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Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

RIPRODUZIONE (XXIX, p. 398)

Giuseppe Montalenti

Il fenomeno elementare della r. biologica consiste nella costruzione di molecole organiche specifiche. Gli organismi sono infatti costituiti da un grandissimo numero di molecole di natura diversa, più o meno complessa: le più complicate, più specifiche e più importanti sono le molecole delle sostanze proteiche, costituenti principali del protoplasma. La r. consiste appunto nella moltiplicazione di queste molecole. In ciascuna cellula v'è una parte, costituita anch'essa da molecole di sostanze organiche, che ha una funzione direttiva: è la depositaria dei caratteri ereditarî, cioè, come si suol dire, dell'informazione genetica, ed esplica la propria azione controllando la sintesi delle proteine specifiche. Da molto tempo è noto che l'informazione genetica risiede nel nucleo della cellula, e più precisamente nei cromosomi. Essi sono ricchi di una sostanza che presenta elevata affinità per i coloranti basici, e perciò è stata chiamata dai citologi col nome di "cromatina". Le ricerche di genetica hanno dimostrato che l'informazione è localizzata nei cromosomi sotto forma di una serie di unità, i geni, disposti lungo il filamento cromosomico in un ordine lineare costante.

Le ricerche più recenti hanno dimostrato, in base a numerosi esperimenti, che la sostanza in cui risiede la informazione genetica è l'acido desossiribonucleico (DNA), che si può mettere in evidenza con una reazione istochimica altamente specifica, la reazione del Feulgen, la quale lo colora in rosso. Negli organismi a struttura cellulare il DNA è localizzato esclusivamente nel nucleo; lo si ritrova anche nei batterî e in molti virus. Soltanto in alcuni virus, parassiti di cellule vegetali, o di cellule animali, non si trova DNA, ma l'altro tipo di acido nucleico, il ribonucleico (RNA), il quale deve essere, in questi virus, il latore primario dell'informazione genetica. Lo RNA esiste anche negli organismi provvisti di DNA, ed è localizzato sia nel nucleo (e in particolare nei nucleoli) sia, a differenza del DNA, nel citoplasma. Gli acidi nucleici nella cellula si presentano, di solito, legati a proteine: l'insieme si chiama nucleoproteina. Il problema della r., nella sua forma elementare, può quindi porsi in questi termini: come avviene la duplicazione della molecola di DNA. Un secondo aspetto del problema è come il DNA controlli la formazione delle varie proteine specifiche del citoplasma e delle diverse strutture cellulari.

Il DNA è un polimero di molecole relativamente semplici chiamate nucleotidi. Ogni nucleotide è costituito da uno zucchero, il 2-desossiD-riboso, da una molecola di fosfato e da una base pirimidinica (citosina, che si indica con C, o timina, T) oppure purinica (guanina, G, o adenina, A). Nella molecola del nucleotide il fosfato esterifica il gruppo alcolico in posizione 5 del 2-desossi-D-riboso, mentre la base è legata al carbonio i del 2-desossi-D-riboso con un legame C-N. Nella macromolecola del DNA i nucleotidi costituenti sono legati l'uno all'altro con un legame di fosfodiestere fra il carbonio 5 del 2-desossi-D-riboso di un nucleotide ed il carbonio 3 del nucleotide adiacente. Si formano in tal modo le lunghe molecole polinucleotidiche del DNA contenenti fino ad alcune migliaia di milioni di nucleotidi in sequenze stabilite. Si può quindi concepire la catena molecolare del DNA come un lungo codice scritto linearmente in un alfabeto che consta di quattro "lettere", cioè i quattro nucleotidi. La sequenza di questi rappresenta la scrittura, ossia l'informazione.

Per quanto riguarda la sequenza delle basi lungo la catena del DNA, si hanno dati molto importanti, dovuti soprattutto ai lavori di E. Chargaff. Esistono molti DNA differenti, caratteristici di specie di organismi diverse, che si distinguono per le diverse proporzioni in cui si trovano i nucleotidi che li compongono. Ciò è indice di diversità di sequenza dei nucleotidi stessi: infatti, il rapporto A + T/G + C può variare di molto (da 1,85 in un riccio di mare, a 0,42 nel bacillo della tubercolosi aviaria, a 1,53 in cellule umane). Al contrario, il rapporto A + G/C + T è sempre eguale all'unità. Ciò significa che il numero delle basi puriniche è, in ogni specie di DNA, sempre eguale al numero delle basi pirimidiniche (E. Chargaff, 1950).

J. D. Watson e F. N. C. Crick (1953), basandosi su questo dato chimico analitico e su altri ottenuti da M. H. F. Wilkins e R. E. Franklin dallo studio degli spettri di diffrazione dei raggi X, proposero un modello di struttura che ha trovato conferma in seguito, ed è tuttora considerato valido. Il DNA negli organismi sarebbe costituito da due catene avvolte l'una intorno all'altra a formare una doppia spirale (fig.1).

L'ossatura di ogni singola catena polinucleotidica, ossatura che si trova alla superficie esterna della doppia spirale, è costituita dalla successione regolare dello zucchero e della molecola di fosfato. Le basi sono disposte nell'interno della doppia spirale in piani perpendicolari all'asse della spirale. Legami di idrogeno fra coppie di basi mantengono insieme le due singole catene polinucleotidiche. Le coppie di basi, le quali, come si è già accennato, sono disposte in piani perpendicolari all'asse della doppia spirale, distano l'una dall'altra 3.4 Å. La distanza fra due giri della spirale è 34 Å, e comprende quindi dieci coppie di basi. La configurazione spaziale del DNA si può assomigliare ad una scala a chiocciola con due ringhiere elicoidali (la catena zucchero-fosfato) di cui le coppie di basi costituiscono gli scalini. Le basi non si uniscono a caso: le coppie possibili sono A-T e G-C; perciò, stabilita una sequenza qualsiasi di basi su una delle due catene, la sequenza sulla catena complementare rimane fissata senza possibilità di variazione. Per esempio, se una catena ha la sequenza A-T-G-G-C, la serie della catena complementare deve essere T-A-C-C-G. Le due catene si possono quindi considerare come la positiva e la negativa di un documento.

Ammettiamo ora che le due componenti della doppia catena si separino: ciascuna può formare la propria replica, assumendo dall'ambiente i nucleotidi e disponendoli nell'ordine che risulta stabilito dalle relazioni anzidette. In tal modo si ricostituiscono due doppie spirali in tutto simili a quella preesistente. Secondo questo modello di reduplicazione, la molecola madre si scinde inizialmente in due catene, ciascuna delle quali conserva la propria identità nelle duplicazioni successive (fig. 2). Sono naturalmente concepibili altri tipi di duplicazione (fig. 3). Usando gli isotopi radioattivi come elementi marcatori, si può saggiare l'attendibilità di questo e di altri modelli di riproduzione. Gli esperimenti di C. Levinthal (1954, 1955) con il fosforo radioattivo 32P nel batteriofago hanno dato risultati coerenti con lo schema di Watson e Crick, e non con altri schemi similari. Anche ricerche sui batterî (M. Meselson e F.W. Stahl, 1958, su Escherichia coli, con 14N) e sui cromosomi di apici radicali di fava (J. H. Taylor, P. S. Woods e W. L. Hughes, 1957) hanno dato in genere risultati concordi: le due metà delle m0lecole originali mantengono la propria integrità e agiscono come modello per la reduplicazione. Perciò lo schema di Watson e Crick è generalmente adottato a preferenza di altri, fra i quali sono da ricordare quello di D. Mazia e coll. (1955), quelli di M. Delbrück (1954), G. Gamow (1955) e di J.R. Platt (1955). Quanto al fenomeno essenziale dello svolgimento della fibra di DNA che precede necessariamente la reduplicazione, Watson e Crick suggeriscono uno svolgimento graduale, al quale segue, man mano, la sintesi di una nuova catena, a spese dei nucleotidi che si trovano nell'ambiente, e che vengono situati in posizioni obbligate, secondo i principî indicati prima. Varî problemi sorgono da questo schema; in primo luogo quello della fonte di energia necessaria allo svolgimento della doppia spirale originaria. C. Levinthal e H.R. Crane (1956) hanno calcolato che tale energia è dell'ordine di grandezza di un millesimo di quella necessaria alla formazione dei legami fosfatici. Essa potrebbe essere fornita da legami ad alto potenziale energetico presenti nei precursori immediati del DNA.

Caratteristica essenziale della struttura del DNA è la linearità, la quale era stata messa in evidenza nel modo più esplicito dalla genetica classica, con il riconoscimento dell'ordine lineare costante dei geni. Le ricerche più recenti (M. Demerec, 1956, S. Benzer, 195,. G. Pontecorvo. 1958) hanno dimostrato che i geni sono scomponibili in unità di ordine inferiore, chiamate siti, ciascuna delle quali può essere sede di un processo di mutazione. Anche queste unità, che sono d'un ordine di grandezza corrispondente alla distanza di pochi nucleotidi lungo la catena, sono disposte in ordine rigorosamente lineare. La mutazione può essere determinata, secondo quest'ipotesi, da un errore, cioè dalla sostituzione, in un luogo determinato, di una coppia di basi con un'altra.

L'informazione genetica secondo questo modo di vedere è dunque registrata su di un codice lineare costituito da quattro segni o "lettere" i nucleotidi, appaiate a costituire tante coppie. Si è calcolato che la lunghezza totale di uno di questi codici è di 0,003 mm in un virus piccolo, 0,1 mm in un batteriofago, e 1000 mm in una cellula di un mammifero. Il numero di nucleotidi, cioè di segni elementari o "lettere", è rispettivamente 8000, 500.000 e 3000 milioni. Quest'ultimo numero corrisponde a quello delle lettere presenti in una biblioteca di 2000 volumi in 8° di 500 pagine ciascuno.

A. Kornberg e coll. (1956) hanno scoperto un sistema enzimatico, estratto dal batterio Escherichia coli, che è capace di sintetizzare in vitro il DNA, purché siano forniti i quattro nucleotidi in una forma attivata, trifosfati, e purché sia presente un frammento di molecola di DNA, che ha lo scopo d'innescare la reazione. Il DNA che si forma è identico a quello che serve da innesco. Questo fenomeno concorre a dimostrare che il problema della reduplicazione della molecola di DNA nel vivente, così come lo abbiamo sommariamente esposto, è bene impostato, anche se ancora non possa dirsi interamente risolto in tutti i suoi particolari.

Al problema della reduplicazione del materiale informativo, cioè della riproduzione al livello molecolare, si connette quello della sintesi delle proteine. Come cioè il "codice" rappresentato dalla catena molecolare del DNA possa controllare la sintesi delle varie proteine che costituiscono la cellula. Secondo l'opinione oggi più attendibile, il DNA trasmette l'informazione all'acido ribonucleico, RNA, il quale si trasferisce dal nucleo nel citoplasma, e qui, probabilmente localizzandosi nei microsomi, che ne sono particolarmente ricchi, assume il controllo della sintesi delle molecole proteiche, determinando la sequenza degli amminoacidi lungo la catena polipeptidica. La presenza di RNA nel nucleo, e particolarmente nel nucleolo, e la sua abbondanza nel citoplasma delle cellule in cui è attiva la sintesi delle proteine, erano state illustrate fin dal 1941 da J. Brachet e T. Caspersson, indipendentemente con tecniche differenti.

La composizione chimica dell'RNA è ben nota: differisce dal DNA perché lo zucchero è riboso anziché desossiriboso e una delle quattro basi è diversa: la timina è sostituita dall'uracile. Poco invece si conosce sulla struttura fisica della sua molecola, che mal si presta all'indagine cristallografica. Perciò poco o nulla si sa sul modo con cui l'informazione viene trasferita, tramite l'RNA, alla proteina che deve riceverla.

Sui geni, come determinanti la struttura delle proteine, si hanno oggi informazioni abbastanza precise in alcuni casi. Tra i più notevoli è quello, studiato da V. M. Ingram (1957), delle emoglobine umane anomale indicate con i simboli S e C. L'emoglobina S, che si trova nei malati di falcemia (sickle cell), differisce dalla normale A perché in un punto determinato della catena degli amminoacidi si trova, invece dell'acido glutammico, la valina. Nell'emoglobina C, allo stesso posto si trova invece la lisina. La falcemia è sotto il controllo di una coppia genica: l'allele s normale determina la formazione di emoglobina normale, in cui in una delle sue catene polipeptidiche, che comprende circa 300 amminoacidi, in un particolare luogo, è situata una molecola di acido glutammico. L'allele S determina invece la posizione, in quel luogo, di una molecola di valina con tutte le conseguenze che ciò importa sulle caratteristiche biochimiche dell'emoglobina, le quali si riflettono sulla fisiologia del portatore del gene, determinando lo stato di malattia. Questi sono dati analitici precisi. Sono state formulate alcune ipotesi sul come l'informazione sia registrata sul DNA, in che cosa cioè differiscano l'allele S o l'allele C dal normale, per determinare la variazione nella catena polipeptidica. Una di queste possibilità è indicata nella fig. 4.

Le ricerche sul fenomeno della r. studiato al livello molecolare hanno dato, in poco più di un decennio, risultati molto notevoli, come si vede da quanto qui è stato riassunto, ed è probabile che nei prossimi anni condurranno a conclusioni più generali e precise.

Bibl.: J. D. Watson e F.H.C. Crick, in Nature, CLXXI (1953), pp. 737, 964; G. Gamow, in Proc. Nat. Acad. Sci. U. S., XLI (1955), p. 7; J. R. Platt, ibidem, p. 181; C. Levinthal e H.R. Crane, ibidem, XLII (1956), p. 436; A. Kornberg, I. R. Lehman, M. J. Bessman, E.S. Simms, in Biochim. Biophys. Acta, II (1956), p. 197; D. Mazia, in Enzymes, units of biological structure and function, Henry Ford Hospital Symposium a cura di O.H. Gaebler, New York 1956, p. 261; S. Benzer, in The chemical basis of heredity, a cura di W. C. McElroy e B. Glass, Baltimora 1957, p. 70; C. Levinthal e C.A. Thomas jr., ibidem, p. 237; M. Delbrück e G. Stent, ibidem, p. 699; M. F. Perutz, in Endeavour, XVII (1958), pp. 190-203; J. De Grouchy, L'hérédité moléculaire, Roma 1958; G. Pontecorvo, Trends in genetic analysis, New York 1958; Ch. B. Anfinsen, The molecolar basis of evolution, ivi 1959; J. Brachet, The biochemistry of development, Londra e New York 1960.

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