CONTI, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTI, Riccardo

Mark Dykmans

Figlio di Trasmondo - titolare, a quanto sembra, di piccole proprietà presso Segni - e di Clarissa Scotti, nacque prima del 1160, anno cui si fa' risalire la nascita dei fratello Giovanni Lotario, il futuro Innocenzo III, di cui era più anziano. La storiografia recente ha sollevato dubbi sull'esistenza del cognome Conti nei secoli XII e XIII. La questione, però, non ha trovato ancora una definitiva soluzione: pertanto in questa sede ci limitiamo a segnalare il problema e accogliere la prevalente tradizione storiografica.

Il C., nato, secondo una tradizione, ad Anagni, viene ricordato nelle fonti solo a partire dal pontificato del fratello con cui collaborò attivamente nell'esecuzione della politica temporale della S. Sede a Roma e nel Lazio. Egli è citato per la prima volta a proposito della lotta apertasi tra il Comune romano e Viterbo nell'ultimo anno del secolo XII e nei primissimi del successivo. Il pontefice non era in grado di opporsi alla politica espansionistica del Comuneromano, ed era preoccupato soprattutto di non turbare gli equilibri raggiunti negli ultimi tempi tra l'autorità apostolica e quella municipale. In questo quadro deve perciò essere considerato il contributo finanziario concesso dal C. a Roma in occasione della seconda campagna militare contro Viterbo, databile al 1199 o al 1201. È presumibile che lo stesso pontefice inducesse il C. a concedere la somma.

Subito dopo la conclusione della lotta tra i due Comuni, Innocenzo III cercò di modificare gli equilibri precedenti per affermare la propria autorità temporale a Roma e nel Lazio. Già nella mediazione svolta tra le due città in guerra egli sottolineò la superiore potestà della S. Sede sui contendenti, suscitando considerevoli malumori tra i Romani. Subito dopo il pontefice operò per ampliare i feudi che aveva fatto acquistare dalla sua famiglia a partire dagli ultimi anni del secolo XII, al fine di far raggiungere ai propri congiunti una posizione di primo piano tra le casate baronali della Campagna. L'obiettivo era duplice: da un canto la famiglia doveva diventare uno strumento per consolidare l'autorità pontificia nel Lazio meridionale ai confini con il Regno; dall'altro doveva partecipare, in posizione privilegiata, al gioco che le fazioni baronali svolgevano all'interno della vita municipale romana in opposizione a quelle che si muovevano nel senso di accentuare l'autonomia del Comune dall'autorità pontificia. Nell'ambito di questa politica il C. svolse una funzione di primo piano quale capo della famiglia del pontefice.

Il primo ampliamento dei feudi del C. si realizzò nei riguardi dei possedimenti del signore di Poli, Ottone. Quest'ultimo, appartenente ad una famiglia di antica nobiltà, si trovava in gravissime condizioni economiche. All'inizio del secolo XIII il C. gli concesse il denaro necessario per pagare i debiti e in cambio ottenne, a titolo di pegno, il possesso dei feudi di Ottone che comprendevano, oltre a Poli, Guadagnolo, Faustiniano, Anticoli, Monte Manno e altre terre. Nello stesso tempo il C. propose il matrimonio dei proprio figlio Giovanni con la figlia di Ottone, Costanza, nella speranza di far passare definitivamente alla propria famiglia i feudi dei Poli. Ottone si oppose e, sostenuto dagli Orsini - antichi avversari dei Conti e a capo di una delle più influenti fazioni baronali a Roma - cercò di sollevare il popolo romano contro il C. e il pontefice. Nell'aprile del 1203 la torre dei Conti - che era stata fatta costruire in città dal C. con il denaro del fratello - venne assediata da una grande folla e il 7 aprile - giorno del lunedì di Pasqua - la cerimonia pontificia venne disturbata da sostenitori di Ottone. Questi in Senato denunciò le mire espansionistiche del papa, avvertendo che l'ampliamenta dei feudi del C. avrebbe nuociuto all'autorità del Comune di Roma nella Campagna settentrionale. Infine dichiarò di cedere al Comune le proprie terre.

La questione di Poli sì veniva ad inserire nel dissidio che divideva il papa dal Comune romano, dissidio che costrinse Innocenzo III ad abbandonare la città nella primavera del 1203. A novembre dello stesso anno si aprì, poi, il problema dell'elezione del nuovo Senato. Le fazioni romane si divisero in due schieramenti: da una parte erano i sostenitori della piena indipendenza del Comune guidati da Giovanni Capocci e Iacopo Frangipane, dall'altra coloro che propugnavano un maggior intervento dell'autorità pontificia anche nella scelta dei senatori. Il C., insieme con Pandolfò della Suburra e Pietro Annibaldi, capeggiava il secondo partito. I popolari riuscirono in breve tempo a prevalere e dichiararono Poli proprietà del Comune. Ma il dissidio non era concluso; anzi dall'ìnizio del 1204 si trasformò in lotta armata tra le due fazioni con conseguenti, gravi distruzioni nella città. li C. e il pontefice si mossero abilmente e riuscirono ad ottenere - probabilmente dietro versamento di consistetiti somme - l'adesione di importanti famiglie romane. Rientrato a Roma nel marzo 1204, in ottobre Innocenzo III riuscì a far accettare ai contendenti il proprio progetto di pace, progetto secondo il quale la questione della scelta dei senatori veniva affidata a quattro arbitri. Le residue opposizioni popolari non riuscirono a coinvolgere la maggioranza delle famiglie romane, stanche della lotta e pronte ormai ad accettare l'autorità pontificia. I quattro arbitri assegnarono la nomina dei senatori al papa senza provocare nuove opposizioni. Così come nessuna reazione venne dal partito popolare alla formale investitura dei feudo di Poli che Innocenzo III aveva fatto al C. già prima del mese di ottobre.

Il ruolo del C. nell'ambito della politica del fratello proseguì negli anni successivi. L'accordo tra Innocenzo III, e Filippo di Svevia per la corona imperiale, ad esempio, prevedeva, tra l'altro, che uno dei figli del C. avrebbe ricevuto dal futuro imperatore la Tuscia, il Ducato di Spoleto e la Marca di Ancona e avrebbe sposato una figlia di Filippo. L'accordo non poté realizzarsi per la morte di quest'ultimo nel 1208. Proprio in quell'anno, comunque, il pontefice provvide ad ampliare i feudi del C. acquistando, probabilmente nell'estate, dai canonici lateranensi il castello e la torre di Valmontone che assegnò subito dopo al fratello. Nel feudo, che comprendeva anche Sacco e Piombinara, il C. costruì in seguito un palazzo.

L'acquisto di Valmontone consentiva al C. di congiungere i propri possedimenti di Poli con quelli che la famiglia aveva tra Anagni e Segni. Il C. diveniva uno dei principali signori della regione ed era in grado di svolgere un'efficace funzione di sostegno al consolidamento dell'autorità pontificia nelle terre a sud di Roma. Sempre nel 1208, inoltre, Innocenzo III decise di ampliare i feudi del fratello oltre i confini tradizionali delle regioni pontificie. La contea di Sora faceva parte del Regno e come tale era stata assegnata da Enrico VI nel 1191 a Corrado di Marlenheim. La S. Sede, però, la considerava come proprio feudo, vantando una concessione di Carlo Magno. All'inizio del 1208 Innocenzo III procedette all'acquisizione della contea. Nel febbraio l'abate di Montecassino, Roffredo, riuscì a cacciare da Sora Corrado che si rifugiò nella fortezza di Torella. Qui truppe pontificie, al comando del C. e del camerario papale Stefano, lo assediarono e in breve riuscirono a sconfiggerlo e a farlo prigioniero. Nell'ottobre a Ferentino, al termine del viaggio che lo aveva portato nel Lazio meridionale, Innocenzo III investì il C. della contea di Sora. Il 28 febbr. 1209 il pontefice confermò al fratello tutti i possedimenti che si estendevano ormai su un'area molto vasta tra il Circeo e Sora. L'anno successivo il C. difese validamente la contea di Sora dagli attacchi delle truppe di Ottone di Brunswick e nel 1215 ottenne dal giovane Federico II il pieno riconoscimento della sua signoria con la così detta Bolla d'oro di Spira dell'ottobre.

Con l'acquisto della contea di Sora il sistema di feudi e di proprietà dei Conti e delle famiglie ad essi legati raggiunse la sua maggiore ampiezza. Le terre del C. e quelle degli Annibaldi, a lui uniti da vincoli di parentela, si estendevano per un vasto tratto della Campagna, i cui confini possono essere indicati da Sora, Falvaterra e il monte Circeo. All'esterno, il sistema era completato da altri feudi che riconoscevano l'autorità dei Conti ma erano in mano al potente vassallo Giovanni di Ceccano: tali feudi, posti lungo la via Latina e i colli Albani, giungevano sino alle vicinanze di Roma (Waley, p. 55).

La morte di Innocenzo III nel 1216 non ebbe conseguenze immediate sulla potenza del C., il quale mantenne buoni rapporti con il successore dei fratello, Onorio III. Il nuovo pontefice si valeva della fedeltà del C. alla S. Sede e cercò nei primi anni del suo regno di ampliarne i fèudi, tentando di fargli restituire un castello indebitamente occupato dai signori d'Aquino. Ma il C. non riuscì a difendere la contea di Sora quando nel 1220 Federico II, incoronato da poco imperatore, decise di riconquistarla. Alla fine dell'anno Federico fomentò una ribellione nella città e all'inizio del 1221 Sora tornava al Regno.

L'anno successivo il pontefice gli restitui la somma di 1.000 once d'oro che il C. aveva prestato al fratello nel 1208 per l'acquisto da parte della S. Sede di Rocca d'Arce, presso Sora. La perdita della contea, comunque, indusse il C. ad indirizzare altrove la propria politica espansionistica. Secondo il Chronicon di Martino di Tours il C. avrebbe tentato in questo periodo di occupare terre dei Savelli anche per punirli di non averlo aiutato contro Federico II: i contrasti che ne derivarono provocarono gravi disordini a Roma. Dal marzo 1222 il C., ricevutane l'autorizzazione dal pontefice, prestò il suo aiuto militare al cardinale di Ostia, Ugolino (il futuro papa Gregorio IX) per difendere la città contro nemici locali. Tale intervento del C. aveva anche per obiettivo l'acquisizione di terre alla foce del Tevere: edineffetti, sempre nel 1222, egli acquistò terre alla foce e sulle rive del fiume e ne prese altre in affitto dal vescovo di Ostia.

La data della sua morte sembra essere il 24 apr. 1224. se si può dar fede all'indicazione riportata nel calendario dipinto nella sala dei paramenti nell'oratorio di S. Silvestro ai Ss. Quattro Coronati di Roma. Dalla moglie, Luciana, di cui si ignora il casato, aveva avuto tre figli, Paolo, Giovanni e Stefano. Quest'ultimo divenne cardinale; Paolo divenne signore di Valmontone e Giovanni di Poli.

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