RICORDI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICORDI

Stefano Baia Curioni

– Famiglia di editori musicali milanesi, titolari tra il 1808 e il 1919 della ditta omonima (sotto diverse ragioni sociali).

La dinastia imprenditoriale fu dominata, non senza contrasti, da quattro figure maschili di altrettante generazioni: Giovanni, Tito, Giulio, Tito junior. La ditta, avviata ai primi dell’Ottocento, assunse tra il 1870 e la belle époque un ruolo egemone nella scena musicale italiana, con una forte proiezione internazionale. La parabola si interruppe infine nelle secche di un difficile ricambio generazionale tra Giulio e il figlio Tito, anche in ragione dei profondi rivolgimenti economici prodottisi all’altezza della prima guerra mondiale. Lungo l’arco di questa storia d’impresa e d’arte il sistema di produzione, distribuzione e fruizione del melodramma in Italia mutò alla radice: fu anche la fase del suo massimo fulgore artistico e della più diffusa penetrazione nel tessuto sociale della giovane nazione. Da un mondo per molti versi ancora artigianale, in cui produzione e consumo, nel pullulare di iniziative impresariali spesso gracili e di scala cittadina, non erano assoggettati alla tutela del diritto d’autore, si passò a un sistema fondato sulla mobilitazione industriale, pilotato da editori sagaci e intraprendenti, e da pochi compositori che anche grazie al sostegno editoriale si affermarono su scala internazionale, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini in primis; d’altronde, la sfida che il melodramma italiano si trovò a sostenere, in Italia e nel mondo, con il dramma musicale di Richard Wagner non ebbe infine, si può dire, né vincitori né vinti.

Giovanni, il capostipite, nacque nel 1785 da Giovanni Battista, vetraio (morto nel 1805), e da Angela Medici (morta nel 1813). Se i fratelli Giuseppe e Carlo continuarono con scarsa fortuna il negozio paterno, Giovanni studiò musica, fu primo violino nell’orchestra del Fiando, il teatro milanese delle marionette; da ragazzo arrotondava gli introiti copiando musica sotto i portici della Ragione. Nel 1804 fu assunto come copista nel teatro Carcano, aperto l’anno prima. Nel 1806, con un socio più anziano, il romano Giulio Cesare Martorelli, stipulò con lo stesso teatro un contratto che gli consentì di avviare la formazione di un archivio di materiali d’orchestra di proprietà, da noleggiare: fu l’embrione di quello che divenne poi – ed è tuttora – il più formidabile archivio musicale italiano (oggi ospitato nella Biblioteca Braidense di Milano). Nell’estate del 1807 Giovanni fu scritturato come copista nel teatro Lentasio; al termine della stagione si recò a Lipsia per conoscere e studiare i metodi calcografici e i criteri organizzativi dell’editore Breitkopf & Härtel, al quale l’azienda milanese restò poi legata a lungo. Portò con sé al ritorno un torchio calcografico e la determinazione a fondare una propria casa editrice musicale, che mettesse a frutto l’esuberante produzione degli operisti italiani e alimentasse il crescente fabbisogno degli amatori e dei dilettanti, su un mercato nazionale inevitabilmente eterogeneo e frammentato.

Il 16 gennaio 1808 Giovanni Ricordi, in società con l’incisore torinese Felice Festa, fondò la casa editrice. Lanciò una pubblicazione periodica, il Giornale di musica vocale italiana […] composto di cavatine, arie, rondò, duetti e terzetti scielti dalle opere de’ migliori autori del teatro italiano. Ma già a giugno il capitale sociale era stato speso, e la società dissolta; Ricordi proseguì da solo, mantenendosi nella doppia attività di copista per i teatri milanesi e stampatore-editore di musica vocale e strumentale per il mercato lombardo. Nel 1808, con il citato Martorelli, pubblicò lo spartito per canto e pianoforte di un melodramma intero (Giovanni Simone Mayr, Adelasia e Aleramo, dato alla Scala l’anno prima): una novità, in un contesto che fino ad allora puntava sullo smercio di soli pezzi staccati, manoscritti o a stampa. Lo spartito per canto e piano fu poi, per tutto l’Otto e ben addentro al Novecento, il formato di gran lunga prevalente per le opere liriche nei cataloghi Ricordi, gradito tanto ai cantanti quanto agli amatori; le partiture d’orchestra facevano invece parte del materiale che l’editore dava in nolo ai teatri di volta in volta.

A fine 1811 Giovanni lanciò per sottoscrizione il fortunato Metodo pel clavicembalo di Francesco Pollini (1812), «adottato dal R. Conservatorio»; due anni dopo, nel pubblicare il Trattato d’armonia di Bonifazio Asioli, si qualificò «editore del R. Conservatorio». A partire dal 1813, con diversi acquisti di archivi teatrali, anche extramilanesi, Giovanni irrobustì la propria posizione: nel 1825 l’acquisizione dell’archivio della Scala portò il catalogo a 2200 titoli di proprietà; il giro d’affari si estese ad altri Stati della penisola e ad alcune capitali europee dove l’opera italiana era di casa. L’attività era però ancora economicamente fragile. Per quanto è dato capire dai documenti superstiti, il negozio principale di Milano fatturava attorno alle 20.000 lire italiane negli anni più ricchi: cifra inferiore al compenso riscosso da Gioachino Rossini per una sola stagione di Carnevale alla Fenice di Venezia (1823). Nel 1824 Giovanni cercò di ampliare la propria capacità distributiva aprendo negozi a Firenze e a Londra, con risultati peraltro modesti. Differenziò le produzioni, tentando anche il mercato dell’incisione litografica: se la pubblicazione di 12 «scene» per la ventisettana dei Promessi sposi non incontrò, tra il 1824 e il 1832 le Raccolte di scene teatrali di Alessandro Sanquirico, scenografo scaligero, ebbero successo.

Un fattore sopra tutti alimentò la fortuna immediata e il destino futuro dell’esercizio editoriale, ossia – in un contesto teatrale avido di spartiti di successo – la capacità di assicurarsi la proprietà di titoli egregi. Giovanni acquistò partiture manoscritte e sfornò spartiti a stampa di Rossini, Giacomo Meyerbeer, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Saverio Mercadante, Giovanni Pacini, e seppe aggregarsi Verdi fin dall’esordio scaligero (1839). Verdi non fu sempre lineare con Ricordi (cercò anche di metterlo in concorrenza con il rivale Francesco Lucca, per spuntare condizioni più vantaggiose per il Nabucco, 1842): ma dal 1843 in poi i suoi contratti furono quasi sempre con Ricordi, che in qualche caso acquisì i titoli attraverso gli impresari delle ‘prime’ napoletane, milanesi o fiorentine, aggiudicandosene i diritti senza limiti di spazio e tempo e senza vincoli. Nel periodo 1839-59 Ricordi gestì non più di 35 contratti di acquisto opere, che però già lo mettevano in condizione di svolgere un ruolo internazionale, senza rivali in Italia. Il legame con Verdi fece la differenza e pose le premesse di quella profonda trasformazione del sistema melodrammatico che sulla lungimirante iniziativa dell’editore milanese fece perno.

Giovanni morì il 15 marzo 1853 e non poté vedere compiuta tale trasformazione. Dalla moglie Giovannina Vezzoli, sposata nel 1808, deceduta nel 1815, aveva avuto tre figli: Innocente, di cui dopo il 1853 si perdono le tracce; Tito, il successore; e Giulietta (1812-1870), andata sposa al ticinese Carlo Pozzi (1803-1886), a Firenze socio in affari di Giovanni e poi a Mendrisio editore musicale in proprio (sempre in stretto collegamento con Ricordi).

Tito nacque il 29 ottobre 1811. Formatosi come pianista, entrò in azienda dal 1825. Per molto tempo, fino al 1853, operò all’ombra del genitore, senza esporsi in pubblico. Ebbe però responsabilità di peso, a cominciare dalla creazione del settimanale Gazzetta musicale di Milano (1842-1902), poderoso strumento di politica culturale, diretto da mazziniani come Giacinto Battaglia e Alberto Mazzucato (regesto a cura di L. Jensen - M. Conati, Baltimora, I-V, 2000, VI-XIX, 2008-2010). L’impegno più visibile di Tito fu rivolto al tema dei diritti di autore: era questa la frontiera legislativa e simbolica più scottante per la Ricordi e per l’intero mercato musicale; e fu Tito a rappresentare in campo nazionale e internazionale le posizioni della casa. Conscio del valore del suo patrimonio storico-artistico della ditta, Tito avviò nel 1854 una monumentale Nuova compiuta edizione di tutte le opere teatrali di Rossini (sempre in spartito), completata nel 1867. I cataloghi editoriali documentano l’enorme espansione produttiva: notevoli soprattutto quello ordinato per materie del 1855 (da cui risultano anche i rappresentanti a Firenze, Vienna, Lipsia, Amburgo e Madrid) e il Catalogo numerico del 1857 (facsimile a cura di A. Zecca Laterza, Roma 1984), che con una certa approssimazione consente di datare i quasi 30.000 titoli.

Morto Giovanni, non mancarono le difficoltà aziendali. Nel 1853 i Ricordi avevano appena impegnato 54.000 lire austriache per mettere sotto contratto Rigoletto (1851) e due opere nuovissime di Verdi, Il trovatore e La traviata. L’insuccesso di quest’ultima intimorì Tito, che anche negli anni seguenti non sempre seppe mantenere con Verdi l’equilibrio relazionale di suo padre. Il compositore era diffidente, esigente, costoso. Ricordi, oltre a gestire il già cospicuo repertorio verdiano, mise sotto contratto altre tre opere nuove (I vespri siciliani, Simon Boccanegra e Un ballo in maschera), per un investimento totale di ben 97.000 lire. Verdi lo avrebbe però anche voluto al suo fianco per promuoversi in Germania, mentre l’editore, timoroso di esporsi, resisteva; di rimando il compositore, spalleggiato dalla consorte, Giuseppina Strepponi, cominciò a pungolare Tito di critiche e rimproveri.

Con lungimiranza, tra gli anni Sessanta e i primi Settanta, Tito affidò al figlio Giulio il compito di tener buono Verdi. Ma i rapporti di forza erano cambiati. Tutti i teatri d’Italia volevano Verdi, e Verdi pretendeva esecuzioni di pregio. Ricordi doveva dunque programmare gli allestimenti, condizionare i teatri, fissare i contratti, presidiare le possibili piraterie, pubblicare le musiche, mantenere una rete commerciale non semplice, muoversi anche fuori d’Italia. La distribuzione dell’opera italiana all’estero, in serrata concorrenza con opere francesi à la page come il Faust di Gounod, richiedeva una presenza assidua: e ciò su mercati in espansione anche nelle due Americhe. All’editore spettava poi di vigilare sulla messinscena: dal 1855, sul modello dell’Opéra di Parigi, Ricordi introdusse per le opere di Verdi l’uso delle «disposizioni sceniche», libretti di mise en scène per scenografi e direttori di scena.

Fino ad allora Ricordi era abituato a scegliere e promuovere più che a coprodurre. Ma la trasformazione produttiva in atto, nonché il ruolo dominante assunto dalla coppia Verdi-Ricordi nel contesto italiano e nel canone ideologico risorgimentale e nazionale, crearono una situazione nuova, forse inattesa, certamente più difficile da reggere, anche sul piano economico. Tito arrivò addirittura a contemplare la vendita dell’azienda, e intrattenne in tal senso fitte corrispondenze: poi ci ripensò.

Morì il 7 settembre 1888.

Giulio era nato il 19 dicembre 1840 dal matrimonio di Tito con Giuseppina Arosio (1814-1898), sposata nel 1838; degli altri otto figli della coppia, due morirono infanti, e i rimanenti non furono impegnati in azienda (Amalia, 1843-1899; Enrico, 1848-1899; Antonio, 1850-1899; Giuseppe, 1853-1902; e i gemelli Emilio, 1855-1933, e Pompeo, 1855-1935). Nella storia della famiglia, il ritratto di Giulio, già intorno al 1870 spiritus rector della politica culturale nell’azienda, appare come il più nitido e stagliato. Ingegno vivace, nel 1859 bersagliere volontario nella seconda guerra d’indipendenza, portato per le lettere, la pittura, la musica – prolifico autore, sotto lo pseudonimo J. Burgmein, di musiche da salotto, nel 1910 diede a Torino l’operetta La secchia rapita, mentre Tapis d’Orient andò in scena postumo a Liegi nel 1912 –, fu un personaggio pubblico, consigliere comunale nel 1885, propugnatore (non disinteressato) della necessità di una ‘dote’ pubblica per la Scala. Fu l’eroe alto-borghese – artista, imprenditore e amministratore, mecenate, pubblico ufficiale, patriota e romantico – che portò al colmo l’ascesa sociale della famiglia, anche mediante il matrimonio (1862) con la nobildonna Giuditta Brivio (1838-1916; ebbero sei figli: Antonietta, 1863-1868; Tito, il successore; Giuseppa Anna, detta Gina, 1870-1960; Emanuele, detto Manolo, 1876-1940, Giampietro, 1877-1878; e Luigi, detto Gigino, 1879-1944). Un tratto eroico e per certi aspetti solitario traluce dalle sue lettere, accanto alle qualità di amministratore, musicista, manager culturale. Con lui la casa editrice, tra acquisizioni, scoperta di nuovi talenti (Arrigo Boito, Amilcare Ponchielli e Alfredo Catalani i più in vista), apertura internazionale, sfruttamento dell’archivio di diritti, lancio di nuove collane (in particolare le divulgatissime Edizioni economiche Ricordi), raggiunse un primato internazionale che quasi nessuno poté emulare. Anche sotto il profilo della comunicazione Giulio optò per uno stile grafico moderno e attrattivo, affidando copertine, bozzetti e cartelloni ad artisti di punta del Liberty (come Adolfo Hohenstein, anche scenografo, Leopoldo Metlicovitz, Marcello Dudovich).

L’arco dell’azione di Giulio fu amplissimo. Seppe armonizzare la qualità di allestimenti fedeli alle intenzioni degli autori e lo sfruttamento del proprio catalogo, in concorrenza con i pochi rivali temibili, in particolare i milanesi Francesco Lucca, che rappresentava Gounod e Wagner, ed Edoardo Sonzogno, promotore italiano della Carmen di Bizet e di molte opere di Massenet. In cambio della concessione delle opere di Verdi l’editore chiedeva ai teatri non solo un completo affidamento nella scelta di cantanti, coreografie, scenografie, ma anche la disponibilità a programmare opere meno importanti in catalogo, colmando il cartellone e limitando di riflesso gli allestimenti di opere detenute dai concorrenti. Come risultato di questa situazione, negli anni Ottanta le stagioni scaligere furono perlopiù appannaggio di Ricordi. Nel 1888 Ricordi, che aveva già assorbito le edizioni Clausetti di Napoli e Guidi di Firenze, riuscì infine ad assumere le edizioni Lucca: anche Wagner, dunque, entrò (postumo) nella scuderia. D’altra parte l’imprenditore rivendicò sempre la centralità dell’arte: «Il migliore affarismo in arte è […] di lasciar fare all’arte stessa: nessun editore al mondo, disponga pure di milioni, può far diventare buona un’opera cattiva, o viceversa!! [...] anzi con questi tentativi […] minchiona se stesso. Questa è una teoria che adolescente sentii ripetere le cento volte a mio nonno Giovanni! […] e che mi rimase impressa incancellabilmente!» (31 gennaio 1891; in Baia Curioni, 2011, p. 162).

Geniale fu l’abilità con cui Giulio pilotò la ‘staffetta’ tra Verdi e Puccini, in un frangente – gli anni intorno al 1890 – in cui il vento pareva soffiare nelle vele della Giovane Scuola verista lanciata dall’unico concorrente davvero insidioso, Sonzogno, editore di Pietro Mascagni e Ruggero Leoncavallo. Ricordi seppe da un lato spronare il vecchio Verdi alla creazione di due estremi capolavori, Otello (1887) e Falstaff (1893), affiancandogli un giovane letterato-musicista brillante, Arrigo Boito; e dall’altro intuì fin dalle Villi (1884) le potenzialità dell’esordiente Puccini, che egli accompagnò poi assiduamente nella creazione, tormentatissima, di Manon Lescaut (andata in scena, nel 1893, otto giorni prima di Falstaff!), La bohème (1896), Tosca (1900), Madama Butterfly (1904).

Nel contempo la complessità del sistema ingabbiò l’editore in un compito immane. Giulio si sforzò di far crescere una struttura gestionale all’altezza degli impegni, senza mai riuscire a consolidarla del tutto. Al termine di una vita operosissima, si consumò anzi una dolorosa rottura nella continuità familiare e imprenditoriale. I mutamenti indotti nel consumo musicale dall’avvento della fonografia e del cinematografo, e nel mondo dell’arte dal gusto lussureggiante di Gabriele D’Annunzio, cui Giulio rimase sostanzialmente refrattario, alimentarono ben presto i dissapori con il figlio maggiore, Tito, destinato a succedergli: dissapori degenerati in un dramma familiare assai crudo, per quanto attentamente dissimulato; ne dà terribile testimonianza la lettera riservata con cui Giulio, il 5 luglio 1907, esonerò Tito da qualsiasi incarico aziendale, lamentandone la condotta dissipata (cfr. Baia Curioni, 2011, pp. 202-204).

Giulio morì il 6 giugno 1912.

Tito (junior) era nato il 17 maggio 1865. Si laureò in ingegneria nel 1889 ed entrò in ditta subito dopo, quasi in coincidenza con l’avvio formale della gerenza di Giulio. Ebbe un incarico di peso, la direzione delle Officine, e nel contempo rappresentò il padre in delicate missioni su temi di politica artistica, teatrale, culturale e gestionale, in Italia e all’estero (amava viaggiare). Concorse al ringiovanimento del periodico aziendale, che dal 1902 si denominò Musica e musicisti (regesto a cura di M. Di Cesare, I-II, Baltimora 2012), indi Ars et labor (1906-1912; nel 1919 fu lanciata Musica d’oggi).

Nel 1905 istruì e propose in consiglio l’ingresso di Ricordi nella Società italiana di Fonotipia musicale: ma la spinta all’espansione verso le nuove tecnologie, malvista dal genitore, gli dovette essere esiziale; nel 1907 ogni sua attività fu sospesa. Nel 1910 accompagnò Puccini a New York per La fanciulla del West. Ritornò in ditta soltanto nel 1912, dopo la morte del padre. Favorì l’arruolamento di compositori d’indole dannunziana: per Riccardo Zandonai ridusse di proprio pugno la Francesca da Rimini (1914), per Italo Montemezzi La nave (1918).

Tito morì il 13 marzo 1933.

Già dal 1919 era stato estromesso dal governo della casa, gestita da Renzo Valcarenghi e Carlo Clausetti secondo una linea di continuità rispetto agli indirizzi di Giulio. Emanuele (Manolo), fratello di Tito, diresse le Officine Ricordi dal 1903 alla morte, 3 gennaio 1940. Dei figli di questi, Camillo (1908-1954) concorse con Alfredo Colombo ed Eugenio Clausetti (figlio di Carlo) alla rinascita della ditta dopo le gravissime perdite subite per i bombardamenti del 1943.

Carlo Emanuele, detto Nanni, figlio di Camillo, nato l’11 febbraio 1932, avviò negli anni Cinquanta un settore discografico nella casa editrice. La registrazione della Medea di Cherubini (con Maria Callas, direttore Tullio Serafin) inaugurò nel 1958 la Dischi Ricordi s.p.a. Nel Festival dei Due Mondi a Spoleto promosse lo spettacolo Bella ciao di Roberto Leydi e Filippo Crivelli, eseguito dal Nuovo Canzoniere Italiano (1964). Da produttore, diede impulso al fenomeno dei ‘cantautori’: tra loro Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Ornella Vanoni, Gino Paoli, Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Fabrizio de André, Umberto Bindi.

Morì a Sala Monferrato il 15 gennaio 2012.

Fonti e Bibl.: La bibliografia critica fino al 1999 è compendiata in Antolini, 2000; aggiornamenti in Baia Curioni, 2011. Si menzionano qui gli studi anteriori di maggior importanza. C. Sartori, Casa Ricordi, 1808-1958, Milano 1958; Carteggi pucciniani, a cura di E. Gara, Milano 1958; F. Degrada et al., Musica, musicisti, editoria, 1808-1983. 175 anni di Casa Ricordi, Milano 1983; J. Rosselli, Verdi e la storia della retribuzione del compositore italiano, in Studi verdiani, II (1983), pp. 11-27; D. Rosen, La mess’in scena nelle opere di Verdi. Introduzione alle “Disposizioni sceniche” Ricordi, in La drammaturgia musicale, a cura di L. Bianconi, Bologna 1986, pp. 209-222; Carteggio Verdi-Ricordi, a cura di P. Petrobelli et al., Parma 1988-2015 (finora 5 voll.); L. Jensen, Giuseppe Verdi and Giovanni Ricordi with notes on Francesco Lucca, New York-London 1989; B.M. Antolini, Ricordi, in Dizionario degli editori musicali italiani, 1750-1930, a cura di B.M. Antolini, Pisa 2000, pp. 286-313; M. Mainardi, Musica, fascismo, editoria. Casa Ricordi tra rinnovamento e tradizione, in Editori e lettori. La produzione libraria in Italia nella prima metà del Novecento, a cura di L. Finocchi - A. Gigli Marchetti, Milano 2000, pp. 99-116; C. Sorba, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Bologna 2001; L. Forti, Alle origini dell’industria musicale italiana. Casa Ricordi e il diritto d’autore (1808-1892), tesi di laurea, Università Bocconi di Milano, 2006; D. Schickling, Giacomo Puccini. La vita e l’arte, Ghezzano 2008; Ti ricordi Nanni? L’uomo che inventò i cantautori, a cura di C. Ricordi, Milano 2010; S. Baia Curioni, Mercanti dell’Opera. Storie di Casa Ricordi, Milano 2011; Una cattedrale della musica: l’Archivio storico Ricordi, Milano, Gütersloh-Milano 2013; A. Sessa, Il melodramma italiano, 1901-1925, II, Firenze 2014, pp. 767 s.; C. Russo, Pacini e Ricordi. Un percorso attraverso l’epistolario, in Musica. Storia, analisi e didattica, a cura di A. Caroccia - F. Di Lernia, Foggia 2014, pp. 141-156; G. Puccini, Epistolario, I, (1877-1896), a cura di G. Biagi Ravenni - D. Schickling, Firenze 2015; V. Bellini, Carteggi, a cura di G. Seminara, Firenze 2017.

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