RITA da Cascia, santa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RITA da Cascia, santa

Lucetta Scaraffia

RITA da Cascia, santa. – Non esistono prove documentarie per stabilire la data di nascita di Rita, da collocare comunque con ogni probabilità negli ultimi decenni del XIV secolo dal momento che la morte va fissata intorno alla metà del secolo successivo. Nemmeno si hanno notizie attendibili sulla sua famiglia, di cui si sa solo che era originaria di Roccaporena, un villaggio appartenente al Comune di Cascia.

L’attribuzione tradizionale dell’anno 1381 come anno di nascita si può spiegare con un evento importante nella storia della città. In quell’anno, infatti, una pace aveva messo fine alle lotte che avevano visto contrapporsi il Comune guelfo e i castelli ghibellini del territorio. A questa pacificazione contribuì probabilmente un certo Paolo Lotii, nome che la tradizione attribuiva al marito di Rita, caduto ucciso in queste lotte. La vita di Rita viene dunque ricostruita in uno stretto intreccio con questo clima politico, in modo da suggerire un importante ruolo di pacificazione svolto già in vita per chi era destinato a divenire dopo la morte simbolo di pacificazione del territorio casciano.

Con l’ingresso nel convento di S. Maria Maddalena Rita si inserì nella vita cittadina, diventando così segno di unificazione anche fra centro e periferia: composizione simbolica che nasconde tuttavia non poche difficoltà, come adombra la tradizione agiografica. Nella carenza di fonti documentarie, alcune scritte e alcune immagini che si trovano sul sarcofago di Rita (composto di due casse) consentono di intravedere tematiche importanti della relazione tra Rita e la sua città, e della vita della Chiesa del tempo. Una delle casse infatti è istoriata da immagini della morte di Cristo, di s. Maria Maddalena e dell’anima di Rita accolta in cielo. Accanto al suo volto sono scritti alcuni versi, in dialetto casciano quattrocentesco, che sintetizzano la sua vita riferendosi a una ‘passione feroce’ e a un lungo pentimento, culminato nella stigmata sulla fronte sopportata per quindici anni. Sulla cassa sono dipinte anche sei tavolette con il monogramma JHS che si ricollegano alla devozione al nome di Gesù diffusa qualche anno prima dal francescano Bernardino da Siena. Dal momento che questa devozione aveva suscitato a Cascia aspre dispute fra agostiniani e francescani, la presenza di questo simbolo sulla tomba di Rita poteva essere considerata un’ulteriore prova della sua funzione di pacificatrice.

Sulla data di morte non si sa nulla di certo, ma quella proposta dalle fonti agiografiche è significativa, perché il 1447 è l’anno della canonizzazione di Nicola da Tolentino, agostiniano; dunque sembra un modo per legarla all’Ordine al quale si diceva fosse appartenuta. La data sul sarcofago dipinto che ha conservato per secoli la sua spoglia è di dieci anni posteriore, ma probabilmente corrisponde al momento della traslazione solenne che segna l’inizio del culto ufficiale.

In effetti fu proprio nel 1457 che il notaio Domenico Angeli cominciò a tenere in un codex miraculorum il registro dei prodigi attribuiti a Rita. Il fatto che fosse stato scelto un notaio per la trascrizione dei miracoli fa pensare a una volontà di istituzionalizzare il culto, ma la prima iscrizione nel calendario delle feste comunali si ebbe circa un secolo più tardi, nel 1545. Tuttavia, già nel 1527 il monastero che conservava le sue spoglie aggiunse alla dedicazione a Maddalena quella alla beata Rita. Negli stessi anni appare l’immagine di Rita – riconoscibile dalla puntura sanguinante sulla fronte – nella pala d’altare della cappella di S. Maria della Libera, insieme alla Madonna e a due santi locali, Simone Fidati e Ugolino.

A partire dalla metà del Cinquecento la festa di Rita si inserisce ufficialmente nel calendario di Cascia in una data significativa: il 22 maggio, ovvero nello stesso periodo del ciclo di feste più importanti, che segnava per Cascia l’inizio dell’anno civile e agricolo. Un assorbimento nel ciclo festivo della Pentecoste, a cui si aggiunse la consegna a Rita dei palii dei vincitori della gara degli armati, la consacrò definitivamente come patrona locale. Le feste e le gare di maggio costituiscono senza dubbio una cristianizzazione delle feste primaverili della fecondità, e Rita venne così a sostituire le pagane regine del maggio. Le celebrazioni prevedevano probabilmente anche rappresentazioni della sua vita, che hanno lasciato traccia nel racconto biografico. A Cascia, la devozione a Rita venne sostenuta in modo preponderante dalle istituzioni laiche, almeno fino alla metà del XVI secolo. In quel periodo emerse invece il ruolo dell’Ordine agostiniano, che con l’appoggio al culto di Rita riuscì definitivamente a imporre la sua egemonia sulla città. Tuttavia, l’appartenenza del convento di Rita, e quindi della santa, all’Ordine agostiniano è controversa: il vestito con il quale è dipinta sul sarcofago rimanda, più in generale, a una vita di penitente, come del resto già rivelava il nome originario del convento, intitolato a S. Maria Maddalena. Ed è probabile che questo, di dipendenza vescovile, sia stato integrato dall’Ordine solo molto più tardi, forse proprio con il fine di controllare il culto di Rita.

Il passaggio del culto da locale a universale grazie al riconoscimento ufficiale della Chiesa romana venne favorito da un avvicinamento fra Cascia e la capitale dello Stato pontificio, di cui la cittadina ormai faceva parte. Questo si verificò soprattutto durante il pontificato di Urbano VIII (1623-44), grazie alla presenza, accanto al pontefice, del cardinale Fausto Poli, nativo di Usigni, uno dei castelli del contado di Cascia.

Poli, nato da famiglia modesta, era diventato segretario del cardinale Maffeo Barberini quando era vescovo di Spoleto e lo seguì a Roma dopo l’elezione a pontefice, diventando a sua volta cardinale. Poli imitò la politica nepotista dei Barberini, aiutando i conterranei trasferitisi a Roma e appoggiando in modo decisivo il culto di Rita, sia con la promozione del processo di beatificazione, nel 1626, sia con l’abbellimento della chiesa del convento di Cascia. Fece anche trasformare la casa di Rita a Roccaporena in cappella, promuovendo così per primo il culto nel castello natale.

Il processo era stato preparato – come sempre in questi casi – dalla pubblicazione di una biografia. Quella di Rita fu scritta da Agostino Cavallucci, agostiniano di Foligno, che aveva cercato di farla rientrare nel modello di santità controriformistico.

Secondo il frate, Rita nasce da genitori anziani, preannunciata da un angelo che ne indica il nome; da piccola, in culla, riceve conferma del suo destino di santità da un prodigio: api bianche escono ed entrano dalla sua bocca. Segue una adolescenza devota e virtuosa, in cui matura il desiderio di entrare in convento. I genitori però la obbligano a un matrimonio non voluto con un uomo feroce, che durerà ben diciotto anni, durante i quali convertirà il marito e partorirà due figli. L’uomo però viene ucciso e, nonostante Rita perdoni gli assassini, i figli meditano la vendetta. Rita allora prega Dio di farli morire piuttosto che permettere questo peccato, e così avviene. Libera così dai legami familiari, Rita chiede di entrare in convento a Cascia ma riceve un triplice rifiuto. Riesce nel suo intento solo attraverso l’intervento di tre santi protettori, che la portano in volo dallo Scoglio di Roccaporena fin dentro il convento. Preso il velo, Rita si distingue per la perfezione della vita monastica, che viene premiata da un segno divino: durante la predicazione di s. Giacomo della Marca un venerdì santo viene punta in fronte da una spina del crocefisso. La ferita si infetta e la costringe a vivere chiusa in una cella, con la breve eccezione di un pellegrinaggio a Roma: per consentire a Rita di effettuarlo, la ferita si cicatrizza miracolosamente, per poi riaprirsi al ritorno. Una lunga malattia, destinata a portarla alla morte, la costringe a letto, dove riceve in visita una parente da Roccaporena, che le chiede se vuole qualcosa dal villaggio natio. Benché sia inverno, Rita chiede prima una rosa, poi un fico dal suo orto e, prodigiosamente, la parente li trova e li porta al convento; poco dopo sopravviene la morte, annunciata dalle campane, che suonano da sole.

La protezione del cardinale Poli e l’appoggio della potente famiglia Barberini – in particolare il nipote del papa, cardinale Antonio, al quale è dedicata una sintesi della biografia di Cavallucci edita dalle religiose – consentirono di arrivare alla beatificazione dopo un processo svoltosi a Cascia e che prevedeva anche l’esumazione della salma. I miracoli raccolti erano molti e costituivano il corpus principale anche delle tradizioni orali legate a Rita. Le feste per la beatificazione, nel 1628, furono due: la prima a Roma, presso la chiesa di S. Agostino, sotto la protezione del cardinale Barberini, la seconda a Cascia, il 22 maggio, a spese del Comune. Nel corso del Seicento vennero stampate ben ventisei biografie di Rita, a cui bisogna aggiungere quella di Nicola Simonetti, agostiniano di Cascia, rimasta manoscritta perché non ottenne l’imprimatur. Mentre tutte le altre opere riproducono fedelmente la narrazione di Cavallucci, Simonetti aveva cercato di documentarsi leggendo gli atti del processo e raccogliendo le tradizioni orali anche a Roccaporena. Aveva privilegiato così l’aspetto prodigioso della vita di Rita, trascurando quello conventuale. Il moltiplicarsi delle biografie rivela l’ampliamento del bacino dei devoti, che si allarga dall’Italia centrale fino ad arrivare a Milano e a Napoli, ma anche a Madrid e addirittura nel nuovo mondo, a Lima. Autori di questa diffusione furono i religiosi agostiniani, che la portarono anche in Portogallo e in America Meridionale.

Durante il Settecento la sua fortuna sembrò appannarsi, ma la Restaurazione offrì al culto di Rita una ripresa, favorita da una nuova biografia, pubblicata dall’agostiniano Lorenzo Tardi nel 1805.

Il religioso riscrisse la storia con molta oculatezza: la sua narrazione è agile e convincente, rafforzata da un apparato di note che sembrano dare verosimiglianza ‘scientifica’ a fatti prodigiosi. Ma, soprattutto, dal testo originario furono eliminate le parti didattiche destinate alle religiose, mentre venne ampliata la parte relativa alla vita matrimoniale: il marito era dipinto sempre più malvagio, mentre Rita diventò la donna che lo converte con la sua pazienza e sopportazione.

In questa innovazione sta una delle ragioni principali del successo di Rita nell’Ottocento e nel Novecento. Rita divenne infatti un modello per le mogli e le madri rimaste credenti fedeli mentre i mariti cominciavano ad allontanarsi dalla Chiesa. La biografia leggendaria di Rita, che offriva un modello di comportamento di fronte ai conflitti fra i coniugi e a quelli fra madre e figli, si presentava quindi come particolarmente indicata a sostituire, specialmente presso il pubblico femminile, devozioni tradizionali ormai entrate in crisi irreversibile.

Il processo di canonizzazione di Rita venne quindi riaperto nel 1887 dal cardinale Gaetano Aloisi Masella, uno dei più attivi collaboratori di Leone XIII, e si concluse con il riconoscimento della validità dei processi precedenti. Per la cerimonia della canonizzazione fu scelto il giubileo del 1900, carico di simboli, e a Rita venne affiancato il francese Jean-Baptiste de la Salle, religioso vissuto nella seconda metà del Seicento, promotore di scuole cristiane per i ragazzi poveri.

Nella diffusione della devozione a Rita svolse un ruolo centrale la narrazione agiografica, soprattutto nei suoi aspetti prodigiosi, che spiegano la sua eccezionale e duratura fama presso i fedeli. L’episodio del volo dalla Rocca è quello più simile alle strutture narrative favolistiche. Il volo era una delle manifestazioni più ambigue dei poteri miracolosi e una delle più difficili da giudicare: negli stessi anni in cui scriveva Cavallucci, infatti, l’Inquisizione processava come streghe le mistiche che confessavano di avere volato con il corpo e non solo in spirito. Solo l’agostiniano Tardi parlò apertamente di volo in tempi meno pericolosi, ma sicuramente questo prodigio costituiva il cuore della tradizione orale su Rita. Accanto ai due modelli di comportamento – della religiosa e della moglie e madre – legati a precisi contesti storici e morali, nell’episodio del volo traspare l’intreccio più antico dell’acquisizione di poteri magici attraverso una iniziazione di tipo sciamanico. Proprio per questo la percezione dei fedeli coglie da sempre in Rita uno dei più riusciti simboli di protezione sacra offerti dal santorale cristiano. I due aspetti del culto – quello del doppio modello femminile proposto dall’autorità ecclesiastica e quello della potenza miracolosa – si riproducono nel paesaggio del luogo dove la santa è vissuta: al santuario a lei dedicato, dove è conservato il suo corpo mummificato, situato nel centro antico di Cascia accanto al convento dove ha vissuto, si contrappone la rocca del villaggio natale, Roccaporena. Qui un paesaggio scosceso, roccioso e selvaggio, circonda una cappella dove secondo la tradizione su una pietra sarebbero ancora visibili le orme di Rita lasciate prima di spiccare il volo.

La potenza miracolosa della santa si rivela e si diffonde senza più ostacoli dopo la canonizzazione.

A lei vengono dedicate molte delle chiese costruite nei quartieri operai delle città industriali, e Rita nella modernità diventa la santa delle donne cittadine. Le aiuta a trovare casa, a guarire, a salvare i figli dalla droga, ad affrontare tutte le difficoltà della vita moderna. Anche fuori d’Italia: a Parigi una chiesa a lei dedicata si trova a Pigalle, il quartiere della vita notturna, dove diventa la protettrice delle prostitute. Ma nel Novecento Rita incontra anche altri ammiratori, raffinati esponenti dell’arte contemporanea.

Proprio lei, che nei secoli non poteva vantare neppure un ritratto a opera di un artista di qualche valore, lei che viveva solo nelle immaginette della devozione popolare, è stata innanzi tutto l’ispiratrice di uno degli artisti d’avanguardia più significativi e innovativi: Yves Klein. Il pittore francese, originario di Nizza, conobbe la santa attraverso la zia. Affascinato dalla sua potenza miracolosa, e dal suo volo magico – Klein stesso era ossessionato dal volo e dal colore del cielo – l’artista si recò ben due volte a Cascia, e dedicò alla santa tutta la sua opera. Nel convento sono conservati una sua tela blu e un suo ex voto, una scatola in plexiglass che contiene pigmenti rosa, blu e polvere d’oro, nonché una lunga dedica manoscritta che si conclude con queste parole: «Santa Rita da Cascia, Santa dei casi impossibili e disperati, grazie di tutto l’aiuto così grande, decisivo e meraviglioso che mi hai dato sinora. Infinitamente grazie. Anche se non ne sono personalmente degno, aiutami ancora e sempre nella mia arte e proteggi tutto ciò che ho creato affinché, nonostante me, sia tutto sempre di Grande Bellezza».

Negli stessi anni Sessanta uno scrittore e pittore come Dino Buzzati ha dedicato a s. Rita, e in particolare ai suoi miracoli, una serie di tavole in bianco e nero, poi riprodotte nel libro I miracoli di Val Morel (1971). Anche in questa opera, dietro la parvenza modesta di religione popolare, assistiamo a un incontro perturbante con il sacro. A Rita è stato infine dedicato dalla televisione italiana un modesto telefilm agiografico (2004), dove la santa appariva come una moglie molto innamorata del marito e dedita a un’opera di pacificazione nella sua città.

Fonti e Bibl.: A. Cavallucci, Vita della Beata R. da Cascia, Siena 1610; L. Tardi, Vita della Beata R. da Cascia, Roma 1805; D. Trapp, Documentazione ritiana antica, I-IV, Cascia, 1968-1970, con le fonti per la storia della santa in riproduzione anastatica.

A. Morini, La questione cronologica di Santa R., Roma 1947; L. Scaraffia, La santa degli impossibili. R. da Cascia tra devozione e arte contemporanea, Milano 2015.

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