RESINE SINTETICHE

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

RESINE SINTETICHE

Eugenio Mariani

(v. resina, XXIX, p. 88; App. II, II, p. 684; plastiche, masse, XXVII, p. 493; App. I, p. 492; plastiche, materie, II, II, p. 555; III, II, p. 428; IV, III, p. 2)

La produzione di materie plastiche nel mondo in questi ultimi 10÷15 anni, nonostante si siano verificati fattori avversi (aumento del prezzo del petrolio, Guerra del Golfo, crisi generale dell'industria, ecc.) ha registrato un notevole incremento, superando oggi i 100 milioni di t. In Italia il mercato delle materie plastiche ha avuto una ripresa nel 1991, continuata nel 1992 e rimasta sostanzialmente stabile nel 1993 (tab. 1). Nella tab. 2 è indicata la ripartizione fra r. termoplastiche e r. termoindurenti prodotte e consumate in Italia. Nel periodo 1991-93 le termoplastiche sono aumentate notevolmente, mentre le termoindurenti hanno continuato a diminuire leggermente. Ciò dipende dalle maggiori difficoltà presentate dalla lavorazione delle termoindurenti e dalla capacità di alcuni prodotti termoplastici di sostituirle vantaggiosamente.

I consumi delle singole materie plastiche sono riportati nella tab. 3; si può constatare il notevole aumento verificatosi per il polipropilene e, in misura minore, per il polietilene. Continua la diminuzione del cloruro di polivinile, sia per le disposizioni di legge riguardanti i residui di monomero nei prodotti e le sue emissioni nei posti di lavoro sia per le presunte difficoltà del suo smaltimento negli inceneritori. I consumi di altri polimeri termoplastici e anche di polistirene e poliuretani sono pressoché costanti. Notevole invece l'aumento dei tecnopolimeri che trovano sempre più applicazioni come materiali strutturali in concorrenza coi metalli. Fra i settori d'impiego (tab. 4) il principale è quello degli imballaggi, che da solo rappresenta quasi il 43% del totale, con una percentuale in continuo aumento. Gli altri settori sono pressoché stazionari, legati all'andamento della produzione nazionale; gli impieghi nell'auto sono in sensibile diminuzione per la crisi del settore.

Quanto ai sistemi di lavorazione delle materie plastiche, prevalgono quelli di estrusione e iniezione, che sono avanzati tecnicamente in misura notevole, avvalendosi largamente dei moderni sistemi di regolazione e controllo (tab. 5). La tab. 6 riporta il valore del fatturato del settore materie plastiche; da notare il valore della terza riga relativo alla produzione di macchine per la lavorazione delle materie plastiche. Dai dati della tab. 7 si vede che dei 3300 miliardi corrispondenti al fatturato globale di questo settore quasi 2000 provengono da esportazioni, passate dai circa 1700 miliardi del 1991 e del 1992 ai 1915 nel 1993 indicando una sempre maggiore affermazione della tecnologia italiana sui mercati esteri (cfr. tab. 8).

Anche se nel periodo considerato non si registrano nuove classi di polimeri o nuove tecniche di lavorazione, risultano rilevanti le innovazioni introdotte in tutti i capitoli facenti parte del vasto settore delle materie plastiche: preparazione dei monomeri; tecniche di polimerizzazione; catalizzatori; sistemi di produzione indirizzati a richiedere consumi energetici minori; produzione dei semilavorati o dei manufatti con tecniche in grado di fornire prodotti anche di grandi dimensioni, con sistemi sempre più automatizzati e con controlli più spinti per produzioni di maggiore affidabilità, dalle caratteristiche tecnologiche ed estetiche più avanzate. Altri sviluppi, hanno riguardato il miglioramento delle varie produzioni per renderle rispondenti alle esigenze degli utilizzatori, per fornire loro ''prodotti su misura'', estendendo contemporaneamente i campi d'applicazione delle singole materie plastiche. Si è anche affermato un campo di rilevante importanza: quello della salvaguardia ambientale, sia evitando l'immissione nell'atmosfera, nelle acque e nel terreno, di prodotti inquinanti, sia contraendo la quantità di materiali da inviare in discarica.

Mentre nel periodo considerato alcune classi di polimeri hanno realizzato incrementi notevoli di produzione (come le poliolefine), per altre si sono verificate diminuzioni per riduzione di richiesta, per aumenti di costo, per la concorrenza di materiali meno costosi, di caratteristiche superiori o di importazione; a questo proposito è stato importante l'affermarsi sempre più esteso di nuovi paesi che da importatori sono divenuti esportatori o autosufficienti, quali quelli del Medio Oriente, l'Unione Indiana, il Messico, ecc.

Ai sistemi di formazione dei polimeri (policondensazione, polimerizzazione in soluzione, in sospensione e in emulsione) si è aggiunto ultimamente quello di polimerizzazione (o policondensazione) interfacciale, il cui principio era noto già da qualche anno; esso prende questo nome perché si realizza all'interfaccia di due liquidi immiscibili. I monomeri reagenti (una diammina o un diolo che si deve combinare con il cloruro di un diacido, ecc.) infatti vengono disciolti in due solventi, fra loro immiscibili, per es. l'uno in acqua e l'altro in un solvente organico (idrocarburo, idrocarburo clorurato); se le due soluzioni vengono a contatto, in stato di calma, all'interfaccia si produrrà la reazione di condensazione, dando origine al prodotto (polimero) sotto forma di un velo sottile che può essere asportato continuamente. L'acido cloridrico, che si forma insieme al polimero, viene neutralizzato con l'aggiunta di una sostanza alcalina addizionata all'acqua. Se le due soluzioni sono miscelate per agitazione la reazione si effettua all'interfaccia delle diverse particelle che vengono a contatto e il polimero, se insolubile, precipiterà sotto forma di granuli; altrimenti rimane in soluzione stabile o metastabile. Il grado di agitazione da dare alle due soluzioni dipenderà dalla velocità con la quale i due monomeri tendono a reagire; la reazione può anche essere accelerata con l'aggiunta di catalizzatori. In questo modo si realizzano produttività più alte e polimeri con peso molecolare più elevato. Il sistema stazionario è usato per preparare membrane scambiatrici e poliammidi aromatiche (in Giappone e in Russia), quello sotto agitazione si usa per policarbonati. Il sistema interfacciale si può realizzare anche fra due fasi, una liquida e l'altra gassosa o vapore.

Lo studio dei catalizzatori occupa uno spazio importante nelle ricerche di base dei polimeri. Esso è in grado di apportare benefici notevoli dal punto di vista applicativo ed economico; basti ricordare le conseguenze derivate dallo studio dei catalizzatori stereospecifici Ziegler-Natta. Con questi nella polimerizzazione degli idrocarburi, insieme al prodotto isotattico, se ne forma anche una piccola quantità di quello sindiotattico (v. polimerizzazione, App. III, ii, p. 441), che presenta un ordine strutturale che gli consente di cristallizzare, dando un polimero con caratteristiche tecnologiche diverse da quelle dell'isotattico, ma ugualmente utili dal punto di vista pratico. È noto da tempo che il polipropilene sindiotattico si può ottenere operando con catalizzatori a base di vanadio e alluminio alchile, a temperature molto basse, dell'ordine di −50°C (la stereospecificità aumenta al diminuire della temperatura). Anche lo stirene, in analoghe condizioni operative, dà il polimero sindiotattico caratterizzato da un'elevata temperatura di fusione e da una rapida cristallizzabilità dallo stato fuso.

Un campo con prospettive notevoli e appena agli inizi è quello di una nuova classe di catalizzatori costituita dai metalloceni monositi. Si tratta di composti formati da un atomo metallico disposto fra due gruppi pentadienilici; a seconda del metallo, prendono il nome di ferrocene, cromocene, ecc. Questi catalizzatori si dimostrano adatti a realizzare miglioramenti delle caratteristiche delle poliolefine poiché consentono di ottenere prodotti con distribuzione molto ristrette dei pesi molecolari, che quindi possiedono maggiore tenacità, saldabilità e migliori caratteristiche ottiche, reticolabilità, ecc. Se per es. la distribuzione dei pesi molecolari risulta troppo ristretta (ciò che può rendere difficile la lavorabilità) si può ricorrere a miscele di catalizzatori differenti che consentono una distribuzione bimodale dei pesi molecolari. I polimeri ottenuti con questi catalizzatori sono adatti in modo particolare per film per imballaggio, poiché presentano elevata resistenza all'usura, azione barriera agli odori e sapori e anche ottima stabilità.

La Soc. Dow ha sviluppato una classe di catalizzatori omogenei, a geometria controllata, capace di fornire poliolefine a elevata lavorabilità, caratterizzate da una ristretta distribuzione dei pesi molecolari e catene laterali lunghe, così da ottenere copolimeri etilene-ottene con un ampio spettro di densità, viscosità, e indice di fusione e di scorrimento. Ha potuto così produrre una nuova famiglia di plastomeri ed elastomeri poliolefinici da impiegare i primi per imballaggi, parti di auto, ecc., e i secondi per tubi flessibili, guarnizioni, articoli reticolati estrusi e stampati. Questi catalizzatori (Insite) sono formati da un metallo di transizione del 4° gruppo (titanio, ecc.) unito covalentemente a un gruppo ciclopentadienile collegato a ponte con un eteroatomo (azoto, ecc.); la struttura ciclica formata, a geometria controllata, deve avere l'angolo formato dal gruppo pentadienile, dal titanio, al vertice, e dall'atomo d'azoto inferiore a un dato valore (115°); il catalizzatore viene attivato da sostanze acide. Un impianto che utilizza questi catalizzatori è già in funzione.

Dendrimeri. - In molti polimeri naturali agli inizi lo sviluppo avviene linearmente, ma poi si verifica una biforcazione; i due rami si suddividono poi in altri e così via, ottenendo uno sviluppo della struttura iniziale simile a quella tipica degli alberi. Si è tentato di riprodurre in polimeri di sintesi questo sistema di sviluppo, riscontrato in natura, per es. nell'amilopectina (v. amido, App. IV, i, p. 115), ottenendo un gruppo di polimeri genericamente denominati dendrimeri (secondo l'etimologia greca ''simili all'albero''). Così, partendo da 1,4-diamminobutano e acrilonitrile si ha:

Per idrogenazione i quattro gruppi − CN si trasformano in altrettanti − CNH2 e il prodotto può reagire con otto molecole di acrilonitrile. Il prodotto che si forma, nuovamente idrogenato, darà origine a un composto con gruppi − NH2 che potranno a loro volta reagire con acrilonitrile, ecc. Una reazione analoga si può ottenere partendo per es. da ammoniaca che, avendo tre atomi d'idrogeno, reagirà con tre molecole di acrilonitrile, o anche con reagenti diversi. Ogni ''generazione'' raddoppia il numero dei gruppi terminali (nitrilici o amminici); nel corso della reazione sopra scritta alla quarta saranno 32, alla quinta 64 (v. fig.) e così via. I prodotti delle prime generazioni saranno liquidi, la solubilità dipenderà dalla natura dei gruppi terminali: quelli con gruppi amminici saranno solubili in acqua, quelli con gruppi nitrilici in solventi organici. La reattività dipenderà ugualmente dalla natura dei gruppi terminali che possono anche reagire, in parte o tutti, con sostanze diverse. Caratteristica dei dendrimeri è avere alti pesi molecolari, reattività elevata, solubilità in acqua o in solventi organici. Si prestano a una notevole serie di reazioni chimiche e fisiche, con strutture stabili, sicché è possibile prevederne importanti sviluppi.

Ionomeri. - Si tratta di polimeri aventi nella catena idrocarburica gruppi laterali ionici (carbossilici, solfonici), ottenuti per copolimerizzazione di monomeri idrocarburici e monomeri ionici o per solfonazione del polimero idrocarburico. La percentuale di molecole ioniche è sempre bassa, dell'ordine del 5÷10% circa. I gruppi ionici laterali non danno origine a reticolazioni fra le catene ma tendono ad associarsi, formando aggregati che finiscono per dare origine a microfasi ioniche disperse nella matrice polimerica. Alla formazione e al comportamento di questi aggregati ionici si attribuiscono gli incrementi di tenacità, di resistenza all'abrasione, di viscosità allo stato fuso, ecc., presentati dagli ionomeri. L'associazione ionica è controllata dal numero di coordinazione presentato dal metallo usato per salificare i gruppi acidi (carbossilico, solfonico), di solito sodio o zinco (con numero di coordinazione rispettivamente 2 e 6). Questi raggruppamenti ionici ad alta temperatura si dissociano e il prodotto si comporta come termoplastico, facile da lavorare; a temperature più basse si comporta come un elastomero termoplastico o come un termoindurente (''reversibile''). I più importanti ionomeri sono quelli formati da copolimeri etilene-acido metacrilico, butadiene-acido acrilico, o perfluoro etilene solfonato. Gli ionomeri trovano impiego nei film da imballaggio, nella produzione di membrane, di articoli sportivi, ecc.

Polimeri a cristalli liquidi. - Nonostante che i cristalli liquidi (v. in questa Appendice) siano noti da tempo il loro interesse nel campo dei polimeri ha ricevuto notevole impulso solo dopo che si sono riscontrate le eccezionali caratteristiche delle poliammidi aromatiche e dei poliesteri termotropici usati per fibre tessili (v. in questa Appendice), caratteristiche attribuite alla presenza di strutture a cristalli liquidi. Come indica il nome, questi prodotti presentano sia una struttura ordinata come i cristalli, sia la fluidità di un liquido.

Le arammidi, come altri polimeri liotropici, dando soluzioni in solventi alto bollenti che si prestano alla filatura, danno fibre ma non film. Questi si possono ottenere da poliesteri aromatici (termotropici) e presentano caratteristiche meccaniche elevate (tenacità e resistenza a trazione), specie nel senso della lavorazione; se il film o le lastre così prodotte sono anche sottoposte a uno stiramento in senso trasversale a quello di lavorazione, si ottengono caratteristiche meccaniche bilanciate, cioè valori pressoché uguali nelle due direzioni. Film fortemente orientati ottenuti da polimeri con catene laterali si usano nell'immagazzinamento e conservazione dei dati e delle informazioni. Mantenendo il polimero fuso fra due lastre di vetro conduttrici, il campo elettrico applicato provoca un orientamento delle catene laterali e il film diviene trasparente. A mezzo di un laser si possono ''scrivere'' sul film i dati da conservare, mantenendoli per raffreddamento o cancellandoli per riscaldamento. I polimeri termotropici a cristalli liquidi, per il grado di ordine che possiedono, si prestano facilmente a essere foggiati (con le normali tecniche usate per i termoplastici), dal momento che presentano eccezionali valori di carico di rottura e di modulo elastico; per questo motivo prendono anche il nome di ''polimeri autorinforzanti''. Fra questi polimeri, importanti sono i poliesteri derivati da fenoli e acidi aromatici per le loro caratteristiche meccaniche e termiche (basso coefficiente di dilatazione, resistenza alle deformazioni); per la loro trasparenza alle microonde essi vengono utilizzati per fabbricare contenitori per forni a microonde, mentre per la loro stabilità dimensionale e per le buone caratteristiche elettriche vengono usati in applicazioni elettriche ed elettroniche.

Leghe (miscele). − Per soddisfare la richiesta sempre più viva di prodotti ''su misura'' la via più proficua si è dimostrata quella di ricorrere alla formazione di leghe, cioè di miscele di polimeri di corrente produzione, anziché ricercare nuovi composti, che comportano maggiore tempo e spese più elevate e non sempre assicurano il risultato desiderato. Attraverso la formazione di leghe è possibile ottenere prodotti con particolari caratteristiche, variabili entro ampi limiti, in grado di corrispondere a molte delle richieste avanzate dagli utilizzatori. Le prime leghe sono state ottenute con criteri essenzialmente empirici, ma i veri successi sono arrivati solo dopo che è stato possibile dare una base scientifica al loro studio. In pochi anni l'impiego di leghe polimeriche si è accresciuto notevolmente, tanto che attualmente assorbe circa il 10% del consumo dei polimeri termoplastici, permettendone l'uso in campi d'applicazione non tipici di questi polimeri.

Sono stati approfonditi i vari fattori che regolano le condizioni d'equilibrio di miscele di polimeri in fasi diverse; gli effetti sulle interazioni fra polimeri esercitate dalle loro strutture molecolari; la compatibilità fra le diverse molecole; le modalità per arrivare a ottenere miscele stabili dei vari prodotti; l'azione di additivi, ecc. Particolare importanza è stata dedicata allo studio della morfologia delle leghe (cioè alla forma della dispersione di un polimero nell'altro) e alle condizioni che la regolano, dipendenti largamente dalla tensione superficiale e interfacciale dei polimeri, dalla loro viscosità, elasticità, ecc.

Le leghe hanno acquistato importanza nella preparazione di polimeri per usi strutturali o per applicazioni particolari dove possono essere vantaggiosamente sfruttate le singole caratteristiche. Così, per es. molte r. con elevate proprietà meccaniche, bassi ritiri e alta resistenza al calore, presentano difficoltà di lavorabilità per la loro elevata viscosità allo stato fuso; il comportamento di questi prodotti è di solito legato a un loro elevato grado di cristallinità che non può essere ridotto senza ridurne le caratteristiche peculiari; queste r. possono però essere miscelate con r. di tipo prevalentemente amorfo che ne facilitano la lavorabilità, riducendo di poco le altre caratteristiche. Per es. il polifenilenossido (PPO), che possiede un'elevata temperatura di transizione vetrosa (circa 210°C) e una notevole viscosità allo stato fuso, non si presta a essere facilmente lavorato; se miscelato per es. con polistirene come tale, o nella varietà antiurto, acquista una sufficiente lavorabilità, conservando largamente le sue eccezionali caratteristiche meccaniche e termiche. Quantità elevate di questo polimero possono in tal modo trovare impiego per manufatti in elettronica, elettrotecnica, nella preparazione di parti per auto, ecc.

Le leghe inizialmente prodotte sono derivate da polimeri fra loro immiscibili, ma oggi si cercano di utilizzare coppie di polimeri reciprocamente solubili o solubili in un terzo componente, preparando così leghe ternarie. Particolarmente promettenti sono i prodotti ottenuti aggiungendo piccole quantità di poliesteri alifatici a miscele di policarbonati e copolimeri stirene-acrilonitrile (SAN).

Un gruppo importante di leghe è quello contenente polimeri a cristalli liquidi. Aggiungendo a un polimero di elevate caratteristiche meccaniche, difficile da lavorare per la sua elevata viscosità allo stato fuso, un polimero capace di generare cristalli liquidi termotropici (che presenta una bassa viscosità allo stato fuso), si otterrà una miscela facile da lavorare che conserva gran parte delle sue proprietà elevate allo stato solido: un esempio è fornito dal polieterosulfone che, per aggiunta di un polimero a cristalli liquidi, diviene facilmente lavorabile. Un polimero a cristalli liquidi con catene rigide può fungere invece da fibra di rinforzo per un polimero flessibile. Miscelando i due polimeri in presenza di solvente, ed eliminando poi quest'ultimo, si otterrà una matrice formata dal polimero flessibile, rinforzata dalla presenza delle catene rigide del polimero a cristalli liquidi.

Oltre a polimeri termoplastici, nella preparazione di leghe (ibride) è possibile usare anche quelli termoindurenti; si forma un reticolo rigido del polimero termoindurente che viene riempito dal componente termoplastico. Si ottengono così prodotti di elevate caratteristiche meccaniche, utilizzabili per manufatti strutturali dotati di elevata durezza, stabilità e resistenza alle alte temperature. Queste caratteristiche dipendono dalla compattezza della struttura termoindurente (aumenta però anche la fragilità); la quantità e natura del polimero termoplastico migliora la resistenza all'urto del prodotto. Sciogliendo resine termoplastiche, resistenti al calore, in resine epossidiche, durante la reticolazione di queste ultime si ha una separazione delle fasi e la densità della reticolazione regola le caratteristiche meccaniche del prodotto.

Un tipo particolare di miscela intima di due strutture reticolari è rappresentata dai cosiddetti polimeri interpenetranti (IP) ottenuti facendo polimerizzare e reticolare uno dei due in presenza dell'altro. Fra le due strutture dissimili non si stabiliscono legami covalenti. La combinazione delle due (o più) strutture dissimili fornisce una via per modificare le proprietà dei componenti e permette di ottenere un prodotto con le proprietà desiderate. La preparazione di polimeri interpenetranti si realizza sia facendo polimerizzare singolarmente i due monomeri sia facendo combinare i prepolimeri lineari dei due monomeri insieme ai rispettivi agenti reticolanti, catalizzatori, ecc. Reazioni fra i due polimeri sono impedite dal diverso modo di polimerizzare dei due componenti. Mentre nelle leghe si ha una struttura multifase creata dalla incompatibilità dei polimeri, nei polimeri interpenetranti non c'è separazione di fasi e il sistema di preparazione seguito provoca la penetrazione di una struttura nell'altra. Una mescolanza del genere non si può ottenere che con la crescita di una struttura polimerica reticolata nell'altra. Si conoscono diversi tipi di polimeri interpenetranti di interesse industriale ottenuti da poliuretano e polistirene, da poliuretano e polimetilmetacrilato, e anche prodotti ternari: poliuretano-poliacrilico-poliepossidico.

Poliolefine. - Costituiscono la classe di materie plastiche che hanno raggiunto le più alte produzioni, circa il 50% del totale. Le previsioni, anche quelle a breve termine, indicano una perdita di competitività del mondo occidentale dovuta ai massicci investimenti nel settore compiuti da parte dei paesi asiatici (soprattutto Corea del Sud, ma anche Taiwan e Singapore) e del Medio Oriente (Arabia Saudita).

Grandi impianti sono stati costruiti per la produzione di olefine monomere in Thailandia e Indonesia. Nella Corea del Sud è entrato in funzione un impianto di polipropilene (PP) in fase gassosa, con la tecnologia Unipol della Union Carbide da 200.000 t/anno; un altro è destinato all'Arabia Saudita. Nel 1995 si prevede che la produzione di olefine monomere nei paesi dell'Estremo Oriente crescerà del 90% circa rispetto a quella del 1990, salendo a circa 10 milioni di t. Gran parte dei prodotti saranno destinati alla preparazione di polimeri: nella Corea del Sud la capacità di produzione di LDPE (Low Density Poly-Ethylene) passerà dalle 500.000 t del 1990 a 935.000 t, quella dell'HDPE (High Density Poly-Ethylene) da 730.000 a 1,06 milioni di t e infine quella del PP crescerà di circa 450.000 t. Anche gli USA ne risentiranno perché perderanno i mercati dell'Asia; così si prevede che le esportazioni di PP verso l'Asia scenderanno dalle 820.000 t del 1990 a meno di 300.000 nel 1995 e le importazioni di polietilene (PE), cresceranno del 90% circa. È da prevedere che questi nuovi produttori esporteranno a breve termine anche prodotti finiti; in USA già si calcola che l'importazione di sacchetti di PE dall'Estremo Oriente passerà da circa il 25% del consumo (450.000 t) del 1990 al 35%. Questa forte concorrenza è destinata a provocare un ulteriore abbassamento dei prezzi del polimero. Tuttavia l'introduzione dei nuovi catalizzatori e delle conseguenti migliorate tecnologie di produzione (v. oltre) potrebbe portare a un abbassamento dei costi di produzione, con la possibilità di fronteggiare la concorrenza dei paesi emergenti; in USA ci sono già segni di ripresa con una maggiore utilizzazione degli impianti, mentre in Europa la ripresa, se ci sarà, sarà più dilazionata nel tempo. L'Arabia Saudita sfruttando il gas naturale e i prodotti petroliferi di cui dispone, produce oggi le materie plastiche di base e ne esporta circa 1,5 milioni di t. Produzione ed esportazione sono in continua crescita e da qualche anno si producono anche ausiliari (plastificanti) e semilavorati (film, ecc.).

Naturalmente parte della produzione di questi paesi emergenti arriverà in Europa dove è prevedibile che per la forte concorrenza si chiuderanno impianti. In Italia il PE oggi consumato proviene per la metà circa da importazioni.

Per il PE la produzione mondiale è stata di 31,5 milioni di t. Diversi sono i tipi in commercio: in passato se ne distinguevano tre in base alla densità (alta, media, bassa); successivamente si è aggiunta la distinzione in base alla struttura (lineare, irregolare, isotattica) e così si è avuto il tipo lineare a bassa densità (LLD). La produzione del 1993 proviene per 14 milioni dalle varietà ad alta densità, per una cifra analoga dalle varietà a bassa densità e per il rimanente dalle varietà lineari a bassa densità. L'utilizzazione degli impianti è scesa all'80% (in maniera pressoché uguale per i vari tipi).

Inizialmente la produzione avveniva con sistema ad altissima pressione; verso il 1950 si è trovato il modo di operare a pressione bassa, ottenendo un prodotto essenzialmente lineare a più alta densità; nel 1978 si riuscì a ottenere un polimero a bassa densità a struttura lineare. Questi cambiamenti sono stati dovuti a una variazione del tipo di catalizzatore usato; agli inizi se ne usava uno a base di ossido di cromo, poi entrarono in uso quelli stereospecifici Ziegler-Natta a base di titanio, in seguito questi stessi catalizzatori prodotti su supporto di sali di magnesio. Ora è in atto una nuova variazione, con l'impiego di catalizzatori metallocenici, che porterà a una trasformazione nella tecnologia delle poliolefine. Al variare del tipo di catalizzatore usato si è accompagnato un cambiamento degli impianti e delle modalità di esercizio. Inizialmente si dovevano usare reattori tubolari operanti, come già detto, a pressioni altissime; con i catalizzatori Ziegler-Natta le temperature e le pressioni si sono abbassate; per il catalizzatore in sospensione si usavano reattori ad agitazione o costituiti da lunghi tubi termostatati attraversati dalle sospensioni velocemente, con moto turbolento; più recentemente, usando catalizzatori supportati, la reazione è realizzata in fase gassosa, in letto fluidizzato, a marcia pressoché continua. Il sistema consente produzioni elevate e può fornire prodotto sia ad alta che a bassa densità lineare.

L'introduzione di catalizzatori super attivi, capaci cioè di rese elevate (anche 1000 e più kg di PE/g di Ti rispetto ai 10 circa dei precedenti) e stereospecifici, in grado cioè di controllare forma, grandezza e distribuzione delle particelle, ha apportato un forte risparmio nella tecnologia di preparazione; poiché, a parità di produzione, si richiede l'impiego di una minore quantità di catalizzatore e diminuisce la sua quantità residuata nel prodotto finito, è possibile sopprimere la fase della sua eliminazione, in quanto le piccole quantità residue (pochi ppm) diventano ininfluenti ai fini delle caratteristiche del prodotto; la soppressione di questa fase (estrazione, separazione e distillazione) comporta una semplificazione d'impianto e un sensibile risparmio energetico. Ciò ha consentito lo sviluppo di due nuove tecnologie, l'una in fase gassosa (Unipol della Union Carbide), l'altra (Spherypol della Himont) in fase liquida (etilene condensato) analoga a quella per il PP.

È possibile variare le condizioni di operazione ed effettuare l'aggiunta di copolimeri olefinici che modificano struttura e proprietà fisico-meccaniche del prodotto (flessibilità, temperatura di rammollimento, lavorabilità) rendendolo adatto a esigenze diverse d'impiego. Il polimero può anche essere addizionato, al momento della lavorazione, con agenti reticolanti che ne fanno aumentare il peso molecolare e corrispondentemente alcune proprietà tecnologiche. Si preparano anche tipi con peso molecolare altissimo (dell'ordine di 4÷5·106), con alto punto di fusione, dotati di elevate proprietà meccaniche, difficili da lavorare (di solito solo per sinterizzazione) e che trovano impieghi particolari. Molti sono i copolimeri prodotti, oltre che con altre olefine, anche con composti vinilici, acrilici, metacrilici, ecc., che rispetto agli omopolimeri, presentano minore cristallinità, minore rigidità e maggiore facilità di lavorazione. Il PE si presta a essere lavorato in diversi modi, per produrre film (per soffiaggio, per estrusione), rivestire altri materiali (carta, cartone, alluminio), formare contenitori, produrre tubi, rivestimenti isolanti di cavi, ecc. In tab. 9 sono indicati i consumi medi mondiali percentuali dei due principali tipi di polietilene nei vari campi d'applicazione.

Il polipropilene (PP) è, come importanza, la seconda poliolefina, però la crescita della sua produzione è superiore a quella del PE; l'aumento di domanda nel periodo 1987-90 ha raggiunto valori del 10÷12%, poi è sceso al 6÷7% (questi valori medi mondiali si ripartiscono diversamente nei vari paesi). La forte ascesa di produzione che si verifica nei paesi dell'Asia, nel Medio Oriente, nell'Arabia Saudita, incide sulla produzione e sulle vendite specie dell'Europa e delgli USA, che hanno subito forti contrazioni nelle esportazioni (anche del 25÷30%). Per far fronte a questa situazione diversi gruppi industriali del settore tendono a realizzare alleanze (joint-ventures), per cercare di ridurre i costi e realizzare migliori tecniche di produzione. Si abbandonano i vecchi impianti e se ne costruiscono nuovi caratterizzati da maggiori capacità di produzione e maggiore efficienza. La tecnologia di produzione con catalizzatori ad alta attività rende possibile la produzione di PP in maniera più semplice ed economica, ampliando la gamma delle caratteristiche dei polimeri e quindi dei suoi campi d'applicazione e offrendo prodotti con caratteristiche avanzate. Si possono avere prodotti a reologia controllata, con distribuzione ristretta dei pesi molecolari, ecc. Come già detto sopra per il PE, l'impiego di catalizzatori ad alta attività e specificità porta a una produzione semplificata, che non richiede l'eliminazione del catalizzante residuo dal polimero, ridotto a quantità trascurabili. La Soc. Himont col processo Spherypol ottiene, come indica il nome, un prodotto in forma granulare tale da poter essere messo in vendita tal quale viene prodotto, eliminando anche le spese di pellettizzazione richieste dagli altri sistemi.

In questo processo si usa un catalizzatore costituito da alogenuri di titanio su supporto di composti di magnesio, in presenza di alluminio trialchile, che possiede un numero molto alto di centri attivi, il che comporta un'accresciuta attività catalitica e un'ottima stereospecificità. Catalizzatore, alluminio alchile e solvente sono precontattati e introdotti insieme a propilene e idrogeno (che funge da regolatore del peso molecolare e della lunghezza delle catene) nel reattore, formato da un sistema tubolare attraversato dai reagenti a temperatura di 70÷80°C e a pressione di 30÷40 atm. Il prodotto della reazione estratto con continuità dall'estremità opposta a quella d'entrata passa in un ciclone dove il propilene che non ha reagito evapora (e ricondensato ritorna in ciclo) mentre la polvere scaricata dal ciclone è trattata con vapore e additivi che deattivano le piccole tracce di catalizzatore ancora presente. Questo sistema messo in atto della Montedison e della giapponese Mitsui ha trovato larga applicazione nel mondo. Il processo Unipol fa avvenire la reazione in fase gassosa: il propilene viene portato a contatto con un letto fluido di catalizzatore disperso in polimero in polvere; si possono anche utilizzare autoclavi nelle quali il catalizzatore è mantenuto in agitazione meccanicamente (processo Basf). Il sistema Spherypol si presta anche a preparare un copolimero a blocchi con etilene: una vera e propria lega che presenta una migliore resistenza all'urto per un abbassamento della temperatura d'infragilimento e una modesta riduzione delle caratteristiche meccaniche (durezza, carico di rottura a flessione, temperatura di rammollimento). La tecnologia con catalizzatori metallocenici, analogamente a quella usata per il PE, consente una produzione del PP in maniera più semplice ed economica, ampliando la gamma delle caratteristiche dei polimeri e quindi delle loro applicazioni.

Nel 1992-93 l'Europa ha visto accrescere la propria capacità produttiva; in particolare in Germania sono stati costruiti tre nuovi impianti (a Colonia con sistema Basf; Hüls a Sholven e Hoechst a Knapsack con sistema Spherypol) in sostituzione di un esistente impianto; altri impianti sono stati costruiti in Francia e in Belgio. I maggiori aumenti si sono verificati in Asia, dove nella Corea del Sud dal 1990 al 1993 la capacità si è più che raddoppiata; gran parte della produzione è destinata all'esportazione.

Polivinilcloruro (PVC). − È una delle r. termoplastiche di base di maggior consumo; la sua produzione a livello mondiale è passata da 11,7 milioni di t nel 1980 a 14,2 nel 1985, a 18,3 nel 1990 e a 18 nel 1992. La sua diffusione dipende da numerosi fattori: basso costo, inerzia chimica, ininfiammabilità, compatibilità con numerosi additivi (plastificanti, stabilizzanti al calore, lubrificanti, ecc.) che ne facilitano la lavorabilità, possibilità di fornire prodotti rigidi, strutturali, termoplastici e gommosi.

Il suo sviluppo ha avuto momenti di difficoltà a partire dalla metà degli anni Sessanta quando disturbi alle mani e ai piedi (acroosteolisi) presentati da alcuni operai furono attribuiti alla loro esposizione all'azione del cloruro di vinile monomero. Inoltre dopo poco in Italia ebbero inizio ricerche sistematiche sulla possibile correlazione fra angiosarcoma ed esposizione al monomero vinilico. Negli anni fra il 1975 e il 1980 in vari paesi furono adottate forti restrizioni sia dei limiti di esposizione dei lavoratori del settore sia delle percentuali di monomero residuo presente nei manufatti, specie quelli destinati a venire a contatto con gli alimenti: un operaio non poteva venire esposto a una concentrazione di più di 1 ppm in ogni turno di 8 ore per una settimana lavorativa di 40 ore e durante ogni turno non era consentita un'esposizione superiore a 5 ppm per più di 15 minuti; la Comunità Europea nel 1970 fissava 1 ppm come limite di presenza del monomero nei prodotti, ridotto a 0,01 in quelli destinati a contatto con alimenti; nel 1986 in USA questi limiti furono ulteriormente ridotti.

Limiti così ristretti potevano essere raggiunti solo con forti innovazioni nei sistemi di produzione del polimero. Si sono dovuti adeguare gli impianti, effettuando la preparazione in sistemi continui e in ciclo chiuso, e adottando doppie valvole di sicurezza, per rendere possibile l'isolamento delle linee contenenti il monomero in caso di incidenti. I prodotti ottenuti si dovevano sottoporre a forti degasaggi, sotto vuoto e a caldo, per eliminare le tracce di monomero ancora presenti, effettuando le lavorazioni in ambienti protetti. Molti produttori per evitare l'adozione di particolari e onerose precauzioni preferirono potenziare l'eliminazione del monomero, in modo da scongiurarne i pericoli di sviluppo durante le operazioni di stampaggio; altri hanno preferito utilizzare altri polimeri più sicuri.

La diminuzione della domanda ha portato a un eccesso di offerta e a una riduzione dei prezzi, accentuata in Europa dalla crescita delle importazioni specialmente dai paesi dell'Europa orientale; secondo stime, nei paesi della Comunità sarebbero arrivati, nel 1991, circa 350.000 t di prodotto destinato alla produzione di tubi. Nel 1992 l'importazione sarebbe salita al doppio dell'anno precedente, con ulteriore discesa dei prezzi, e la chiusura di alcuni impianti (Norvegia, ecc.). Per far fronte a questa situazione i paesi europei hanno cercato d'intensificare l'esportazione dei tipi di polimeri di qualità superiore e hanno potenziato la ricerca di nuovi settori d'impiego per prodotti innovativi, di maggior valore, realizzabili in impianti automatizzati, capaci di fornire caratteristiche costanti a prezzi ridotti.

Sono stati realizzati nuovi tipi di polimero in pasta adatto alla produzione di espansi plastificati per la produzione di similpelle; miscele adatte allo stampaggio di bottiglie chiare, trasparenti, per acqua o bibite; varietà reticolabili, resistenti a temperature dell'ordine dei 125°C. Si è intensificata la produzione delle varietà per prodotti rigidi, che in Europa assorbono circa il 60÷65% del consumo. Oltre alla produzione di tubi si è intensificata quella dei profilati estrusi, largamente impiegati nella preparazione di finestre, impiego che in Europa assorbe circa 250.000 t. In alcuni paesi questa produzione ha superato quella delle finestre in legno: in Germania rappresenta il 37%, in Gran Bretagna il 33%, il Francia il 28%, in Spagna l'8%. La produzione di film e di lastre è invece in diminuzione a causa della concorrenza di altri polimeri (PET nella produzione dei film, PE in quella dei cavi) che non presentano i problemi del PVC dal punto di vista ecologico (difficoltà di smaltimento per il pericolo di formazione di inquinanti del tipo diossina nei sistemi di termodistruzione). Nel 1991 le vendite di PVC sono diminuite rispetto all'anno precedente, eccetto in USA dove c'è stato un leggero aumento (tab. 10).

Polistirene. - È uno dei polimeri (v. App. III, ii, p. 430) termoplastici di base; la sua produzione mondiale è dell'ordine dei 7 milioni di t/anno. Nel periodo dal 1980 a oggi la produzione e il consumo del polimero hanno subito variazioni notevoli, sia a livello mondiale che dei singoli paesi produttori. Inizialmente si è verificata una diminuzione dei consumi, dell'utilizzazione degli impianti e dei prezzi. Diversi produttori hanno chiuso gli impianti, abbandonando il settore, altri hanno provveduto a cambiarli o razionalizzarli. La crisi è da riportarsi a diversi fattori, fra i quali la concorrenza di altri polimeri e le forti limitazioni imposte dalla legislazione di vari paesi in merito alle dispersioni dello stirene monomero negli ambienti di lavoro, nell'atmosfera e nelle acque, e ai residui lasciati nel polimero; sono stati fissati limiti molto ristretti a tutte queste possibili forme d'inquinamento e per ottemperarvi i produttori hanno dovuto prendere drastici provvedimenti: i vecchi sistemi discontinui di polimerizzazione sono stati sostituiti da altri continui, con emissioni ridotte, entro i limiti imposti; per ridurre il tenore di monomero residuo nel polimero questo, appena ottenuto allo stato fuso, viene inviato in un degassatore (un recipiente caldo, mantenuto a pressione ridottissima); il prodotto è poi pellettizzato sott'acqua e viene anche foggiato, per estrusione, iniezione, ecc., a caldo in ambienti ventilati. Per battere la concorrenza degli altri polimeri i produttori hanno cercato di migliorare le caratteristiche del prodotto operando variazioni sia nella polimerizzazione, per es. preparando copolimeri, sia nella lavorazione (film biorientati, termoformatura, ecc.).

Così a partire dal 1985 il settore ha superato in parte la crisi e in USA la produzione ha ripreso con incrementi annuali del 2÷6%, mentre in Europa e in Giappone è continuata ancora una debole recessione. Nei paesi asiatici la crescita è stata del 6% circa; e si prevede che nel 1996 essi saranno in grado di produrre circa 3 milioni di t/anno di polistirene; intanto l'Europa importa dai paesi asiatici l'8÷9% del proprio consumo (l'Italia una percentuale molto più alta). Negli ultimi anni il settore ha risentito degli effetti della crisi generale dell'industria, ma sono già in atto segni di ripresa. Sono allo studio progetti di nuove fabbriche, sia in Europa che in USA, con l'abbandono di quelle più vecchie (in Francia, in Germania); nel 1992 è entrato in funzione un nuovo impianto da 90.000 t a Hong Kong (partecipazione fra Enichem e un partner asiatico); un altro impianto, da 50.000 t è entrato in funzione a Singapore.

Lo stirene può essere polimerizzato con diversi sistemi: il più usato è quello a radicali liberi, mentre quello con catalizzatori di coordinazione Ziegler-Natta non trova applicazione. La polimerizzazione può effettuarsi in soluzione, in sospensione o in massa (quest'ultimo sistema è il più usato per impianti a funzionamento continuo, e può considerarsi in soluzione poiché lo stirene agisce anche da solvente). Il polistirene è un solido incolore, fortemente trasparente, duro, fragile, facilmente foggiabile per la bassa temperatura di rammollimento. Le sue caratteristiche possono essere variate per formazione di copolimeri, di mescole e di leghe. L'aggiunta di un elastomero (polibutadiene), miscelato tal quale o meglio aggiunto come monomero all'atto della polimerizzazione, porta alla formazione di una dispersione di piccoli globuli di elastomero nel polistirene costituente la fase continua; il prodotto ottenuto, contenente dal 6% al 10% di elastomero, viene indicato come polistirene ''a elevata resistenza all'urto''.

Il maggiore impiego del polistirene, tal quale o migliorato nella resistenza all'urto, si ha nell'imballaggio, dove se ne impiega il 50÷55% della produzione, grazie alle sue caratteristiche di stabilità dimensionale, lavorabilità, trasparenza, larga possibilità di colorazione. In questi ultimi anni però nel settore dell'imballaggio il polistirene trova forti concorrenti nei prodotti poliolefinici, di minore costo. Ciò ha spinto i produttori a migliorarne le caratteristiche: forte riduzione del tenore residuo di monomero per poter usare i vari tipi di manufatti anche per avvolgere i prodotti alimentari; miglioramento delle caratteristiche meccaniche mediante biorientazione. Grazie a quest'innovazione il consumo del film in USA è cresciuto da 90.000 t del 1990 a 150÷160.000 nel 1993; il prodotto trova mercato anche in Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania) e anche in Italia dove è entrato in funzione un impianto da 10.000 t/anno. Un altro 15% circa della produzione viene destinato in Europa e in USA a prodotti tecnici, come carcasse di televisori, di apparecchi radio e di videocassette, accessori di computer, articoli elettrici, ecc. Un altro 15% è assorbito dagli oggetti per la casa, fra i quali elettrodomestici (per es. nei rivestimenti interni di frigoriferi, applicazione contrastata dal polipropilene), oggetti da cucina e da tavola.

La facile lavorabilità del p. rende possibile ottenere manufatti o semilavorati per estrusione (fogli, film, lastre, tubi, profilati, monofilamenti). Nel caso di film destinati ad avvolgere prodotti alimentari si preparano coestrusi, cioè polistirene estruso contemporaneamente ad altri film (barriera, ecc.). Film o lastre di diverso spessore danno manufatti per termoformatura. Un prodotto importante è il polistirene espanso che si può ottenere con diversi procedimenti a seconda delle caratteristiche desiderate; il più usato consiste nel fare sviluppare una massa ragguardevole di bollicine gassose in seno al polimero fluido e stabilizzare poi la struttura ottenuta (per raffreddamento). Dopo le limitazioni all'impiego dei clorofluorocarburi, in passato usati come generatori di bollicine, oggi si ricorre a idrocarburi volatili (pentano) o anche ad anidride carbonica. Si possono ottenere lastre di spessore diverso, oggetti formati come vassoietti per alimentari, imballaggi, lastre per l'isolamento termico di pareti, di edifici, di elettrodomestici, ecc.

Poliuretani (PU). − Lo sviluppo dei PU si è verificato nella seconda metà degli anni Ottanta ed è proseguito con ritmo del 3÷4% sino a raggiungere oggi una produzione di circa 5 milioni di t/anno, per il 75% ottenuta in USA, Giappone ed Europa occidentale; si prevede una produzione di 6,5 milioni di t entro la fine del secolo. Nel 1990 c'è stata una leggera flessione nel ritmo di crescita dovuta alla crisi generale, ma poi il ritmo è ripreso, anche per la comparsa di nuovi prodotti e di nuovi paesi produttori, e per la realizzazione di nuovi impianti di produzione delle materie prime; in Corea del Sud è in via di realizzazione la costruzione di due impianti di isocianati e di polioli rispettivamente per 60.000 e 80.000 t/anno. I maggiori consumi si hanno in Europa occidentale (circa 1,6 milioni di t), in USA (1,5), in Giappone (0,5). In Italia i consumi sono di 0,25 milioni di t. I PU si ottengono per policondensazione di un isocianato polifunzionale, con due gruppi terminali − NCO, che viene fatto reagire con una molecola contenente due gruppi -OH, come un polietere, un poliestere, ecc. Poiché la funzionalità dei reagenti, sia isocianato che polioli, può variare, si possono ottenere polimeri differenti, con ramificazioni e legami trasversali, ecc., dotati di caratteristiche diverse, dagli elastomeri ai prodotti espansi, a prodotti rigidi o flessibili. Una delle maggiori forme d'impiego si ha negli espansi che in passato si ottenevano con l'impiego di clorofluorocarburi; dopo la proibizione di usare questi composti, si è passati ad altri agenti porofori: idrocarburi quale il ciclopentano, il pentano o anche anidride carbonica; però gli espansi che si ottengono hanno caratteristiche un po' diverse, per es. densità alquanto più elevata per una diversa quantità di vuoti, e quindi differenti proprietà isolanti. I poliuretani si sono avvantaggiati largamente della tecnologia di stampaggio a iniezione con reazione (RIM, Reaction Injection Mould, v. oltre) che offre notevoli possibilità rispetto agli altri metodi: consente di produrre con rapidità, e più economicamente, manufatti anche di grandi dimensioni e di vario tipo (espansi, flessibili, rigidi, rinforzati); si calcola che almeno il 95% dei poliuretani venga lavorato con questo procedimento. Poiché una larga parte dei poliuretani (circa un quinto) sono impiegati nel settore automobilistico (per la loro facile lavorabilità, stabilità dimensionale, resistenza all'urto, alle alte temperature, ecc.), ha acquistato interesse il problema del loro riciclaggio; si sono studiati sistemi di riciclaggio chimico, per riottenere i polioli e gli isocianati impiegati nella sintesi, e anche sistemi di macinazione e miscelazione con componenti vergini per foggiare nuovi manufatti.

Policarbonati. - Sono polimeri (poliesteri; v. App. III, ii, p. 430) risultanti dalla policondensazione di acido carbonico con bisfenoli. Accoppiano a un notevole grado di trasparenza elevate caratteristiche di durezza, tenacità, resistenza alla distorsione termica, compatibilità con numerosi altri composti; le loro caratteristiche possono essere ampliate e migliorate scegliendo i componenti da fare reagire o quelli da copolimerizzare, o quelli da miscelare per formare leghe.

Agli inizi la preparazione si è basata su una reazione di transesterificazione, poi si è passati a una di policondensazione interfacciale nella quale si fa reagire, per es., bisfenolo A in soluzione acquosa alcalina con fosgene in soluzione di idrocarburi clorurati; mescolando le due soluzioni, con eccesso di quella di fosgene, nella zona di interfaccia si formano oligomeri di carbonati che in presenza di catalizzatori (ammine terziarie) subiscono con accelerazione una policondensazione. La reazione viene poi arrestata provocando l'idrolisi degli atomi di cloro presenti alle terminazioni delle catene che vengono sostituiti con radicali carbonato. Nel sistema di transesterificazione si parte da un diestere dell'acido carbonico (difenilcarbonato) e si sostituiscono i gruppi difenilici con molecole di bisfenolo A (i radicali fenilici con gli ossidrili del bis-fenolo danno fenolo che si riutilizza nella preparazione del difenilcarbonato). La reazione, catalizzata da alcali, si effettua a pressione ridotta e temperatura elevata, tale da mantenere la massa fusa a sufficiente fluidità e da favorire lo sviluppo del fenolo prodottosi. Questo sistema, abbandonato per il costo e le difficoltà presentate, tende oggi a essere ripreso perché con esso si evita l'impiego di fosgene e di solventi clorurati che richiedono notevoli e costose precauzioni per la loro tossicità e per i pericoli d'inquinamento.

La produzione dei policarbonati è in aumento; la capacità produttiva mondiale che attualmente è dell'ordine di circa 850.000 t/anno dovrebbe arrivare nel 1994-96 a oltre un milione di t poiché sono in progetto, e in parte in corso di costruzione, alcuni nuovi impianti in Germania, in Giappone, in USA, in Corea, in Brasile, ecc. La produzione dovrebbe passare dalle 600 mila t attuali a 800 mila nel 1995-96, con un'utilizzazione degli impianti dell'80% circa, ciò che non dovrebbe comportare variazioni apprezzabili di prezzo del prodotto. I consumi sono ovunque in crescita; il tasso medio si valuta intorno al 4%, ma in USA esso raggiunge il 6÷8%.

La produzione di policarbonati viene assorbita per il 50% circa dall'industria elettrica ed elettronica, per il 25% da quella delle costruzioni, per l'8% dall'industria automobilistica e per il rimanente 17% da svariati impieghi quantitativamente meno importanti. In elettrotecnica, sfruttando oltre alle proprietà già sopra citate anche quelle isolanti, il ritardo alla fiamma, la resistenza al calore, ecc., si preparano interruttori, prese, spine, portalampade, manicotti terminali per cavi, carcasse di apparecchi elettrodomestici, di attrezzi e di televisori, plafoniere, contatori; in elettronica i policarbonati si usano per la preparazione di compact disc. Nelle costruzioni il maggiore impiego si ha nelle lastre piane, ondulate o curvate usate per edifici, serre, barriere contro il suono, coperture (di stazioni ferroviarie, gallerie, ecc.) e nei pannelli formati da due-tre lastre distanziate, usati per isolamento termico. Nel campo dell'auto l'impiego si va sempre più estendendo anche perché il polimero si presta al riciclaggio: così cresce la produzione di fari interamente in policarbonato che si presta a essere stampato nelle forme più svariate e in unico blocco contenente tutti i componenti; leghe di policarbonati con polimeri tereftalici si usano per lo stampaggio di paraurti e di altri componenti.

Poliesteri. - Sono i prodotti di policondensazione di un acido policarbossilico con un alcool pure poliossidrilico; il polimero derivato dall'acido tereftalico e dietilenglicol è usato da tempo come fibra tessile (con diversi nomi commerciali: terilene, ecc.); più recente è il suo impiego come film e ancora più recente quello come materiale da stampaggio. Il suo ritmo di crescita in questi impieghi, negli ultimi anni, è stato uno dei più elevati, arrivando anche in alcuni paesi al 10% e oltre (14% in USA e nel Sud-Est asiatico). Il consumo mondiale supera 1,5 milioni di t; entro i prossimi tre anni USA, America latina ed Europa dovrebbero aumentare la propria capacità produttiva di circa 500 mila t. In Europa l'Italia è al primo posto per la produzione con 150.000 t/anno, seguita da Gran Bretagna e Irlanda (110.000), da Benelux (circa 60.000), da Francia (45.000). In Europa il consumo supera le 500.000 t; il 20% del fabbisogno proviene dagli USA e dai paesi asiatici. È stato recentemente completato un nuovo impianto in provincia di Frosinone della capacità di 60.000 t. In Europa l'80% della produzione è assorbito dalla fabbricazione di bottiglie per acqua minerale e bibite gassate.

Il polimero si prepara per reazione fra acido tereftalico e glicol etilenico; in passato si otteneva per transesterificazione del dimetiltereftalato con glicol etilenico in presenza di catalizzatori; nella reazione si sviluppava alcool metilico che ricondensato si riutilizzava per preparare l'estere metilico di partenza. Oggi si preferisce la sintesi diretta fra acido tereftalico e glicol ad alta temperatura e sotto pressione, che si può realizzare con sistemi continui e porta a prodotti con caratteristiche migliori. I maggiori impieghi si hanno nella produzione di film e di manufatti stampati; il film si produce per estruzione del polimero fuso ottenendo spessori che vanno dai pochi micron ad alcune centinaia; si hanno film con orientazione monoassiale o biassiale ottenuta per stiro in una o due direzioni, con gradi diversi di trasparenza, usati largamente come base per film fotografici, nastri per computer, nastri magnetici, imballaggio.

Per lo stampaggio si usano polimeri con peso molecolare più alto di quello impiegato per i film, 25-30.000. Si usano nella produzione di contenitori grazie alle loro caratteristiche barriera alla permeabilità e ai gas; in particolare per acque minerali e bibite gassate, e per prodotti da introdurre a caldo o da riscaldare dopo l'introduzione per ottenerne la pastorizzazione (birra, ecc.). In questi casi il polimero viene stabilizzato termicamente provocando una cristallizzazione che induce un miglioramento delle caratteristiche meccaniche.

Tecnopolimeri. - Con questo nome si indicano materiali prevalentemente termoplastici (talora anche qualche termoindurente) dotati di caratteristiche particolari, per poter essere impiegati in settori speciali e limitati, dove riescono a competere con metalli, di peso specifico di molto superiore. Le caratteristiche salienti per le quali vengono apprezzati, oltre il basso peso specifico, sono: elevata rigidità e tenacità, stabilità al calore, anche in condizioni di carichi statici e dinamici, e all'invecchiamento, duttilità, lavorabilità. Naturalmente non tutte queste proprietà si presentano in modo analogo in ogni polimero; in base al grado in cui le varie caratteristiche si presentano i tecnopolimeri si distinguono in: resistenti alle alte temperature, di caratteristiche meccaniche particolari, isolanti elettrici anche ad alta temperatura, ecc. Queste proprietà dipendono dal peso molecolare, dalla morfologia, ecc.: per es. col peso molecolare, nei prodotti a struttura lineare, cresce la tenacità (a scapito spesso della lavorabilità); invece nel caso dei termoindurenti con l'aumentare del grado di reticolazione cresce la fragilità. I tecnopolimeri possono presentare struttura cristallina o amorfa: quelli cristallini trasmettono meglio la luce e possono diventare trasparenti se sottoposti a stiramento; gli amorfi sono più solubili nei solventi organici (per questo per gli ingranaggi, e per i componenti che debbono venire a contatto con oli o carburanti, ecc., sono di solito scelti quelli cristallini).

Rientrano nei tecnopolimeri policarbonati, poliammidi, poliossimetileni, polisolfoni, polieteroimmidi, polimeri a cristalli liquidi, leghe polimeriche. Nel complesso i diversi polimeri che fanno parte dei tecnopolimeri rappresentano l'8÷10% dei materiali termoplastici, ma la loro importanza dal punto di vista economico è molto superiore. Molti di questi prodotti derivano dai polimeri normali, nei quali sono state apportate alcune variazioni di composizione e di struttura. Così, introducendo nella struttura di un policarbonato monomeri più rigidi si ottengono prodotti caratterizzati da una maggiore resistenza alla distorsione a caldo, senza perdere però in caratteristiche ottiche, meccaniche, reologiche, ecc. Analogamente, sostituendo nella poliammide 6,6 l'acido a 6 atomi di carbonio con un altro a 4, si ottiene la poliammide 4,6 caratterizzata da una maggiore densità, un più alto punto di fusione, una maggiore velocità di cristallizzazione, una più alta temperatura di distorsione al calore sotto carico. Altri tecnopolimeri si possono ottenere per ''nobilizzazione'' di r. di tipo normale: la soc. Du Pont, per es., aggiungendo al polietilene cariche inorganiche è riuscita ad ottenere un prodotto di caratteristiche superiori a quelle del materiale di partenza; analogamente la Himont ha modificato il polipropilene e la Mobil il polistirene.

La lavorazione delle materie plastiche. - Un settore di fondamentale importanza nello sviluppo delle materie plastiche è quello della loro lavorazione, cioè dei sistemi e mezzi coi quali i singoli polimeri vengono trasformati in oggetti di consumo direttamente o attraverso la formazione di semilavorati, cioè di prodotti che richiedono un'ulteriore lavorazione per dare i prodotti finiti. Ai sistemi di lavorazione già indicati nella III e IV Appendice se ne sono aggiunti altri nuovi o derivati dai precedenti con modifiche importanti. Altrettanto importanti sono le innovazioni introdotte nei vecchi sistemi per ottenere produzioni più elevate, prodotti migliori, controlli più spinti, e soprattutto un potenziamento della meccanizzazione di ogni operazione e la computerizzazione dei vari procedimenti, che ha consentito di ottenere oggetti di forme diverse, anche molto complesse, con costanza di caratteristiche, di qualità elevate, e di dimensioni anche notevoli. Negli ultimi anni si è cercato di abbinare le reazioni di formazione di polimeri (o loro fasi) alla loro foggiatura, ciò che richiede macchine più complesse ma più compatte rispetto a quelle necessarie per effettuare le due operazioni in maniera distinta; il sistema rende anche la produzione più semplice e più rapida. Il procedimento può realizzarsi per polimeri da foggiare sia per estrusione che per iniezione.

L'estrusione con reazione interessa prevalentemente polimeri che si formano allo stato fuso, meno frequentemente in soluzione o in massa; le reazioni che si possono ottenere sono quelle di formazione di polimeri da prepolimeri, di formazioni di copolimeri a blocchi, d'introduzione di gruppi funzionali, di catene laterali, ecc. I reagenti iniziano le reazioni già nei condotti d'alimentazione all'estrusore; le condizioni (temperatura, velocità di reazione, ecc.) vengono regolate in modo che le reazioni si effettuino per la maggior parte prima che il prodotto arrivi all'estrusore; a questo momento di possono aggiungere catalizzatori e regolare la temperatura per eliminare eventuali componenti volatili; il polimero fuso viene poi spinto attraverso un ugello con una o più aperture. All'uscita il manufatto è raffreddato rapidamente (con acqua o con altro fluido) sia per fare solidificare il prodotto che per arrestare ogni residuo di reazione. Il sistema oltre ai vantaggi di maggiore semplicità e compattezza ha anche quello di prestarsi a produzioni continue.

Nel caso di stampaggio per iniezione con reazione, indicato correntemente con la sigla RIM (v. compositi, materiali, in questa Appendice), il sistema consente di stampare oggetti di grandi dimensioni che risulterebbe difficile e antieconomico foggiare coi normali sistemi d'iniezione o di compressione. Le attrezzature necessarie sono meno costose e le basse pressioni richieste per il riempimento degli stampi consentono per questi l'uso di alluminio. Il processo presenta alcune varianti indicate come R-RIM, S-RIM; la prima riguarda lo stampaggio con materiali di rinforzo, usando di solito fibre di vetro corte che si mescolano ai componenti liquidi che debbono reagire; la miscela si inietta in stampi entro i quali avviene una rapida reazione e stampaggio del materiale. La variante S-RIM riguarda lo stampaggio di manufatti strutturali. Le r. che si usano sono prevalentemente le poliuretaniche bicomponenti a bassa viscosità che impregnano velocemente le fibre di vetro (si possono usare anche r. poliestere, poli, ciclopene). Oltre a poter foggiare pezzi di grandi dimensioni il sistema si presta a linee continue di lavoro, alimentabili anche con pre-forme, con produttività elevate.

Il sistema di stampaggio con trasferimento di resina (RTM, Resin Transfer Mould) è quello più usato per polimeri termoindurenti (poliesteri insaturi, r. epossidiche, acriliche modificate, ibridi poliestere/PU, ecc.), perché consente una maggiore rapidità di stampaggio e sostituisce parte dell'azione esplicata dal catalizzatore con il calore, grazie al quale s'inizia la policondensazione dei componenti fuori dello stampo nel quale vengono poi spinti. È particolarmente adatto quando si devono inserire nei manufatti cariche rinforzanti, come inserti metallici, che vengono sistemati facilmente nello stampo aperto; le r. in stato di incipiente fusione non riescono a spostarli dalla loro posizione ma li avvolgono completamente per poi indurire nella fase finale dello stampaggio. Il sistema consente di produrre manufatti con elevate percentuali di rinforzanti, anche superiori al 70%. Si possono anche inserire rinforzanti costituiti da fibre orientate.

I sistemi di stampaggio tradizionali (iniezione, estrusione-soffiaggio, ecc.) in questi ultimi anni hanno subito variazioni notevoli. Così il sistema di preparazione di film per estrusione-soffiaggio (v. App. III, ii, p. 431) consente oggi di ottenere film a più strati direttamente, in una sola operazione. I diversi polimeri dei vari strati, attraverso condotti separati e riscaldati, arrivano fusi alla bocca dell'estrusore formata da più aperture circolari dalle quali escono sotto forma tubolare i polimeri che vengono poi espansi per soffiaggio. Si possono estrudere separatamente fino a 6÷8 polimeri e ottenere film formati dalla sovrapposizione di altrettanti strati di polimeri diversi, con caratteristiche differenti. Ciò è particolarmente importante per i film d'imballaggio, per es. di alimenti, dove si possono usare polimeri inalterabili a contatto degli alimenti, polimeri barriera capaci di impedire il passaggio dell'umidità, dei gas e degli odori all'interno e polimeri resistenti all'abrasione e all'usura all'esterno, oltre a polimeri capaci di fornire al film altre caratteristiche (flessibilità o rigidità, colorazione, ecc.). In passato si doveva ricorrere alla produzione dei singoli film che venivano poi accoppiati per calandratura. Naturalmente non tutti i polimeri sono adatti a questa coestrusione: occorre sceglierli in modo che presentino caratteristiche reciprocamente compatibili per evitare inconvenienti di disuniformità o irregolarità dovute per es. a difetti di miscelazione causati da diversità di caratteristiche reologiche, ecc.

La coestrusione si presta ad altre importanti applicazioni, oltre quella della produzione di film sottili accoppiati: è impiegata per es. nella produzione di tubi e di profilati formati da più strati con caratteristiche fisico-meccaniche diverse, allo scopo di incapsulare strati di polimeri espansi in strati continui, con caratteristiche elevate per migliorare la flessibilità, diminuire i costi, ecc. Il sistema viene anche utilizzato per impiegare r. riciclate: si formano tubi in PVC formando tre strati, quello al centro costituito da r. di riciclo e i due esterni formati da PVC vergine. Film a più strati, il cui spessore varia da pochi micron fino a qualche centinaia di micron, si possono ottenere con estrusori a testa piana, con regolazione automatica dell'alimentazione alle filiere del materiale fuso. L'estrusione a testa piana consente anche di preparare lastre di diverso tipo, per es. con lo strato intermedio alveolare. Agli estrusori monovite, usati in passato, si sono aggiunti più recentemente quelli a due viti, che vengono utilizzati non solo per il trasporto del materiale fuso alla filiera, ma anche per miscelare contemporaneamente più componenti (per es. nella formazione dei cosiddetti compound).

Le macchine usate per lo stampaggio per iniezione, il sistema più usato per i prodotti termoplastici (v. App. III, ii, p. 431) hanno subito notevoli miglioramenti nelle velocità di stampaggio e nel grado di precisione, raggiungibile attraverso controlli rigorosi del ciclo di lavorazione. Oggi si dispone di linee automatizzate e computerizzate dall'alimentazione delle materie prime fino all'imballaggio dei prodotti finiti, munite di robot per il trasporto e per il cambio degli stampi. Si hanno controlli di qualità integrati, che permettono di visualizzare il valore reale; d'impostare i limiti di tolleranza consentiti, scartando i manufatti risultanti con parametri fuori norma; di rappresentare su uno stesso schermo le curve dei valori imposti e quelli reali. I profili d'iniezione e di postpressione sono rappresentati sotto forma di linee poligonali, ciò che impedisce salti nei valori impostati o irregolarità durante il riempimento delle impronte.

Per la produzione di massa di articoli anche di spessore sottile sono state realizzate presse veloci con stampi a canali caldi e a numerose impronte. Si hanno presse per stampaggio bimateriale e bicolore; il sistema bimateriale per pezzi di grossi spessori può consentire l'uso, all'interno, di materiali di minore costo, per pezzi a pareti sottili di uno strato interno a elevate caratteristiche meccaniche e di strati esterni di finitura di tipo vario. Si possono accoppiare r. diverse, per es. antiurto ed elastomeriche. Nella stampa a iniezione si incontrano difficoltà a produrre articoli in materiali termoplastici con pareti di spessore elevato, poiché il ritiro del polimero può provocare risucchi superficiali che non si possono eliminare facilmente. Per questo si è sviluppato lo stampaggio con iniezione di gas: si inietta nel polimero fuso una certa quantità di gas inerte che ha lo scopo di bilanciare con la sua pressione la contrazione della massa fusa durante il raffreddamento.

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