ANNIBALDI, Riccardo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANNIBALDI, Riccardo (Riccardo della Molara)

Daniel Waley

Importante membro della potente famiglia romana, l'A. prese il nome con il quale è noto abitualmente dalla fortezza della Molara vicino a Tuscolo, che sembra esser stata sua abituale residenza. La sua famiglia era imparentata per via di matrimoni con quella dei Conti, e quindi con tre papi del secolo XIII, Innocenzo III, Gregorio IX e Alessandro IV. L-A. fu, probabilmente, figlio di Pietro, che aveva sposato una sorella di Innocenzo III, poiché una lettera di Urbano IV indica Innocenzo come "avunculus" dell'Annibaldi. Fu certamente fratello di Annibaldo Annibaldi, senatore di Roma nel 1223-24, 1231, 1241 e 1243-44. Non si sa con certezza la data della sua nascita, che, probabilmente, deve cadere fra il 1200 e il 1210. I primi tempi della sua carriera ecclesiastica e della sua formazione sono altresì ignoti; agli inizi del 1237 fu creato da Gregorio IX cardinale diacono di Sant'Angelo in Pescheria.

Il suo cardinalato doveva durare circa quarant'anni. La durata della sua appartenenza al collegio cardinalizio e il potere della sua famiglia nella Campagna e a Roma resero possibile all'A. di esplicare un'attività di primo piano negli affari papali, in modo particolare durante i pontificati di Alessandro IV, Urbano IV e Clemente IV. La sua influenza si fece sentire sopratutto in questioni relative ai rapporti tra il papa e la città di Roma. Importante la parte da lui avuta nella storia dei movimenti religiosi per la protezione energica ed efficace data al nascente Ordine mendicante di S. Agostino. Gli aspetti temporale e spirituale dei suoi interessi e della sua attività andarono appaiati nel corso del suo lungo ufficio di arciprete della basilica vaticana.

Gregorio IX si valse presto della capacità del nuovo cardinale e della conoscenza che egli aveva della Campagna col nominarlo rettore della provincia pontificia di Campagna e Marittima. Egli ricopriva certamente questa carica il 13 luglio 1240 ma può averla ricoperta anche a una data precedente. Anche in questo caso egli durò in carica per molto tempo perché fu rimpiazzato dal cardinale Pietro Capocci solo nell'aprile 1249.

Campagna e Marittima costituiva forse la provincia in cui il controllo pontificio si manifestava di solito più debolmente a causa delle forti posizioni delle famiglie nobili. Tuttavia, nel periodo del rettorato dell'A. il governo pontificio si dimostrò più attivo in questa provincia che altrove poiché gran parte del restante territorio dello Stato della Chiesa era stato occupato da Federico II ed era governato dai suoi rappresentanti. Il risentimento personale dell'A. nei riguardi dell'imperatore appare chiaramente in una lettera nella quale egli descrive sdegnato le condizioni della Chiesa siciliana e dichiara che opporsi all'imperatore è difendere la fede, a meno di farla perire. Molte lettere sono rimaste a testimoniare l'attività ufficiale dell'A. nella Campagna, consistente per lo più in ingiunzioni ai Comuni per il mantenimento della pace, anche se, nel 1248, egli dovette intervenire ad Anagni nel tentativo di regolare contrasti sociali e interni di quella città. A difficile giudicare se l'esperimento di Gregorio IX nel porre un cardinale "feudatario" al controllo degli altri feudatari avesse successo, ma il fatto che l'A. fu mantenuto nell'incarico da Innocenzo IV induce a credere che anche quest'ultimo considerasse favorevolmente la direzione dell'A. nella Campagna. Nel 1249, quando il cardinale Capocci assunse a sua volta il rettorato di tutte le province papali, l'A. fu trasferito a Roma quale vicario di Innocenzo IV in questa città, carica che egli mantenne fino al 1252. Oltre alla sua attività di governo nella Campagna e nella Marittima, poco si sa della sua vita durante questi primi anni di cardinalato, ma è testimoniato il fatto che egli contrasse la malaria nella località malsana in cui si svolse il conclave che seguì la morte di Gregorio IX (1241). Il vicariato dell'A. pare sia terminato con una missione in Toscana affidata a lui e a Gian Gaetano Orsini (il futuro Niccolò III); scopo della missione, che ottenne un successo modesto, fu la pace tra Firenze e Siena e la pacificazione delle fazioni fiorentine.

In questo periodo, dopo il ritorno di Innocenzo IV da Lione (1252), l'A. cominciò a svolgere una parte importante nel quadro della politica temporale del papa relativamente a Roma e al Regno: fu la sua più notevole attività per i successivi vent'anni.

In questo periodo di incertezza del pontefice a proposito della successione del Regno e di numerose trattative circa il successore, l'A. emerse come il più autorevole fautore del candidato inglese Edmondo di Lancaster, figlio cadetto di Enrico III. Precedenti contatti con la corte inglese erano forse serviti ad assicurare l'appoggio dell'A. alla causa di Edmondo, poiché già nel 1243 Enrico III aveva cercato il suo appoggio per l'elezione dell'arcivescovo Bonifacio alla sede di Canterbury. Negli anni seguenti un gran numero di benefici furono conferiti in Inghilterra ai parenti e familiari dell'A. e nel 1251 egli stesso ebbe una rendita annua di 30 marche dalla corona inglese. Lettere di Enrico III a vari cardinali scritte nel 1256 e nel 1259 mostrano ch'egli era ancora impegnato ad appoggiare Edmondo: il re si offriva di aumentare la rendita nell'ultimo anno, ma nel 1268 i pagamenti erano molto arretrati. La politica interna e i problemi finanziari di Enrico III fecero cancellare il nome di Edmondo dalla lista dei possibili re di Sicilia, ma in questo momento i rapporti tra l'A. e l'Inghilterra erano tali da influenzare l'atteggiamento del cardinale anche verso gli affari di Roma. Gli Annibaldi erano stati naturalmente tra quei nobili osteggiati e perseguitati da Brancaleone nel corso del suo regime popolare, ma la morte di Brancaleone e la rapida caduta del suo successore e zio Castellano (1258) avevano reso possibile una ripresa dei feudatari. Alla ricerca di un senatore favorevole ai nobili l'A. si rivolse al conte Riccardo di Cornovaglia, fratello più giovane di Enrico III; Riccardo era un pretendente al trono imperiale e aveva mostrato di recente interessi per il senatorato romano. L'A. e il cardinale inglese Giovanni di Toledo esplicarono una notevole attività nel compito molto costoso di assicurare l'elezione di Riccardo al senatorato (1261) che, come l'A. annunziava orgogliosamente in una lettera al conte, fu pressoché unanime. Circa nello stesso periodo Alessandro IV, parente dell'A., moriva (maggio 1261). Si parlò dell'A. come di un possibile candidato al trono pontificio, come lo era Gian Gaetano Orsini, ma venne eletto il francese Urbano IV. Qualche compenso fu dato all'A. di lì a poco mediante l'elevazione al cardinalato di due suoi nipoti, Goffredo d'Anagni (1261) e Riccardo Annibaldi (1262): questi ulteriori rafforzamenti della potenza degli Annibaldi mostrano la necessità in cui si trovava Urbano di cattivarsi l'appoggio dell'A. e forse anche furono il risultato di promesse fatte nel corso del conclave in seno al sacro collegio da parte del partito francese. Qualsiasi tipo di rapporto intercorresse al principio tra loro, Urbano ebbe presto motivo di compiacersi dell'A. che abbandonò la causa inglese e si gettò con entusiasmo nella lotta a favore di Carlo d'Angiò, fratello di Luigi IX di Francia. Sembra esser stato in ottimi rapporti con Urbano e, nonostante alcune dispute di breve durata, con il suo successore francese Clemente IV (1265-1268), per quanto si fosse di nuovo fatto il nome dell'A. come di un papabile.

Non è chiaro precisamente quando o perché l'A. decidesse di troncare una linea politica tradizionale per la sua famiglia e di abbracciare la causa angioina. La sua defezione indebolì moltissimo il già debole partito inglese, soprattutto perché coinvolse i due nipoti, ormai cardinali. La politica filoangioina dell'A. fu perseguita con spirito d'indipendenza. Si deve notare che non vi è nessuna prova che egli nel preparare l'elezione di Carlo a senatore nell'agosto 1263 - il suo colpo più riuscito - consultasse il papa o lo stesso Carlo. Una lettera del fratello di Carlo, Alfonso di Poitiers, conferma che i Francesi vedevano nell'A. il principale fautore romano di Carlo e l'artefice del successo per il conseguimento del senatorato da parte dell'Angioino.

Quando Carlo venne in Italia, un nipote dell'A. occupò Ostia per proteggerne lo sbarco e questo con grande indignazione del papa che non fu nemmeno consultato. L'A. stesso fu incaricato da Clemente di incontrare Carlo al suo arrivo a Roma. E nel gennaio 1266 egli fu uno dei cardinali incaricati dell'incoronazione del conte a re di Sicilia: aveva svolto lo stesso compito incoronando Clemente IV. L'A., rimasto in questo periodo con Carlo, svolse una parte importante nei negoziati tra il papa e l'Angiò e lo aiutò con un prestito di 2.000 libbre. Clemente IV si lagnava che in diverse occasioni l'A. si assentasse dalla Curia senza il suo consenso e che Carlo fosse più propenso a confidare i suoi progetti all'A. che non a lui. Si lamentava anche, con ragione, dei contrasti privati tra gli Annibaldi e gli Orsini, contrasti che portarono l'A. a sfidare l'autorità pontificia nella Toscana meridionale e nell'Umbria e a dichiarare che nessun rettore pontificio doveva essere inviato in un territorio che egli solo governava. L'A. in effetti continuò ad operare come un alleato indipendente del papa piuttosto che come un subordinato e probabilmente diede un appoggio ancor più incondizionato alla causa angioina di quello che avesse fatto Clemente IV. Carlo intervenne presso il pontefice a favore dell'A. almeno una volta e quando egli partì per la conquista del Regno l'A. lo accompagnò, dandogli ospitalità alla Molara e lasciandolo ai confini dello stato con le parole: "vade cum deo". Pochi poterono apprendere con maggior giubilo la notizia della vittoria di Carlo a Benevento.

La conquista del Regno da parte di Carlo d'Angiò segna la conclusione della fase più importante delle attività temporali dell'Annibaldi. Queste si erano svolte contemporaneamente ad altre di natura spirituale e della più alta importanza, consistenti nel patronato degli agostiniani. La storia di questo Ordine si inizia con la lettera di Innocenzo IV del 6 dic. 1243 che incaricava l'A. di effettuare l'unione di tutte le comunità eremitiche toscane; l'A. doveva essere corrector e provisor di questa unione. Nel marzo successivo egli presiedeva a Roma una riunione dei rappresentanti di queste comunità; questo capitolo, su ordine di Innocenzo, accettava la regola di S. Agostino e le sue deliberazioni venivano confermate dal papa.

Alcuni anni più tardi (forse nel 1250) l'A. concedeva agli eremiti la chiesa di S. Maria del Popolo, che doveva servire come centro romano per gli agostiniani; in questo periodo egli fu anche responsabile dell'unione degli eremiti della Marca d'Ancona, noti come "brettini" e di quelli di Romagna, noti come "zambonini". Nel marzo 1256, in un capitolo tenuto a S. Maria del Popolo, l'A. presiedette nuovamente e l'unione fu accresciuta dalla confluenza dei "guglielmiti".

L'A. nominò Lanfranco Settala, generale dei zambonini come primo generale dell'Ordo Fratrum Eremitarum Sancti Augustini, prescrivendo per l'Ordine un ideale semi-mendicante; la povertà non era obbligatoria e l'Ordine poteva avere proprietà. L'A. ricevette da Alessandro IV "la cura, la disposizione ed il governo dell'Ordine in piena misura" e (da una conferma successiva) poteri equivalenti a quelli goduti dal cardinale protettore dei minori. Questi poteri egli adoperò con la massima larghezza: l'Ordine, nonostante alcune secessioni, fiorì grandemente sotto la sua autoritaria protezione.

L'A. fondò un locus per l'ordine (completo di studium) nel suo castello alla Molara e presiedette importanti capitoli generali tenuti in quel castello nel 1274 e nel 1275. Di persona conferì l'incarico al primo provinciale della provincia romana e a un certo numero di priori. Egli poteva dare istruzioni dirette ai provinciali e intervenne frequentemente negli affari dell'Ordine, ora proibendo che un priore fosse spodestato, ora autorizzando l'alienazione di una chiesa, ora facendo appello a un vescovo tedesco perché concedesse una casa all'Ordine e così via. Questo costante paternalismo può essere stato spinto all'eccesso e spiegare forse l'abdicazione del terzo generale dell'Ordine, Clemente da Osimo. Salimbene nota che, al concilio di Lione, Gregorio X propose di sciogliere l'Ordine (poiché avrebbe contravvenuto ai canoni del IV concilio lateranense che proibivano la fondazione di nuovi Ordini religiosi) e fu dissuaso dall'A.: questo racconto, tuttavia, manca di conferma e Salimbene non è, d'altra parte, un testimone sufficientemente attendibile. L'Ordine aveva in tutto, intorno al 1278 (due anni dopo la morte dell'A.), più di duecento Case, delle quali ottantotto erano fuori d'Italia.

Le altre attività spirituali dell'A. sembrano aver richiesto una assai minore attenzione. Egli fu arciprete di S. Pietro dal 1254 sino alla sua morte e, per quanto questo beneficio gli fruttasse notevoli introiti e molti patronati, un certo numero di rimostranze contro il suo operato induce a credere che egli trascurasse il mantenimento della fabbrica e i suoi altri doveri inerenti all'ufficio di arciprete. Non è qui il caso di elencare le sue varie attività nella curia né i suoi numerosi benefici.

Dal 1270 circa le indicazioni di queste attività diventano sempre più rare, come è naturale poiché l'A., era ormai un uomo anziano. A quest'epoca egli sembra aver abbandonato la causa francese ed è testimoniato, in modo attendibile, come membro della fazione imperiale nel conclave del 1268-1271, nel quale egli forse poteva aver sperato una propria elezione, per quanto dovesse soltanto limitarsi a fare una scelta in qualità di compromissario, carica di chi doveva compiere la scelta finale del nuovo papa.

Nel 1271 l'A. fu tra i cardinali che si tennero in corrispondenza con il nipote di Federico II, Federico di Turingia, un possibile pretendente al trono siciliano di Carlo d'Angiò. Egli visse tanto a lungo da poter partecipare al conclave che elesse Innocenzo V (luglio 1276) e probabilmente a quello che elesse Adriano V (sett. 1276), ma morì prima del 18 ottobre 1276.

La sua tomba si trova al Laterano ed è un bel prodotto dell'arte di Arnolfo di Cambio. In quarant'anni di attività zelante, come principe della Chiesa, era stato oltre tutto principale fautore dello sviluppo di un grande Ordine religioso nonché uno degli artefici del Regno siciliano di Carlo d'Angiò; né aveva mancato di curare gli interessi dei suoi propri possessi feudali. Completò l'acquisto della Molara (nelle cui vicinanze possedeva un certo numero di piccole proprietà), ottenne il vassallaggio di Compagnano (vicino al lago di Bracciano) e acquistò, come pegno da parte dei Frangipani, Rocca di Papa. II suo corrispondente che gli scriveva che gli Annibaldi erano ricchi e potenti ("multisque facultatibus habundatis") e che "ut concludam breviter, potentes estis et magni", riusciva ad esprimere, con un complimento, anche una verità.

Fonti e Bibl.: La precedente bibliografia è superata da F. Roth, O. E. S. A., Cardinal Richard Annibaldi: First Protector of the Augustinian Order 1243-76, in Augustiniana, II (1952), pp. 26-60, 108-49, 230-47; III (1953), pp. 21-34, 283-313; IV (1954), pp. 5-24. Una notizia più breve si trova in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll.388-90. Vedere anche E. A. Van Moé, Recherches sur les Ermites de St. Augustin, in Revue des Questions Historiques, CXVI(1932), pp. 275-316; E. Dupré-Theseider, Roma dal comune di popolo.... Bologna 1952, pp. 33, 47, 54, 63, 80, 84, 104, 122, 189, 194, 208; J. Maubach, Die Kardinäle und ihre Politik, Bonn 1902, pp. 65 s., 79, 97, 116 s., 121; R. Sternfeld, Der Kardinal J. G. Orsini,1244-1277, Berlin 1905, pp. 38, 47, 134, 163 s.; E. Jordan. Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, passim, specialmente alle pp. 246, 459, 461, 545. La descrizione della genealogia degli Annibaldi è imprecisa nell'articolo del Roth ed in F. Savio, Gli Annibaldi di Roma nel sec. XIII, in Studi e Documenti di Storia e Diritto, XVII(1896), pp. 355-63; v. inoltre Les Registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, Paris 1894, n. 7665. Per la tomba dell'A., vedi V. Mariani, Arnolfo di Cambio, Roma 1943, tavv. 2-7.

CATEGORIE
TAG

Riccardo di cornovaglia

Campagna e marittima

Luigi ix di francia

Alfonso di poitiers

Annibaldo annibaldi