Congo, Repubblica Democratica del

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Stato dell’Africa centrale; dal 1971 al 1997 denominato ufficialmente Zaire. Confina a N con la Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan, a NE con l’Uganda, a E con il Ruanda, il Burundi e la Tanzania, a SE con la Zambia, a S con la Zambia e l’Angola, a O con la Repubblica del Congo (e per breve tratto si affaccia sull’Oceano Atlantico).

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Il territorio del C. è, in linea di principio, modellato sul bacino del fiume omonimo, in base al progetto cui si ispirò l’intervento europeo nella regione sul finire del 19° secolo. Benché la coincidenza tra Stato e bacino non sia stata attuata pienamente, la forma del C., e in particolare il restringimento presso lo sbocco del grande fiume nell’Atlantico (là dove il bacino si riduce quasi al solo corso fluviale), ricorda il tentativo di realizzare un territorio politico dai confini ‘naturali’. La formazione del territorio congolese, tuttavia, fu soggetta a un’aspra contesa che coinvolse in particolare la Francia (per la parte destra del bacino medio e inferiore del fiume) e il Portogallo (per la parte sinistra del bacino inferiore), e questa circostanza spiega la maggior parte degli scostamenti del confine politico da quello idrografico; a ciò si aggiunga che gran parte del tracciato dei confini fu definita prima che si prendesse piena cognizione delle caratteristiche areometriche e morfometriche del sistema fluviale, oppure fu concordata negozialmente, come attestano i tratti di confine ‘geometrico’ con Angola e Zambia.

Caratteristiche fisiche

La morfologia del C. è piuttosto uniforme. La massima parte del territorio è un’immensa conca dal fondo suborizzontale, generalmente sotto i 500 m s.l.m., inclinato verso O, interrotto da una serie di terrazzi digradanti (cui corrispondono cascate sui corsi d’acqua), il più delle volte paralleli alla costa. La depressione è orlata e circoscritta da rilievi che interessano il territorio congolese nei soli tratti in cui il confine segue lo spartiacque, e cioè all’estremità orientale, dove gli allineamenti vulcanici lungo la Rift Valley raggiungono elevazioni considerevoli, culminando a 5109 m con la cima del Ruvenzori. Vi sorge anche il Nyiragongo (3470 m), il più attivo apparato vulcanico dell’Africa, all’interno del Parco Nazionale dei Virunga. Altri rilievi, di assai più modeste proporzioni, marginali e spesso tabulari, si innalzano a N tra i corsi dell’Ubangi e del Congo e all’estremo S, tra quelli del Luapula-Luvua e del Lualaba (Monte Mulumbe), nel Kasai e nel Katanga occidentale, dove assumono la forma di altopiani.

Il bacino del Congo, formato in gran parte da sedimenti di età mesozoica e quaternaria, costituisce strutturalmente un cratone, cioè una zona della crosta terrestre rigida e stabile, contornata da orogeni, fasce orogeniche plastiche e instabili, sedi di corrugamenti. Di tali fasce la più evidente, ai margini orientali del bacino, è costituita dal tratto centrale del sistema della Rift Valley dell’Africa orientale, un allineamento di fratture della crosta terrestre di età miocenico-pleistocenica, sede ancor oggi di un’intensa attività sismica e vulcanica. A S il bacino congolese è delimitato dall’orogene del Katanga, che s’interpone, con decorso E-O, fra i cratoni del Congo e del Kalahari: attivo nel tardo Precambriano, ha l’aspetto di un rilievo tabulare formato da una spessa successione di sedimenti di acque poco profonde, e contiene ingenti depositi cupriferi in vario grado metamorfizzati. Sul lato occidentale infine il bacino del Congo è fiancheggiato dalla fascia orogenica del C. occidentale, non ben definita, con andamento parallelo alla costa atlantica.

La fitta foresta equatoriale è la forma di vegetazione dominante nella vastissima conca che forma la parte centrale del bacino; copre ormai solo poco più del 50% del paese, in seguito ai diboscamenti incontrollati. Le zone degli spartiacque a N e a S della foresta equatoriale sono coperte da savane, che cedono il posto a steppe nelle zone sabbiose. La foresta rada domina sugli altopiani del Katanga, nella parte sud-orientale del paese. La regione orientale dei laghi include alcune aree naturali protette, di cui cinque dichiarate dall’UNESCO ‘patrimonio comune dell’umanità’: la loro salvaguardia è stata fortemente compromessa dalla guerra civile e dai conflitti negli Stati confinanti Ruanda e Burundi.

La posizione, a cavaliere dell’equatore, e l’omogeneità del territorio fanno sì che le condizioni climatiche siano quasi esclusivamente dettate dalla distanza dalla latitudine e dall’altimetria. Tipicamente equatoriale, dunque, il clima registra temperature medie elevate, con escursioni annue molto contenute (22-26 °C), abbondanti precipitazioni (1700-1800 mm), tassi di umidità relativa dell’ordine del 75-85%; la stagionalità si fa sensibile quanto più si procede a N e a S dell’equatore, con la presenza di periodi relativamente più o meno piovosi; temperatura e umidità sono mitigate dall’altitudine e assumono valori moderati, in particolare sui rilievi orientali e sugli altopiani meridionali, aree di elezione dell’insediamento bianco in età coloniale e delle colture di piantagione.

Popolazione

Il quadro etnico del C. è estremamente diversificato, per quanto la massima parte della popolazione appartenga alle due grandi famiglie bantu e sudanesi: ma la stessa frammentazione linguistica (circa 270 idiomi bantu e circa 50 sudanesi, più diversi altri linguaggi di varia origine, compreso il Kisuaheli, diffuso nelle regioni orientali) illustra la varietà culturale del paese. Le popolazioni bantu (fra le etnie principali: Kundu-Mongo, Kongo, Mayambe, Teke, Ngala, Lunda, Luba), maggioritarie, occupano la depressione congolese e gli altopiani meridionali; quelle sudanesi (Zande, Mangbetu) sono stanziate, da epoche relativamente recenti, nell’area settentrionale e nord-orientale prossima all’alto bacino del Nilo, da cui provengono, come alcune popolazioni nilotiche di modesta entità numerica; esistono poi esigui gruppi pigmei residuali (Bambuti, Babinga), sparsi nelle regioni centro-settentrionali, e popolazioni relativamente arabizzate nelle regioni lacustri orientali. La collocazione tipologica delle varie etnie presenta, com’è ovvio, problemi spesso insormontabili dovuti alle reciproche contaminazioni. Una tale frammentazione dà inoltre origine, con grande frequenza, a ribellioni locali, scontri interetnici e tentativi secessionistici, spesso aggravati o suscitati da eventi o interessi esterni, come, per es., fu il tentativo di secessione del Katanga, o com’è accaduto negli anni 1994-95 in occasione dell’arrivo di circa 1,5 milioni di profughi ruandesi nelle regioni orientali.

La dinamica demografica è largamente eccedentaria (tasso di crescita del 3,2% annuo nel 2008, nonostante una mortalità infantile di oltre l’83‰ e una speranza di vita di poco superiore ai 50 anni), e non accenna a rallentare in maniera stabile. Benché le principali malattie endemiche della regione (responsabili in passato di altissimi livelli di mortalità) siano state fortemente contrastate sul piano terapeutico, carenze molto gravi si riscontrano ancora in termini di profilassi, igiene e distribuzione territoriale dei servizi sanitari. Del resto, e più in generale, carenti sono le condizioni di accesso a tutti i servizi per la popolazione, come dimostrano anche il tasso di analfabetismo (poco meno del 40%) e la bassa percentuale di abitanti che hanno accesso all’acqua potabile. Il quadro è ulteriormente aggravato da ricorrenti calamità naturali (siccità nel Sud, esondazioni stagionali del fiume Congo ed eruzioni a E, nella Rift Valley). Più della metà della popolazione vive in piccoli villaggi rurali isolati, spesso situati sulle rive dei fiumi, che in molte aree costituiscono l’unica via di comunicazione.

Il fenomeno urbano si è sviluppato impetuosamente soprattutto dagli anni 1960: la capitale, Kinshasa, che nel 1957 contava 370.000 abitanti, ha superato i 7 milioni nel 2004. Le principali altre città sono: Lubumbashi, nel Sud del Katanga; Mbuji-Mayi, nel Kasai Orientale; Kisangani, nella Provincia Orientale; Kananga, nel Kasai Occidentale.

Accanto al francese, sono di uso comune i numerosissimi idiomi locali. Una gran parte della popolazione pratica i tradizionali riti animisti, anche se il proselitismo dei missionari cristiani ha fatto sì che, ufficialmente, quasi la metà della popolazione del C. si professi cattolica e quasi un terzo aderisca a culti protestanti. È presente anche una piccola quota di islamici.

Condizioni economiche

La struttura economica del C. rimane per certi aspetti simile a quella di un paese coloniale, essendo ancora basata sullo sfruttamento di materie prime minerarie quasi integralmente destinate all’esportazione. Nonostante vari tentativi di nazionalizzazione delle coltivazioni minerarie e degli apparati produttivi di prima trasformazione, gran parte dei proventi lascia il paese senza reinvestimenti locali e senza possibilità di capitalizzazione. Uno dei problemi di base del C. è perciò, costantemente, l’assenza di liquidità, con la conseguente necessità di accedere in misura notevolissima al credito internazionale, anche per il mantenimento della sola gestione ordinaria dell’apparato statale. Eppure, la bilancia commerciale è sempre fortemente attiva: in alcuni anni il valore delle esportazioni (per oltre la metà assorbite dal Belgio) è addirittura doppio di quello delle importazioni. Il reddito pro capite (187,284 dollari, a prezzi correnti, nel 2008) è uno dei più bassi del mondo e non sembra orientato a salire, al di là delle distorsioni contabili prodotte dall’inflazione. Va tuttavia tenuto presente il fatto che gran parte dell’attività economica è informale e sfugge alle rilevazioni statistiche. Si stima che tre quarti degli abitanti non svolgano alcuna attività regolarmente retribuita e vivano degli scarsissimi frutti di un’agricoltura che copre a malapena i fabbisogni alimentari essenziali dei nuclei familiari o dei villaggi. Molto diffuse sono tuttora le transazioni basate sul baratto.

Il settore primario è in grado, generalmente, di assicurare l’autosufficienza alimentare, benché le terre coltivate rappresentino appena il 4% della superficie totale (pur occupando più del 60% della popolazione attiva) e nonostante le gravissime difficoltà di distribuzione dei prodotti, che periodicamente costringono all’importazione di alimenti. Essenziale è la produzione di manioca (circa 15.000 t nel 2005), cui si aggiungono patate dolci, riso, mais. Peso ridotto hanno le piantagioni commerciali: le colture principali sono la palma da olio, coltivata nel bassopiano, e il caffè, coltivato sugli altopiani orientali, che costituisce il principale prodotto di esportazione, ma che è in contrazione (32.000 t nel 2005), anche per la caduta delle quotazioni sul mercato internazionale. La pesca d’acqua dolce è importante per l’alimentazione locale; l’allevamento è molto modesto e limitato agli altopiani, date le proibitive condizioni climatiche. Dalle foreste si ricava una produzione di legname che tende a crescere (45 milioni di m3 nel 1993; 74 nel 2005), con conseguenti fenomeni di grave depauperamento. Ma è soprattutto la straordinaria dotazione di risorse minerarie che conferisce eccezionali potenzialità al territorio congolese. La parte meridionale del paese (Kasai e, specialmente, Katanga) fornisce una grandissima quantità e varietà di minerali. Il C. è fra i primi produttori mondiali di cobalto (22.000 t nel 2005), di rame (92.000 t nel 2005), di diamanti (22 milioni di carati) e di coltan, un minerale da cui si ottiene tantalio, metallo raro che, da ingrediente essenziale per la produzione missilistica e nucleare e per il settore aerospaziale, è diventato di recente ricercatissimo dai produttori di telefonia mobile. Con produzioni più o meno consistenti figurano inoltre carbone, petrolio, oro, argento, uranio, manganese, cadmio, zinco, piombo, stagno, tungsteno. Le attività secondarie, a parte le industrie di prima trasformazione dei minerali e delle fibre tessili (cotone) di produzione locale, sono presenti soprattutto nelle aree della capitale e delle altre maggiori città, con i settori meccanico (soprattutto montaggio di veicoli), dei materiali da costruzione (cementificio), calzaturiero e alimentare.

Le infrastrutture di trasporto continuano a essere, sostanzialmente, quelle ereditate dall’età coloniale e concepite esclusivamente in funzione dello sfruttamento delle risorse naturali del paese: poco più di 5000 km di ferrovie, solo in minima parte elettrificate, e in genere destinate a raccordare tratti di fiumi navigabili (complessivamente, le vie navigabili regolarmente utilizzate assommano a circa 16.400 km, ma potenzialmente sono più estese) in corrispondenza delle interruzioni per rapide o cascate; 147.000 km di strade, quasi esclusivamente piste a fondo naturale. Nonostante le grandi potenzialità dei trasporti via acqua, vastissime aree sono di fatto isolate dal resto del paese e dall’esterno, con evidenti ripercussioni negative sull’avvaloramento delle produzioni locali, che spesso non è neanche possibile sfruttare. Le aperture verso l’esterno sono assicurate dai porti di Boma e Matadi, sull’estuario del Congo, mentre una linea ferroviaria collega il Kasai con il porto angolano di Lobito e un’altra il Katanga con la rete della Zambia e quindi con i porti della Tanzania: in ogni caso, si tratta di percorsi estremamente lunghi, il cui costo è mal sopportato da prodotti come quelli minerari. La produzione energetica è modesta e sottoutilizzata (sebbene il solo impianto idroelettrico di Inga abbia una potenza di 1,7 milioni di kW).

Storia

In epoca precoloniale la parte sud-occidentale del paese era sotto l’influenza del Regno del Congo, mentre altre formazioni statali erano organizzate dalle popolazioni Luba e Lunda; interessato a E dalle vicende della regione dei grandi laghi, nel NE il C. fu invece sfiorato, attraverso il Sudan, dalle vicende del mondo arabo-islamico. Tale varietà spiega i problemi di coesione e stabilità conosciuti dal C. dopo l’indipendenza, cui si giunse al termine dell’amministrazione coloniale belga. Questa si instaurò ufficialmente con la conferenza di Berlino del 1884-85, che attribuì la sovranità dello Stato libero del C. al re Leopoldo II. Le atrocità perpetrate contro la popolazione per organizzare la raccolta della gomma naturale suscitarono denunce e proteste in tutto il mondo, finché nel 1908 la pressione diplomatica di Gran Bretagna e USA indusse Leopoldo a trasferire l’amministrazione del territorio al governo del Belgio e nacque il Congo belga, con capitale Léopoldville.

L’indipendenza fu concessa dopo una manifestazione nazionalista organizzata dall’Abako (Alleanza dei BaKongo) a Léopoldville nel 1959, chiusasi con gravi incidenti e molte vittime. La Repubblica del C. fu proclamata il 30 giugno 1960. I partiti politici erano favorevoli a formule costituzionali di tipo federale, al contrario dell’unitario Mouvement national congolais di P. Lumumba, che ottenne la maggioranza relativa nelle elezioni preparatorie dell’indipendenza; la Costituzione del 1960 sancì un compromesso, prevedendo uno Stato unitario, ma con province dotate di ampia autonomia. Un compromesso fu raggiunto anche nell’attribuzione delle massime cariche: J. Kasavubu, leader dell’Abako, fu eletto presidente della Repubblica, mentre Lumumba divenne capo del governo. Pochi mesi dopo, Lumumba, per far fronte alla secessione della ricca provincia mineraria del Katanga, guidata da M. Tshombe e sostenuta dai Belgi intenzionati a mantenervi le proprie posizioni di controllo, fece appello all’ONU, quindi all’URSS, ma si scontrò con Kasavubu, che lo licenziò. Al governo si insediò il capo di Stato Maggiore dell’esercito, J.-D. Mobutu, e Lumumba, arrestato e consegnato a Tshombe, fu assassinato. La secessione del Katanga fu stroncata nel 1963 da un governo di unità nazionale, affidato al moderato C. Adoula, grazie all’intervento dei caschi blu. Focolai di secessionismo si erano però accesi in altre regioni. Nel 1964 Kasavubu affidò il governo a Tshombe e fu promulgata una nuova Costituzione, presidenziale e federalista. Dopo la sostituzione di Tshombe con E. Kimba, nel 1965 Mobutu si attribuì tutti i poteri e proclamò la seconda repubblica.

Mobutu e il suo Mouvement Populaire de la Révolution (MPR) rimasero alla guida del paese 32 anni. In politica estera, mantenne strettissime le relazioni con il Belgio, la Francia e gli USA, anche se contemporaneamente varò un programma di africanizzazione, cambiando nomi e toponimi (Congo divenne Zaire). Sul piano interno, dietro un’apparente stabilità si celava un governo dittatoriale e corrotto. L’opposizione al regime si organizzò soprattutto intorno all’Union pour la Démocratie et le Progrès Social (UDPS), nata nel 1982. Nell’aprile 1990 Mobutu annunciò l’imminente introduzione di un sistema multipartitico, la nascita della terza repubblica e la sua rinuncia all’incarico di presidente, ma di fatto continuò a detenere tutti i poteri, nonostante le proteste della Francia e la sospensione degli aiuti economici decretata dagli USA e dalla CEE. Nel 1994 Mobutu acconsentì a ospitare nelle regioni orientali circa un milione e mezzo di Hutu provenienti dal Ruanda, ma l’arrivo dei profughi ebbe conseguenze gravissime: nell’ottobre 1996 nella provincia del Kivu i Tutsi zairesi, appoggiati dal nuovo governo ruandese e inquadrati nella radicale Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo-Zaire (AFDLCZ), si ribellarono, sconfiggendo gli estremisti hutu sostenuti dall’esercito zairese; ciò consentì il ritorno in Ruanda della maggioranza dei profughi, mentre la ribellione si estese rapidamente all’intero Zaire, costringendo Mobutu all’esilio nel maggio 1997.

Nello stesso mese il leader dell’AFDLCZ, L. Kabila, si proclamò presidente della ribattezzata Repubblica Democratica del Congo. Non si fermò tuttavia la guerra civile. Kabila tentò di fare appello al nazionalismo della popolazione, presentando i nemici come invasori tutsi e scatenando la caccia agli appartenenti a questa etnia, ma i ribelli occuparono comunque una vasta porzione di territorio. Il conflitto si protrasse con denunce da ambo le parti di atrocità ai danni della popolazione civile. Diversi tentativi di realizzare un incontro tra tutti i paesi dell’area per giungere a una soluzione negoziata fallirono, soprattutto perché il governo si rifiutava di ammettere alla discussione anche rappresentanti delle forze ribelli, che godevano dell’appoggio di Uganda e Ruanda. Nell’aprile 1999, a Lusaka, fu raggiunto un accordo per la sospensione delle ostilità, che tuttavia rimase largamente disatteso.

Nel gennaio 2001, in circostanze non chiare, Kabila fu ucciso. La guida del governo e dell’esercito fu assunta nello stesso mese dal figlio Joseph, che si impegnò in una vasta opera diplomatica, soprattutto per convincere Ruanda e Uganda a ritirare dal C. i loro contingenti. Nel 2002 venne concluso un nuovo accordo in Sudafrica tra il governo di Kinshasa e alcuni dei gruppi armati di opposizione. Si formò un governo provvisorio che accoglieva esponenti delle forze ribelli e nell’aprile 2003 Kabila firmò una Costituzione transitoria. Nell’estate di quell’anno si insediò anche un Parlamento provvisorio, mentre esponenti degli ex gruppi guerriglieri venivano nominati vicepresidenti e posti al fianco di Kabila. Una nuova Costituzione, approvata dal Parlamento nel 2005, fu sottoposta con successo al voto popolare ed entrò in vigore nel 2006. Tra luglio e ottobre 2006 le prime elezioni democratiche dagli anni 1960 hanno confermato alla carica di presidente Kabila. Ma il paese è lungi dall’essere pacificato: la provincia nord-orientale dell’Ituri è stata sconvolta fra il 1999 e il 2007 dalla lotta fra i gruppi etnici hema e lendu; il Kivu Settentrionale dal 2004 è stato area di conflitto e l’accordo di pace del dicembre 2008 fra governo e milizie locali è stato presto rotto dall’ufficiale ribelle Laurent Nkunda, poi arrestato grazie a un’intesa col Ruanda (2009). La situazione  di estrema fragilità interna, di dilagante violenza  e di debolezza del potere centrale è perdurata anche negli anni successivi, e in questo clima si sono svolte nel novembre 2011 le elezioni per rinnovare le cariche presidenziali, parlamentari, provinciali e locali. Le consultazioni hanno visto la riconferma di Kabila alla presidenza  con il 48,95% dei voti, contro il 32,3% delle preferenze ottenute dall'oppositore E. Tshisekedi. In considerazione delle irregolarità rilevate, gli osservatori internazionali che hanno monitorato le elezioni hanno stimato tali risultati del tutto inattendibili; la loro divulgazione ha provocato nuovi scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori dei candidati dell'opposizione, che hanno denunciato brogli. Nel maggio 2016 la Corte costituzionale ha decretato che il presidente Kabila avrebbe potuto restare in carica anche al termine del suo mandato qualora le presidenziali previste per novembre non avessero dovuto svolgersi, ciò provocando nuove, dure reazioni da parte dell'opposizione; a ottobre le elezioni sono state rinviate all'aprile 2018, e il mese successivo il premier del Paese A. Matata Ponyo, in carica dal 2012, ha rassegnato le dimissioni come previsto dall'accordo firmato da governo, società civile e da parte dell'opposizione per prolungare il mandato presidenziale. L'accordo ha stabilito inoltre la creazione di un governo di unità nazionale e la nomina di un nuovo premier dell'opposizione, scelto nella persona di S. Badibanga, cui nel maggio 2017 è subentrato, su nomina di Kabila, B. Tshibala Nzenze. Le elezioni presidenziali svoltesi nel dicembre 2018 hanno registrato l'affermazione del leader dell'opposizione F. Tshisekedi, che è subentrato al presidente uscente Kabila, al potere da 18 anni; nel maggio successivo l'intero esecutivo, ritenendo terminato il suo compito, ha rassegnato le dimissioni, subentrando al premier Tshibala l'economista del Parti du Peuple pour la Reconstruction et la Démocratie S. Ilunga Ilunkamba; il primo ministro si è dimesso nel gennaio 2021 a seguito della sfiducia del Parlamento, sostituito nel mese successivo da J.-M. Sama Lukonde su nomina del presidente del Paese. Nel dicembre 2023 Tshisekedi è stato riconfermato nella carica, ricevendo il 73% circa dei consensi.

Arte e architettura

La ricca tradizione scultorea del C. ha avuto un minore sviluppo in età moderna, mentre anche attraverso la tecnologia e l’educazione artistica hanno preso piede nuove forme di arte, pittorica e tessile. Centri istituzionali di formazione sono le accademie di belle arti di Kinshasa e di Lubumbashi. Della prima, fondata (1943) dal padre belga Marc-Stanislas e basata su modelli europei, è stato allievo lo scultore L. Limbe Mpuanga. La seconda è derivata dall’atelier (1946) del belga P. Romain-Desfosses. L’incontro tra creatività locale e modernismo occidentale ha unito un gruppo di pittori, nella rappresentazione dettagliata di flora e fauna, tra cui sono P.P. Molongoy e K. Mwenze. Negli anni 1970 è stato popolare il genere della pittura su sacchi fissati su telai: praticato da autodidatti, diffuso a Kinshasa, Kisangani, Lubumbashi, racconta avvenimenti del paese (serie dipinta per l’antropologo J. Fabian da Tshibumba Kanda Matulu; i quadri di Kaswende) o la cronaca quotidiana della strada, oltre a temi storici e mitologici, come le opere espressioniste di Moke. C. Samba, famoso anche all’estero, ha svolto temi politico-sociali o personali con stile descrittivo e ironico. Restauratore di maschere nel Museo Nazionale di Kinshasa, B. Isek Kingelez ha tratto ispirazione da metropoli europee e africane per i suoi modelli architettonici.

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