RICCOMANNI

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RICCOMANNI

Gabriele Donati

Famiglia di scultori di Pietrasanta attivi nel XV e all'inizio del XVI secolo.

Un primo abbozzo di albero genealogico fu tentato da Vincenzo Santini (1862, p. 243), e quindi assai migliorato e integrato da Gaetano Milanesi (1881, p. 105 nota 2), benché anche questo sia incompleto.

Il capostipite Guido di Riccomanno risulta, verso il 1350, uno dei più ricchi abitanti di Pietrasanta (Santini, 1862, p. 191). Suo figlio Riccomanno, lapicida, ottenne incarichi politici di rilievo: fu anziano nel 1384 e nel 1385, stimatore pubblico nel 1418, sindaco del Comune nel 1421, operaio del duomo nel 1431 (Simi, 1855; Santini, 1862, p. 192). Della sua attività professionale sappiamo dai documenti solo che in data 16 dicembre 1431 i frati di S. Agostino di Pietrasanta allogarono a lui e a Leonardo suo figliolo il rivestimento marmoreo della porzione superiore della facciata della loro chiesa, con dodici archetti su colonnine, a tutt’oggi esistente (Milanesi, 1881, p. 103; Milanesi, 1901). Che tale incarico venisse assegnato proprio a Riccomanno e Leonardo appare in certa misura curioso, dacché i due erano stati precedentemente coinvolti in un pesante attrito con la comunità agostiniana a motivo di un altro figlio di Riccomanno, Francesco, pure del mestiere, il quale era stato indotto con la violenza dai frati a prendere i voti.

Le nostre informazioni sulla rocambolesca vicenda possono essere così riassunte sulla base dei documenti (Concioni, 1994, pp. 261 s.): nel 1424 Francesco era stato inviato da un fratello (probabilmente Leonardo) a lavorare nel convento agostiniano di Lucca, dove un frate lo aveva persuaso a prendere l’abito dell’ordine e a seguirlo nel convento di Prato (21 settembre); ottenuti a Firenze gli ordini minori e il subdiaconato, gli era stato imposto – dapprima senza successo – di emettere subito la professione; un tentativo di fuga dal convento pratese, complici il padre e il fratello, si era concluso con una bastonatura, e la professione era stata forzatamente emessa il giorno stesso (18 ottobre); ricondotto nel convento di Pietrasanta, Francesco – come frate Matteo – vi era rimasto per circa quattro mesi, prima di tornare alla vita secolare. Un tentativo legale di farlo tornare in convento fallì nel maggio del 1425.

Anche se non conosciamo la conclusione della vicenda giudiziaria, con ogni evidenza Francesco ebbe la meglio. Infatti il 12 gennaio 1428 egli e il fratello Leonardo s’impegnavano a recarsi a Napoli per lavorare al mausoleo di re Ladislao di Durazzo (Ciardi, 1992; Concioni, 1994, pp. 257 s.). Con questo atto si interrompono le notizie in nostro possesso su Francesco.

La carriera di Leonardo di Riccomanno fu assai più lunga e fortunata. Verosimilmente nato poco dopo l’anno 1400, dovette svolgere il suo primo apprendistato a Pietrasanta, nella bottega paterna, ma precoci dovettero essere i suoi contatti con Lucca (del cui dominio faceva allora parte la cittadina versiliese), dove egli è attestato il 7 novembre 1424 come testimone di un rogito (Concioni, 1994, pp. 251, 257). Il 12 gennaio 1426 presenziò in città, insieme al pittore Francesco Anguilla, al testamento di Margherita, moglie del medico Antonio Turignani da Silico; a Leonardo è stata quindi convincentemente attribuita la lastra tombale marmorea della donna, conservata alquanto consunta in S. Maria dei Servi (Paoli, 1986, pp. 210 s.). Sembra che il 1° giugno dello stesso anno Leonardo fosse a Siena (ma la segnalazione, risalente a Bacci, 1929, è priva di fonte archivistica).

Il 12 gennaio 1428, come si è visto, sempre in Lucca, Leonardo e il fratello Francesco vennero assoldati dal lapicida pisano Giovanni di Gante, con la garanzia del loro padre, per lavorare in Napoli un anno al mausoleo di re Ladislao di Durazzo, dietro compenso di cento ducati, oltre vitto, alloggio e spese di viaggio (Ciardi, 1992, p. 341; Concioni, 1994, pp. 257 s.; la partenza era prevista alla fine del mese). Per la medesima impresa, ma con compensi notevolmente più alti, vennero assunti anche il pietrasantino Leonardo di Vitale Pardini e il lucchese Tommaso di Matteo: però il loro ingaggio venne cassato il successivo 4 febbraio (ibid., pp. 245 s.). Pare invece verosimile che i due Riccomanni si recassero a Napoli: nel mausoleo di Ladislao si è proposto di riconoscere un contributo di Leonardo, non senza fondamento, in alcune sculture della sezione superiore (David, Saul, il sovrano a rilievo di destra nella cassa: Abbate, 1994; Id. 1998, p. 165; meno convincente l’identificazione di Francesco). Si osservi che l’effettiva andata a Napoli dei due fratelli pare confermata da documenti pietrasantini noti – pur confusamente – a studiosi ottocenteschi che erano all’oscuro dei contratti lucchesi (Simi, 1855; Santini, 1862, p. 191).  A ogni modo, il 26 gennaio 1428 Leonardo era ancora a Lucca (Concioni, 1994, p. 258), dove è attestato pure il successivo 9 novembre, forse dopo una lunga assenza, come giustificherebbe il fatto che egli ammetteva a Leonardo di Vitale Pardini il consistente debito di 25 fiorini per alimenti, bevande e spese di donna Francesca, sorella del Pardini e moglie del Riccomanni; questi prometteva peraltro di pagare dodici fiorini entro diciotto mesi, e il Pardini gli avrebbe abbonato il residuo nel caso la moglie fosse stata trattata bene (ibid.). Certo ogni impegno partenopeo era compiuto allorché Leonardo accettava con il padre Riccomanno l’incarico per la facciata di S. Agostino a Pietrasanta (16 dicembre 1431).

La fama di Leonardo quale scultore si era ormai consolidata, poiché l’8 novembre 1432 l’operaio della cattedrale di Sarzana, Giovan Jacopo Cristofori, gli commissionava una pala d’altare marmorea per l’altare maggiore, da realizzare in due anni per il costo di 475 lire genovesi.

Il contratto, assai puntiglioso, descrive un trittico con pinnacoli, il cui scomparto centrale doveva rappresentare l’Incoronazione della Vergine, mentre ai lati stavano i Ss. Andrea, Paolo, Pietro e Giovanni (Sforza, 1884, pp. 266 s., 299-301 nota 89). La sostanziale coincidenza iconografica consente di identificare l’opera eseguita con la pala, di vertiginoso sviluppo verticale, attualmente collocata sull’altare della Cappella di S. Tommaso. Essa appare, nella sostanza, tutta autografa di Leonardo. Anche se non è mancato chi ha creduto a un’esecuzione rapida (entro il 1435-36: Podestà, 1904, pp. 39-48), le modifiche apportate al contratto originario hanno poi corroborato l’ipotesi di un cantiere prolungato nel tempo, fino ai primi anni Quaranta (Middeldorf, 1977, p. 25 nota 34, interlocutivamente; Tessari, 1977, p. 98 nota 12), o persino interrotto nel 1433 circa e ripreso dal 1447 in poi (Donati, 1999, pp. 35 s.; Id. 2000, pp. 443 s.; Id., 2010, p. 136); la datazione più probabile non supera però, se non di poco, il quarto decennio. Non solo l’intelaiatura strutturale, derivata da quella dell’altare Trenta in S. Frediano a Lucca, ma anche le figure rivelano un’assimilazione originale, in chiave espressiva vivace e spiritata, dell’arte quercesca degli anni Venti.

Il 1° marzo 1437, a Genova, il Riccomanni ricevette dal doge Tommaso Campofregoso la commissione per un sepolcro da collocarsi nella chiesa genovese di S. Francesco (Neri, 1884). Che il sepolcro fosse destinato al medesimo Tommaso ce lo assicura un salvacondotto del 20 dicembre 1453, con il quale si consentiva allo scultore di lasciare Genova per tornare a Pietrasanta (Neri, 1877, p. 309). Dell’incarico si discuteva ancora allorché il 29 maggio 1460, a Sarzana, Leonardo promise all’erede di Tommaso, Giovan Galeazzo, di condurlo a termine in due anni, essendo fideiussore il proprio nipote Francesco di Cristoforo (Neri, 1884).

A quanto risulta, il monumento non fu mai installato. È probabile che dovessero farne parte le tre Virtù recentemente scoperte e ascritte a Leonardo e al nipote Francesco di Cristoforo (Genova, Museo di S. Agostino: Di Fabio, 2002; la Prudenza, però, spetta ad Andrea Guardi: Donati, 2015, pp. 126-129; un primo suggerimento generale in questo senso già in Ferretti, 2004), e forse anche la statua di Patrizio seduto conservata oggi al Museo nazionale del Bargello di Firenze (attribuita allo scultore da Caglioti, 1998, p. 86 nota 9; Donati 2015, pp. 127 s.). Credo appartenga al medesimo torno d’anni (1455-65 circa), la controversa Maddalena di Castelnuovo Magra, da alcuni attribuita al Riccomanni (Caglioti 1998, p. 86 nota 9; Donati 2015, pp. 128 s.), ma già riferita al Guardi (Rapetti, 1998, pp. 125-127, n. 16, 296-298, n. 134.2, con riscolpiture primocinquecentesche di Francesco del Mastro).

Il 23 settembre e il 19 dicembre 1443 Leonardo è documentato a Lucca, dove dichiarava e saldava debiti (Concioni, 1994, p. 259). Prima del giugno 1444 aveva costituito nella città toscana una compagnia con due scalpellini carraresi, Agostino Mazzuolini e Jacopo Grossi, e con uno comasco, Lorenzo di Bernardo, per eseguire un «laborerio» in cattedrale (da identificare probabilmente in alcune sculture fra le trifore dei matronei: Paoli 1986, p. 211). L’8 maggio 1444 il vescovo di Lucca lo assolse dal peccato di bestemmia (Concioni, 1994, p. 259).

Nei primi anni Cinquanta il Riccomanni venne coinvolto nei lavori di ristrutturazione e arredo monumentale promossi da Manuele e Lionello Grimaldi Oliva nel convento domenicano di S. Maria di Castello a Genova. Il responsabile del cantiere, Giovanni Gagini, nell’agosto 1451 si era recato a Pietrasanta, dove aveva stipulato con il Riccomanni l’accordo per molti lavori (non meglio specificati). Nel gennaio del 1452, cassate tali convenzioni, Leonardo s’impegnò in Genova a realizzare con marmi forniti dal Gagini il portale della sagrestia, per la somma di 80 lire di Genova, compreso l’intaglio di un «crinerium» (stemma con elmo chiomato) per Giacomo Spinola, simile a quello già intagliato per quest’ultimo dal medesimo Riccomanni (Alizeri, 1876, pp. 145-147; potrebbero essere le due targhe con stemma sulla facciata di palazzo Spinola di Luccoli).

Il portale, capostipite di una fortunata tipologia genovese, comprende una doppia cornice con fregio a girali (nell’architrave inframezzati a puttini), due mensole con Spiritello, una tabella con iscrizione retta da due Angeli. Al di sopra stava una lunetta mistilinea con Crocefissione e dolenti a rilievo fra due piccoli Profeti, la cui autografia e la cui pertinenza originaria all’insieme sono state messe in dubbio da alcuni (Alizeri, 1876, pp. 142 s.; Tessari 1977, pp. 92-96: Elia Gagini), con l’infelice conseguenza che la cimasa è stata poi smurata e trasferita in altra parte del complesso (l’ex biblioteca). In realtà, la bella Crocefissione è – concorde il resto della critica – senz’altro autografa di Leonardo, e mostra l’evoluzione del suo stile a contatto con la cultura lombardo-toscana, ormai rinascimentale, di Domenico Gagini (pare verosimile, peraltro, che pure il disegno del portale risalga proprio ai Gagini). Nell’ex biblioteca del convento si conserva anche una splendida e delicatissima statua di Vergine annunciata (l’attribuzione al Riccomanni, unanimemente accolta, si deve a Castelnovi, 1959, pp. 20-24); il corrispondente Angelo annunziante, già conservato nel castello di Ceský Šternberk nella Repubblica Ceca, è ora nella Galleria nazionale di Praga (la pertinenza della coppia fu riconosciuta da Olga Pujmanová, in Arte rinascimentale italiana nelle collezioni ceche, 1997, pp. 296-299, ma come Domenico Gagini; il giusto nome in Caglioti, 1998, p. 86 nota 9). Sempre in S. Maria di Castello è stata riconosciuta al Riccomanni un’acquasantiera a stelo con piletta decorata da spiritelli e festoni (Castelnovi, 1959, pp. 20-24; Kruft, 1972, con Giovanni Gagini; Tessari, 1977, p. 98 nota 17; Di Fabio, 2002, p. 6).

Nel giugno del 1452 R. si accordò con i governatori della cappella di S. Sebastiano in S. Maria delle Vigne a Genova per «quoddam laborerium marmorum» disegnato dall’orefice Simone Caldera: verosimilmente un prospetto architettonico, di notevoli dimensioni, da eseguirsi in diciotto mesi per 450 lire genovesi; qualora Leonardo avesse voluto eseguire anche le nove piccole statue presenti nel disegno, avrebbe ricevuto 20 lire genovesi a figura (Alizeri, 1876, pp. 160-166; nel contratto c’è anche, poi cassato dal medesimo notaio, il nome di Francesco di Cristoforo Riccomanni, alla sua prima comparsa al fianco dello zio Leonardo). Il 12 aprile 1462 si stesero nuovi patti: l’opera era cominciata, ma Leonardo intendeva partire per Pietrasanta, e prometteva di finirla una volta tornato, in giugno (Alizeri, 1876, pp. 166 s.). Non sappiamo se egli rispettasse l’accordo, ma un frontespizio fu effettivamente eseguito, poiché nel 1475 si chiedeva a Giovan Donato da Maroggia di ornarlo con sette statue.

La documentata attività genovese di Riccomanni – anche se le altre attribuzioni locali di Federigo Alizeri (1876, pp. 148-159) sono tutte cadute – conferma che egli non si recò a Roma alla corte del papa Niccolò V, il sarzanese Tommaso Parentucelli, secondo quanto si pensava soprattutto nell’Ottocento (Milanesi, 1881, p. 104; Sforza, 1884, p. 272; Rossi 1936; Bertoldi, 2007). Da respingere pure l’attribuzione a Leonardo (Sciolla, 1970), peraltro pressoché ignorata dalla critica, del monumento funebre del pontefice (Roma, S. Pietro, Grotte). Il Riccomanni fu invece al servizio del cardinal Filippo Calandrini, fratello uterino del pontefice, che commissionò al pietrasantino e al di lui nipote Francesco di Cristoforo una seconda, ancor più grandiosa ancona marmorea per l’altare maggiore della cattedrale di Sarzana (la pala già esistente venne spostata nella nuova cappella di S. Tommaso, consacrata nel 1460).

Il 13 ottobre 1463, a Pietrasanta, Leonardo e Francesco promettevano al Calandrini e a due operai della Cattedrale di Sarzana di scolpire «unam tabulam sive mayestatem marmoream pro altari maiori dicte ecclesie», nel termine stabilito da un contratto rogato il giorno avanti (Sforza, 1884, pp. 266, 297-299 nota 88); pare che il compenso fosse di 1100 lire genovesi (De Rossi, 1710 circa, con richiamo a uno strumento notarile oggi smarrito; notizia ripresa a stampa da Targioni Tozzetti, 1779). L’accordo doveva però essere antecedente, dacché già nel luglio di quell’anno i due ricevevano 60 ducati «per parte di lire duecento per la prima paga della Maiestà de marmoro deno fare a l’altar grande» (Neri, 1877, p. 308; Sforza, 1884, p. 265). Non mi pare invece sia Riccomanni quel «domino Leonardo» (non «magistro») cui il Calandrini aveva scritto l’8 giugno 1460 «ut curet quod paries ecclesie compleatur» (Alliani - Artizzu - Mauro, 2007; Manfredi, 2007). L’esecuzione dell’ancona andò a rilento: il 16 ottobre 1470 Leonardo prometteva di concluderla entro un anno e nominava il nipote Francesco suo procuratore per chiedere in prestito al cardinale i 100 ducati necessari a iniziare, concessi seduta stante (Milanesi, 1881, pp. 108 s.; Sforza, 1884, pp. 265-266, 296 s. n. 87). Ad ogni modo, alla morte del Calandrini, nel 1476, l’ancona era completa al suo posto (Sforza, 1884, p. 302 nota 101); venne trasferita nella cappella della Purificazione, sua sede attuale, nel 1640 (Neri, 1875, pp. 227-232, 242 s., doc. I; Sforza, 1884 p. 264), con l’esclusione del pannello centrale con l’Assunzione, rimasto nel coro – ma ricollocato al suo posto poco prima del 2010 – e sostituito da una Purificazione di Gesù di Domenico Sarti da Carrara (1642).

L’impianto generale della pala dell’Assunzione denuncia un tentativo di adeguamento ai nuovi moduli rinascimentali fiorentini, come mediati da Andrea Guardi nell’ancona di S. Andrea a Carrara (Donati 2015, pp. 121 s.). Il registro principale è ancora omologo a quello dell’ancona dell’Incoronazione, ma tutta la sezione superiore è articolata per segmenti orizzontali con rilievi narrativi e ornamentali. L’esecuzione coinvolse evidentemente mani diverse (per le opinioni circa le spettanze: Aru, 1906, pp. 466 s.; Id., 1908, pp. 412-414; Donati, 1999, pp. 41 s.; Id., 2000, p. 446; Id., 2010, pp. 144-150), alcune delle quali ormai lontane dall’arte del Riccomanni (si vedano la Decollazione del Battista , le Storie della Passione, la mezza figura di S. Tommaso). La mano di Leonardo – che forse, se scomparve nel 1472 (come sembra indicare Milanesi 1881, p. 105 nota 2), non assisté al termine dei lavori e alla messa in opera – è unanimemente riconosciuta nella sola Assunzione mediana; ma anche i Santi, più plasticamente risentiti pur nelle pose stereotipate, sono per lo più condotti con un nerbo e un'attenzione al dettaglio che ben si addicono a un’esecuzione da parte dell’anziano scultore, ovviamente sostenuto da aiuti. Certo è che, rispetto al registro principale della pala dell’Assunzione, è meno energica, anzi per così dire spompata, quella che fu forse l’ultima opera di Leonardo, il trittico di S. Pantaleone a Pieve a Elici (Massarosa), la cui epigrafe ricorda il committente pievano Spinetta de’ Nobili (d’una schiatta imparentata con i Calandrini) e la data del 1470. L’allogagione era, d’altronde, di portata minore.

Come riconobbe il Middeldorf (1977), Leonardo fu valido protagonista d’un filone di scultura in un’area della Toscana (quella occidentale) con caratteri autonomi rispetto ai centri principali della regione; il largo raggio della sua attività, in massima parte extra toscana, lo potrebbe far definire, in altro modo, uno «scultore di costa» (Donati, 2015, pp. 69-73). La sua maniera, mai banale, reinterpretò in stile personalissimo, nel gusto dell’accento patetico e d’una sintassi franta e spezzata dei panneggi, lo spirito gotico ancora vitale in Jacopo della Quercia (ma anche in artisti fiorentini quali Lorenzo Ghiberti e i Lamberti) e, senza mai smentirlo, lo coniugò poi con gli impulsi gaginiani verso una maggiore presenza statuaria, fattasi infine quasi brutale nella seconda pala per Sarzana – verosimilmente a causa del confronto con il fiorentino Andrea Guardi.

Francesco di Cristoforo, nipote di Leonardo, non ha quasi lasciato traccia documentaria di sé al di fuori dei rapporti di lavoro con lo zio (dal 1452 al 1470, come abbiamo visto). Comunque il 14 gennaio 1475 Francesco, in società con Matteo di Giovanni Cioli da Firenze, riceveva l'incarico di completare la pavimentazione interna a marmi commessi del bassocoro della cattedrale di S. Martino a Lucca; l'11 marzo dello stesso anno il lapicida prendeva in affitto una casa in Lucca, vicina al duomo, per un periodo di tre anni (Caglioti, 2011, pp. 87-90, n. 132, 99-101, n. 3). Morì entro il 1490 (Milanesi, 1881, p. 105 nota 2). Difficile attribuirgli una fisionomia diversa da quella d’un fedele settatore. Ci si chiede se una sua attività in proprio vada identificata nell’autore, già stilisticamente individuato (Cavazzini - Galli, 1999, p. 120 nota 2), della Madonna col Bambino a rilievo al centro del trittico di Castiglione Vara (1479), della statua di Madonna col Bambino oggi nel Museo diocesano di Sarzana (dall’ospedale di S. Bartolomeo) e di certe parti della pala dell’Assunzione (predella con la Morte della Vergine; aggiungerei anche la Crocefissione di Pietro).

Fra i figli di Cristoforo che praticarono l’arte del lapicida, ma senza elevarsi dal rango di onesti mestieranti operosi in ambito locale, vanno ricordati Giovanni e Lorenzo. Giovanni, nato nel 1457, avrebbe dovuto valutare il ciborio di S. Martino a Pietrasanta eseguito da Lorenzo Stagi (secondo una clausola del contratto di commissione in data 29 novembre 1497). Lorenzo subentrò invece al fratello nella valutazione dello stesso manufatto in data 10 aprile 1502, fu anziano nel 1504, il 12 aprile di quell’anno presenziò alla commissione del piedistallo per il ciborio dello Stagi in S. Martino, nel giugno 1508 stimò il pulpito della medesima chiesa, e visse oltre il 1522 (Santini, 1862, pp. 191 s.; Milanesi 1881, pp. 105 nota 2, 109 s.; Russo, 1992, pp. 35, 46, 56, 59, 65 s.). Si è proposto di identificare in Lorenzo Riccomanni il maestro Lorenzo da Pietrasanta che lasciò la sua firma sotto il rosone della facciata della cattedrale di Pietrasanta, datata 1474 (Milanesi, 1881, p. 109; Sforza, 1884, p. 269). È ormai abbandonata l’ipotesi per cui sarebbe stato un Riccomanni lo scalpellino e architetto Giacomo di Cristoforo da Pietrasanta, attivo a Roma nella seconda metà del Quattrocento.

La famiglia si estinse con la morte di Filippa nel 1563 (Santini, 1862, p. 191; l'albero genealogico a p. 243, però, è concluso da un Filippo scomparso nel 1570).

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Milanesi, in Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari, VI, Firenze, 1881, pp. 103-110; A. Neri, Un monumento ignoto, in Giornale ligustico di archeologia, storia e letteratura, XI (1884), pp. 463-466; G. Sforza, La patria, la famiglia e la giovinezza di papa Niccolò V. Ricerche storiche, Lucca 1884, pp. 264-269, 272, 295-301, note 81-89, 302 nota 101; G. Milanesi, Nuovi documenti per la storia dell'arte toscana dal XII al XV secolo, Firenze 1901, pp. 82-84, n. 101; L.A. Cervetto, I Gaggini da Bissone, loro opere in Genova e altrove. Contributo alla storia dell’arte lombarda, Milano 1903, pp. 57, 61, 250, n. 10; F. Podestà, Arte antica nel duomo di Sarzana, Genova 1904, pp. 39-59; C. Aru, Notizie della Versilia. Gli scultori di Pietrasanta, in L’arte, IX (1906), pp. 463-472 (in partic. pp. 466 s).; W. Suida, Genua, Leipzig 1906, pp. 52 s.; C. Aru, Gli scultori della Versilia, in Bollettino d’arte, II (1908), 11, pp. 403-422; P. 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