BENTLEY, Richard

Enciclopedia Italiana (1930)

BENTLEY, Richard

Guido Martellotti

Filologo inglese. Nacque a Oulton nel Yorkshire, nel 1662; nel 1700 fu nominato Master del Trinity College, nel quale ufficio rimase fino alla morte (1742).

Nella ricca biblioteca di E. Stillingfleet, il cui figlio egli accompagnò, quale precettore, a Oxford, e nell'ambiente di questa città, il B. si formò quella vasta cultura classica che già ci sorprende nella sua prima opera, l'Epistola ad Millium, apparsa nel 1691 come appendice all'edizione oxoniense di Malala. Proponendo all'editore, J. Mill, numerosi emendamenti, il B. s'indugia in lunghe digressioni in cui mostra un'eccezionale conoscenza, specialmente dei grammatici greci e latini; particolarmente interessanti le osservazioni sugli anapesti del dramma greco, ch'egli per primo riconobbe uniti dalla sinafia fino alla catalessi.

La vastità dei suoi interessi e la prontezza della sua intuizione lo portarono spesso a concepire opere che solo più tardi la scienza filologica doveva compiere: tali la raccolta dei frammenti dei poeti greci. L'opera del B. dovette limitarsi a Callimaco, i cui frammenti pubblicò nel 1697 nell'edizione del Graevius. Ancora nel 1697, in appendice alla seconda edizione delle Reflections on ancient and modern Learning del suo amico W. Wotton, pubblicò la sua famosa Dissertation on the epistles of Phalaris, ecc. Accuratamente esaminando le lettere di Falaride e le favole di Esopo, sino allora citate come esempio di semplicità primitiva, egli ne combatté l'autenticità riportandole a un'epoca assai più tarda; insieme con le lettere di Falaride egli studia quelle di Temistocle, di Socrate e d'altri. A una risposta polemica del Boyle, ch'egli veva assalito, il B. replicò con nuovi argomenti, che apparvero nella seconda edizione della Dissertation (1699). In questa sua opera il B. distingueva per la prima volta fra tradizione genuina e tarda leggenda letteraria, insegnando un metodo di alta critica, che traeva conferma da considerazioni linguistiche, storiche, letterarie d'ogni sorta.

Nel 1710 pubblicava, criticamente emendati, 323 frammenti di Filemone e Menandro, e nel 1711 un'edizione di Orazio, in cui proponeva ben 700 emendamenti, attenendosi un po' troppo radicalmente alla sua massima: nobis et ratio et res ipsa centum codicibus potiores sunt. Il testo di Orazio mal si prestava a questo metodo e il merito del B. consiste piuttosto nell'aver saputo scegliere la buona tradizione. Del 1720 sono i Proposals per un'edizione critica del Nuovo Testamento. Il B., che aveva dapprima assistito con i suoi consigli il Mill, intendeva la critica testuale come storia del testo, e si proponeva di risalire al testo della Vulgata quale era stato fissato da S. Girolamo - rappresentante d'un codice della seconda metà del sec. IV e quindi, con l'aiuto dei più antichi unciali allora conosciuti e stimati, di ric0struire il testo corrente al tempo del concilio di Nicea (325). L'edizione di Terenzio (1726) che contiene anche le sentenze di Publilio Siro e le favole di Fedro, è particolarmente notevole per una breve trattazione sulla metrica antica latina e sulle sue differenze da quella greca, che è rimasta per il latino arcaico fondamentale sino al Ritschl (v.): qui per la prima volta è segnato, in servigio degli studenti, con un accento il primo tempo forte di ciascuna dipodia.

Tra il 1732 e il 34, il B. fu occupato a preparare un'edizione di Omero per cui consultava manoscritti e scolî: già dal 1713 alcuni studî sullo iato l'avevano condotto alla scoperta del digamma omerico, fondamentale per la nostra concezione della lingua omerica e della sua tradizione. Nel 1739 curò una recensione degli Astronomica di Manilio. L'edizione del Paradiso perduto (1732) è considerata la meno felice delle sue opere, per le eccessive e arbitrarie correzioni introdotte nel testo. Questa sommaria enumerazione non può dare che una pallida idea della sua attività: si può dire che in ogni campo della filologia egli ebbe felici intuizioni. Grande influenza egli esercitò subito sulla filologia olandese e specialmente sul Hemsterhuys. In Germania la sua importanza fu rilevata per la prima volta dal Wolf.

Le opere sono edite dal Dyce, Londra 1836-38, voll. 3.

La polemica sulle lettere di Falaride è comodamente raccolta nell'ediz. di W. Wagner, Berlino 1874, e in traduzione latina, insieme con la Epistola ad Millium, in R. Bentleii Opuscula Philologica, Lipsia 1871; le lettere in The Correspondence of R. B., ed. da C. Wordsworth nel 1842.

Bibl.: R. C. Jebb, in Dictionary of National Biography, II; id., Bentley, Londra 1882; J. E. Sandys, A short History of class. Scholarship, Cambridge 1915, pp. 265-69 e passim; W. Kroll, Gesch. der klass. Philologie, Lipsia e Berlino 1919, p. 100 segg.; U. von Wilamowitz, Gesch. der Philologie, p. 35 segg., in Gercke e Norden, Einleitung in die Altertumswiss., I, 3ª ed., Lipsia e Berlino 1927.

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