GUALINO, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUALINO, Riccardo

Francesco Chiapparino

Nacque a Biella, il 25 marzo 1879, da Giuseppe, titolare di una piccola azienda di oreficeria destinata ad avere un certo sviluppo nei primi decenni del nuovo secolo, e Rina Colombino, ottavo di dieci fratelli.

La famiglia, pur non particolarmente agiata, non era priva di mezzi economici e gli consentì di completare con tranquillità gli studi ginnasiali.

Il G. manifestò allora una certa inclinazione verso la letteratura, che si tradusse in quella "fede carducciana", come egli stesso la definì, consegnata poi al volumetto di versi Domus animae (Bologna 1901).

Terminato il liceo nel 1896, decise di non entrare nell'azienda paterna, già affollata dai fratelli maggiori, ma di cercare una strada autonoma nel mondo degli affari. Dopo una prima breve esperienza in una piccola azienda laniera biellese, accettò la proposta di A. Bagnara, suo futuro cognato, di recarsi come apprendista nell'azienda di importazione di legnami americani che questi gestiva a Sestri Ponente. A Genova il G. rimase circa cinque anni, durante i quali, tra l'altro, studiò giurisprudenza e fece il servizio militare.

Nel capoluogo ligure compì il suo apprendistato, sia seguendo come impiegato l'attività dell'azienda del cognato nel porto ligure o nella segheria di Sestri, sia sperimentando le sue non comuni doti di venditore come commesso viaggiatore nei mercati dell'Italia settentrionale.

Chiuso bruscamente nel 1901 il rapporto con Bagnara, non senza strascichi legali per via delle accuse da questo rivoltegli di aver sottratto rapporti e clientela, il G. continuò a lavorare come viaggiatore di commercio a provvigione per varie aziende, legandosi in particolare alla ditta Ramponi di Milano.

Per questa, di cui fu anche procuratore, si occupò dell'importazione di legno d'abete da Trentino, Tirolo e Carinzia, ampliando per questa via le sue conoscenze nell'ambiente austriaco e acquisendo una certa esperienza nel campo dello sfruttamento forestale.

Nel 1904, infine, si trasferì a Casale Monferrato, presso il cugino Tancredi Gurgo Salice, attivo nel tradizionale comparto delle calci. Con questo, di cui avrebbe sposato nel 1907 la figlia Cesarina, e con i futuri cognati Pier Giuseppe ed Ermanno, il G. avviò un sodalizio che rappresentò sempre per lui uno dei punti di riferimento più stabili negli affari come nella vita privata. Con l'approdo a Casale e con la costituzione, nel 1905, della Società in accomandita per il commercio dei legnami, il cui socio accomandante, nonché sottoscrittore di maggioranza, era appunto il cugino Tancredi, si chiude per molti aspetti la fase giovanile della vicenda biografica del Gualino.

Da essa egli uscì con un patrimonio di esperienze relativamente vasto ma innegabilmente concentrato su un settore specifico, e con una formazione tutto sommato tradizionale, riconducibile cioè a un tirocinio essenzialmente pratico nel mondo degli affari, seppure collegato a un livello di istruzione di tipo giuridico-umanistico.

A partire dal 1905 il G. avviò, anzitutto, importazioni di legname pregiato dal Nordamerica, mettendo a profitto le conoscenze maturate a Sestri e realizzando nei due anni successivi ingenti utili. Parallelamente cominciò a interessarsi della Banca agricola di Casale, entrando, probabilmente in occasione dell'aumento di capitale realizzato proprio nel 1905, nel gruppo degli azionisti di controllo del modesto istituto. L'anno successivo entrò in un settore industriale in fortissima espansione come quello del cemento, concorrendo, con i Gurgo Salice, alla costituzione dell'Unione italiana cementi.

In rapido sviluppo negli anni successivi, l'azienda sarebbe divenuta nel 1912 il centro del Sindacato nazionale calce e cementi e, di fatto, il principale antagonista del gruppo Pesenti di Bergamo sulla scena nazionale del comparto. Tuttavia, più dell'Unione cementi, all'interno della quale il G. avrebbe condiviso sempre la sua posizione di vertice con i familiari e si sarebbe ispirato a criteri di gestione relativamente cauti e graduali, furono soprattutto le originarie attività nel settore dei legnami a far da volano al vasto giro d'affari che lo portò alla ribalta delle cronache economiche e finanziarie.

Dopo una falsa partenza, nel 1907, con l'acquisizione della tenuta di Conca, nella Corsica meridionale, che si sarebbe rivelata di difficile sfruttamento, agli inizi del 1908 egli fece confluire la Società anonima per il commercio dei legnami, creata per tale impresa, nella sua precedente accomandita, costituendo la nuova Società anonima Riccardo Gualino, con 5 milioni di lire di capitale.

Suoi partners nella nuova società, come nel precedente affare corso, erano, oltre ai Gurgo Salice, che mantennero tuttavia una posizione un po' defilata, alcuni fra gli amministratori della Banca agricola, il pisano L. Ottina, pure attivo nel settore dello sfruttamento forestale, ed Erminio e Gaudenzio Sella, nipoti di Quintino, ed esponenti della piccola ma assai solida e stimata Banca Sella di Biella, con la quale il G. intratteneva probabilmente rapporti già da tempo. La nuova anonima si lanciò immediatamente in una serie di spettacolari acquisizioni in Europa orientale, entrando in possesso nello stesso 1908 dei 20.000 ettari della tenuta di Listwin, in Volinia (Ucraina occidentale), di tre concessioni del governo rumeno su altrettante aree boschive nei Carpazi orientali (Casin, Soveja e Tulnici, per 7000 ettari complessivi) e, l'anno successivo, della tenuta di Szekler, nei pressi del passo di Ghimeş, poco a nord delle precedenti.

Nel 1910, infine, mentre avviava i vasti e onerosi programmi di sfruttamento di queste proprietà dotandole di segherie, impianti di trasporto e altre infrastrutture, il G. rilevò dal barone A. von Popper la quota di controllo del gruppo della Forst Union AG, pesantemente indebitato con il sistema bancario viennese ma almeno formalmente pur sempre proprietario di una dozzina di tenute nell'Impero asburgico e nella stessa Romania, oltre che titolare della vicepresidenza del cartello degli esportatori austriaci di legname.

Quest'ultimo elemento non era d'altra parte secondario nel progetto del G., che si riprometteva di dare uno sbocco commerciale alle enormi risorse boschive dell'Europa centrorientale e tentò perciò, senza particolare successo, di ottenere un ribasso dei proibitivi prezzi di esportazione fissati dal cartello.

In alternativa alla via austriaca, in collaborazione con la famiglia Piaggio, egli armò anche una piccola flottiglia di velieri da trasporto per l'importazione diretta dal Mar Nero, mentre sul versante della commercializzazione si dotò di una struttura adeguata acquistando nel 1910 il Cantiere lombardo (trasformato in Società nazionale legnami e materiali da costruzione) e avviando la costruzione di un grande magazzino alle porte di Milano. Più che nelle difficoltà di realizzazione, tuttavia, i limiti di un tale disegno erano soprattutto nei suoi presupposti finanziari, poggiando di fatto tutta l'espansione di quegli anni sul ricorso sistematico all'indebitamento e su di un meccanismo per cui ogni nuova acquisizione serviva da garanzia ai crediti ottenuti per la successiva, se non per ripagare se stessa.

Alla base di questa piramide di debiti stavano l'anonima del G., con l'irrisorio capitale di 7,5 milioni di lire nel 1910, e la pesante esposizione delle piccole banche piemontesi, dalla Sella all'Agricola, che infatti dovettero far fronte al panico della clientela e a un corsa agli sportelli quando nel 1912 tutto il sistema si afflosciò.

A partire dal 1911, inoltre, le chiusure sempre più frequenti dei Dardanelli provocate prima dalla guerra di Libia e poi dai conflitti balcanici, sorpresero il G. proprio all'apice dell'indebitamento e mentre attendeva l'arrivo delle prime grosse partite di legna nei porti occidentali, facendo poco dopo fallire anche il tentativo in extremis di cedere la parte maggiore del suo complesso di attività a una combinazione finanziaria anglo-franco-svedese promossa dal futuro ministro degli esteri britannico A. Chamberlain. Nel 1913, quando infine, oberato da oltre 50 milioni di passivi, il G. fu costretto a chiedere una moratoria e a mettere le sue attività nelle mani di una commissione di creditori (tra cui figuravano la Società bancaria italiana, la Banca commerciale italiana, e varie grandi banche austriache e tedesche), questi si rivalsero acquisendo e rivendendo le tenute migliori.

Né esito più fortunato ebbe l'altro fronte di attività da lui aperto nel 1910, con la costituzione della Saint Petersburg Land & Mortgage Company, in combinazione con il finanziere anglo-canadese A. Grenfell, per la lottizzazione e l'edificazione di una vasta area alla foce della Neva, nella capitale russa.

Acquisita anche in questo caso con un meccanismo di debiti a catena la proprietà del terreno, condotta con enormi sforzi la sua opera di bonifica e ultimata la prima serie di costruzioni, egli dovette infatti abbandonare la Russia per lo scoppio della guerra, per vedersi poi inghiottire "Nuova Pietroburgo" (tale era il nome del quartiere), al pari della tenuta di Listwin messa fortunosamente al riparo dalla liquidazione del 1913, dalla Rivoluzione del 1917.

Dopo il crollo degli interessi all'estero e l'assoluzione per insufficienza di prove nel 1915 al processo intentato contro di lui da alcuni azionisti di minoranza della sua società, il G. riprese l'attività nel settore del legname e dei materiali da costruzione incentrata sull'azienda di Milano, intrattenendo buoni rapporti con i Feltrinelli, compiendo investimenti fondiari a Roma, cominciando ad avvicinarsi alla chimica e soprattutto spostandosi su settori, come quello del commercio del carbone, divenuti estremamente redditizi con la guerra. La ripresa in grande stile del suo giro di attività data tuttavia al 1917, quando, in stretta combinazione con G. Agnelli, si inserì nel grande affare dei trasporti degli aiuti americani all'Europa. È in questa fase che alla Società marittima e commerciale italiana, da lui creata già nel 1914, si affiancarono la Società di navigazione italo-americana (SNIA) e due imprese negli Stati Uniti: la Marine & Commerce Corporation of America e la International Shipbuilding Company, rispettivamente dedite al commercio del carbone e alla produzione di motonavi nel Texas.

Strettamente finalizzate allo sfruttamento della congiuntura, entrambe queste società fallirono clamorosamente con la crisi di riconversione dell'immediato dopoguerra, valendo non di meno ingenti profitti al loro fondatore.

Sin dal 1918, d'altra parte, il G. era impegnato al fianco di Agnelli nello scontro con il gruppo Ansaldo-Banca di sconto dei fratelli Perrone, che condusse i due a incrociare le partecipazioni della FIAT e della SNIA e portò il G. ad avere un ruolo decisivo nel controllo azionario della casa automobilistica torinese. La vicepresidenza della FIAT - di fatto sempre gestita in stretto raccordo con Agnelli - e il notevole, ancorché parziale, successo del tentativo di scalata al Credito Italiano condotto agli inizi del 1920, portarono il G. alla ribalta della scena economico-finanziaria nazionale. Questa posizione sarebbe stata tuttavia in parte ridimensionata dalle difficoltà di riconversione della SNIA nella successiva crisi del 1921: i forti finanziamenti ottenuti dal Consorzio Sovvenzioni sui Valori Industriali (cioè, in pratica, dalla Banca d'Italia di Bonaldo Stringher) grazie ai buoni uffici di Agnelli, costrinsero infatti il G. a cedere la propria quota del sindacato di controllo della FIAT, e a moderare la pressione esercitata sul Credito Italiano. Quest'ultima sarebbe poi definitivamente cessata dopo il rinnovato tentativo di scalata del 1924.

La collaborazione con Agnelli si sarebbe poi estesa, fino alla metà degli anni Venti, a tutta una serie di affari ulteriori, dal tentativo di scalata al Credito italiano, all'acquisto de La Stampa, alle manovre sulla Gazzetta del popolo, al progetto di collegamento dei tre poli del triangolo industriale, Milano, Genova e Torino, con una ferrovia celere, fino ai comuni e via via più conflittuali interessi nel settore dei cementi e in quello dell'auto.

Parallelamente, a partire dal 1920, prese il via la terza e più fortunata stagione d'affari del G., quella della SNIA, trasformata, appunto quell'anno, in Società nazionale industria e applicazioni viscosa.

Rilevati alcuni brevetti e due piccoli impianti sperimentali, egli realizzò enormi investimenti nel settore della seta artificiale, facendo della SNIA, entro il 1925, una delle maggiori imprese italiane e una delle principali produttrici di rayon a livello mondiale, capofila di un vasta costellazione di cui facevano parte imprese come il Setificio nazionale, l'Unione fabbriche viscosa, la Società italiana seta artificiale o i Calzifici nazionali riuniti.

Sull'onda del successo nel nuovo comparto chimico-tessile, le attività del G. ripresero a espandersi a macchia d'olio. Nel 1921, in particolare, egli acquisì il controllo, inizialmente sempre insieme con Agnelli, della Banca Cravario & C., trasformata per l'occasione in Banca agricola italiana.

Con ciò il G. ebbe anzitutto la possibilità di regolare le pendenze rimaste aperte dal periodo prebellico con la Banca agricola di Casale, che venne rapidamente assorbita dal nuovo istituto. Soprattutto, specie dopo l'acquisizione verso la metà degli anni Venti del Credito piemontese, della Banca della penisola sorrentina e della Banca biellese, la Banca agricola italiana divenne di fatto la sua banca mista, una struttura con una clientela ramificata e buone capacità di raccolta del risparmio, su cui far poggiare ampie e spesso spericolate combinazioni d'affari.

Nel 1924, inoltre, mentre rilanciava l'attività dell'Unione italiana cementi, egli costituì la più grossa concentrazione dolciaria italiana, l'Unica, riprendendo un vasto programma di investimenti varato nell'immediato dopoguerra dalla multinazionale svizzera Tobler.

L'Unica riunì alcune delle maggiori aziende nazionali del comparto, dalla Talmone, alla Moriondo & Gariglio, alla Bonatti, con l'obiettivo di trasformare il cioccolato in un genere di consumo di massa, ma risultando nei fatti ben presto sovradimensionata rispetto al ristretto mercato italiano del settore.

Alla metà degli anni Venti, il G. era oramai uno dei personaggi di spicco del panorama economico-imprenditoriale italiano, padrone di uno degli imperi industriali più vasti del paese e centro di articolate reti di interessi che lo legavano ai maggiori esponenti del mondo finanziario nazionale e internazionale. Sono questi gli anni in cui i successi tecnici e produttivi delle sue aziende, e segnatamente della SNIA, ricevettero l'apprezzamento di B. Mussolini, il quale per altro verso si vedeva costretto a tollerare le frequentazioni artistico-intellettuali del G., se non esplicitamente ostili al fascismo, quanto meno ostentatamente a esso estranee.

La grande casa che il G. possedeva a Torino, la villa di Sestri Levante o il castello nei pressi di Casale, divennero il punto d'incontro di un ambiente tra i più raffinati e vivaci della cultura torinese dell'epoca, di cui fecero parte, tra gli altri, il critico L. Venturi, F. Casorati - che curò personalmente l'allestimento del piccolo teatro privato di cui disponeva l'abitazione cittadina del G. -, i pittori del gruppo dei "Sei di Torino" (L. Chessa, F. Menzio, C. Levi, E. Paolucci, N. Galante, Jessie Boswell), e M. Soldati, che di tale entourage, della sua atmosfera, nonché della figura del G., ha lasciato testimonianza nel romanzo Le due città (Milano 1964).

In questi anni il G. raccolse la porzione più consistente della sua eccezionale collezione d'arte - per cui nel 1927 progettò la costruzione di una grande villa-museo (rimasta poi incompiuta) sulla collina di San Vito - che oggi è in parte conservata alla Galleria Sabauda di Torino. Del 1925 è poi la creazione del teatro di Torino, i cui cartelloni ospitarono proposte fra le più stimolanti e cosmopolite del panorama artistico-culturale coevo: autori quali I. Stravinskij e A. Casella, i balletti russi di S. Djagilev o il teatro ebraico Habima.

Le fortune del G. cominciarono tuttavia a declinare dopo la metà del decennio. La manovra di rivalutazione della lira per un verso aggravò il forte indebitamento su cui si fondava il suo impero industriale, dall'altro annullò le prospettive di espansione del mercato nazionale e degli stessi sbocchi esteri cui era legato il successo della maggior parte delle sue imprese.

Le esplicite proteste del G. per la politica di "quota 90", per quanto espresse in forma privata in una famosa lettera dell'aprile 1927, dovettero indispettire Mussolini. D'altro canto, già l'anno precedente i crescenti contrasti con Agnelli, non da ultimo causati dagli interessi del G. e dei suoi nuovi soci francesi nel settore automobilistico, erano sfociati in una rottura con la FIAT e di fatto, ne fosse questa la causa o il sintomo, in un pericoloso isolamento del G. dal fronte confindustriale.

A una simile situazione il G. reagì spostando all'estero il baricentro dei suoi affari: in Inghilterra, ove ottenne un importante credito della Hambro's Bank, e soprattutto in Francia, ove già nella prima metà degli anni Venti era divenuto padrone del notevolissimo patrimonio immobiliare della Paris Foncier e dove, in occasione della quotazione in borsa dei titoli SNIA, nel 1926, aveva avviato un'intensa collaborazione con il banchiere parigino A. Oustric. Insieme con questo, in particolare, il G. creò un impero finanziario-industriale di dimensioni non dissimili da quelle dei suoi interessi italiani, il quale tuttavia, basato anch'esso su una girandola di debiti e su spericolate operazioni di borsa, non valse a frenare il progressivo deterioramento della sua posizione.

Nell'orbita dei due finanzieri, o della loro Holding française, creata nel 1928 insieme con la corrispettiva Holding italiana, entrarono imprese automobilistiche, come la Peugeot e la Ford francese, partecipazioni nel settore assicurativo (Union vie) e soprattutto aziende del settore tessile, chimico-tessile, e dell'abbigliamento: Blanchisseries de Thaon, gli Établissements Desurmont (lana) di Rubaix, la filanda Bloch in Alsazia, la Sarlino (Societé anonyme rémoise de linoleum) principale produttrice francese del settore, gli Établissements Maréchal di Lione (tela cerata), varie maisons dell'alta moda parigina come Deuillet-Doucet, Agnès e Germaine Patat, e il grande gruppo delle Chaussures françaises, che riuniva 17 stabilimenti, sette catene di negozi al dettaglio e circa 10.000 dipendenti.

Tale acquisizione nel comparto calzaturiero, in particolare, era collegata all'ultimo grande progetto industriale del G. negli anni Venti, quello della Salpa Ltd., una società di Terranova da lui costituita in base ai contatti con gli ambienti finanziari anglo-canadesi di cui disponeva già da prima della Grande Guerra, finalizzata allo sfruttamento commerciale di brevetti per la fabbricazione di cuoio artificiale e rigenerato. Sorta nel 1928, la Salpa costituì un impianto sperimentale e avviò la costruzione di grandi fabbriche in Italia, Francia e Stati Uniti d'America, mentre parallelamente lanciava una serie di cospicue sottoscrizioni azionarie nei tre paesi: era il meccanismo su cui si basava, e si era basata, la maggioranza delle altre operazioni del G., consistente essenzialmente nell'avviare, indebitandosi, sempre nuovi progetti industriali - non di rado assai suggestivi per la vastità delle loro dimensioni e il respiro della loro stessa concezione imprenditoriale, ma di realizzabilità tutt'altro che scontata, specie alla vigilia della recessione mondiale - e di rastrellare poi fondi sui mercati finanziari.

Presi nel meccanismo del loro continuo gioco al rialzo il G. e Oustric arrivarono, seppure per brevi periodi e controllando molto parzialmente le leve del potere effettivo, a occupare i vertici di imprese quali la Peugeot, la Tobler o, in Italia, la Cinzano. Ciò permise loro di garantire con i nomi di queste aziende nuove vaste emissioni di titoli e così per qualche tempo di tamponare la situazione di crescente indebitamento in cui andavano sempre più avvitandosi e che la crisi internazionale del 1929 avrebbe fatto precipitare.

Il crollo della vasta costellazione d'affari del G. partì proprio dalla Francia, con il fallimento, nel 1930, della Banca Adam, una controllata del gruppo Oustric, seguita dal tracollo, a catena, di tutto il giro d'interessi che ruotava intorno al socio francese, di cui si scoprirono oltretutto le malversazioni con il governo socialista all'epoca dell'introduzione in borsa dei titoli della SNIA.

Con quest'ultima ormai sotto la tutela del cartello internazionale del rayon, le altre imprese, dall'Unica all'Unione cementi, in gravi difficoltà per la recessione, lo scandalo Oustric fece venir meno anche molte delle garanzie - prima fra tutte la Salpa - con cui il G., tra il 1929 e il 1930, aveva ottenuto almeno un paio di interventi straordinari della Banca d'Italia a favore della Banca agricola.

Agli inizi di ottobre 1930, attaccato frontalmente da Mussolini con un discorso al Consiglio delle corporazioni, bollato come speculatore dalla Confindustria e oramai conclusa l'era di B. Stringher alla Banca d'Italia - con cui aveva intrattenuto per due decenni rapporti in qualche modo preferenziali -, il G. venne arrestato nel gennaio 1931 e condannato dal tribunale speciale a cinque anni di confino a Lipari per aver arrecato gravi danni all'economia nazionale. Le attività della Banca agricola vennero smembrate e passate a vari istituti di credito, la SNIA passò sotto il controllo di F. Marinotti e S. Borletti, mentre le altre aziende del gruppo vennero liquidate o temporaneamente affidate a gestioni straordinarie sotto la vigilanza dall'Istituto di liquidazioni.

Complessivamente, a due anni dal crack, una volta portata a termine cioè la prima fase della liquidazione, i vari organismi dello Stato accusavano ancora poco meno di 300 milioni di lire di perdite, che si sarebbero ridotti poi di circa un sesto attraverso le cessioni e i risarcimenti realizzati entro gli anni Trenta. Di là da questi ammanchi, tuttavia, l'eccezionalità e la spettacolarità delle misure prese contro il G. furono uno strumento che permise al regime di dimostrare la propria imparzialità e la propria autonomia dai potentati economici, colpendo al tempo stesso un personaggio ormai di fatto piuttosto isolato dagli ambienti confindustriali.

Mussolini, per altro, non infierì sul G. il quale rimase alle Eolie poco più di un anno, per vedere poi accolta la richiesta di trasferimento a Cava de' Tirreni e riottenere infine la libertà nel settembre 1932. Negli anni successivi il G. riprese a tessere la trama dei suoi affari, sia pure da una posizione più appartata che in passato. Insieme con l'Italia, sede delle sue attività continuò a essere in quegli anni in primo luogo la Francia, ove pure era stato processato e condannato nel gennaio 1933, ma dove aveva comunque concentrato una parte consistente delle sue risorse.

Già intorno alla metà del decennio, personalmente o attraverso parenti e prestanome, lo si ritrova Oltralpe alla testa di vasti giri d'interessi nel settore immobiliare e in quello della grande distribuzione (Société anonyme des cafés et restaurants français e partecipazioni ai magazzini Bon marché), nonché di una finanziaria lussemburghese, il Consortium privé, che con la sua controllata parigina, il Comptoir privé, diretto da P.G. Gurgo Salice, realizzò operazioni ad ampio raggio sul mercato valutario e su quello dei titoli azionari.

Con l'appoggio della Banque de l'Union parisienne, in cui era ancora attivo l'amico Oustric, il G. tornò in breve a riprendere le fila di una vasta trama di affari che includeva, tra le altre, le società anonime Roumano-Belge des pétroles, la svizzera S.a. des Fours Pieters (per lo sfruttamento, in combinazione con G. Nobel, di brevetti per la distillazione del carbone), la Compagnie industrielle française du platine o la Mines d'or de peck, per la gestione di giacimenti in Jugoslavia.

I suoi nuovi poli di interesse furono tuttavia soprattutto la chimica e la cinematografia. Nel primo di questi settori l'azienda principale divenne la Rumianca, originariamente un'impresa ausiliaria della SNIA, di cui il G. nel 1933 rilevò il controllo dal gruppo Abegg.

La Rumianca ebbe notevole successo a partire dalla metà degli anni Trenta producendo fertilizzanti e anticrittogamici, per inserirsi poi nei flussi di commesse e finanziamenti pubblici della mobilitazione industriale e fare ottimi affari con le produzioni belliche. Durante la guerra l'azienda disponeva di due stabilimenti nel Novarese per la lavatura dei minerali e produzioni chimiche di base, uno nei pressi di Torino per saponi e uno in costruzione a Carrara per anticrittogamici, nonché di vasti complessi minerari in Val d'Ossola, Sardegna e Calabria per l'estrazione di piriti.

Quanto alla cinematografia, il G. costituì quasi contemporaneamente nel 1934 la Lux francese e la Lux italiana, producendo l'anno successivo il suo primo film, Don Bosco, di G. Alessandrini. Attraverso il cinema, egli non solo ebbe modo di recuperare e mettere a frutto il patrimonio di esperienze e contatti maturati negli anni Venti negli ambienti intellettuali (prima fra tutti la collaborazione con il musicologo G.M. Gatti, già direttore del teatro di Torino), ma aprì anche un importante canale di comunicazione con il regime, partecipando di fatto alla prima stagione di sviluppo della cinematografia nazionale, fortemente voluta dal fascismo.

All'iniziale Don Bosco seguì un periodo di assestamento della casa di produzione; quindi, dal 1940 al 1944, compaiono nel catalogo Lux una serie di autori e di titoli di tutto rispetto (I promessi sposi di M. Camerini [1941], La corona di ferro di A. Blasetti [1941], Un colpo di pistola, Zazà [ambedue del 1942] e La donna della montagna [1943] di R. Castellani, Malombra di M. Soldati [1943], La freccia nel fianco di A. Lattuada [1943-44]), alcuni di considerevole impegno produttivo per l'epoca - come i Promessi sposi e la Corona di ferro -, spesso trascrizioni cinematografiche di testi letterari, secondo una linea che il G. avrebbe privilegiato anche nel dopoguerra.

Ideologicamente estraneo al fascismo, legato all'ambiente dei fuorusciti italiani in Francia, la cui frequentazione non aveva mai interrotto, così come agli ambienti della finanza anglosassone, il G., alla fine della seconda guerra mondiale, si vide restituire i diritti al possesso e all'amministrazione delle aziende da cui era stato interdetto nel 1931. Ormai anziano, condusse una vita appartata nelle sue abitazioni di Roma e Firenze, mentre le sue aziende conoscevano, in quella fase, una nuova stagione di rigogliosa crescita.

La Lux si impose come una fra le maggiori case cinematografiche italiane, punto di aggregazione ed elemento propulsore di un cinema di alto livello professionale dove si formarono molti nomi importanti della produzione cinematografica italiana degli anni successivi come C. Ponti e D. De Laurentis, L. Rovere e A. Mambretti, e ciò grazie alle doti manageriali ma anche alla raffinata sensibilità culturale del G., il quale, al tempo stesso, estese la sua attività anche all'estero, in primo luogo con l'Italian Film Export, costituita nel 1951 e rivolta principalmente verso i mercati americani. La crisi della Lux sopravvenne verso la fine degli anni Cinquanta e vide, all'inizio del decennio successivo, il G. tornare a impegnarsi in un'ultima complessa operazione di ricapitalizzazione, che faceva leva sui flussi finanziari generati dalle indennità per la nazionalizzazione dell'energia elettrica.

La Rumianca, dal canto suo, divenne il centro di un gruppo assai articolato, con numerosi impianti in Italia e significative proiezioni all'estero, operando con successo, già prima del boom economico, in comparti di punta come la chimica di consumo (cosmetici, articoli da toletta) e dei polimeri.

Il G. morì a Firenze il 6 giugno 1964.

Dopo la sua scomparsa la Rumianca e la Lux furono assorbite dalla SIR di Nino Rovelli.

Degli scritti del G. si ricordano ancora: Frammenti di vita, Milano 1931; Uragani, Parigi 1932; Pioniere d'Africa, Milano 1938; Frammenti di vita e pagine inedite, Roma 1966.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 102; Presidenza del Consiglio, 1924, f. 3.8/524; Ministero dell'Interno, Dir. gen. di Pubblica Sicurezza, Affari generali e riservati, b. 48, e Confinati politici, b. 514; Arch. storico IRI, Pratiche societarie, f. 63; Ibid., Arch. stor. della Banca d'Italia, Introna, f. 30; Azzolini, f. 115; Sconti, bb. 164-165; Torino, Arch. della Camera di commercio, Registro ditte, f. 45.179; Milano, Arch. stor. della Banca commerciale italiana, Segreteria generale, cass.12, f. 6; Ibid., Arch. stor. del Credito italiano, Scalata alle banche, Gualino, 1924.

M. Privat, Oustric & cie., Paris-Neully 1930, pp. 61-117; R.A. Webster, L'imperialismo industriale italiano, Torino 1974, pp. 276-281; V. Castronovo, Il Piemonte, Torino 1977, pp. 388 s., 403-406; Dagli ori antichi agli anni Venti. Le collezioni di R. G., a cura di M. Borsano - T. Vitta Zelman, Milano 1982; A. Farassino - T. Sanguineti, Lux Film. Esthétique et système d'un studio italien, Locarno 1984; M. Fini, Pietroburgo, mio Eldorado, in Storia illustrata, 1986, n. 347, pp. 64-71; V. Castronovo, Torino, Roma-Bari 1987, pp. 569-574; F. Chiapparino, Il tentativo di concentrazione dell'industria dolciaria italiana negli anni Venti: G. e l'Unica (1924-1934), in Annali di storia dell'impresa, 1989-90, n. 5-6, pp. 323-374; G.P. Brunetta, Cent'anni di cinema italiano, Roma-Bari 1991, ad ind.; F. Chiapparino, Note per una biografia imprenditoriale di R. G., in Storie di imprenditori, a cura di D. Bigazzi, Bologna 1996, pp. 357-380; Id., G. in Europa orientale (1908-1915), in Imprenditori italiani nel mondo. Ieri e oggi, a cura di D. Bigazzi - F. Rampini, Milano 1996, pp. 99-125; F. Tamburini, Misteri d'Italia, Milano 1996, pp. 20-25; H. Bonin, Oustric, un financier prédateur? (1914-1930), in Revue historique, XCVI (1996), 598, pp. 429-448; N. De Ianni, Gli affari di Agnelli e G., 1917-1927, Napoli 1998; M. Orsi, L'evoluzione della Snia Viscosa tra gli anni Venti e Trenta, in Imprese e storia, 1999, n. 19, pp. 7-46.

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