Retorica

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

retorica

Sergio Bozzola

La scienza del discorso

La retorica è la scienza che nel passato insegnava all’avvocato, al politico e all’oratore a comporre in modo efficace i propri discorsi, perché potessero raggiungere il loro scopo. Immaginiamo un antico avvocato romano, che doveva convincere un giudice a prendere una decisione a favore del proprio cliente. Oppure un uomo politico, che doveva sostenere una determinata opinione davanti al Senato; o un oratore che in una cerimonia doveva celebrare davanti a un pubblico un personaggio del presente o del passato. La loro capacità di persuasione era affidata al sapiente uso della retorica, esattamente come accade oggi a chiunque usi la parola per convincere, commuovere o semplicemente informare

Alle origini della scienza del dire

La parola retorica deriva dal greco retorikè tèchne, e significa «arte del dire». La retorica, infatti, nasce nell’antica Grecia. Il suo più importante studioso è Aristotele. Nella sua opera intitolata appunto Retorica Aristotele tratta del discorso in tutti i suoi aspetti. Ne illustra i diversi generi o tipologie – così come oggi a scuola si studiano i diversi tipi di testo: il racconto, la lettera, e così via. Tratta della struttura del discorso, e cioè delle sue parti. Spiega come trovare e come usare gli argomenti a sostegno della propria tesi, e il modo più efficace di usare le parole per essere persuasivi.

L’opera di Aristotele sarà il più importante punto di riferimento per i maggiori studiosi che nei secoli successivi si occuperanno della retorica. Tra questi ricordiamo il romano Marco Tullio Cicerone, avvocato e uomo politico, protagonista delle principali vicende della Roma del 1° secolo a.C. e autore di Sull’oratore e L’oratore. In queste opere la retorica è presentata con uno spirito molto pragmatico, cioè concreto e attento alle esigenze della società in cui sono inserite. La scienza retorica è finalizzata al mestiere di avvocato e all’attività pubblica: essa ha dunque un valore e una funzione civili. È per questo che Cicerone insiste molto anche sulle qualità morali e culturali dell’oratore (quali debbano essere i suoi valori, le sue convinzioni, le sue conoscenze).

Un altro autore molto importante è Marco Fabio Quintiliano (1° secolo d.C.), la cui opera più importante si intitola Istituzioni oratorie. È il più ampio e organico trattato di retorica dell’antichità. Quest’opera fu un modello per tutto l’arco della storia culturale occidentale, fino alla modernità. Il suo impianto è fondamentalmente aristotelico, ma recepisce da Cicerone un alto senso della funzione civile della retorica, e dunque insiste molto sulla formazione e sull’educazione scolastica dell’oratore, fin dalla sua infanzia.

L’arte del ‘bello scrivere’ e le figure retoriche

Le retoriche di Aristotele, Cicerone e Quintiliano riguardavano la costruzione del discorso in tutti i suoi aspetti. Esse si occupavano addirittura dell’oratore, della sua buona educazione e della sua cultura. A partire dal Cinquecento la retorica è stata ridotta progressivamente solo agli aspetti più esterni del discorso: l’uso delle parole, gli abbellimenti del discorso. Essa è diventata principalmente l’arte dello scrivere bene, con eleganza e con grazia. I mezzi per realizzare tali qualità sono quell’insieme di artifici linguistici che si chiamano figure retoriche. Non ci si riferisce cioè più a una teoria, ma a una pratica, a dei fatti linguistici: e questi fatti hanno a che fare solo con l’ornamento del discorso, con la ricerca di una bella forma.

Dal Cinquecento a oggi, le figure retoriche sono state classificate in svariati modi. Un criterio, a titolo di esempio, potrebbe essere quello che distingue le figure retoriche che si basano sul significato della parola da quelle che si basano sulla forma della parola. La metafora è una figura del primo tipo: uso una parola non nel suo significato letterale, ma in quello figurato. Dicendo, per esempio, «Francesco è un torello» non intendo che è veramente un piccolo toro, ma che è «forte» e «coraggioso» come un toro. La paronomasia, invece, è una figura del secondo tipo: essa consiste nell’accostamento di due parole diverse molto simili nel suono (per esempio, amore amaro).

Questo criterio non è tuttavia sufficiente a rendere conto di tutte le figure retoriche. E se andiamo in libreria, troveremo moltissimi libri che trattano della retorica, e ciascuno probabilmente in un modo diverso dall’altro. Tuttavia queste classificazioni, anche se sono diverse le une dalle altre, si rifanno quasi sempre all’antico modello di Cicerone e Quintiliano, che è stato rilanciato nel secolo scorso, quando questa scienza ha incontrato una nuova e fortunata diffusione.

L’arte del dire ai giorni nostri

Le figure retoriche possono essere ritrovate nel linguaggio di tutti i giorni. Ecco alcuni esempi di allitterazione (la ripetizione del suono iniziale della parola) nel linguaggio quotidiano: mass media, parole povere, tagliare la testa al toro.

Un secondo esempio di retorica dell’uso quotidiano potrebbe essere l’espressione è un pozzo di scienza: con essa intendiamo che la persona cui ci si riferisce è molto colta, la sua cultura è profonda e capiente come un pozzo; non intendiamo, ovviamente, che quella persona è realmente un pozzo. L’espressione pozzo è una metafora. O ancora, se ripetiamo ravvicinate tra loro due parole, come in attenzione, attenzione!, abbiamo fatto uso di una epanalessi.

Potremmo continuare e fare molti altri esempi, che dimostrerebbero come la retorica sia in grado di descrivere i modi e i procedimenti del linguaggio in tutti i suoi usi: quello parlato nella vita quotidiana, quello utilizzato nei romanzi, nella poesia, e in ogni forma d’espressione. Qualsiasi testo, infatti, scritto o orale che sia, viene composto secondo determinati criteri, in modo che raggiunga il suo scopo: convincere, emozionare, oppure semplicemente informare.

Le figure retoriche nei mass media

La retorica può rendere conto anche delle caratteristiche del linguaggio della comunicazione sociale di oggi (i mass media): i giornali, la pubblicità, la televisione.

Nel linguaggio sportivo c’è una grande profusione di figure retoriche. Esse servono a dare enfasi a ciò di cui si parla.

Nell’espressione miracolo di Zoff, per esempio, si sottolinea l’enorme bravura del portiere Dino Zoff nel parare un tiro estremamente insidioso. Questo uso esagerato della parola miracolo si chiama iperbole.

Un’altra figura molto diffusa nel linguaggio sportivo è la metafora, specialmente di ambito bellico: attacco e difesa, espugnare il campo dell’avversario, sconfiggere, cannonata, e così via.

La pubblicità deve attirare l’interesse del lettore o dell’ascoltatore (televisione, radio, Internet), e deve farsi ricordare. Di solito, inoltre, lo deve fare in tempi o spazi molto brevi. Per questo scopo, un artificio retorico ben congegnato è molto più efficace di un discorso. Le figure utilizzate sono svariate.

Nella pubblicità televisiva che segue (una marca di scarpe) troviamo per esempio l’uso della rima e dell’allitterazione (i suoni ripetuti sono in corsivo): «Solo Lelli Kelly ci regala Fiorellina, il tutù da ballerina». Lo spettatore ricorderà la frase e il nome del prodotto reclamizzato.

In televisione e in Internet la pubblicità utilizza ovviamente, insieme alle figure retoriche, anche le immagini e i suoni. Spesso, tra l’espressione linguistica, l’immagine e il suono c’è una correlazione molto stretta, che rende il messaggio più memorabile, più incisivo ed efficace.

In sintesi, nella pubblicità le figure retoriche hanno la stessa funzione che avevano nei discorsi di Cicerone: devono rendere il messaggio efficace, per convincere il suo destinatario a fare o a pensare qualcosa.

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