RISPARMIO ENERGETICO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

RISPARMIO ENERGETICO

Ferrante Pierantoni

Il concetto di r.e. è divenuto popolare solo in anni relativamente recenti, durante la crisi del petrolio seguita alla guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur dell'autunno del 1973. È stato il r.e., insieme allo sviluppo della fonte nucleare, che ha permesso ai paesi occidentali di rompere nel 1986 il cartello OPEC e di far crollare nella seconda metà degli anni Ottanta il prezzo del petrolio a valori confrontabili con quelli precedenti la crisi del 1973. ''Risparmiare energia'' è tuttavia un concetto non chiaramente definibile data l'intrinseca ambiguità del verbo ''risparmiare'', che può significare sia ''accumulare'' che ''lesinare'': una differenza di significato rilevante che ha provocato, non solo in Italia, dibattiti appassionati sull'inevitabilità o meno di una forte componente autoritaria in qualsiasi politica di r. energetico. Questa intrinseca duplicità della parola ''risparmiare'' è stata infatti causa di molte delle difficoltà che hanno caratterizzato la pianificazione in questo settore. Sarebbe stato molto meglio se, fin dall'inizio, dalla seconda metà degli anni Settanta, invece che di r.e. si fosse parlato di ''aumento dell'efficienza dei consumi'' o di ''consumo intelligente''.

In primo luogo sui consumi di energia hanno un ruolo rilevante le abitudini acquisite nei diversi paesi nell'ultimo secolo in funzione della maggiore o minore abbondanza di proprie fonti di energia fossile. Infatti l'Italia e il Giappone, due nazioni che non dispongono di tali fonti, hanno strutturalmente consumi specifici di energia minori di quelli di Gran Bretagna e Germania, paesi ricchi di carbone. Ancora più marcata è la differenza dei consumi specifici in Italia e Giappone rispetto a quelli degli Stati Uniti e della Russia, due paesi che fino a pochi anni fa erano particolarmente ricchi anche di petrolio. Non bisogna inoltre trascurare che in tema di r.e. hanno una grande rilevanza le politiche di import-export adottate. Spesso ci si vanta degli ottimi risultati ottenuti in un certo paese che ha semplicemente spostato nei paesi emergenti le produzioni di base, come quella dell'acciaio o dell'alluminio. Le produzioni di base hanno infatti elevati consumi specifici di energia ed è facile ottenere per un singolo paese notevoli miglioramenti della propria efficienza dei consumi di energia semplicemente acquistando all'estero i semilavorati di ferro o alluminio. Si dimentica però che la natura del problema del r.e. è ''globale'' e interessa tutto il pianeta; è quindi illusorio ogni risultato di r.e. ottenuto facendo consumare più energia a un altro paese.

Infine anche l'evoluzione in atto produce automaticamente nei paesi più industrializzati una riduzione dei consumi specifici di energia aumentando il peso relativo del settore dei servizi rispetto a quello industriale. Il contenuto di energia per ogni unità di PIL è infatti in questi paesi in una fase di rapida diminuzione nell'ambito di un processo che viene comunemente chiamato di ''dematerializzazione''. Si può quindi assistere a un aumento dell'efficienza dei consumi di energia in un paese, senza che venga fatto alcunché per migliorarli. È perciò molto difficile separare gli effetti delle politiche di r.e. promosse in un certo paese dagli effetti dell'innovazione tecnologica naturale o dello spostamento all'estero di certe produzioni, e sono oltremodo pericolose tutte le traslazioni degli interventi adottati in un paese, dove hanno avuto successo, in altri paesi dove le condizioni al contorno sono completamente diverse.

Le azioni finalizzate a risparmiare energia sono classificabili in due classi distinte: la prima caratterizzata dall'adozione di una politica forte, che si prefigge la limitazione dei consumi specifici di energia attraverso forme di razionamento più o meno dirette e imposte con modalità più o meno violente; la seconda costituita dall'insieme delle azioni volte a migliorare l'efficienza dei consumi attraverso l'adozione delle tecnologie più opportune, eventualmente incoraggiata da adeguati incentivi economici e normativi. Nel primo caso ci si prefigge di cambiare le abitudini di vita acquisite nei decenni dell'abbondanza di petrolio a buon mercato, come per es. accettare di vivere in ambienti più freddi d'inverno e più caldi d'estate o rinunciare all'auto e andare a piedi o in bicicletta. Nel secondo caso si persegue l'ottimizzazione delle tecnologie di utilizzo, per es. migliorando la coibentazione degli edifici e degli impianti o utilizzando motori più efficienti.

L'esperienza degli anni Settanta e Ottanta. - Dalla fine del secondo conflitto mondiale fino al 1973 l'abbondanza di petrolio a costi reali sempre più bassi aveva permesso anche a paesi senza risorse proprie di combustibili fossili, come l'Italia, di trascurare l'efficienza dei consumi di energia senza che, in pratica, si levassero voci contrarie. Il 1973 rappresentò una svolta in tutto il mondo industrializzato e anche il nostro paese, sotto la spinta dell'aumento del prezzo del petrolio, che si ripercuote automaticamente su quello delle altre fonti di energia, adottò provvedimenti atti a invertire quella tendenza che lo aveva portato nei due decenni precedenti a dimezzare quasi la propria efficienza energetica, passata da 1340 a 740 dollari USA di PIL per tep. Tra il 1871 e il 1972 in Italia l'efficienza dei consumi di energia era infatti diminuita da 4450 dollari/tep a 740, rimanendo però sempre notevolmente superiore a quella degli USA che nello stesso periodo era aumentata da 370 a 640 dollari/tep. Tra il 1973 e il 1985, sotto la spinta dell'aumento dei prezzi del petrolio e delle altre fonti di energia fossile, l'efficienza dei consumi di energia in Italia è aumentata da 740 a 1040 dollari/tep e tale tendenza è continuata anche nella metà degli anni Ottanta pure in presenza di una sostanziale diminuzione del prezzo del petrolio. Nel 1990 in Italia si è arrivati a 1100 dollari/tep contro i 785 dollari/tep degli USA.

Tutti i paesi industrializzati, durante la crisi degli anni Settanta, hanno dovuto adeguare i prezzi dei prodotti petroliferi agli aumenti imposti dal mercato, e l'esperienza ha confermato che in questi paesi è il prezzo di mercato delle fonti di energia l'arma più potente per indurre comportamenti di r. energetico. Diverso è il comportamento dei paesi in via di sviluppo o del Quarto Mondo nei quali aumenti anche eccezionali dei prezzi dei prodotti petroliferi, come quelli registrati a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, non hanno avuto alcun effetto sulla tendenza all'aumento dei consumi di energia e hanno prodotto solo un aumento dell'indebitamento estero.

Stretti tra la necessità di contenere il tasso di svalutazione e quella di aumentare l'efficienza dei consumi di energia, i vari governi non possono seguire la strada facile di aumentare le tasse sui prodotti energetici, ma sono obbligati a scegliere quella molto più difficile dell'incentivazione discrezionale del r.e. sia attraverso finanziamenti agevolati, anche in modo considerevole, degli interventi volti ad aumentare l'efficienza dei consumi di energia, sia attraverso provvedimenti ''orizzontali'' generalizzati, come quello sui limiti di velocità.

Alcuni risultati sono già stati ottenuti: nei paesi industrializzati tra il 1973 e il 1985 il settore industriale è sceso da 966 a 843 Mtep e quello residenziale da 492 a 489 Mtep, mentre quello dei servizi aumentava da 210 a 251 Mtep e quello dei trasporti da 635 a 735 Mtep. È possibile ottenere già oggi notevoli miglioramenti nell'uso di energia in tutti i settori della nostra vita, industria, trasporti, residenziale, servizi e agricoltura. Il settore dove concentrare gli sforzi maggiori è quello industriale, non solo perché è il maggior consumatore di fonti di energia ma perché è, per la sua stessa natura, il più sensibile ai costi; in questo settore inoltre la responsabilità della gestione è concentrata nelle mani di un gruppo limitato di persone e non riguarda tutti i cittadini.

Il settore industriale. - Il settore industriale assume un rilievo del tutto particolare non solo perché grava sui consumi di energia per la produzione delle merci che immette sul mercato (beni durevoli e di consumo o le varie fonti finali di energia prodotte e distribuite, come energia elettrica, benzina, gasolio) ma perché incide anche su quelli degli altri settori attraverso la maggiore o minore ottimizzazione dell'utilizzo di energia nei beni che immette sul mercato. I consumi di energia dei settori residenziale e trasporti dipendono infatti non solo dalle politiche più o meno volontariamente adottate dagli utenti, ma anche da come sono stati costruiti i mezzi messi a disposizione sul mercato: un'auto a bassi consumi chilometrici riduce i consumi indipendentemente da come viene utilizzata; lo stesso si può affermare per un edificio costruito con un'ottima coibentazione termica, che riduce i consumi indipendentemente dalla temperatura più o meno elevata che il singolo utente fissa nel termostato ambiente. In altre parole, mentre per il settore industriale l'efficienza dei consumi di energia è un problema interno allo stesso settore, quella degli altri settori dipende in larga misura dai prodotti forniti da quello industriale.

Nel settore industriale della produzione di fonti finali di energia si ha inoltre la possibilità di effettuare interventi di promozione del r.e. attraverso azioni di natura giuridica sugli schemi di contratti adottati. È evidente la difficoltà di portare avanti politiche di r.e. in un settore dove i ricavi, e quindi gli utili, sono strettamente legati alle quantità di fonti di energia vendute. Si potrebbero però adottare nuove forme contrattuali nelle quali, per es., la fornitura fisica di certe quantità di gasolio o di gas per il riscaldamento degli edifici fosse sostituita, come oggetto contrattuale, da valori legati alle temperature o alla differenza tra le temperature interne ed esterna, con la conseguenza che ogni miglioramento nell'efficienza energetica andrebbe a beneficio in primo luogo del fornitore e solo secondariamente, attraverso il classico sistema della competizione commerciale, del cliente.

Sostituire alle forniture di quantità di fonti finali di energia un servizio sembra oggi la strada più promettente, in linea del resto con la tendenza all'approvvigionamento esterno (outsourcing) in atto in tutti i settori, primo tra tutti quello informatico, specialmente se si riesce a impedire la creazione di posizioni monopolistiche o comunque dominanti che ricreerebbero gli attuali comportamenti inerziali tipici della società a gestione pubblica. I benefici di una tale innovazione contrattuale potrebbero essere molto rilevanti anche in termini di riduzione dell'inquinamento diretto (basti fare l'esempio di un'industria agrobiochimica che offra un servizio di fertilizzazione e di protezione dai parassiti dei terreni agricoli invece di vendere, un tanto al quintale, fertilizzanti chimici e pesticidi).

Molti dei risultati fin qui ottenuti e che si possono ancora ottenere nel settore industriale per aumentare l'efficienza degli usi di energia sono legati a una maggiore attenzione a questo problema e a migliori procedure di gestione aziendale, con l'attribuzione di questo compito a un apposito ''dirigente responsabile per l'energia''. La riduzione e progressiva eliminazione delle perdite di calore, una più attenta gestione degli impianti, una più oculata scelta dei processi produttivi e un più generalizzato riutilizzo del calore di processo, molto spesso solo marginalmente degradato, può fornire larghi margini di miglioramento dell'efficienza dei consumi di energia.

Il riutilizzo del calore di processo, che oltre a migliorare l'efficienza degli usi di energia riduce l'inquinamento sia termico che chimico dell'ambiente, pone però due problemi: come recuperarlo e come riusarlo. Entrambi richiedono la massima attenzione e il massimo impegno, e hanno costi indiretti la cui valutazione è molto spesso opinabile. Prendiamo come esempio la coibentazione degli impianti, un problema apparentemente semplice: poiché aumentandola si riducono le perdite di calore sembrerebbe facile basare la decisione sull'analisi economica del rapporto fra maggiori costi al momento della costruzione e minori consumi durante l'esercizio; ma basta analizzare il problema della manutenzione ordinaria, e ancor più di quella straordinaria, per accorgersi che la decisione è spesso molto difficile, tanto più che una più elevata coibentazione dell'impianto costituisce una giustificazione inattaccabile per un aumento dei tempi di manutenzione, specialmente di quella straordinaria.

Frequentemente il riutilizzo del calore di processo, che deve trattare fluidi spesso altamente corrosivi, inquinanti, e causa di incrostazioni e depositi, è un problema di alta ingegneria che richiede elevate conoscenze delle più moderne tecnologie. Inoltre spesso è problematico anche il reimpiego del calore recuperato, in quanto non sono molti i casi in cui esso può essere impiegato direttamente nello stesso processo. In generale in questi casi già in passato veniva effettuato un recupero del calore utilizzandolo, per es., per il preriscaldamento del materiale inserito in un forno continuo, o di un fluido immerso in uno scambiatore di calore.

Un settore che presenta notevoli prospettive, anche per l'eccezionale sviluppo che caratterizza il campo della microelettronica e dei sensori, è senza dubbio quello della gestione ottimale degli impianti attraverso una puntuale e precisa conoscenza in tempo reale dei vari parametri. Per es., in un impianto chimico, mantenere in ogni istante ai valori ottimali la temperatura, la pressione e le concentrazioni dei vari reagenti durante tutte le fasi del processo migliora in modo significativo la resa dell'impianto in relazione ai consumi di energia. Mentre l'impiego di elaboratori elettronici anche di grande potenza non costituisce oggi più alcun problema, anche grazie ai loro costi sempre più bassi, la disponibilità di sensori adeguati e della relativa strumentazione pone ancora in taluni casi serie difficoltà, come nel caso della rilevazione dei difetti nei pezzi di ghisa al calore rosso che escono dalle fornaci continue. Quello della gestione ottimale in tempo reale degli impianti sarà uno dei settori nei quali si otterranno nei prossimi decenni risultati di particolare rilevanza anche grazie all'impiego dei calcolatori paralleli, che presentano caratteristiche particolarmente interessanti quando si opera in tempo reale in ambienti complessi e che si può ragionevolmente prevedere avranno costo sempre più ridotto.

La cogenerazione di elettricità e di calore di processo presenta un'altra concreta e interessante possibilità di un sempre più efficace impiego dell'energia per il settore industriale. La produzione di elettricità partendo da combustibili fossili ha raggiunto oggi un'efficienza massima dell'ordine del 44%, con l'effetto di scaricare nell'ambiente calore e creare problemi ambientali − per es. il riscaldamento delle acque dei fiumi − o modifiche dell'umidità ambientale, come nel caso delle torri di raffreddamento. Una delle strade maestre per incentivare il r.e. era la promozione dei sistemi di cogenerazione attraverso il rilancio della produzione elettrica, che utilizza parziali recuperi di calore, da parte dei privati, incoraggiata dal governo: tuttavia, secondo i sindacati, in questo modo lo stato finirebbe per dare a fondo perduto centinaia di miliardi a poche grandi aziende.

L'autoproduzione è uno degli strumenti più importanti e più innovativi che il nuovo piano energetico ha deciso di favorire per rendere più flessibile il sistema energetico e per chiamare anche i privati a contribuire alla produzione di energia: in Italia ci sono già accordi fra diverse imprese e l'ENEL per la costruzione di oltre 5000 MW di impianti di autoproduzione. Il secondo principio della termodinamica, insieme alle limitazioni delle temperature di funzionamento per i materiali oggi disponibili, fa prevedere che siamo già molto vicini al massimo. È però possibile progettare l'impianto di cogenerazione di energia elettrica e calore riducendo leggermente la quantità di energia elettrica prodotta a fronte della possibilità di scaricare il calore a temperature che ne permettano ancora l'utilizzo nel processo industriale portando l'efficienza globale a valori superiori al 60%. In Italia si è promossa la diffusione di tali impianti, costituiti generalmente da turbogas, attraverso una legislazione che impone all'ENEL l'acquisto dell'energia elettrica prodotta in tali impianti e non utilizzata negli stessi. Mentre si diffondono gli impianti di cogenerazione a turbogas che si affiancano a quelli a vapore già adottati in passato, prospettive interessanti potrebbero offrire a breve termine i motori diesel, e più a lungo termine le celle a combustibile.

Le pompe di calore (v. in questa Appendice), costituite da dispositivi in grado di trasportare calore da un corpo più freddo a uno più caldo, secondo il noto ciclo del frigorifero, potrebbero costituire una tecnologia molto interessante in termini di riduzione dei consumi specifici di energia, specialmente per la produzione di calore di processo a temperature relativamente basse. Scaldare con una pompa di calore dell'acqua da 20 a 50°C richiede un terzo dell'energia elettrica necessaria per scaldare la stessa quantità di acqua in un bollitore elettrico. I settori più promettenti per l'impiego delle pompe di calore appaiono l'industria agroalimentare, quella della carta e quella tessile: un esempio tipico d'impiego è quello della pastorizzazione del latte che dev'essere prima riscaldato per il processo di pastorizzazione e quindi raffreddato per la sua conservazione.

Mentre il recupero del calore, la cogenerazione e le pompe di calore si presentano come tecnologie di largo impiego e ''orizzontali'', molti settori industriali, specialmente quelli con i consumi specifici di energia più elevati, come quelli dell'acciaio, dei materiali non ferrosi, del cemento e della petrolchimica, richiedono una modifica sostanziale dei processi di produzione, che è possibile solo in occasione della costruzione di nuovi impianti e non ricondizionando quelli già esistenti. Nel caso dell'acciaio il riciclo del rottame in forni elettrici, a prescindere dai vantaggi ambientali che produce la loro rimozione dal paesaggio, comporta una riduzione dei consumi di energia di un fattore due. Altri settori che in futuro potrebbero portare a risultati interessanti sono i forni a induzione elettrica e le fusioni prodotte da plasmi.

Nell'industria del cemento, un'attività che comporta notoriamente alti consumi di energia, la produzione per via umida è già oggi in via di sostituzione. Nell'Europa occidentale e in Giappone si utilizza quella per via secca che richiede minori consumi di energia, mentre ci si aspettano ulteriori progressi dallo sviluppo di quella per via fredda. Importanti progressi sono attesi inoltre nel settore dell'industria chimica, sia attraverso la diffusione di processi basati su membrane sempre ottimizzate, sia dalla sostituzione dei vecchi prodotti chimici con le biotecnologie.

Il settore residenziale. - Il settore residenziale, come quello dei trasporti, pur avendo un carattere omogeneo presenta notevoli difficoltà legate alla disparità delle abitudini e dei comportamenti dei singoli individui. È indiscutibile, per es., che un sistema di riscaldamento basato su centrali termiche di quartiere è estremamente più efficiente di uno basato su caldaie indipendenti, una per ogni singolo appartamento o abitazione, sia dal punto di vista dell'efficienza nominale dell'impianto che da quello dell'efficienza effettiva nel tempo. Basta pensare come la manutenzione, che ha sempre un peso rilevante sull'efficienza media, sia praticabile, con la frequenza richiesta per mantenere il rendimento vicino ai valori nominali, solo in grossi impianti centralizzati (dato che è possibile avere una perdita di rendimento dell'impianto anche del 15% se i canali che portano il fumo hanno uno spessore di fuliggine anche solo di 1 mm, è indispensabile una pulizia accurata e molto frequente della caldaia e il controllo dello stato dell'isolamento delle tubazioni, nonché una puntuale revisione della regolazione delle varie temperature). Tuttavia, poiché negli impianti centralizzati in generale i costi sono divisi tra tutti gli utenti in base agli spazi riscaldati, mentre le necessità coprono un ampio ventaglio, i singoli utenti non hanno nessun incentivo a risparmiare energia come è possibile negli impianti indipendenti riducendo, per es., la temperatura della caldaia quando l'appartamento è vuoto e durante la notte. D'altra parte, nei sistemi centralizzati nei quali sia possibile un prelievo personalizzato del calore in funzione delle proprie esigenze di riscaldamento, si ha il problema di mantenere elevate efficienze nei consumi di energia anche quando esso funziona in condizioni lontane dai valori nominali. Si verificano infatti inevitabilmente sprechi di energia quando la caldaia è sovradimensionata come pure quando l'accoppiamento bruciatore-caldaia non è ottimale. La sostituzione di un sistema di riscaldamento centrale, più efficiente ma al di fuori del controllo del singolo utente, con sistemi indipendenti meno efficienti ma gestiti direttamente, è attualmente il metodo che consente il più consistente r. energetico.

Ridurre i consumi di energia nel settore del riscaldamento residenziale e commerciale è relativamente facile: è sufficiente non riscaldare gli spazi non abitati, eliminare le fughe d'aria calda attraverso finestre e vetrine, ridurre le dispersioni di calore utilizzando doppi vetri e adeguate guarnizioni nei serramenti, modificare i cassonetti delle tapparelle in modo da ridurre la dispersione di aria calda verso l'esterno. Altri punti critici sono le cantine e gli eventuali parcheggi che, se non devono essere riscaldati come se fossero ambienti abitati, devono d'altra parte essere sistemati in modo da non favorire una circolazione naturale di aria fredda, costituendo un vero e proprio sistema di raffreddamento invernale dell'edificio. Inoltre è importante coibentare le pareti esterne o interne degli edifici, oppure riempire con materiali isolanti l'intercapedine. Limitando le dispersioni negli impianti e nelle strutture si potrebbe risparmiare anche il 40% del combustibile usato per riscaldare la casa. Cospicui risparmi di energia sono possibili già oggi con l'architettura bioclimatica che, utilizzando vecchi metodi di riscaldamento basati sul sole e di raffreddamento basati sul vento e sull'ombra, e applicandoli con l'ausilio delle più sofisticate tecniche di progettazione al calcolatore, permettono di raggiungere il massimo benessere ambientale con un minor consumo di energia. Infine notevoli miglioramenti nell'efficienza reale dei consumi di energia si possono ottenere con l'applicazione all'ambiente domestico delle nuove tecnologie, in particolare dell'automazione domestica, un settore che in Italia non ha ancora registrato grossi successi imprenditoriali ma che si è già sviluppato altrove, per es. negli Stati Uniti, dove i sistemi di telesorveglianza per la casa si stanno diffondendo non solo per i controlli di sicurezza, l'assistenza ad anziani e disabili e per teleservizi di vario genere, ma anche per il controllo delle temperature nei vari ambienti. Con il telecontrollo della temperatura è infatti possibile gestire a distanza caldaie e condizionatori, conciliando una migliore qualità della vita con il r. energetico.

Il consumo d'energia dipende per il 25% dagli elettrodomestici e dall'illuminazione. Dopo il 1982 si è registrato in Italia un considerevole aumento di questi consumi, e nel 1990 il settore civile ha usato 51 milioni di tep come energia primaria contro i 51,3 di quello industriale. Le ragioni di questa crescita sono molte: aumento del benessere ambientale in termini di una più elevata temperatura media nelle abitazioni; estensione dei sistemi di riscaldamento in particolare al Sud; maggiore penetrazione di elettrodomestici nelle famiglie; diffusione dei sistemi di aria condizionata estiva. È quindi inevitabile che il mondo degli elettrodomestici si evolva, come sta avvenendo, tenendo conto anche delle esigenze dell'efficienza dei consumi di energia: sono stati immessi sul mercato frigoriferi costruiti in modo da ridurre lo scambio termico a ogni apertura, lavastoviglie e lavatrici ''intelligenti'' che limitano i consumi di acqua e di energia elettrica. I modelli più efficienti consentono di ridurre i consumi del 20÷50%.

Un caso di particolare interesse per una maggior efficienza dei consumi di energia è quello del riscaldamento dell'acqua per usi domestici per il quale si utilizzano ancora prevalentemente bollitori elettrici che in termini di costi di esercizio possono essere vantaggiosamente sostituiti da riscaldatori rapidi a gas. A loro volta questi apparecchi consumano il doppio o il triplo dell'energia impiegata da pompe di calore. Per quanto riguarda l'illuminazione domestica, essa utilizza l'11% del consumo totale di energia elettrica: se ogni famiglia sostituisse due comuni lampade a incandescenza con due lampade fluorescenti compatte, più costose ma di durata da 5 a 8 volte superiore, ogni anno si risparmierebbero 3 miliardi di kWh.

Per concludere, se nel settore residenziale, come negli altri, è fondamentale una corretta installazione e manutenzione di apparecchiature di caratteristiche adeguate, i maggiori risparmi si possono ottenere dal loro uso intelligente.

Il settore dei trasporti. - È questo il settore del r.e. più importante sia perché i combustibili fino a oggi utilizzabili sono tutti derivati dal petrolio e non facilmente sostituibili con altre fonti di energia, sia perché in questo campo i consumi sono stati in continuo incremento in tutto il mondo, anche durante periodi di fortissimi aumenti dei prezzi come negli anni 1973-85. È infatti questo un settore dove è oggettivamente difficile intervenire in modo significativo e dove si pone con più evidenza il dilemma se si debba ricorrere alla coercizione per reprimere le inosservanze alla normativa emessa. In tutto il mondo, a eccezione degli USA, non solo è aumentato il numero di automobili ma sono aumentate anche le loro dimensioni; e, sebbene oggi le automobili abbiano in media consumi inferiori del 40% rispetto a quelli di vent'anni fa, i consumi reali sono cresciuti.

Per migliorare il traffico urbano sempre più congestionato e diminuire l'inquinamento ambientale non sembra ci siano oggi alternative all'estensione dell'uso delle metropolitane che presentano il vantaggio non solo di avere consumi per passeggero/km notevolmente inferiori, ma anche di ridurre la congestione del traffico di superficie. Analogamente nei trasporti extraurbani non sembrano esistere alternative alla sostituzione del trasporto su gomma delle merci con quello su rotaia o per nave. Entrambe queste soluzioni sono però in contrasto con la diffusa tendenza dei trasporti ''porta a porta'', che privilegia il trasporto su strada di persone e merci rispetto a tutte le altre forme, compreso l'aereo, per le distanze fino ad alcune centinaia di km.

In generale s'individuano tre modalità d'intervento rivolte:

a) a incrementare l'efficienza dei mezzi di trasporto in termini di consumi per chilometro;

b) ad aumentare il fattore di carico dei mezzi di trasporto, incentivando l'uso del trasporto pubblico (per es. creando corsie riservate ai mezzi pubblici) o l'utilizzo dello stesso mezzo privato da parte di più utenti (come avviene negli USA con le corsie delle autostrade riservate alle auto con almeno tre passeggeri);

c) a razionalizzare la mobilità delle persone e delle merci limitando la necessità degli spostamenti fisici.

Le misure considerate, oltre a ridurre i consumi di energia di origine fossile, e i conseguenti rischi di cambiamenti climatici, comportano un miglioramento ambientale a scala locale e un aumento della sicurezza dei trasporti. Delle tre modalità d'azione esaminate quella che prospetta i risultati più incisivi è la razionalizzazione del traffico, cui si può attribuire oltre il 40% della contrazione delle emissioni rispetto allo scenario convenzionale. Un altro 40% della riduzione è ottenibile con il miglioramento tecnologico dei motori: una politica che offrisse incentivi in questo senso potrebbe consentire di avere nel 2005 un parco automobilistico del 20% più efficiente rispetto a quello attuale. Un ultimo, ma estremamente importante, contributo può venire dal trasferimento ad altri vettori di parte del trasporto su gomma, oggi assolutamente prevalente. Dal punto di vista economico molte di queste soluzioni risultano vantaggiose: riguardo all'introduzione di vetture più efficienti, per es., anche se è pensabile che la progettazione ex novo di modelli a bassissimo consumo possa avvenire a costi analoghi o superiori rispetto agli attuali modelli, è stato valutato che il costo aggiuntivo di una vettura che consuma la metà rispetto all'attuale media è ampiamente ripagato dai risparmi di benzina.

Il ruolo delle nuove tecnologie nell'aumentare l'efficienza dei consumi di energia nel settore dei trasporti è però strettamente legato, oltre che allo sviluppo di nuovi motori per le automobili, al miglioramento delle condizioni di traffico e alla modifica sostanziale delle stesse modalità dei trasporti. Un primo importante risultato sarebbe già oggi ottenibile con la regolare adozione di un sistema di controllo dei semafori che in tempo reale, sulla base di una puntuale e precisa conoscenza dei dati di traffico, gestisca in modo ottimale l'intero sistema di segnalazioni, dando nel contempo, sempre in tempo reale, ai singoli guidatori informazioni precise sul percorso migliore da seguire per andare da un punto all'altro della città. A lungo termine la guida automatica delle auto nelle aree urbane potrebbe permettere flussi di traffico cinque volte maggiori degli attuali, a velocità medio/elevate, con risultati definiti ''enormi'' dagli esperti rispetto ai consumi di energia (come del resto è facile intuire quando si pensi che le attuali velocità medie nel traffico congestionato delle città sono dell'ordine dei 5 km/h). Ma proprio in riferimento ai problemi di traffico, a più lungo termine la telematica dovrebbe ridurre la necessità stessa di viaggi ''fisici''. Telefax, posta elettronica, teleconferenze e televideo sono solo il primo passo, già compiuto, di tale processo. Il ''telependolarismo'', che permetterà a molti di lavorare da casa, è il secondo passo, in via di diffusione, mentre l'utilizzo sempre più esteso della realtà virtuale, cioè la possibilità di trasmettere e simulare a distanza le sensazioni, sarà il terzo.

Il settore del r.e. nei trasporti si avvantaggerà anche dei nuovi materiali, più leggeri e resistenti, dei nuovi rivestimenti che riducono l'attrito dell'aria, dei motori adiabatici costruiti con materiali ceramici resistenti ad alta temperatura, dell'informatizzazione del controllo della combustione e della guida, con la conseguente ottimizzazione, istante per istante, della coppia motrice, velocità e numero di giri del motore. Infine, anche se la motivazione principale dell'uso di auto con propulsione elettrica è di natura ambientale, risparmi non indifferenti si potranno ottenere dall'''elettrificazione'' dei motori per auto, specie nel traffico in città, dove si riscontra il grosso dei consumi: le particolari caratteristiche dei motori elettrici a corrente continua, con elevate coppie allo spunto, consentono infatti facili accelerazioni nel traffico urbano con la possibilità di recuperare energia nelle fasi di frenata.

Prospettive del risparmio energetico. - Per concludere, è opportuno soffermarsi sui motivi per i quali negli anni Novanta è ancora necessario risparmiare energia, pur essendo in presenza delle maggiori riserve provate di fonti di energia fossile mai riscontrate e benché la Guerra del Golfo del 1992 abbia dimostrato che anche situazioni di crisi estrema in Medio Oriente possono non pregiudicare un adeguato approvvigionamento energetico ai paesi più industrializzati, tutti oggi fortemente importatori di fonti fossili di energia.

Esistono fondate preoccupazioni che le crescenti emissioni di gas prodotti dalla combustione di combustibili fossili (petrolio, carbone e gas naturale) possano essere causa di un aumento della temperatura atmosferica del nostro pianeta che provocherebbe siccità su molte aree del mondo, raccolti sempre più insufficienti nelle zone aride, una maggiore frequenza e forza distruttiva degli uragani, tifoni e altri fenomeni meteorologici, una maggiore incidenza di inondazioni come conseguenza di un aumento del livello del mare e delle precipitazioni alle latitudini medie. Anche se la problematica ambientale posta dalle emissioni di CO2 (l'agente dominante che causa l'effetto serra) è ancora molto incerta e vi sono dubbi sull'origine dell'aumento della temperatura atmosferica osservato nel 20° secolo, e anche se siamo molto lontani dall'avere modelli matematici che ci permettano previsioni affidabili sulle reali conseguenze di un aumento della temperatura, il rischio che si prospetta, anche solo nel caso di un aumento della temperatura media di 1°C nel 2010, è tale da far ritenere a molti che occorra nel più breve tempo possibile ridurre le emissioni di CO2 del 60% come media mondiale e di oltre l'80% nei paesi industriali.

Infatti vi sono concrete possibilità che gli attuali livelli di consumo di fonti fossili di energia nei paesi industrializzati non siano compatibili con la conservazione di un ''ambiente vivibile'', in una situazione mondiale che vede in fase di rapida industrializzazione non solo Sud Corea, Taiwan, Hong Kong e Singapore, ma anche la Cina e forse l'India.

La Cina, con il suo miliardo abbondante di abitanti, supera la popolazione di tutti i paesi industrializzati, comprese le repubbliche dell'ex URSS, ed è da sola sufficiente, proseguendo nel suo sviluppo industriale, a invalidare tutte le previsioni relative all'immissione di prodotti della combustione nell'atmosfera. I consumi di energia sono in continuo aumento: mentre nel 1982 rappresentavano il 6,6% di quelli mondiali, nel 1992 erano pari all'8,7%. La Cina ha oggi un consumo energetico per unità di prodotto oltre 6 volte maggiore di quello italiano e un livello di emissioni di CO2 circa 10 volte maggiore, dovuto all'impiego massiccio di carbone, una fonte di energia della quale la Cina è particolarmente ricca. Alcuni sostengono che basterebbe uno sforzo internazionale congiunto, con un investimento di 600 miliardi di dollari, per interventi volti alla riduzione e alla razionalizzazione dei consumi di energia, per portare in vent'anni la Cina agli attuali livelli di efficienza riscontrabili in Italia. Ma poiché, a prescindere da ogni considerazione su chi dovrebbe addossarsi una simile spesa, è evidente che non esiste alcuna possibilità d'intervento degli organismi mondiali nei fatti interni di un paese in via di sviluppo, meno che mai per obbligarlo a risparmiare energia, appare inevitabile che siano i paesi di più vecchia industrializzazione a farsi carico delle riduzioni che potrebbero diventare inevitabili in tempi anche brevi, che la deforestazione in atto a livello mondiale non contribuisce certo ad allungare.

Si è quindi aperto un dibattito internazionale sull'equità delle politiche ambientali tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati che vede a un estremo quanti sostengono l'opportunità di fissare quote di emissioni proporzionalmente alla popolazione e, all'altro, quelli che vorrebbero rapportarle all'efficienza dei consumi energetici. Da un lato si sottolinea la responsabilità ''storica'' dei paesi industrializzati dell'attuale accumulo dei gas che provocano l'effetto serra, mentre dall'altro si fa leva sul potenziale dirompente delle emissioni che accompagnerà nel corso del 21° secolo l'evoluzione demografica ed economica dei paesi in via di sviluppo, che sembrano disinteressarsi completamente dell'efficienza dei propri consumi di energia.

Tra i paesi di vecchia industrializzazione, la Germania, di fronte agli enormi problemi ambientali accumulati da oltre un secolo di sviluppo industriale specialmente nei Länder della ex Repubblica democratica, ha recentemente preso la decisione unilaterale di ridurre, entro il 2005, le sue emissioni di anidride carbonica del 25% rispetto al livello del 1987. Un'apposita commissione parlamentare sulla protezione dell'atmosfera, istituita dal nuovo Bundestag nel marzo 1991, raccomanda che tutti i paesi industrializzati seguano tale esempio. L'impegno della Germania, accompagnato dal suo peso di grande potenza industriale e da forti pressioni negoziali a livello internazionale, riflette forse soprattutto la preoccupazione di non trovarsi penalizzata rispetto agli altri paesi dell'Unione Europea dal problema del recupero ambientale dei Länder orientali. Gli obiettivi riflettono in sostanza i risultati raggiunti dalla Germania occidentale nel periodo 1973-89, durante il quale i fabbisogni energetici sono rimasti sostanzialmente stabili e le emissioni di CO2 sono diminuite. Le riduzioni implicite vengono in genere collegate ai programmi per l'efficienza energetica i cui stanziamenti, nel suddetto periodo, sono ammontati a circa 13 miliardi di marchi tedeschi. Tenuto conto di un contributo pubblico medio attorno al 25%, ciò permette di valutare un costo medio di riduzione stimabile in poco più di 500.000 lire per t di CO2. Su questa base, assumendo un costo unitario di abbattimento sostanzialmente analogo anche per il futuro, lo stanziamento complessivo della manovra ambientale viene valutato sui 100 miliardi di marchi entro il 2005, corrispondente a una tassa implicita di 135 marchi all'anno per persona per i prossimi quindici anni.

Il confronto con la Germania è significativo in quanto è questo il paese che l'Italia attualmente prende come principale modello di riferimento. La relativa facilità e il basso costo con cui la Germania pensa di ridurre le sue emissioni di CO2 non sono, tuttavia, applicabili all'Italia. Innanzi tutto occorre considerare le forti differenze che separano l'Italia dalla Germania, per non parlare di altri paesi di vecchia industrializzazione come Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia. La Germania si trova ai primissimi posti nelle varie graduatorie delle emissioni di CO2, mentre tra i paesi industriali l'Italia è uno dei meno inquinanti (con circa 1065 Mt/anno la Germania unita si trova oggi al quarto posto dopo Stati Uniti, ex Urss e Cina; l'Italia è appena al dodicesimo posto con poco più di 400 Mt nel 1990. In termini pro capite le emissioni italiane, circa 6,6 t/persona anno, sono appena un terzo di quelle tedesche). La Germania ha quindi un forte potenziale di riduzione delle emissioni che è implicito nella struttura del suo sistema economico ed energetico e che non richiede rilevanti investimenti. L'alto livello di sviluppo economico raggiunto, i consumi energetici primari ancora molto elevati per unità di PIL, maggiori di circa il 30% di quelli italiani, un'incidenza del carbone molto sostenuta, con la prevalenza in molte aree di vecchi impianti a lignite caratterizzati da una scarsa efficienza energetica e forti emissioni di CO2, la diffusa sostituzione in atto da parte del metano, sono solo i principali fattori che porteranno senza troppa fatica in Germania nel futuro a fabbisogni energetici stabili se non decrescenti e a una riduzione poco costosa delle emissioni. Per contro, in Italia il potenziale di sviluppo ancora rilevante, dovuto soprattutto al Meridione, nel complesso molto più arretrato industrialmente dei Länder orientali tedeschi, l'elevata efficienza energetica, seconda solo al Giappone in termini di consumo energetico primario per unità di PIL, la scarsa incidenza del carbone, la già forte diffusione dell'impiego del metano, l'età relativamente giovane del parco produttivo, sono solo alcuni tra i fattori che rendono più costosa la riduzione delle emissioni e molto più scarsi i margini di manovra ambientale.

Inoltre i costi potrebbero essere in realtà notevolmente più elevati di quelli indicati comunemente. È infatti solo nel brevissimo scorcio dei cinque anni dal 1980 al 1985 che la Germania occidentale, come la maggior parte degli altri paesi industriali, ha avuto un'accelerazione nel tasso di miglioramento dell'efficienza complessiva di utilizzo dell'energia. Ma anche questo risultato non può attribuirsi interamente ai programmi d'incentivazione del r. energetico. Gli aumenti di prezzo dell'energia verificatisi tra il 1975 e il 1985, secondo una valutazione del Parlamento tedesco, hanno prodotto un risparmio annuo di 12 MTep. Viene comunemente trascurato l'importante effetto del rinnovamento degli impianti e dei macchinari, innescato dalle prolungate condizioni di recessione economica fino ai primi anni Ottanta, che ha portato alla sostituzione di capitale strumentale, ormai obsolescente o prossimo al ritiro, utilizzato con bassi fattori di carico. Questo tipo di investimenti sarebbe stato in gran parte effettuato in ogni caso, anche in assenza di un programma d'incentivazione. Nel periodo preso in esame paesi di vecchia industrializzazione come la Gran Bretagna e, anche se in misura inferiore, la stessa Germania, hanno effettuato la sostituzione di impianti completamente obsoleti, come caldaie e macchinari vecchi di 70 anni e oltre. Bisogna anche considerare che la recessione dei primi anni Novanta, combinata con gli aumenti di prezzo dell'energia e delle materie prime negli anni Settanta, ha accelerato la ristrutturazione della produzione industriale e la ridistribuzione internazionale della capacità produttiva verso paesi dotati delle materie prime o con bassi costi della mano d'opera. Rispetto agli effetti dominanti della ristrutturazione industriale non è quindi facile isolare i risultati delle politiche d'incentivazione del r. energetico. È tuttavia certo che, se si attribuisce buona parte della riduzione dei consumi a queste, si rischia di sottovalutare gravemente i veri costi del r.e. e, quindi, delle future riduzioni delle emissioni di CO2.

Non esistono scorciatoie per ottenere a basso costo la stabilizzazione delle emissioni prodotte dalla combustione dei combustibili fossili, carbone, petrolio e gas metano. Inoltre in un paese come l'Italia, privo di risorse proprie di combustibili fossili e quindi portato ''geneticamente'' al r.e., non è possibile attuare politiche efficaci, poco costose e che non incidano pesantemente sulle abitudini di vita. A seguito della moratoria fino al 1992, e dei tempi tecnici richiesti da un nuovo allestimento, l'energia nucleare continuerà a rimanere assente dal sistema energetico italiano certamente fino al 2005 e probabilmente fino al 2010: al contrario solo un forte programma di sviluppo nucleare già prima della fine degli anni Novanta potrebbe allentare in modo significativo la pressione sugli investimenti a elevato costo in r.e. e fonti rinnovabili. Tale ipotesi pare, tuttavia, poco verosimile allo stato attuale sia per motivazioni legate agli alti tassi reali oggi richiesti sui mercati finanziari, sia per le problematiche relative alla non proliferazione degli armamenti nucleari.

Bibl.: J. Goldemberg, T.B. Johansson, A.K.N. Reddy, R.H. Williams, Energy for a sustainable world, Nuova Delhi 1988; Electricity, a cura di T.B. Johansson, B. Bodlund, R.H. Williams, Lund 1991; T. Flanigan, A. Lovins, Competitek, adwanced techniques for electric efficiency, Snowmass (Colorado) 1991; J.S. Norgaard, Energy conservation through efficiency and sufficiency, in Proceedings of conference on global collaboration on a sustainable energy development, Snekkersten (Danimarca), 25-28 aprile 1991, Copenaghen 1991.

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