GUTTUSO, Renato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUTTUSO, Renato

Raffaele De Grada

Nacque a Bagheria, allora un grosso borgo agricolo nei dintorni di Palermo, il 26 dic. 1911, da Gioacchino agrimensore e da Giuseppina D'Amico. All'anagrafe venne dichiarato il 2 genn. 1912 per ritardare il servizio militare, secondo l'uso delle famiglie siciliane meno abbienti. Il padre si dilettava di pittura, intimo di D. Quattrociocchi, paesista, e di E. Murdolo, pittore di carretti. Entrambi, insieme con i palermitani V. Corona e G. Varvaro, sollecitarono nel G., allora studente liceale, i primi stimoli alla pittura che si manifestarono come vocazione quando nello studio di P. Rizzo scoprì il futurismo, di cui quest'ultimo era l'esponente in Sicilia. Ma Rizzo stava passando all'esperienza della figurazione novecentesca; ed è a questa che si ispirarono i primi dipinti del G. (Sicilia, 1929; Donna del marinaio; Palinuro, 1932) che egli, precocissimo, espose alla Sindacale siciliana, alla I Quadriennale romana e, in gruppo con A. Bevilacqua, L. Castro, V. Corona, M. Giarrizzo, M.M. Lazzaro, alla galleria milanese Il Milione (maggio 1932). Il G. vedeva nel Novecento italiano "l'aspirazione alla sincerità" (L'Ora, 16 giugno 1930); e la critica riconobbe in quei dipinti il superamento del pittoresco della vecchia pittura siciliana e dello stesso tonalismo novecentesco.

Nel 1934 il G. si staccò dal gruppo novecentesco siciliano ed espose, nella stessa galleria del Milione, con artisti siciliani della sua generazione (Lia Pasqualino Noto e gli scultori N. Franchina e G. Barbera); La ragazza di Bagheria e Ragazza sul golfo (1933) abbandonano il plasticismo novecentesco per un realismo popolare che caratterizzerà la sua pittura d'ora in poi.

Frattanto il G. era entrato in contatto, a Roma, con C. Cagli e M. Mafai. E l'incontro con Cagli, nipote di M. Bontempelli che, dopo essere stato il teorico del "realismo magico", ora proponeva un "primordialismo" espresso da Cagli con l'evocazione simbolica di protagonisti nudi, in chiara polemica con la tradizione postimpressionista e le avanguardie, fu fondamentale.

Il G. entrò così a far parte del movimento promosso dalla galleria romana La cometa, finanziata dalla contessa Anna Letizia (Mimì) Pecci Blunt, nipote del papa Leone XIII, e diretta dal poeta L. De Libero, un gruppo composito definito poi Scuola romana nel quale rientravano sia le inquietudini del trio Scipione-Mafai-Raphäel, sia le chiarità timbriche di R. Melli, oltre al "primordialismo" di Cagli, G. Capogrossi e E. Cavalli. Il G. colse le idee di Cagli, ma dichiarò una sua affinità con Mafai (L'Ora, 11 febbr. 1933), mentre manteneva i rapporti con Palermo (la mostra dei Quattro al Milione) e iniziava uno stretto contatto con il giovane ambiente di Milano dove venne accolto con grande favore e dove fu chiamato al servizio militare come sottotenente di fanteria.

Il critico napoletano E. Persico fu il primo organizzatore della galleria Il milione e dedicò alla mostra dei giovani siciliani una conferenza apparsa provocatoria in quanto vide in questi giovani la scintilla primaria di un progetto europeo, con sottese implicazioni di carattere politico che avrebbero portato in breve, col supporto dei giovani milanesi intorno ad A. Sassu e R. Birolli, a ciò che sarebbe stata definita un'arte "antifascista".

Il Novecento milanese, che aveva assopito le velleità rivoluzionarie degli anni Venti, non vedeva di buon occhio l'uso incontrollato del colore, antitetico del tonalismo milanese, del G. attento d'ora in poi alla deformazione espressionista dei giovani che formeranno tra breve il movimento di Corrente. Da questo momento il G. divenne un artista e un agitatore di idee in collegamento tra Milano (dove, congedato, affittò uno studio con L. Fontana in via G. Pepe), Roma (dove espose alla Quadriennale del 1935 e alla Bragaglia Fuori Commercio) e la Sicilia. Un'altra prova del carattere nazionale che andava assumendo l'arte dei giovani era il contatto che il G. aveva stabilito con C. Levi (del gruppo dei Sei di Torino) di cui aveva ammirato L'uomo dal guanto nero esposto alla Quadriennale del 1931. Nel Ritratto di Guglielmo Pasqualino che il G. espose alla Biennale veneziana del 1936 si avverte quella espressività di linee ondulate che denotavano una comune passione, con Levi, per El Greco.

Il centro del rinnovamento artistico in quegli anni era Milano dove i viaggi dei giovani a Parigi - vissuti come fuga verso la libertà, con la scoperta diretta dell'arte dell'Ottocento da E. Delacroix a P. Cézanne e P. Picasso, già adorata nelle riproduzioni - e il dibattito contro la retorica novecentesca preparavano quel clima generoso e ottimista da cui sarebbe sorta la rivista Corrente, momento unitario della formazione democratico-antifascista della nuova intelligencija italiana.

Birolli, che era il portabandiera del movimento, iniziò con il G. un dibattito (Il Ventuno, luglio 1935) che andò oltre gli anni di Corrente. Dai Taccuini di Birolli emergeva una concezione anarchica del mondo figurativo, ai limiti del misticismo, che cominciava a contrapporsi all'idea di rifondazione del reale che era già viva nel Guttuso. Il G. e Sassu espressero la loro emozione per gli avvenimenti della guerra di Spagna dipingendo con pericolo La fucilazione di García Lorca, passando così dal simbolo al reale storico; e il G. con i suoi assidui studi di vita contadina preparava la grande tela drammatica della Fuga dall'Etna. Il G., che viveva in difficili condizioni economiche e con rischio politico continuo, si liberò allora dell'influenza di Cagli. Il suo segno divenne sempre più deciso, il colore sempre più naturale, i soggetti sempre meno simbolici, più legati alla terra.

Già con la mostra dei Cinque artisti siciliani (agosto 1937) alla galleria Mediterranea di Palermo si avverte la nuova fase del G., dal mito vago e idealizzante primordialista si passa al concetto duro dell'esperienza realista. Rizzo (L'Ora della sera, 26 sett. 1937) notava "un maggiore equilibrio" nella sua pittura, specialmente nel colore in funzione plastica più che simbolica. In precedenza ai Littoriali di Napoli il G. aveva preso parte per una poetica realista o poetica della naturalezza in contrasto con il "naturalismo reazionario" verso il quale si erano trasferiti gli iniziali propositi di metafisica novecentesca. Il linguaggio non è fine a se stesso, ma è mezzo di comunicazione come la parola del poeta, libero da barbarismi come da tradizionalismi.

Avversando il "naturalismo reazionario", il nuovo conformismo che uniformava le arti al gusto della borghesia, il G. si allineò con le posizioni dei giovani milanesi e aprì il processo contro il "ritorno all'ordine" del fascismo, conformista del quieto vivere. Il problema non era più soltanto quello dell'incomprensione del pubblico per l'arte moderna, che ancora animava i novecentisti contro il patron dell'arte borghese U. Ojetti; si trattava piuttosto di lanciare un realismo inteso come "funzione sociale dell'arte" (L'Appello, 17 giugno 1937) aperto ai ceti popolari. Dalle parole all'opera: da La fucilazione in campagna, l'assassinio franchista del poeta F. García Lorca, a La fuga dall'Etna, che è la prima composizione corale, come un fiume che trasporta i suoi affluenti, preparata dai ritratti, dai nudi in campagna, dai paesaggi di drammatica concitazione dipinti in Sicilia e sulla Sila, che egli espose alla Cometa nel 1938.

La fuga dall'Etna ebbe il terzo premio, dopo Mafai e D. Frisia, al secondo premio Bergamo (1940) che era patrocinato dal ministro G. Bottai. Si vide in quest'opera, preparata da numerosi bozzetti anche di notevoli dimensioni, un significato premonitore di guerra e di rivolta, mentre la pittura italiana aduggiava nelle studiate, piccole dimensioni (per esempio, le nature morte di G. Morandi). L'innocenza giovanile del G. affrontava la grande "macchina", come i pittori dell'Ottocento realista. Più difficile ravvisare in questo quadro un'influenza di Guernica di Picasso, esposto nel padiglione della Repubblica spagnola all'Esposizione internazionale di Parigi nella primavera del 1937 e che il G. conosceva soltanto in riproduzione, in mezzo ai temi del realismo courbettiano. Del resto i tempi dalla Fuga alla famosa Crocifissione sono assai stretti e sono quelli della svolta nell'influenza picassiana sulla pittura italiana che aveva accolto con generosità il neoclassicismo dello spagnolo degli anni Venti. Da una lettura stilistica si passò a un approfondimento dei contenuti realistici di Picasso con un'attenzione che è rivelata dal G. nei suoi scritti del tempo (Il Selvaggio, 30 nov. 1939) e che lo differenziò dalle tendenze espressioniste dello stesso gruppo di Corrente, mentre la seconda guerra mondiale e la campagna razzista accentuavano il dramma nel passaggio dal rischio del carcere a quello della morte.

Nell'arte del G. si avverte allora una trasformazione dalla liricità dell'immagine alla concretezza delle cose, anche nei paesaggi e nelle nature morte che superano i limiti della decantazione lirica morandiana. La creatività del G. si fa sempre più drammatica come si manifesta nelle successive mostre (la II Mostra di Corrente, dicembre 1939, alla galleria Genova di Cairola, in una collettiva romana).

Nella mostra romana ai "valori plastici" si sostituivano i "valori tonali", gettando alle ortiche i vecchi formalismi; ma nel G. si riconobbe una posizione di tramite tra l'ambiente romano e quello milanese che si era formato intorno a Corrente.

Frattanto il G., che partecipò di seguito alla II Mostra di Corrente e alla III Quadriennale, assunse una posizione determinante nel movimento di Corrente quando esso andava oltre il lirismo intellettuale di Birolli, all'inizio degli anni Quaranta. Dopo la stimolante invocazione di Persico verso una "cultura europea", le lezioni universitarie di A. Banfi, frequentate dai giovani di Corrente, avevano convinto che la proclamata "crisi dell'arte" era positiva in quanto superava gli schemi dell'"arte bella" nella considerazione della storicità della stessa, implicata nella complessità del processo civile. Il G. suggeriva una lettura dell'espressionismo come "lezione civile" oltre il "naturalismo lirico" di B. Cassinari, di I. Valenti, del primo E. Treccani. Iniziò invece uno stretto contatto con E. Morlotti che rilevò dal G. il "bucranio", lo scheletro della testa di capro, come nuovo soggetto drammatico della natura morta italiana, e mentre l'attività di Corrente continuava con le mostre al n. 9 di via della Spiga, il G. esponeva a Milano alla galleria Barbaroux (dicembre 1941).

La Crocifissione, che ottenne a Bergamo nel 1942 il secondo premio, dopo F. Menzio, scandalizzando le gerarchie clericali e fasciste e suscitando l'entusiasmo dei giovani, era stata preparata da un folto gruppo di opere (esposte alla Barbaroux, allo Zodiaco, alla IV Quadriennale, alla Cairola): composizioni (Famiglia, Ragazze di Palermo, Salomè); ritratti (Moravia, Alicata, Santangelo, Mimise); nature morte di interni; paesaggi, la cui violenza cromatica sfiorava la brutalità. Nelle nature morte, dove la fisicità degli oggetti è accentuata da una ardita scomposizione, si intuisce una sottile polemica nei confronti del formalismo riduttivo di Morandi, in analogia con l'esperienza di Morlotti del periodo. All'astratta idolatria della qualità si oppone un'espressività che oltrepassa i limiti dei preconcetti formali oltre il decorativo sensualismo.

Il G., che giovanissimo aveva dipinto alcuni d'après Cézanne, aveva scoperto la vitalità del cubismo avvertendone però il pericolo formalista, corso da coloro che pensavano che il regno dell'arte fosse diverso da quello della vita; mentre l'artista era colui che dipingeva e viveva nel medesimo atto (Il Selvaggio, 31 maggio 1941). Si vede nel G. una dialettica tra Picasso e V. Van Gogh.

Nella presentazione della mostra allo Zodiaco (1943) G. Severini salutò nel G. "un punto di incontro tra il rigore del cubismo e l'oggettività di un realismo pittoricamente inteso".

Nella Crocifissione il G. volle "legare il supplizio di Cristo al dramma della guerra". L'aveva pensata in un interno, preparata da disegni del 1938-39. La stesura definitiva avvenne nel 1941, spesso interrotta da richiami militari, nella lontana ascendenza dal Trionfo della Morte di palazzo Sclafani di Palermo e da quella più recente di Guernica di Picasso.

La Crocifissione si apriva, partendo dal tavolo in primo piano, gremito di martelli, chiodi e oggetti del quotidiano, verso la prospettiva delle tre croci con continui stacchi cromatici senza semitoni e velature, nell'agitarsi di figure nude. Alla forte reazione delle gerarchie fasciste e clericali si oppose la stessa critica moderata che salutò nell'opera del G. il "nuovo romanticismo" comune ai giovani di Corrente, mentre la critica giovane esaltò il rivolgimento totale dei valori, la vittoria contro la paura della pittura. A questi entusiasmi tra i giovani non si associò F. Arcangeli che scrisse (Architrave, settembre 1942) che la pittura del G. era "tra quelle che mi fan disperare della mia generazione".

La tensione del G. verso il realismo si manifestava anche nelle sue nature morte che diventavano interni con figure, superando il concetto dell'oggetto ben dipinto per una diretta narrazione di un ambiente e di una situazione morale. Sono questi interni che il G. espose alla IV Quadriennale romana alla vigilia del suo rifugio a Genova, presso il collezionista A. Della Ragione, in seguito agli avvenimenti politici del 1943. Anche Mafai era ospitato a Genova da Della Ragione. Nel 1944 il G. ritornò a Roma dove avrebbe sfogato la sua rabbia antinazista con il gruppo di disegni e guazzi sulle stragi, pubblicati poi nel 1945, con la prefazione di A. Trombadori e il titolo simbolico di Gott mit uns, Dio è con noi, lo slogan dei nuovi barbari.

Dopo la Liberazione in un clima che egli segnalava come "crisi di rinnovamento in atto" (Il Cosmopolita, dicembre 1944) il G. si schierò con "quelle forze che con la lotta operano la trasformazione del mondo"; e nel 1945 espose successivamente alla I Mostra dei pittori antifascisti e in gruppo alle gallerie del Secolo e della Margherita e dipinse per il negozio di Olivetti a Roma il Ballo popolare, ispirandosi alle feste dei giovani per la ritrovata libertà.

L'"arte contro la barbarie" (questo era il titolo della mostra antifascista) poneva il problema di un'arte popolare che era maturato anche in Mafai (le sue Fantasie) e nei giovani (P. Dorazio e A. Perilli) che si raggruppavano intorno alla pubblicazione della Fabbrica (agosto 1946), mentre Picasso aderiva al partito comunista e i giovani si schieravano per un cubismo realista. A Milano corrispondono le pubblicazioni di Argine numero, Il '45, Numero pittura che erano convogliate intorno a Morlotti, C. Peverelli, G. Testori, F. Francese, A. Chighine, G. Dova, R. Bergolli, e il veneziano A. Pizzinato, impressionati dal rigoroso cubismo espressionista di Morlotti. In parallelo si svolgevano le esperienze, sensibili al cubismo, di B. Cassinari e di Birolli. Birolli divergeva tuttavia chiaramente da queste nuove posizioni del G. e di Morlotti, cui si aggiunse il giovane Treccani.

Oltre ai disegni e ai dipinti degli anni di guerra, esposti a Roma alla Margherita nel 1945, il G. aprì con il Ballo popolare del negozio di Olivetti il periodo in cui cercò di adattare il linguaggio postcubista ai nuovi contenuti popolari sentiti dalle masse. L'intenzione realistica divergeva dal formalismo dei francesi. Nel 1946 il G. compì il suo primo viaggio a Parigi, mentre le gallerie romane si aprivano ai maestri dell'arte francese e ai loro seguaci. Comincia qui la seconda grande battaglia del G. su due fronti: quello che in nome degli ideali materialisti voleva un'arte più comprensibile dalle masse e quello, dichiarato nel manifesto milanese Oltre Guernica, che vedeva nel postcubismo l'unico mezzo verso il realismo contemporaneo. Il dibattito si svolgeva anche a Roma dove il G. partecipò a una mostra di artisti e artigiani allo studio Palma (1946); e il G. intendeva risolverlo dando un contenuto realista al linguaggio moderno del cubismo, seguito da un nutrito gruppo di artisti romani che espose (dicembre 1946) alla galleria romana del Secolo. Lo prova in una serie di dipinti (tra i quali il ritratto di Corrado Alvaro e quello di Turcato) dove il disegno cubista si scioglie nella plastica realistica delle forme, mentre la sua attenzione si volge a temi chiaramente sociali come L'occupazione delle terre incolte in Sicilia.

Nella maturazione dei suoi slanci espressionisti il G. ora lavorava molto sul quadro. Il gruppo dei giovani romani elaborava, pubblicando intanto Forma I, l'idea di un accostamento del "formalismo" al "marxismo", distaccandosi dalle proposte realistiche del G. come dalle istanze geometriche degli astratti "concretisti" e dalle posizioni di Oltre Guernica giudicate materialmente espressioniste. Frattanto in tutta Italia la formazione di vari gruppi, simile a quella che aveva caratterizzato l'avanguardia russa, doveva portare alla Nuova Secessione artistica italiana, poi Il Fronte nuovo delle arti. Essa partì da Venezia promossa da Birolli e da G. Marchiori con l'intenzione di imporre alla Biennale, considerata reazionaria, le nuove forze dell'arte italiana, con una dichiarazione assai generica. Mentre la posizione dei secessionisti era di restringere il gruppo agli undici primi firmatari, il G. propendeva per un notevole allargamento su base generazionale, senza prevenzione di poetiche.

La preoccupazione di Marchiori era di riprendere un disegno europeo che si proponeva con la mostra del Fronte alla galleria della Spiga di Milano (giugno 1947) gestita da S. Cairola, mostra alla quale il critico veneziano attribuiva soltanto una rivelazione della crisi contemporanea delle arti.

La mostra apriva la polemica, che era già in atto in Francia, circa la posizione estetica del partito comunista, mentre E. Vittorini si preoccupava che gli artisti diventassero subalterni alla politica, aprendo sul suo Politecnico il discorso sul "soggetto". Il G., che dopo la mostra del Fronte partecipò nel 1947 al premio Torino, con il tema ricorrente delle cucitrici e delle nature morte, suscitò l'interesse della critica, da L. Venturi a R. Carrieri. Il suo dichiarato programma era quello di una sintesi dialettica delle varie esperienze storiche diretta a un'epica del reale collettivo, ispirato dall'occupazione delle terre incolte in Sicilia (Marsigliese contadina). La lotta per la terra mosse il G. a una tensione continua come se riscoprisse il vero volto della sua patria nel paesaggio, negli interni, che per C. Alvaro (presentazione allo studio d'arte Palma, ottobre 1947) era "il giudizio sul mondo che egli vuole prepotentemente rappresentare".

Frattanto si apriva il divorzio del G. dai formalisti astrattisti di Roma. Il viaggio a Parigi lo aveva informato sugli ultimi sviluppi del postcubismo. La mostra del Fronte nuovo alla Biennale di Venezia e la Mostra nazionale d'arte contemporanea a Bologna (17 ottobre - 5 nov. 1948) segnarono la svolta del Guttuso.

Alla Biennale era ancora in atto un generico cubismo figurativo ad accomunare gli artisti espositori; ma quando la mostra si allargò, a Bologna, con l'intento di presentare una situazione unitaria, accadde tutto il contrario, le forze in campo si divisero. Durante la mostra bolognese, in una serie di dibattiti organizzati dall'Alleanza della cultura, il G. riconobbe le presenze antitetiche del realismo (il suo) e dell'astrattismo; ma quando ci fu un pesante intervento della rivista Rinascita (n. 11, novembre 1948, p. 424: Segnalazioni, articolo firmato Roderigo di Castiglia pseudonimo di P. Togliatti) contro gli aspetti anarcoidi della mostra ("una raccolta di cose mostruose", di "orrori e scemenze") fu proprio il G. che redasse, nella stessa rivista (n. 12, dicembre 1948, pp. 469 s.: Per una nostra 'Segnalazione'), una risposta difendendo la libertà di sperimentazione degli artisti italiani.

Le conseguenze non tardarono: lo scioglimento del Fronte nuovo, l'accusa ai "realisti" di essere strumentalizzati dalla lotta politica dei comunisti. Il G. sentì il bisogno (in articoli sulla Biennale del 1948 su Rinascita e nella prefazione alla mostra di Picasso nella stessa Biennale) di precisare storicamente i rapporti tra l'evoluzione dell'arte moderna e il rinnovamento realista, mentre, partecipando a Milano (galleria di Pittura) a una collettiva impostata sulle esperienze neocubiste, riaffermava la necessità di mantenere un fronte largo e moderno e mentre si presentava al Museum of modern art di New York e alla Mostra dell'Art Club di Roma (marzo 1949). Nel contempo cercava diretta ispirazione dal mondo del lavoro tra gli operai delle Acciaierie di Terni e tra i pescatori di Scilla, piegando il suo neocubismo al ritmo narrativo del nuovo "realismo sociale".

La fase del "realismo sociale" del G. si aprì con la mostra del novembre 1949 alla galleria romana del Secolo. La volontà di narrare il reale - operai e pescatori - imponeva un disegno più attento e un più sobrio espressionismo cromatico. In una serie di interventi (su Vie nuove e Rinascita) prendeva atto della richiesta dell'umanità, in lotta per un mondo giusto e libero, di riconoscere nei dipinti "la nostra umanità intera", e offriva il suo "realismo nuovo", comprensibile dagli "uomini semplici" con la faticosa elaborazione dell'Occupazione delle terre incolte in Sicilia, un'opera dolorosamente solenne preparata da quei disegni di contadini in Sicilia che furono pubblicati nel 1951 nelle Edizioni di cultura sociale.

L'occupazione delle terre sollevò critiche formali; ma ognuno ci vide una proposta nuova, l'epopea delle lotte agrarie in corso con i mezzi espressivi del naturale. Presentata alla Biennale di Venezia, insieme con i dipinti di Pizzinato (Un fantasma percorre l'Europa) e di altri realisti suggellò la fine del Fronte nuovo e l'inizio di una più forte polemica.

La fama del G. si estendeva in Europa con la mostra di Londra (alla Hanover Gallery, giugno 1950). Intorno a lui si formò una sorta di scuola; mentre i suoi soggetti diventavano sempre più politici, come le Fosse Ardeatine. Questo volgersi all'aperta figurazione di contenuti popolari provocava critiche, ma veniva anche accettato con comprensione da coloro che avevano idee diverse, come Marchiori e M. Apollonio. Si accettò la sua visione proletaria della vita, si comprese che la sua analisi della società e delle cose trascendeva l'impatto formale e si avvicinava senza prevenzioni al soggetto identificato nella sua fisicità. La sua mostra al Pincio (ottobre 1951) chiuse il periodo postcubista e inaugurò decisamente quello del realismo figurativo originale, per A. Moravia che lo presentò, decisamente sociale, per Trombadori.

Il G. sinceramente esplicita le sue idee, correggendo il suo recente passato postcubista in polemica con Severini. Sorgeva intanto, lungamente preparata, l'epica tela della Battaglia al ponte dell'Ammiraglio, esaltazione storica delle origini delle lotte siciliane per la libertà.

Questo dipinto lungamente elaborato fu considerato come il manifesto del "nuovo realismo" storico quando fu esposto alla Biennale di Venezia nel 1952. Il G. era ricorso a personaggi reali, quelli degli amici già combattenti per la liberazione dal fascismo che sostituiscono gli anonimi dell'Occupazione delle terre, con un intento precisamente politico che Carlo Levi, nella presentazione della sala del G. alla Biennale, definì come un realismo intriso di speranza. Il G. si era sentito lui stesso garibaldino e riprendeva le immagini epiche dei carretti siciliani visti da lui nell'infanzia. La battaglia diventò del resto un tema degli stessi carretti, simbolo della continuità della lotta popolare testimoniata anche nell'ampia tela della Zolfara dipinta nel periodo in cui quelle miniere erano sacrificate ai monopoli internazionali.

Con due mostre (alla Bergamini e alla Colonna) nel 1952 il G. reincontra Milano proponendo il tema acerbo della Fucilazione di Beloyannis ispirato alle persecuzioni fasciste in Grecia. È questo il periodo più intenso del realismo sociale del pittore che dipinge la lotta operaia della Magona di Piombino, gli Immigrati a Roma. Nasceva intanto a Milano (giugno 1952) la rivista Realismo diretta da R. De Grada, della cui redazione faceva parte lo stesso Guttuso.

Egli avvertì la necessità di precisare la sua poetica realistica, difendendosi dalla confusione con il neorealismo del cinema allora in corso. Lo fece nel marzo 1952 in Società. "Il realismo" - affermava - "è espressione della realtà che non è ideale eterno e immobile ma continuamente si muove, si sviluppa e si trasforma, una guida per l'azione", affrontando il problema del linguaggio moderno e di una chiarificazione morale sul piano dei contenuti. Nella realtà e nella vita si trova il linguaggio liberandosi delle superstizioni del formalismo moderno, rappresentando non l'aridità del vero positivista ma i contenuti umani e storici, l'immagine dell'uomo del proprio tempo.

La Biennale del 1952 fu il momento di massimo scontro tra la corrente realista e gli Otto pittori italiani (già del Fronte nuovo) presentati da Venturi; mentre la grande mostra di Picasso del 1953 (a Roma e a Milano), alla quale la rivista Realismo dedicò un numero unico, offrì l'occasione di massimo chiarimento tra i concetti materialisti del realismo zdanoviano imperante nell'Unione Sovietica e quelli del realismo italiano di cui il G. era il massimo esponente.

Mentre nei paesi del socialismo reale (mostre antologiche a Praga, Varsavia, Budapest) il G. veniva portato a esempio del realismo sociale, il Boogie-woogie e poi La spiaggia indicavano un allargamento dell'attenzione dell'artista per i nuovi costumi della società contemporanea e per la fisicità della figura umana (i quadri delle Donne di Anacapri) indipendentemente dal contenuto sociale. Infatti, mentre la Biennale del 1954 appariva come il momento trionfante del realismo, il G. avvertiva il pericolo manierista dello stesso movimento; negli studi preparatori della Spiaggia, egli imprimeva alle figure una carica vitale che creava corpo e volume, e nella Zolfara, esposta alla Quadriennale, l'uomo sembrava in lotta con la natura stessa. La Spiaggia segnò il passaggio da un realismo intento ai problemi sociali a una nuova fase che vedeva il proletario spogliarsi per ritornare folla esistenziale nel godimento dei valori primari del sole, della luce, della sabbia e del mare.

La mostra celebrativa di Cézanne a Aix-en-Provence nel 1956 offrì al G. l'occasione di un ripensamento storico dell'arte moderna (in Paragone e Il Contemporaneo) nei confronti specialmente degli ultimi esiti dell'informale, in contraddizione con la posizione di Arcangeli e quella più politica di Testori. Indizi di questo ripensamento sono evidenti nelle mostre del 1958 (per esempio, alla Aca-Heller Gallery di New York): immagini ravvicinate di aranceti e limonaie, figure accavallate in esplosione di colore viste dall'alto nella confusione dei gesti (Rock and roll), nell'accettazione del mondo com'è, non come dovrebbe essere. Questa nuova fase di "realismo esistenziale" nella quale Vittorini e altri videro un ritorno del G. alle sue doti naturali, vinta la contraddizione tra modernismo e verismo, distinse l'opera del G. oltre gli anni Cinquanta e perdurò negli anni Sessanta. Si rivelò quindi una tendenza, di Testori e altri, di staccare l'interpretazione del G. dal realismo sociale per isolare lui e Morlotti quali idoli storici del nostro tempo. S'iniziò un revisionismo dell'opera guttusiana cui partecipò F. Russoli (prefazione alla mostra del Milione del febbraio 1959). La critica che ieri avversava la sua posizione realistica ora accettava il G., rilevava il carattere di solitudine delle sue figure, elogiava il distacco dalla sua tradizione neorealista. Il G. si difese (intervista ad Art News, aprile 1958) distinguendo i maestri dell'"astratto informale" come J. Pollock dai manieristi seguaci.

Intorno agli anni Sessanta il G. favorì tuttavia questa considerazione dialettica della sua arte con il catalogo di Russoli per la sua antologica a Parma del 1963 e l'introduzione di Testori alla sua mostra all'VIII Quadriennale, ma precisò la sua fedeltà alla concezione realista della ricerca in mezzo all'ambiguità del mondo moderno. Alla Biennale del 1960 il G. espose la grande tela La discussione che fu il simbolo di quegli anni problematici, e nel 1961, con G. Manzù e alla Nuova Pesa di Roma, si assunse il peso dell'immagine realistica della vita. Con una serie di mostre in Italia e all'estero (a Mosca) s'impose questa fase del realismo esistenziale del G. come quella in cui i protagonisti della sua pittura non erano più l'operaio o il contadino nella loro specificità sociale quanto l'uomo osservato e compreso nella sua individualità condizionata dall'esistenza di massa.

Negli anni seguenti intorno al G. si accentuò un dibattito critico tra coloro che continuavano a considerare la sua opera secondo un'interpretazione realista, accusata di marxismo, e quelli che tendevano a recuperare l'artista ai canoni del vitalismo moderno, nella sua caratterizzazione espressionista e tutt'altro che insensibile all'informale. Come egli aveva accettato una dialettica con l'informale, così negli anni Sessanta il G. avvertì nella propria arte l'insorgente presenza di quella rottura nell'indagine sul vero che fu la pop art americana. Ne colse specialmente l'aspetto di confusa aggressione dell'informazione di massa e mentre dipingeva (1965) L'edicola, un giornalaio sepolto dai fogli bianchi dei giornali, componeva una scultura pop dell'edicola stessa che espose alla IX Quadriennale. Quasi in contrappunto dedicò a Morandi una serie di nature morte, una sorta di d'après il pittore bolognese che esponeva al Milione, a Milano. Tutto preso nel suo confronto coi maestri (come Picasso) dipinse (1966) quaranta opere d'omaggio ad antichi e moderni (dal Caravaggio a Picasso) intitolandola Autobiografia, segno della costante riflessione sulla storia dell'arte.

Queste opere, insieme con altre, fecero il giro della Germania dell'Est e dell'Ovest. Frattanto compose (1967) scenografie e costumi per La sagra della primavera di I. Stravinskij e per Il contratto di E. De Filippo.

Nel 1960 il G. vinse la cattedra di pittura all'Accademia di Roma. Dimessosi perché troppo impegnato, si diede a scrivere, compose i disegni per la Divina Commedia e, nell'emozione delle lotte studentesche del Maggio francese, dipinse un grande Giornale murale che oggi è nella Galleria di Aquisgrana. Anni intensi, in cui riassunse la sua lunga esperienza del nudo nella grande composizione Le figlie di Lot, cui fecero seguito La moglie di Lot e la Distruzione di Sodoma esposte a Brema.

L'intensa attività di scrittore, illustratore, scenografo e naturalmente di pittore non lo distolse dai grandi temi politici. Tentò di riassumerli in una vasta tela, esposta a Karlsruhe e poi distrutta, intitolata Il mondo nuovo, sintesi del dibattito in corso nel movimento comunista internazionale. Il premio Lenin per la pace, attribuitogli a Mosca nel 1972, fu il riconoscimento della sua eccezionale attività di artista e politico. Nello stesso anno la grande tela I funerali di Togliatti riportò il discorso sul realismo celebrativo. Con la Vucciria, il mercato delle carni a Palermo, il G. insistette nella corposità dell'immagine, viva o morta che fosse. Il suo realismo oggettivo si rivelò esuberante, non condizionato da alcuno schema stilistico.

Eletto senatore, nel 1976, nella lista del Partito comunista italiano nel collegio di Sciacca, riprese a esporre Le visite, fantasia (dipinta nel 1970) allusiva ai grandi fantasmi, come Mao Zedong, che vengono a trovarlo nella solitudine del suo lavoro. I ricordi quietamente lo assillavano e si confondevano con il senso onirico delle cose, dal Caffè Greco a Malinconia a Roma, a Tre streghe (da A. Dürer), a Furie (da H. Baldung Grien), a Omaggio a Zurbarán. Con Le tre età s'iniziò il ciclo delle Allegorie. L'oggettività realista si accompagnava a ripensamenti fantastici come nel dipinto (1978) di Van Gogh che porta il suo orecchio tagliato nel bordello di Arles.

Con gli anni la tentazione visionaria sollecitò sempre più il G., in contraddizione con la serrata attività di mostre e di scritti, già in parte pubblicati in Mestiere di pittore: scritti sull'arte e la società (Bari 1972). I temi allegorici dettero in questo periodo alla sua pittura un'aura di sapore romantico che alludeva certamente a fatti esistenziali: una tigre che si insinua furtiva nelle ore serotine nel palazzo, i vari dipinti ispirati alla malinconia, i telefoni (ovvero l'incomunicabilità), Il legno della Croce, ma anche gli ammassi di nudi sempre più erotici e alla fine tutto il ciclo delle Allegorie.

Nel grande dipinto Spes contra spem si riconosce una sintesi autobiografica del G. fatta di sentimento, politica, morale. La morte della moglie Mimise Dotti lo portò a una desolata solitudine ormai soltanto insidiata dagli infiniti rapporti mondani ai quali egli, ancor prima dell'incurabile malattia, cercherà di sottrarsi.

Il G. morì a Roma il 18 genn. 1987.

Dopo la sua morte sono state organizzate molte mostre commemorative a incominciare da quella della Provincia di Milano. Nel 1998 è stato inaugurato a Bagheria, nella villa La Cattolica, un museo a lui dedicato che, oltre alle sue opere, ospita quelle dei suoi amici e la sua collezione, a cura del figlio adottivo Fabio Guttuso Carapezza. A Roma, presso palazzo del Grillo, è attiva l'Associazione Archivi Guttuso.

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