineato anche dal carattere «leonino» cui rimanda l'interpretazione fisiognomica (già Hölscher, 1971); in particolare, per la ricostruzione dell’Alessandro Aichmephòros, accanto alla Testa Schwarzenberg (nota dal 1967) sono state ora proposte sia un'interessante testa della Galleria Borghese, sia quella originariamente elmata della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (Moreno, 1995, con bibl.).

Le ricerche sul r. greco di periodo ellenistico hanno presentato numerose novità; al duplice filone dei r. di intellettuali illustri e di quelli di dinasti, soprattutto a livello di manifestazioni pittoriche doveva affiancarsi una ritrattistica privata, purtroppo perduta (ci restano le fonti che parlano di ex voto iconici dipinti dedicati nei santuari). Mentre i r. di poeti, oratori, filosofi si differenziano nel nuovo clima politico, e seguono più da vicino le tendenze realistiche generali dello sviluppo artistico del periodo, in tutte le diverse forme legate soprattutto al ruolo sociale e alla rappresentazione talora esasperata dell'età, i r. dei dinasti sono per lo più in notevole misura idealizzati, in conformità con il loro messaggio ufficiale.

Tra i r. di poeti, la statua di Menandro (v.) è stata ricomposta mediante calchi nell'Università di Gottinga e collocata sul calco della base ateniese del teatro di Dioniso che riporta il nome degli autori, Kephisodotos e Timarchos. È stato convincentemente ricostruito anche il r. di un altro poeta comico, Posidippo (Fittschen, 1992), la cui statua iscritta della Galleria dei Candelabri in Vaticano reca una testa profondamente rilavorata, tranne che nel retro; quest'indicazione ha consentito di riconoscere la testa originaria, di cui esistono repliche. Posidippo (e ugualmente un altro poeta, lo Pseudo-Menandro) è rappresentato con chitone e himàtion, ma soprattutto il suo volto è imberbe come quello di Menandro, secondo la moda introdotta da Alessandro e seguita dai diadochi, che si andava affermando nel III sec. a.C. Uno dei più pregevoli r. ellenistici, quello dello «Pseudo-Seneca», ritenuto per lo più l'immagine di ricostruzione di un poeta, è stato riconosciuto in un frammento di rilievo, in un contesto di Muse e altre raffigurazioni che confermerebbero quest'interpretazione (in particolare come Esiodo o il romano Ennio: von Heintze, 1975), ma non ostacolerebbero neppure l'ipotesi recentemente formulata che possa essere rappresentato l'Esopo di Aristodemo (Moreno, 1994); un altro r., assai diverso per stile e appartenente al tardo ellenismo, è stato identificato con quello del poeta Paniassi (v.) di Alicarnasso, parente e contemporaneo di Erodoto, e, come per lo Pseudo-Seneca, anche in questo caso l'immagine di ricostruzione è barbata. I filosofi di età ellenistica appaiono sempre barbati, e gli studi più recenti hanno cercato di definire meglio, in relazione alle principali scuole, le iconografie degli epicurei, degli stoici e dei cinici (in particolare Wrede, 1982; Thielemann-Wrede, 1989; Moreno, 1994; von den Hoff, 1994; Zanker, 1995). Alcuni r. sono tuttavia ancora oggetto di discussione per motivi diversi: tra quelli di filosofi è il caso del r. dai più identificato con lo stoico Crisippo, rappresentato forse nel gesto della synkatàthesis, che è da una parte della critica ritenuto invece il r. dell'astronomo Arato (Bacchielli, 1979 e 1987; Moreno, 1994), e del r. del cinico Antistene (v.), opera di Phyromachos, che non trova ancora unanime collocazione cronologica.

Anche gli studi sui r. dei dinasti hanno avuto nell'ultimo trentennio uno sviluppo notevole. Accanto a nuovi tentativi di identificazione in riferimento soprattutto alle immagini monetali, i r. sono stati analizzati specialmente sulla base della loro funzione e del messaggio presentato (in particolare Smith, 1988, parte I). Alcuni lavori di sintesi sull'iconografia dei Tolemei (Kyrieleis, 1975; Brunelle, 1976) - cui si sono aggiunti numerosi contributi - e su quella dei Seleucidi (Fleischer, 1991), insieme al volume più generale di Smith già menzionato, e alla completa bibliografia ragionata di Queyrel che giunge sino al 1990, costituiscono ormai i nuovi imprescindibili punti di riferimento. Tra le acquisizioni più importanti a livello iconografico vanno almeno ricordate, per i Seleucidi, l'identificazione dei ritratti di Antioco IV (v.), e di Antioco IX (v.), e per i Tolemei gli approfondimenti relativi al r. di Cleopatra VII (v.), per cui è stata recentemente proposta anche un' identificazione con l'immagine dell’Afrodite dell'Esquilino (Moreno, 1994); sono state invece seriamente confutate le tradizionali identificazioni dei r. di Antioco III di Siria (v.) nella testa del Louvre, e di quello di Eutidemo di Battriana nella testa a Villa Albani (Smith, 1988), mentre di notevole interesse appare la proposta che la splendida statua bronzea originale del «dinasta» del Museo Nazionale Romano (senza diadema) rappresenti Attalo II prima della sua ascesa al trono (Himmelmann, 1989); la scultura è identificata invece da altri con Tito Quinzio Flaminino (v. principe ellenistico).

I r. di ambiente attico del tardo ellenismo sono stati nuovamente presi in esame (Stewart, 1979; per quanto riguarda il ritratto di Cameade: Stähli, 1991), come pure quelli rinvenuti a Delo, originali per la maggior parte assegnabili alla fine del ΙΙ-inizî I sec. a.C. (in particolare Stewart, 1979), prima della distruzione a opera di Mitridate VI. I rappresentati potrebbero essere negotiatores romani, italici o ugualmente greci, mentre gli autori delle sculture di cui si conservano le firme appartengono a officine attiche o asiatiche. È stata più volte posta in rilievo l'importanza di queste opere per la loro strettissima connessione con i r. romani della tarda repubblica, all'interno del problema della ricezione a Roma e nelle città italiche - a livelli diversi e con molteplicità di esiti - dell'esperienza artistica dell'ellenismo anche nell'ambito del r. (cfr. specialmente i contributi di P. Zanker, 1976, 1983, in AA 1995; v. anche infra ritratto, Roma, bibliografia).

La tradizione dei r. greci in età romana. - Il progresso degli studi degli ultimi anni sulle copie romane degli originali greci ha interessato, in modo in realtà ancora relativamente contenuto, anche le copie dei ritratti. In altissima percentuale, com'è noto, i r. greci: sono tramandati attraverso repliche di età romana, a partire dal tardo I sec. a.C. Le copie in marmo (quelle in bronzo ci sono pervenute in numero assai scarso) replicano talora anche per intero le statue-r. greche, ma il maggior numero di r. ci è conservato attraverso copie della sola testa, collocate su erme (la cui origine e tipologia sono state di recente riesaminate: Stähli, 1992), o, in non molti casi, su busti; la tipologia dell'imago clipeata per le copie di r. greci sembrerebbe attestata prevalentemente a partire dalla media età imperiale (Winkes, 1969; sull'origine ellenistica del tipo ora Neumann, 1988), e tra la fine del IV e il V sec. d.C. è datata un'importante serie di tondi recentemente rinvenuti ad Afrodisiade (Smith, 1990 e 1991). Copie in marmo di r. greci sono state rinvenute in molte regioni dell'impero romano, anche se il maggior numero si concentra a Roma e in Italia; sono ancora pochi gli studi volti a individuare le botteghe che accanto alle copie di sculture ideali replicavano per la clientela romana r. greci (si ricordi il tentativo di isolare la produzione di una bottega tardo-flavia o traianea di Thasos che avrebbe realizzato tra l'altro anche la copia della statua intera del Sofocle da Terracina: Gasparri, 1989). Per le repliche ritrovate nelle diverse province dell'impero è anche sempre necessario stabilire quando possano ritenersi importate, o quando si inseriscano invece nella produzione di officine attive localmente (è il caso evidente, oltre alle copie di r. da Atene, di quelle provenienti dalla parte orientale dell'impero, soprattutto dalla provincia d'Asia - vedi p.es. i rinvenimenti di Pergamo e Afrodisiade). Sono stati approfonditamente studiati i metodi di produzione delle copie (v. copie e copisti); anche per i r. greci le officine dovevano disporre di calchi in gesso - presi di solito sugli originali, talora forse su repliche più antiche, ma era inevitabile una maggiore o minore accuratezza della riproduzione, a seconda delle capacità e delle intenzioni del copista, e si rendeva manifesta l'aderenza di quest'ultimo allo stile e al gusto espresso soprattutto dai r. romani della sua epoca.

Lo studio comparato delle diverse repliche di un r., che determini per ciascuna di esse il periodo di esecuzione, è importantissimo, com'è noto, anche per poter valutare nel modo più corretto possibile l'originale perduto, e negli ultimi decenni sono state intraprese ricerche in cui si dà ampio spazio a questi problemi (per la datazione delle copie di r. la via è stata tracciata da un primo specifico lavoro orientato in questo senso: Lorenz, 1967). Più difficile sembra individuare nel caso dei r. le sicure « Umbildungen», rielaborazioni di tipi noti, e le «Neuschöpfungen» forse solo impiegate per r. di ricostruzione, che si è tentato recentemente di isolare in relazione ad alcuni esemplari (von den Hoff, 1994).

Importanti risultati sono stati raggiunti ricomponendo in alcuni casi teste e torsi di cui è pervenuta una tradizione copistica separata: si sono potute così p.es. ricostruire come si è detto le immagini complete di Menandro e di Posidippo (Fittschen, 1991 e 1992). Le copie romane hanno anche permesso di identificare numerosi r. greci attraverso le iscrizioni su esse apposte; tra le acquisizioni recenti si ricordano l'iscrizione del nome del poeta Menandro sul bustino bronzeo del J. Paul Getty Museum di Malibu, che ha ulteriormente confermato l'identificazione del poeta della Commedia nuova, e l'iscrizione con il nome di Pindaro sull'imago clipeata di Afrodisiade, che ha permesso, come si è visto, di riconoscere il r. del poeta tebano nel tipo da tempo noto del c.d. Pausania; più difficile è invece accostare a tipi ritrattistici già conosciuti il r. del tondo iscritto con il nome di Pitagora, dallo stesso ritrovamento afrodisiense (Smith, 1991). A volte tuttavia i nomi sono stati arbitrariamente apposti, per motivi diversi, dai copisti stessi: è il caso del r. indicato come Parmenide (v.), che è invece una replica del Metrodoro, e di una copia della testa dell'Eschine che reca sull'erma il nome di Periandro (Frei, 1980); talora può restare il dubbio che l'iscrizione sia un'aggiunta episodica, e non debba essere necessariamente riferita al personaggio rappresentato, come nel caso di Paniassi (v.)

Sono stati intrapresi nell'ultimo trentennio anche numerosi studi sui contesti di rinvenimento delle copie di r. greci, utilizzate per lo più nel mondo romano a decorazione dei giardini e dei peristili delle ville, in una consapevole rievocazione dei ginnasi ellenistici, o nelle biblioteche, e sono stati studiati i programmi decorativi che vedono riunite repliche di r. greci in «gallerie» di cui non sempre è chiaro il significato, certo legato al gusto e alle scelte dei diversi committenti (in particolare, per le gallerie di r. delle ville romane in Italia, Neudecker, 1988). Il primo e più generale lavoro in questo senso (Lorenz, 1965) andrebbe ormai ripreso sulla base delle nuove acquisizioni; tra i complessi decorativi più studiati comprendenti r. è quello della Villa dei Papiri di Ercolano (Pandermalis, 1971; Sauron, 1980; Wojcik, 1986; Neudecker, 1988), per cui sono stati supposti proprietari legati alla filosofia epicurea e patroni di Filodemo di Gadara (le cui opere figurano tra i papiri della biblioteca), cioè L. Calpurnius Piso Caesoninus o L. Calpurnius Piso Pontifex (Pandermalis, 1971) o in alternativa personaggi di grande cultura ellenica come Appius Claudius Pulcher, patrono di Eleusi (Wojcik, 1986); la composizione della principale «galleria», quella del grande peristilio rettangolare, in cui si contrappongono r. di uomini di pensiero a immagini di condottieri e dinasti, rispecchia comunque gli antitetici e complementari valori dell’otium e del negotium. Le raccolte di r. delle ville tiburtine sono state di recente considerate in riferimento al materiale documentario fornito da Pirro Ligorio, e dai resoconti degli scavi del XVIII sec. (Palma Venetucci, 1992); devono essere anche ricordate in particolare le «gallerie» tardoantiche di r., venute alla luce sia nell'Occidente romano, come quella della villa di Welschbillig (Gallia Belgica), della fine del IV sec. d.C. (Wrede, 1972), sia nella parte orientale dell'impero, come quella già ricordata da Afrodisiade, da un edificio interpretato come scuola filosofica, in cui sono rappresentati poeti, filosofi e condottieri dell'antichità uniti a personaggi contemporanei (Smith, 1990 e 1991).

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Sul problema del rapporto con la ritrattistica tardorepubblicana v. infra ritratto, Roma. E inoltre: R. R. R. Smith, Philorhomaioi. Portraits of Roman Client Rulers in the Greek East in the 1st Century B.C., in Ritratto ufficiale e ritratto privato. Atti della II Conferenza intemazionale sul ritratto romano, Roma 1984, Roma 1988, p. 493 ss.; P. Zanker, Individuum und Typus. Zur Bedeutung des realistichen Individualporträts der späten Republik, in AA, 1995, p. 473 ss.

La tradizione dei ritratti greci in età romana: Erme: H. Wrede, Die antike Herme, Magonza 1985, p. 61 ss.; A. Stähli, Ornamentum Academiae. Kopien griechischer Bildnisse in Hermenform, in Ancient Portraiture. Image and Message (Acta Hyperborea, IV), Copenaghen 1992, p. 147 ss. - Imagines clipeatae·. R. Winkes, Clipeata Imago. Studien zu einer römischen Bildnisform (diss.), Glessen 1969, passim; G. Neumann, Ein späthellenistisches Tondo-Bildnis, in AM, CIII, 1988, p. 230 ss. - Officine: C. Gasparri, Una officina di copisti di età medioimperiale, in The Greek Renaissance in the Roman Empire, Papers from the Xth British Museum Classical Colloquium (BICS, Suppl. 55), Londra 1989, p. 96. - Analisi e datazione delle copie di ritratti: Th. Lorenz, Kopie und Interpretation griechischer Bildnisse, in BABesch, XIII, 1967, p. 85 ss.; H. Kruse, Ein Sokratesporträt in Sfax, in AA, 1968, p. 435 ss.; V. Kruse Berdoldt, Kopienkritische Untersuchungen zu den Porträts des Epikur, Metrodor und Hermarch (diss.), Gottinga 1975; E. Voutiras, Studien zu Interpretation, cit., p. 41 ss.; Β. Freyer-Schauenburg, Zum Bildnis des Demokrit, in RM, XCVI, 1989, p. 313 ss.; R. von den Hoff, Philosophenporträts..., cit., p. 17, nota 5 (elenco di altri studi con analisi di copie). - Ricomposizioni di statue: L. Bacchielli, La ricomposizione della statua dell'astronomo Arato, cit., p. 43 ss.; Κ. Fittschen, Zur Rekonstruktion griechischer Dichterstatuen, I. Die Statue des Menander, cit., p. 243 ss.; id., Zur Rekonstruktion griechischer Dichterstatuen, II, cit., p. 229 ss.; id., Uber das Rekonstruieren griechischer Porträtstatuen, in Ancient Portraiture. Image and Message, cit., p. 9 ss. - Iscrizioni: Β. Ashmole, Menander: an Inscribed Bust, in AJA, LXXVII, 1973, p. 61; J. Frei, Greek Portraits in the J. Paul Getty Museum, cit., p. 67, n. 18; R. R. R. Smith, A New Portrait of Pythagoras, in Aphrodisias Papers (JRomA, Suppl. II), Ann Arbor 1991, p. 159 ss.

Gallerie di ritratti: Th. Lorenz, Galerien von griechischen Philosophen und Dichterbildnissen bei den Römern, Magonza 1965; D. Pandermalis, Zum Programm der Statuenausstattung in der Villa dei Papiri, in AM, LXXXVI, 1971, p. 173 ss.; H. Wrede, Die spätantike Hermengalerie von Welschbillig, Berlino 1972; G. Sauron, Templa Serena, in MEFRA, CXII, 1980, p. 277 ss.; E. Alföldi- Rosenbaum, Animae Sanctiores. Porträtgalerien berühmter Griechen und Römer aus dem späten vierten Jahrhundert n. Chr., in Pro arte antiqua, I, Vienna 1982, p. 11 ss.; R. Stupperich, Das Statuenprogramm in den Zeuxippos-Thermen, in IstMitt, XXXII, 1982, p. 210 ss.; M. Kreeb, Studien zur figürlichen Ausstattung delischer Privathäuser, in BCH, CVIII, 1984, p. 317 ss.; M. Wojcik, La Villa dei Papiri ad Ercolano, Roma 1986; R. Neudecker, Die Skulpturenausstattung römischer Villen in Italien, Magonza 1988, p. 64 ss.; R. R. R. Smith, Late Roman Philosopher Portraits from Aphrodisias, in JRS, LXXX, 1990, p. 127 ss.; id., Late Roman Philosophers, in Aphrodisias Papers, II, cit., p. 144 ss.; Β. Palma Venetucci (ed.), Pirro Ligorio e le erme tiburtine. Uomini illustri dell'antichità, I, i, Roma 1992; ead. (ed.), Le erme tiburtine e gli scavi del settecento. Uomini illustri dell'antichità, I, 2, Roma 1992.

Per Alcibiade, Antistene, Cameade, Menandro, Paniassi, Pindaro v. anche la bibl. alle singole voci.

(M. G. Picozzi)

Roma . - Negli ultimi venticinque anni l'interesse per i r. romani ha ricevuto un impulso straordinario: essi sono tra gli argomenti prediletti dalla più giovane generazione di studiosi d'arte e cultura romana in generale. Ciò non deve sorprendere, poiché i r., considerati un «fossile guida», rappresentano una base ideale per l'inquadramento storico di molti altri campi dell'arte romana e inoltre, più di qualsiasi altra categoria di monumenti, possono fornire risposte a questioni concernenti i rapporti sociali nel mondo romano e le sue ideologie.

La nostra conoscenza poggia ora su basi completamente nuove, grazie ai numerosi cataloghi di grandi e piccole collezioni o relativi a singoli siti, alla realizzazione di corpora di r. provenienti da determinate regioni artistiche e alle numerose monografie dedicate all'iconografia degli imperatori romani.

La ricerca scientifica è finalmente in grado di fornire un'idea più chiara circa l'entità e i centri di produzione di r., di evidenziarne omogeneità e varietà, nonché di farne risaltare più nettamente le particolarità regionali.

Oggi si potrebbe affermare che il numero di r. scultorei noti, provenienti da tutte le regioni dell'impero e databili dall'epoca di Augusto fino alla caduta dell'impero romano d'Occidente, si aggiri fra i 15.000 e i 20.000. Tenendo conto del fatto che i r. in metallo sono andati quasi completamente perduti e che anche quelli in pietra si sono conservati solo in parte (per non parlare dei r. dipinti), si può valutare quanto ricco sia stato tale patrimonio nell'antichità, probabilmente sull'ordine di centinaia di migliaia, se non milioni, di pezzi. La rappresentazione ritrattistica era una delle principali caratteristiche della cultura romana (e ancora prima, di quella ellenistica), importante anche da un punto di vista economico. Ciò spiega, p.es., come mai gli imperatori romani, specialmente per le effimere immagini del III sec., non avessero difficoltà a rendere noti i loro r., e a diffonderli rapidamente, in tutto l'impero.

È strano dover constatare che a tutt'oggi non sappiamo quasi nulla sull'organizzazione delle officine e del commercio dei r., fatta eccezione per i pochi riferimenti contenuti nella letteratura antica (v. Plin., Ep., IV, 28); anche i nomi degli innumerevoli scultori, in gran parte altamente qualificati, non ci sono stati tramandati che di rado.

In tutte le epoche fulcro della produzione fu Roma, come si deduce dal fatto che questa città e le zone limitrofe hanno restituito la maggior parte dei ritratti. Centri importanti, ma più distanti, furono l'Asia Minore (c.a 700 r. noti) e la Grecia (per la quale, purtroppo, non si dispone ancora di una simile documentazione d'insieme); seguono, con un certo distacco, le restanti regioni della penisola balcanica, la Gallia, la penisola iberica e l'Africa settentrionale. Ancora più indietro si trova l'Egitto e, infine, quasi privo di reperti, il Vicino Oriente con Siria e Palestina (non è ancora possibile stabilire se ciò sia dovuto soltanto al caso della conservazione).

In tutte le zone in cui sono avvenuti tali rinvenimenti è dominante l'influenza di Roma, particolarmente forte laddove in precedenza non esisteva una tradizione ritrattistica autonoma (come p.es. in Grecia, in Asia Minore e in Egitto). Tuttavia, almeno fino a oggi, le caratteristiche regionali sono state studiate sistematicamente solo nell'ambito dell'iconografia imperiale.

Nelle varie regioni la produzione di r. riflette fedelmente il livello di sviluppo economico e politico: p.es. il regresso italico a partire dal tardo I sec. d.C., lo sviluppo delle Provincie balcaniche nel III sec. d.C. oppure la tarda fioritura del V e VI sec., in particolar modo in Asia Minore.

La ricerca più recente ha evidenziato un particolare aspetto di questa categoria artistica che riguarda la rielaborazione del r. per una seconda utilizzazione. Già nell'antico Egitto era in voga l'uso di reimpiegare i r. rilavorandoli o apponendovi una nuova dedica, ma è in epoca imperiale che il fenomeno assume una portata particolarmente ampia: il mancato riconoscimento del reimpiego ha spesso condotto gli studiosi a conclusioni errate. Le rielaborazioni sono sovente da mettere in relazione con la damnatio memoriae degli imperatori: numerosi ritratti di Caligola, Nerone e Domiziano, p.es., successivamente alla loro morte, furono trasformati in r. dei loro predecessori o successori. Le divergenze che alcune immagini imperiali mostrano rispetto ai tipi ritrattistici più autorevoli sono spesso spiegabili proprio in base a tali rielaborazioni. Il fenomeno non interessò soltanto i r. in marmo, ma anche quelli in bronzo, nel cui caso invece di dar luogo a una nuova fusione dell'intera statua, ci si accontentava di sostituirne soltanto la testa (come p.es. nel Domiziano/Nerva di Miseno).

Spesso si ricorreva alle rilavorazioni soltanto per motivi economici; questo espediente è documentato in special modo per i r. privati per l'intera durata dell'epoca imperiale, con un incremento del fenomeno nell'età tardoantica.

Nei casi in cui non si conservino tracce della prima lavorazione (in generale sulla parte posteriore del r.), il reimpiego si può spesso riconoscere dal fatto che le orecchie, le capigliature, o loro parti, sono lavorate separatamente. Non è difficile rendersi conto di quali conseguenze comporti, per la datazione delle statue, il riconoscimento di una rilavorazione delle teste.

Le origini del r. romano: - In virtù del già menzionato ampliamento quantitativo e geografico del patrimonio ritrattistico, il fulcro della ricerca attuale si è spostato all'epoca imperiale romana. È diminuito l'interesse sulla questione concernente la fase iniziale della ritrattistica romana, che ancora nella generazione precedente dominava quasi del tutto il dibattito scientifico. Sono pochi oggi i sostenitori della teoria secondo cui all'origine dei r. romani sia da porre l'arte italica o quella etrusca; già per i primi r. nell'Italia centrale è inevitabile postulare un'influenza greca (anche la datazione è stata sempre definita sulla base di confronti con r. greci). Lo stesso discorso vale per i r. su sarcofagi e urne cinerarie etruschi, divenuti anch'essi nel frattempo maggiormente accessibili: vi figurano opere di alta qualità, che ci danno un'idea della varietà fisiognomica dei r. greco-ellenistici andati completamente perduti. I r. romani che su base archeologica si possono considerare i più antichi, databili, secondo gli studi più recenti, a non prima del II sec. a.C., mostrano ancor più chiaramente elementi in comune con la ritrattistica greca nel modo di rappresentazione realistico e nei mezzi di espressione. Ancora molti, studiosi credono di poter distinguere fra r. di Romani di età tardo-repubblicana e r. di Greci del periodo tardo-ellenistico. Al momento non sembra possibile prendere in considerazione l'intensità del realismo come criterio di differenziazione, poiché in tal senso il mondo greco non presenta niente di dissimile dalla produzione romana, specialmente qualora si includano i r. egittizzanti dell'età tolemaica. L'ipotesi più recente (R. R. R. Smith), secondo cui i r. greci avrebbero adottato il realismo da quelli romani, non si concilia con lo sviluppo della ritrattistica greca.

Neanche dalle forme di rappresentazione statuaria si possono estrapolare validi criteri di differenziazione: la frase di Plinio (Nat. hist., XXXIV, 18: «Graeca res nihil velare, at contra Romana ac militaris thoraces adderei) spesso citata non corrisponde alla realtà storica: la statua nuda e seminuda era molto gradita già ai Romani tardo-repubblicani e agli Italici. Annoverata tra le manifestazioni scultoree tipicamente romane, la clipeata imago (εἵκων έν ὅττλω) è sicuramente di origine greca, mentre non è ancora chiarita la questione concernente le origini delle erme e dei busti. Dunque si rimane legati a criteri di differenziazione quali iscrizioni, attributi ed elementi del costume (toga, calzature) e luogo di rinvenimento; di conseguenza, per alcuni dei r. ritrovati a Delo, p.es., l'interrogativo Greci o Romani (Italici) rimane irrisolto.

Le immagini in cera degli antenati, così spesso studiate e, soprattutto in passato, considerate la testimonianza più importante dell'origine autonoma del realismo dei r. romani, non si sono rivelate di grande aiuto per la soluzione del problema. In effetti, si è accertato che tali r., esposti negli atri delle case nobiliari e portati durante le cerimonie funerarie pubbliche (fissati a fantocci che rappresentavano i defunti), erano modellati sui volti delle salme; tuttavia, i r. di nobili romani pervenutici non rivelano i tratti tipici delle maschere funerarie (le rughe davanti alle orecchie, sulle quali si basa l'opinione contraria di H. Drerup, possono sorgere anche sui volti dei vivi a partire dall'età di 40 anni e si riscontrano nell'arte ritrattistica sia degli Egizi, sia dei Greci). È, invece, del tutto probabile che alla base della produzione delle effigi funerarie, spesso di aspetto molto simile alle maschere mortuarie, fosse la realizzazione di stampi modellati sul viso del defunto (in cera o in gesso). Tale procedimento è testimoniato dal rinvenimento di calchi, per l'epoca imperiale, nelle diverse zone dell'impero romano (Drerup, 1980); sembra, inoltre, a giudicare in special modo dai r. di bambini, che esso fosse molto più diffuso di guanto si possa dedurre dai modelli in gesso pervenutici. È possibile che questa tecnica tragga le sue origini dalle maschere funerarie dei nobili romani, tuttavia l'ipotesi non è ancora suffragata da prove sicure. Come ha dimostrato P. Zanker, i r. funerarî che rivelano in modo più pronunciato le caratteristiche delle maschere funerarie raffigurano esponenti delle classi medie e basse della società romana (in particolare, liberti); ne consegue che il voler provare la peculiarità dei r. romani avvalendosi di tali monumenti non ha molto senso. Per questo motivo, il carattere propriamente romano del r. dovrebbe cercarsi non tanto negli aspetti formali e artistici, quanto in quelli sociali, poiché essi rispecchiano la differenza di classe.

R. imperiali. - Anche gli studi più recenti palesano uno spiccato interesse per i r. degli imperatori romani e dei loro congiunti, e ciò poiché raffigurando personaggi storicamente ben noti, sono particolarmente utili alla soluzione di questioni di carattere storico; grazie alle loro sicure datazioni, essi costituiscono anche la base cronologica per l'ordinamento di tutta la restante produzione ritrattistica.

L'identificazione del personaggio rappresentato è, senza dubbio, la fase più importante del lavoro. Sebbene negli ultimi anni sia fortunatamente diminuita la disinvoltura delle identificazioni, essa non è del tutto scomparsa e, in molti casi, ostacola notevolmente il progredire della ricerca. Solo gradualmente comincia ad affermarsi la convinzione che i riconoscimenti debbano basarsi su regole precise e poiché soltanto in pochi casi le identificazioni possono essere favorite dalle iscrizioni apposte sul r., si è resa necessaria l'elaborazione di altri criteri. La condizione per poter identificare un r. come imperiale è che si possa dimostrare il suo carattere di r. ufficiale, per il quale cioè sia nota l'esistenza di repliche (quanto maggiore è il loro numero tanto più certa è l'identificazione, perché vi sono anche r. privati con repliche), provenienti da diversi luoghi e regioni dell'impero. Dal rapporto esistente tra le repliche si deduce che i singoli r. non sono creazioni autonome, ma si rifanno a un modello comune, che esalta la funzione ufficiale del personaggio in questione, e vengono pertanto definiti, in ambito scientifico, come «tipo ritrattistico» (Bildnistypus). Il confronto puntuale tra le repliche, consente generalmente di avere un'idea più precisa delle caratteristiche dell'originale; inoltre, se un tipo ritrattistico così individuato si ritrova anche nella monetazione degli imperatori o dei loro congiunti, è possibile giungere alla denominazione del tipo in questione. Molti studiosi ritengono ancora che sia possibile basare un'identificazione mediante il confronto di un unico r. con una effigie monetale corrispondente, ma questi tentativi non hanno quasi mai portato a risultati accettabili: il r. dell'imperatore Decio ai Musei Capitolini, del quale si conosce finora una sola copia, è l'unico esempio in cui l'immagine dell'imperatore sia stata riconosciuta solo sulla base del confronto con le monete. Dal momento che molti personaggi imperiali non sono ritratti sulle monete o queste sono scarsamente significative da un punto di vista iconografico, la ricerca deve ricorrere ad altri mezzi. Per quanto riguarda l'età giulio-claudia, i gruppi statuarî raffiguranti membri della famiglia imperiale, offrono per le loro reciproche combinazioni qualche identificazione (il r. di Britannico si è potuto identificarlo soltanto in questa maniera); tuttavia, vi sono ancora molte immagini che finora non è stato possibile riconoscere.

Malgrado alcuni casi ancora irrisolti, l'iconografia degli imperatori romani e dei loro congiunti si può considerare sostanzialmente chiarita. E stato possibile individuare diversi tipi ritrattistici per la maggior parte degli imperatori e dei loro familiari, tra essi: tre di Augusto (v.), quattro di Marco Aurelio (v.), otto di Adriano (v.) e nove, per il momento, di Faustina Minore (v.) e in parte si è già riusciti a fissarne le date di creazione, spesso collegate a importanti avvenimenti del periodo di regno del princeps (quasi sempre l'ascesa al trono e altre ricorrenze importanti). Nel caso di alcuni imperatori furono creati diversi tipi ritrattistici già prima della loro assunzione al trono (Marco Aurelio, Commodo o Caracalla): per Nerone e Alessandro Severo, p.es., si conservò in sostanza il r. giovanile, successivamente adattato al cambiamento dell'età solo mediante la modifica di alcuni dettagli. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non sono testimoniati tipi ritrattistici creati postumi (con la probabile eccezione di Cesare, con il tipo «Chiaramonti-Pisa»). Per taluni imperatori, i diversi tipi ritrattistici contengono messaggi programmatici (ciò è particolarmente evidente nel caso di Augusto), tuttavia spesso per noi indecifrabili (come nel caso di Traiano o di Adriano). Ci si chiede se, in tali circostanze, la molteplicità dei tipi sia da imputare alle attività delle officine o sia da porre in relazione con i diversi luoghi di ricezione dell'impero.

I tipi ritrattistici di un imperatore, in parte affini fra loro sotto il profilo formale, hanno dato vita a un fenomeno di contaminazione eclettica tra diversi tipi che ha portato a parlare di «mescolanza di tipi» (Bildnisklitterung). In tali occasioni è spesso molto difficile capire se ci si trovi di fronte a un r. imperiale o se si abbia a che fare con un r. privato realizzato a somiglianza di un modello imperiale. Esempî di varie contaminazioni sono particolarmente numerosi nell'iconografia di Adriano. Spesso tali r. sono stati considerati particolarmente autentici, tuttavia in quasi tutti i casi è evidente una dipendenza da un tipo ufficiale nella trattazione di singoli dettagli.

È stato possibile provare che non soltanto i r. imperiali a tutto tondo dipendono da prototipi ufficiali, ma anche le immagini realizzate in altre forme artistiche (rilievi in pietra, metalli preziosi o argilla, monete, cammei, sigilli, vetri, pittura, vetri dorati). Indubbiamente, la miniaturizzazione delle immagini e le differenze dovute ai diversi tipi di lavorazione e di materiale in cui sono realizzate, spesso non facilitano il riconoscimento di tale dipendenza, tuttavia esse non possono essere considerate creazioni autonome (come viene affermato sempre in special modo nel caso dei cammei).

Con una particolare ostinazione sopravvive nel mondo scientifico l'idea che vi siano anche r. imperiali realizzati mediante l'osservazione diretta dell'artista, ipotesi basata evidentemente su esempî rinascimentali (si pensi al Carlo V di Tiziano), ma anche nell'età moderna questa pratica era tutt'altro che la regola. Non si può certo escludere che essa fosse seguita anche nell'epoca imperiale romana. È certo, tuttavia, che finora un caso simile non è stato dimostrato. Anche i privati ricorrevano al sistema di riprodurre ripetutamente i loro r. da un unico prototipo, sebbene essi ancor più facilmente avrebbero potuto posare per nuove singole opere.

Tutte queste osservazioni consentono di ricostruire, in un certo qual modo, il procedimento della produzione dei r. imperiali. Naturalmente tutti gli imperatori avevano un marcato interesse per la propria rappresentazione, sul cui esito veniva esercitato un controllo o da loro stessi o da persone appositamente scelte. L'ideazione dell'immagine era affidata a un artista specializzato in questo settore (il r. di Antinoo e i r. imperiali degli ultimi anni di Adriano e degli inizî di Antonino Pio, p.es., furono probabilmente creati da un unico scultore di corte, la cui identità ci è ignota). Il modello originale era realizzato probabilmente in argilla o in gesso e rimaneva verosimilmente sempre nell'officina. Il grado di somiglianza con il personaggio rappresentato dipendeva dalla volontà del committente: l'Augusto del tipo «Prima Porta» sicuramente non somiglia ad Augusto, in quanto non riproduce le sembianze dell'imperatore quali ci sono state tramandate; quello calvo di Vespasiano, invece, potrebbe essere stato più vicino alla realtà. Sul modello originale si basavano tutte le altre copie, in parte, forse, lavorate direttamente su di esso, ma di regola eseguite sulla base di calchi inviati nelle officine delle varie parti dell'impero. La perdita di precisione nel corso dei varî processi di modellatura potrebbe essere alla base di molte copie inesatte e mal riuscite; la degenerazione del modello originale poteva essere aggravata dalle differenti capacità tecniche degli scultori locali impegnati nella riproduzione dei r. imperiali com'è il caso, soprattutto, delle officine provinciali. Sembra che a volte, ci si dovesse accontentare di modelli parziali (probabilmente è solo in questo modo che si può spiegare la combinazione del volto di Settimio Severo con la parte occipitale di Antonino Pio, che ha lasciato numerose testimonianze: cfr. gli esempî di Dresda; Posen; Roma, Biblioteca Antoniniana); in parte, ciò può chiarire anche il fenomeno della mescolanza di tipi sopra menzionato.

Il modello originale fissava soltanto l'aspetto formale della testa; per il resto della figura, gli scultori, ovvero i loro committenti, disponevano di ampia libertà: essi potevano scegliere il materiale e il genere artistico e - per rimanere nel campo delle copie a tutto tondo - potevano ridurre le dimensioni del modello originale (come la testina di Augusto da Colonia, di soli 4,8 cm), o aumentarle (testa di Augusto da Tripoli, di 120 cm); potevano aggiungervi attributi (p.es. corone), combinarlo con i più svariati supporti (statue di diverso tipo, busti), e deciderne i varí portamenti. Tuttavia l'adesione al modello nelle sue linee originarie avrebbe dovuto essere la regola. È difficile stabilire se il r. originale prevedesse anche un determinato tipo di supporto scultoreo, dal momento che non ci è pervenuto nessun modello intero. È probabile che l'impianto della figura fosse diverso da un caso all'altro (di Antinoo si conservano talmente tanti busti e statue nello schema dell’Apollo dell'Omphalòs da rendere ovvia la supposizione che, in questo caso, la creazione originale abbia già incluso un busto o una statua).

La produzione dei r. in epoca imperiale procedeva in maniera straordinariamente veloce ed efficiente: di quello che secondo un'opinione generale è considerato il tipo ritrattistico di Augusto (tipo «Prima Porta»), risalente al 27 a.C., si trova una copia, eccellente e molto fedele, già prima del 25 a.C. a Syene (Assuan), all'epoca trafugata a Meroe; dei 99 giorni di regno degli imperatori Pupieno e Balbino si sono conservate diverse copie di r., che in parte avevano alle spalle lunghi viaggi di trasporto (la statua di Balbino al Pireo).

Non si può stabilire con sicurezza se nel periodo di crisi del III sec. venissero utilizzati anche disegni come base per l'esecuzione delle copie scultoree oppure, soprattutto nel caso di imperatori che non erano mai stati aRoma, in sostituzione dei modelli scultorei originali. Sembra pur sempre plausibile che il r. in bronzo di Gordiano III a Bonn si sia ispirato a un'effigie monetaria.

Il procedimento spiccatamente razionale della produzione dei r. imperiali, appena descritto, si può seguire in questa forma a partire dall'epoca augustea; resta ancora da scoprire se esso abbia avuto inizio proprio allora. Non v'è dubbio che un ruolo influente fu svolto dai metodi di lavorazione propri delle officine che già dagli inizî del tardo ellenismo erano specializzate nella copia delle sculture greche. È anzi probabile che proprio quelle assunsero il nuovo, lucroso, compito. Non è ancora chiaro se i prodromi di tale attività esistessero già nella produzione ritrattistica dell'ellenismo (i r. di Tolemeo VI, che si rivelano l'uno replica dell'altro, potrebbero indurre a una simile supposizione) o si debbano far risalire addirittura all'epoca egiziana antica, dove la riproduzione dei r. dei faraoni era fenomeno del tutto usuale.

R. privato. - Studi recenti hanno dedicato una maggiore attenzione ai r. privati, allo scopo, soprattutto, di scoprirne il rapporto con quelli imperiali.

Si parla di r. privati quando ci si riferisce a r. che non raffigurano personaggi della famiglia imperiale: si tratta di una definizione in un certo senso contraddittoria, perché riferita anche a immagini di carattere ufficiale, quali, p.es., le immagini di funzionari di alto rango, insigniti con statue onorarie dal municipium o da altri organi dello stato o, addirittura, dall'imperatore stesso.

È vero che talvolta la differenziazione tra r. privato e r. imperiale non può essere stabilita con sicurezza, p.es. nei casi di mescolanza di tipi, di copie inesatte o incomplete oppure quando, a causa di caratteristiche locali o regionali, il rapporto con altre repliche di un r. imperiale non è immediatamente chiaro o è fuorviato da eventuali rilavorazioni.

È opinione diffusa che nel campo dei r. privati si abbia sempre a che fare con originali, pertanto questi sarebbero di qualità più elevata e maggiormente apprezzabili come opere d'arte rispetto alle copie dei r. imperiali. Tuttavia si può dimostrare che anche molte immagini di privati sono repliche e ciò è ben evidente ogni qualvolta si conservino sul r. i «punti» di copiatura. Questo vale per un numero di casi molto più grande di quanto finora non sia stato ammesso dalla ricerca (cfr. M. Pfanner). E dunque proprio come i r. imperiali, anche quelli privati pervenutici erano realizzati sulla base di modelli in gesso o in argilla, indispensabili soprattutto nel caso in cui di un r. privato dovevano essere eseguiti varî esemplari destinati a essere esposti in diversi luoghi. Ciò è ben testimoniato dalle fonti letterarie e dall'epigrafia e sempre più spesso documentato anche dalle evidenze archeologiche: basti citare il caso di Erode Attico (sono state individuate finora sette repliche scultoree) e del suo favorito Polydeukion (v. vol. III, p. 425 e vol. VI, p. 291; finora, per lo meno ventiquattro copie tra r. e rilievi).

Molti r. privati rivelano una sorprendente somiglianza con r. imperiali non limitata a fattori esterni di moda (trattamento della capigliatura e della barba), ma estesa anche a elementi individuali e fisiognomici quali la forma del volto e il portamento della testa. L'imitazione dei personaggi di primo piano da parte degli humiliores non sorprende in una società a governo autoritario, tanto che lo stesso fenomeno si riscontra anche in epoca moderna. In tali casi si parla di «imitazione ritrattistica» o di «adattamento ritrattistico». Di certo una parte di questi r. fu evidentemente realizzata su richiesta specifica dei committenti; tuttavia un certo numero venne prodotto dagli artigiani sulla scia di un'abitudine inconscia e come lavoro di routine, il che prova la profonda influenza esercitata dalle immagini imperiali, esposte ovunque e sempre ben visibili. L'aspetto relativamente uniforme dei r. privati così realizzati durante il periodo di governo di un dato imperatore, viene spesso indicato nella ricerca tedesca con l'espressione «volto dell'epoca» (Zeitgesicht; P. Zanker). In realtà, questo concetto è equivoco, in quanto sembrerebbe riferirsi alla totalità dei r. di una data epoca, mentre in uno stesso periodo si può provare l'esistenza di diversi «volti dell'epoca», accanto a numerosi r. che non rivelano caratteristiche di tale adattamento.

L'adeguamento fisiognomico al r. imperiale viene utilizzato, sebbene in modo non del tutto dichiarato, come criterio di datazione dei privati; tale fenomeno, soprattutto in quanto manifestazione di una moda epocale, costituisce, comunque, un elemento datante. Esso tuttavia non è efficace nei casi in cui i r. privati precedano con la scelta di determinate acconciature le immagini imperiali. Esistono prove effettive di simili casi: p.es., Adriano ha contribuito alla diffusione della moda di portare la barba dopo che per più di 400 anni era stato preferito il volto rasato, ma egli non fu il primo a portarla. Oltre a isolate testimonianze d'età giulio-claudia, l'uso di portare barbe corte è testimoniato in epoca flavia e, successivamente, traianea: dunque i r. con barba non possono essere datati tutti dall'epoca di Adriano in poi solo in base alla presenza di questo elemento di moda. La capigliatura corta, tipica del III sec. d.C., ha dei precedenti in r. privati di II sec.; non è stato ancora accertato se questa nuova pettinatura rispondesse alle esigenze di praticità della vita militare oppure riflettesse un modo di vita filosofico.

Per la datazione dei r. privati che non imitano le fattezze di quelli imperiali coevi, oltre all'analisi stilistica, possono servire allo scopo, innanzitutto, confronti con r. scolpiti su are, urne funerarie o sarcofagi, con l'ausilio dei quali si può dimostrare, p.es., che le pettinature a ciocche dell'imperatore Traiano riscossero in realtà particolare favore durante l'intero II sec., in forte contrasto con le capigliature ricciolute tipiche degli imperatori della casata antonina. Solo di rado si può trovare supporto in esemplari datati da iscrizioni: il r. di Eliodoro Cosmate ad Atene è, nei tratti fisiognomici, simile al r. di Vespasiano, ma per quanto riguarda la capigliatura è affine a quello di Tito. Tuttavia, in base all'iscrizione, esso è databile all'epoca di Traiano, dunque, è stato realizzato quasi una generazione più tardi di quanto lascerebbero supporre i modelli che imita: in questo caso il r. non è stato adattato a un modello contemporaneo, ma a uno molto più antico. In mancanza di dati che ci permettano di conoscere meglio il personaggio ritratto, è difficile stabilire se questo modo di presentarsi contenesse un messaggio programmatico, oppure manifestasse l'intento di restare fedele a un modello attuale nell'epoca della gioventù del personaggio rappresentato. Da tale sfasamento si è desunta la lunghissima durata della validità delle acconciature alla moda e, specie nel caso dei r. femminili, il loro ambito cronologico ne è risultato notevolmente ampliato. Non si può di certo escludere che in alcuni casi anche i r. femminili si ispirassero a modelli più antichi, ormai superati; tuttavia, in numerosi esempî si può provare una diretta adesione alla moda dell'epoca.

Esempî di r. privati alieni dall'imitazione dei modelli imperiali sono documentati specialmente per l'epoca di Adriano, caratterizzata da condizioni molto favorevoli per la soluzione di questioni di carattere cronologico. È in questo periodo che si verifica un mutamento delle forme dei busti e dei loro supporti, si afferma la moda della barba e, soprattutto, diviene usuale la tecnica della «perforazione dell'occhio», vale a dire la lavorazione scultoreo-grafica dell'iride e della pupilla (particolarmente evidente nei r. di Antinoo, la maggioranza dei quali risale al periodo compreso fra il 130 e il 138). Accanto agli esempî che rivelano una spiccata somiglianza con il r. dell'imperatore, a dimostrazione del fatto che Adriano non era poi così malvoluto come la storiografia senatoriale potrebbe far credere, esiste una notevole quantità di opere ritrattistiche molto diverse tra loro. Non c'è da stupirsi del fatto che nei confronti di questi r. particolarmente veristici, che richiamano il periodo repubblicano, gli studiosi non abbiano saputo fare di meglio che metterne in dubbio l'autenticità; tuttavia, nessuno di questi esemplari può considerarsi un evento casuale. Anche in quest'ambito ci si pone il problema dell'eventuale atteggiamento programmatico da parte dei rappresentati, forse, in questi casi, addirittura di opposizione. A ogni modo, tali r. provano che la rappresentazione dei cittadini non era affatto condizionata da una pressione proveniente dall'alto - al contrario, essa poté svilupparsi in completa libertà - e, d'altro canto, che i r. privati di età medio-imperiale non avevano ancora acquisito un carattere di monotonia e di uniformità, come molti studiosi sostengono. Tale fenomeno si verifica soltanto in epoca tardo-severiana e, dal momento che interessa anche i r. imperiali, la sua origine non può essere individuata in una accresciuta tendenza all'imitazione da parte dei cittadini.

La questione del rapporto tra immagini imperiali e private potrà essere definitivamente chiarita soltanto quando oggetto di analisi non saranno più esclusivamente i r. privati che mostrano affinità con quelli imperiali, ma anche quelli che da questi sono diversi, ossia quando si procederà a un esame globale della rappresentazione dei privati.

Caratteristiche tecniche e iconografiche. - La grande affinità fra r. imperiali e privati può essere estesa a quasi tutto ciò che a essi è direttamente connesso: così, supporti utilizzati per gli uni si distinguono appena da quelli usati per gli altri. Questo discorso è valido soprattutto per busti e clipei (non ci sono finora pervenute erme raffiguranti imperatori romani). Per quanto concerne i tipi statuarî, nel corso dell'epoca imperiale si può evidenziare una certa diversificazione: le statue con corazza e le statue equestri, inizialmente commissionate anche da cittadini, a partire dall'epoca medio-imperiale sono prerogativa esclusiva degli imperatori. È difficile stabilire quanto il colore utilizzato all'epoca evidenziasse la differenza fra le statue imperiali e quelle dei cittadini (si pensi alle statue di censori in toga rossa o alla toga trionfale, di cui non si conservano esempi), a causa della perdita del colore stesso. L'assimilazione alle divinità, legata a tradizioni ellenistiche e del tutto normale per gli imperatori, era molto amata anche dai privati, sebbene fosse riservata all'ambito sepolcrale.

Tra gli attributi dei r. sono da menzionare soprattutto le corone, impiegate in ugual misura per r. imperiali e privati. In particolare, la corona di alloro non è, come solitamente si crede, privilegio degli imperatori, cui erano riservate soltanto la corona radiata e la corona di quercia, la prima sin dagli inizi, la seconda solo a partire dalla tarda età augustea. Le speciali corone sacerdotali, in particolare quelle complicate dei sacerdoti del culto imperiale e di altri officianti, erano portate soltanto dai cittadini (i r. di Parigi e Thasos, erroneamente attribuiti a Giuliano l'Apostata, non fanno eccezione).

Per quanto riguarda i materiali impiegati per i r. valgono le stesse regole della statuaria: inizialmente erano impiegati materiali costosi, quali oro e argento, anche per i r. privati, mentre le pietre preziose e i cammei sono testimoniati finora soltanto per la ritrattistica imperiale. Lo stesso sembra si possa affermare anche per il porfido, utilizzato per la prima volta in epoca traiano-adrianea.

Spesso capita di leggere che il formato superiore alla grandezza naturale sia un elemento distintivo della ritrattistica imperiale. Ciò non è esatto poiché vi sono moltissimi r. privati più grandi del vero (p.es., numerosi ritratti di Cosmeti ad Atene): soltanto le dimensioni veramente colossali, ossia almeno doppie rispetto a quelle naturali, sembrano essere peculiari delle rappresentazioni imperiali. Identici erano anche i luoghi di esposizione; ma va tuttavia ricordato che in epoca imperiale si era definita un'evidente gerarchia che regolava i criteri di esposizione, fatto che non sorprende in una monarchia. Ciò si osserva in maniera particolarmente chiara nelle gallerie di r., nelle quali immagini imperiali e non imperiali erano collocate le une accanto alle altre (l'esempio più significativo è il ninfeo di Erode Attico a Olimpia).

Diritto ritrattistico. - La discussione sul diritto alla rappresentazione nel mondo romano anche negli ultimi anni è continuata in maniera serrata sebbene esistano taluni dubbi circa la sua importanza. Questo tema potrebbe assumere per lo studio dei ritratti. I concetti di ius imaginum, ossia il privilegio dei nobili di conservare le immagini degli antenati, e di ius imaginis, menzionato da Cicerone (Verr., II, 5, 36), ossia il privilegio dei magistrati curuli di avere esposto pubblicamente un unico ritratto, introdotti nella ricerca da Mommsen, non possono essere oggetto di esame per l'insufficienza dei monumenti pervenutici. Dalle testimonianze archeologiche, del resto, è evidente che o non esisteva affatto un preciso diritto ritrattistico, o che comunque esso non era rispettato. Difatti, a partire dall'epoca tardo-repubblicana tutti i liberi cittadini, e addirittura gli schiavi, avevano diritto a farsi rappresentare. Lo stato non interveniva nell'ambito delle case e delle tombe, da cui proviene la maggior parte dei r. privati, e probabilmente non aveva neanche la possibilità di farlo. Certo è che Titinius Capito poté conservare, senza essere punito, i r. dei tre assassini di Cesare, Bruto, Cassio e Catone (Plin., Ep., I, 17, 3). I r. rinvenuti in abitazioni private forse si possono spiegare in virtù di una tendenza all'imitazione delle gallerie degli antenati dei nobili, ma è più probabile che essi continuino semplicemente un'usanza diffusa in Grecia a partire dal tardo ellenismo.

Naturalmente, non tutti potevano esporre nei luoghi e nei palazzi pubblici la propria immagine: l'esposizione doveva essere approvata per ogni singolo caso dalle competenti autorità.

Evoluzione stilistica. - Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato sempre più chiaramente che i r. romani subivano in misura notevole influenze di tipo extra-artistico. Un'evoluzione stilistica lineare, quale si osserva nell'arte greca, non può essere dimostrata e, in sostanza, neanche supposta. Una prova particolarmente significativa è costituita dalla contemporaneità, ancora discussa, tra r. realistici e non realistici (questi ultimi sono denominati in ambito scientifico anche «classicistici», sebbene il termine non sia proprio esatto). È vero che, nel corso dei secoli, i r. denotano una crescente perdita di contatto con la realtà, una marcata tendenza verso l'astrazione, ma questo processo è troppo approssimativo per poter essere d'aiuto alla definizione di una cronologia esatta e inoltre non è avvenuto in maniera consequenziale e continuativa.

Tali constatazioni, tuttavia, non diminuiscono l'importanza dello stile come strumento di interpretazione scientifica. Lo stile di un'epoca, di una regione o di un'officina, riveste notevole significato per l'ordinamento dei ritratti. È pur vero che questi criterî possono essere utilizzati soltanto se ci si può valere di confronti con opere già datate. Solo in tal modo è possibile risolvere i problemi legati alla datazione dei r., sui quali da anni si discute animatamente. È il caso, p.es., della differenziazione fra le immagini maschili dell'età adrianeo-antonina e severiana da un lato, e quelle dell'epoca di Gallieno dall'altro (la discussione concernente la qualità e l'importanza della c.d. rinascita gallienica), oppure fra i ritratti femminili di età antonina e quelli della tarda antichità. Bisogna tuttavia ammettere che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, spesso non si è in grado di giungere a conclusioni certe, soltanto in base all'analisi stilistica.

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R. privato: Α. Datsouli-Stavridi, Συμβολή στην εικονογραφία του Ηρώδη του Αττικού, in AAA, XI, 1978) p. 214 ss.; Η. Meyer, Vibullius Polydeukion: ein archäologisch-epigraphischer Problemfall, in AM, C, 1985, p. 393 ss.; F. Braemer, Portrait officiel, portrait privé. Essai de classement, in Ritratto ufficiale e ritratto privato..., cit., p. 183 ss.; P. Cain, Männerbildnisse neronisch- flavischer Zeit, Monaco 1993. - Sul rapporto tra r. imperiale e r. privato: M. Bergmann, Zeittypen im Kaiserporträt?, in WissZBerl, XXXI, 1982, p. 143 ss.; A. Bonanno, Imperial and Private Portraiture: a Case of Nondepen- dence, in Ritratto ufficiale e ritratto privato..., cit., p. 157 ss.; Κ. Fittschen, Ritratti maschili privati di epoca adrianea. Problemi della loro varietà, in StMisc, in corso di stampa.

Tipi statuarî: H. G. Niemeyer, Studien zur statuarischen Darstellung der römischen Kaiser, Berlino 1968 (recc. K. Fittschen, in BJb, CLXX, 1970, p. 541 ss.; H. Blanck, in GGA, CCXXIII, 1971, p. 86 ss.); W. Eck, Die Familie der Volusii Saturnini in neuen Inschriften aus Lucus Feroniae, in Hermes, C, 1972, p. 461 ss.; H.-J. Kruse, Römische weibliche Gewandstatuen des zweiten Jahrhunderts n.Chr., Gottinga 1975; K. Stemmer, Untersuchungen zur Typologie, Chronologie und Ikonographie der Panzerstatuen, Berlino 1978; Η. Wrede, Consecratio in formam deorum. Vergöttlichte Privatpersonen in der römischen Kaiserzeit, Magonza 1981; id., Statuae lupercorum habitu, in RM, XC, 1983, p. 185 ss.; C. Maderna, Juppi- ter, Diomedes und Merkur als Vorbilder für römische Bildnisstatuen, Heidelberg 1988; J. Bergemann, Römische Reiterstatuen. Porträtplastik im öffentlichen Bereich, Magonza 1990; H. R. Goette, Studien zu römischen Togadarstellungen, Magonza 1990; T. Mikocki, Sub specie deae. Les impératrices et princesses romaines assimilées à des déesses. Etude iconologique, Roma 1995.

Attributi. - Corone: W. Oberleitner, Zwei spätantike Kaiserköpfe aus Ephesos, in JbKSWien, LXIX, 1973, p. 127 ss.; J.-Ch. Balty, Hiérophantes attiques d'époque imperiale, in L. Hadermann-Misguich (ed.), Rayonnement grec. Hommages à Ch. Delvoye, Bruxelles 1982, p. 263 ss.; H. R. Goette, Corona spicea, corona civica und Adler, in AA, 1984, p. 573 ss.; S. Sande, Römische Frauenporträts mit Mauerkrone, in ActaAArtHist, V, 1985, p. 151 ss.; Α.-Κ. Massner, Corona civica, Priesterkranz oder Magistratsinsignie? Bildnisse thasischer Theoroi?, in AM, CHI, 1988, p. 239 ss.; H. R. Goette, Kaiserzeitliche Bildnisse von Serapis-Priestern, in MDIK, XLV, 1989, p. 173 ss.

Gallerie di statue: R. Bol, Das Statuenprogramm des Herodes-Atticus-Nymphäums (Olympische Forschungen XV), Berlino 1984; J.-Ch. Balty, Groupes statuaires impériaux et privés de l'époque julio-claudienne, in Ritratto ufficiale e ritratto privato..., cit., p. 31 ss.; R. Boi, Beobachtungen zur Porträtgruppe aus dem Metroon in Olympia, ibid., p. 141 ss.; M. Fuchs, P. Liverani, P. Santoro, Il teatro e il ciclo statuario giulio-claudio (Caere, 2), Roma 1989; G. Zimmer, Locus datus decreto decurionem. Zur Statuenaufstellung zweier Forumsanlagen im römischen Afrika (AbhMünchen, 102), Monaco 1989; K. Hitzl, Die kaiserzeitliche Statuenausstattung des Metroon (Olympische Forschungen XIX), Berlino 1991.

Diritto ritrattistico: J. P. Rollin, Untersuchungen zu Rechtsfragen römischer Bildnisse, Bonn 1979 (con bibl.); G. Lahusen, Zum römischen Bildnisrecht, in Labeo, XXXI, 1985, p. 308 ss.; F. Lucrezi, 'lus imaginum', 'nova nobilitas', ibid., XXXII, 1986, p. 131 ss.

Evoluzione stilistica: Ν. Himmelmann-Wildschütz, Sarkophag eines gallienischen Konsuls, in Festschrift F. Matz, Magonza 1962, p. no ss.; G. Zinserling, Ursachen realistischer Porträtkunst in der römischen Antike, in WissZJena, XVIII, 1969, p. 193 ss.; K. Fittschen, Die Krise des 3. Jahrhunderts n. Chr. im Spiegel der Kunst, in Krisen in der Antike. Bewusstsein und Bewältigung (Bochumer Historische Studien, 13), Düsseldorf 1975, p. 133 ss.; id., A Male Portrait from the Later Severan Period, in Arts in Virginia, XVIII 1978, p. 20 ss.; id., Ein Bildnis in Privatbesitz. Zum Realismus römischer Porträts der mittleren und späteren Prinzipatszeit, in Eikones. H. Jucker gewidmet, Berna 1980, p. 108 ss.; G. Zinserling, Form als ausserkünstlerischer Bedeutungsträger. Zur Frage der politischen Funktion von Stilrezeption in der römischen Bildniskunst, in WissZBerl, XXXI, 1982, p. 317 ss.; J. Ch. Balty, Style et facture. Notes sur le portrait romain du III siècle de notre ère, in RA, 1983, p. 301 ss.; H. R. Goette, Das Bildnis des Marcus Vilonius Varro in Kopenhagen. Zu den Basen von Portraitbiisten und zum Realismus flavisch-trafanischer Bildnisse, in Boreas, VII, 1984, p. 89 ss.; J. Meischner, Privatporträts aus den Regierungsjahren des Elagabal und Alexander Severus, in Jdl, XCIX, 1984, p. 319 ss.; D. Rössler, Zur Stilentwicklung der römischen Porträts im 3. Jh., in Krise, Krisenbewusstsein, Krisenbewältigung, Halle 1988, p. 68 ss.; G. Zinserling, Zu den zwei Stilrichtungen in der Porträtkunst des 2. Viertels des 3. Jhs., ibid., p. 120 ss.; N. Hannestad, Tradition in Late Antique Sculpture,Aarhus 1994.

(K. Fittschen)