Ritmo

Universo del Corpo (2000)

Ritmo

Serena Facci

Il termine ritmo (derivato del greco ῥυθμός, affine a ῥέω, "scorrere") indica il succedersi ordinato nel tempo di un fenomeno e la frequenza con cui le varie fasi del fenomeno si succedono; tale successione può essere percepita dall'orecchio (come alternanza di suoni e di pause oppure di suoni più intensi e meno intensi ecc.), o dall'occhio (come alternanza di momenti di luce e momenti di ombra, di azioni e pause ecc.), oppure concepita nella memoria e nel pensiero. Da Platone in poi il concetto di ritmo è stato sempre associato a quello di movimento e la correlazione tra movimento corporeo e ritmo musicale, nonché tra questi e ritmo fisiologico, costituisce l'oggetto di studio delle discipline pedagogico-musicali e della musicoterapia.

1. Evoluzione di un concetto

Una delle prime testimonianze scritte del termine ῥυθμός è in un frammento di Archiloco (6° secolo a.C.): "Anima mia, [...] se vinci non inorgoglirti in pubblico, se sei vinta, non piangere, prostrata, in casa. Godi delle gioie, ma non troppo, e nella costernazione per le sventure non perdere il senso della misura. Riconosci quale ritmo domina gli uomini" (cit. in Seidel 1976, trad. it., p. 25). Democrito (5°-4° secolo a.C.) usa questa parola nel senso di "forma", quella assunta dalle singole parti (gli atomi) in un tutto. Il termine, dunque, alle origini ha una connotazione che va ben oltre i confini non solo musicali, ma anche linguistici e gestuali, per approdare a un senso generale di misura e controllo che arriva fino agli strati emotivi della persona. Il primo a connotare in maniera inequivoca il termine è Platone (5°-4° secolo a.C.) che, nelle Leggi (II, 664E), formula quella che è diventata la più famosa definizione di ritmo nel mondo occidentale: "Il ritmo è la denominazione dell'ordine del movimento". Da allora il concetto di movimento (fluire temporale, gesto, eccitazione emotiva ecc.) e quello di ordine (periodicità, strutturazione ecc.) sono stati ripetutamente ripresi nel bagaglio speculativo che per diversi secoli ha impegnato il dibattito teorico sul ritmo e che ha dato vita a un amplissimo ventaglio di possibili definizioni. Il concetto platonico di movimento ritmico è lato, abbracciando fenomeni naturali come il volo degli uccelli, fisiologici come il battito cardiaco, artistici come il passo di danza. Ma lo stesso Platone, come pure diversi teorici dell'antichità, focalizza l'attenzione specificatamente sul ritmo musicale definito soprattutto nel suo carattere di alternanza periodica di un battere (θέσις) e un levare (ἄρσις). Il primo trattato dell'antichità dedicato interamente al ritmo nella musica, nella poesia, nella danza è di Aristosseno di Taranto, allievo di Aristotele (4° secolo a.C.). Negli Elementa rhythmica egli definisce ῥυθμιζόμενον le particelle di materia (suoni, sillabe, gesti) suscettibili di organizzazione ritmica. Gli sconfinamenti tra l'accezione strettamente musicale e quella più lata sono comunque perdurati nel tempo. Ancora oggi permane il retaggio della concezione periodica greca del ritmo: infatti, noi definiamo ritmici tutti i movimenti in cui si nota un'alternanza regolare di eventi (ritmo respiratorio, dei passi, delle onde, delle stagioni ecc.). Da questo deriva anche la nozione di ritmo biologico e, in particolare, circadiano, come organizzazione quotidiana degli eventi fisiologici che interessano il mondo sia vegetale sia animale. Le relazioni tra ritmi biologici e ritmi dell'attività (lavorativa, musicale ecc.) costituiscono il campo di ricerca della psicologia del ritmo (Fraisse 1974), mentre è proprio degli studi di semantica e antropologia della musica rintracciare nelle scelte ritmico-musicali di una cultura la rappresentazione delle sue concezioni del tempo. Visto da questa angolazione infatti il ritmo, come sistema di organizzazione del tempo musicale, assume il ruolo di misura e organizzazione umanamente controllata dello scorrere vitale (Imberty 1981). Nella realtà contemporanea dell'Occidente, per es., la vicendevole migrazione di sensazioni e di senso tra la ritmicità musicale e la vita quotidiana è verificabile nell'accezione, da qualche decennio molto comune, di ritmo come velocità e dinamismo: "il ritmo della vita moderna", "è faticoso sostenere questo ritmo di vita", che si è affermata di pari passo sia con la progressiva velocizzazione degli stili di vita, sia con l'enfatizzazione del fattore ritmo in alcuni repertori musicali di largo consumo: dal rock alla disco-music, alla techno, al rap ecc. Ne deriva una concezione di ritmo come scorrere fluido e privo di esitazioni proprio delle arti che si svolgono nel tempo (la musica, il cinema), che sta prevalendo su quello di ripetizione ordinata di elementi applicabile anche ad arti statiche come quelle grafiche.

2. Ritmo e corpo

Che la percezione ritmica sia una questione non solo uditiva ma corporale in senso lato è ormai un'acquisizione generale. Tutte le teorie pedagogico-musicali, a partire dalla più famosa, quella elaborata da E. Jaques-Dalcroze nel 1920, prevedono che la formazione del senso ritmico parta dai movimenti organizzati di tutto il corpo. Il controllo ritmico della macrogestualità (tronco, arti) e, quindi, della microgestualità (mani, dita), è inoltre visto come basilare per la formazione della personalità del bambino. La ritmicità consapevole del gesto, presente in diverse attività umane da quelle lavorative a quella musicale, corrisponde a una collocazione controllata di sé stessi nella dimensione sia spaziale sia temporale. Alcuni studiosi individuano nella correlazione fra gesto e ritmo una delle prime forme di codificazione dell'esperienza umana, trovandone tracce fin nel Paleolitico nonché nella cosmogonia di varie religioni (Paczynski 1988). Forma massimamente codificata di tale correlazione è la danza, che, in diversi contesti culturali, fa tutt'uno con la musica stessa. In Africa, dove i casi in cui alla musica non è associato il ballare sono limitati, i nomi dei generi musicali coincidono con quelli delle danze (dalle tradizionali alle moderne) a essi collegati. Analogamente, in Occidente si parla di tango e mazurka o, più anticamente, di giga e bourré, a indicazione sia delle relative figurazioni coreutiche sia delle sequenze ritmiche regolari su cui si organizzano le relative musiche. Le correlazioni tra ritmo musicale, reazione motoria e ritmo fisiologico sono alla base di molte indagini e sperimentazioni in campo musicoterapeutico. La consapevolezza dell'importanza del periodo prenatale nella formazione psicologica dell'individuo ha condotto, per es., a valutare il ruolo del ritmo cardiaco materno, che viene nettamente percepito dal feto, a livello sia acustico sia vibratorio, almeno a partire dal 6° mese. Si è dimostrato che la ripetizione regolare di un ritmo semplice simile a quello cardiaco induce sensazioni rassicuranti nella maggior parte degli ascoltatori (Benenzon 1982). Altre esperienze si basano: sul confronto tra la percezione personale del ritmo (esprimibile in produzioni spontanee) e le sollecitazioni imposte dall'esterno per elaborare forme di correlazione tra l'individuo e il gruppo; sull'analisi delle stereotipie ritmiche e la loro eventuale interruzione per l'inserimento di soggetti psicotici in un processo ritmico-musicale controllato; sullo studio delle difficoltà di produzione ritmica come sintomo di patologie di vario genere. Il fattore ritmo interviene in maniera sostanziale nelle strategie a livello cognitivo e affettivo per la reintegrazione spaziale e temporale dei pazienti (Postacchini-Ricciotti-Borghesi 1997).

Di grande interesse per la psicologia musicale è anche lo studio delle influenze sull'apparato muscolare, sensoriale e neurologico dei fattori dinamici del ritmo: velocità, accelerazioni e rallentamenti. Sono inoltre stati indagati l'importanza della frequenza degli stimoli per la comprensione della forma ritmica (Fraisse 1974), la codifica della stretta relazione a livello percettivo e, di conseguenza, emozionale tra ritmo e intensità dei suoni (Imberty 1986), nonché gli influssi fisiopsicologici delle moderne musiche da discoteca, caratterizzate da una potente enfasi e da una notevole velocizzazione del beat isocrono (Tagg 1994). La componente ritmica è di primaria importanza anche nelle pratiche di alterazione degli stati di coscienza (trance, ipnosi) al centro di rituali a scopo terapeutico o di comunicazione con il sovrannaturale in moltissime culture. La ripetizione ostinata di certi movimenti, a loro volta indotti da stimoli sonori, le modifiche volontarie del ritmo respiratorio, i graduali spostamenti nell'accentuazione musicale e gestuale sembrano essere elementi largamente utilizzati per provocare alterazioni nell'equilibrio psicologico (Rouget 1980; Giannattasio 1992).

bibliografia

r. benenzon, Manuel de musicothérapie, Toulouse, Privat, 1982 (trad. it. Roma, Borla, 1982).

p. fraisse, Psychologie du rythme, Paris, PUF, 1974 (trad. it. Roma, Armando, 1979).

f. giannattasio, Il concetto di musica, Firenze, NIS, 1992.

m. imberty, Les écritures du temps. Sémantique psychologique de la musique, Paris, Bordas, 1981 (trad. it. Milano, Unicopli, 1990).

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e. jaques-dalcroze, Le rythme, la musique et l'éducation, Lausanne, Foetisch, 1920 (trad. it. Torino, ERI, 1986).

s.g. paczynski, Rythme et geste. Les racines du rythme musical, Paris, Zurfluh, 1988.

p. postacchini, a. ricciotti, m. borghesi, Lineamenti di musicoterapia, Firenze, NIS, 1997.

g. rouget, La musique et la trance, Paris, Gallimard, 1980 (trad. it. Torino, Einaudi, 1986).

w. seidel, Rhytmus. Eine Begriffsbestimmung, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1976 (trad. it. Bologna, Il Mulino, 1987).

ph. tagg, Popular music. Da Kojak al rave, ed. it., Bologna, CLUEB, 1994.

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