RELIGIONE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

RELIGIONE.

Enzo Pace

– Pluralismo religioso. Pluralismo religioso e società. Bibliografia

Pluralismo religioso. – Per pluralismo religioso s’intende il complesso delle regole sociali e delle norme giuridiche che governano società caratterizzate dalla diversità religiosa. Se tale diversità è un dato di fatto, frutto di lunghi processi storici oppure, in tempi più recenti, il risultato di intensi movimenti migratori nel mondo, il pluralismo religioso costituisce il modo in cui tale diversità è considerata e regolata. In tal senso è importante comprendere quali politiche di riconoscimento delle diverse confessioni religiose sono adottate e qual è il regime giuridico che conseguentemente è stabilito per garantire pari opportunità a tutte. Si va dalla libertà religiosa a quella di culto, dalle attività di proselitismo allo sviluppo di istituzioni (scuole, ospedali, centri di assistenza), dall’accesso a forme di esenzione fiscale previste da uno Stato sino al sistema di aiuti pubblici destinati al mantenimento e restauro degli edifici di culto, di rilevante interesse artistico.

Pluralismo religioso e società. – Il pluralismo religioso, dunque, è la cornice delle regole formali applicata a un quadro sociale vario e molteplice dal punto di vista religioso. Il che significa, in linea di massima, che possono esistere società a elevata diversità religiosa senza un pieno ed effettivo riconoscimento giuridico e politico delle diverse comunità, dunque senza reale pluralismo religioso. Allo stesso modo, possiamo avere società nelle quali è affermato, almeno sulla carta (in molti casi nelle costituzioni), il principio dell’eguaglianza di tutte le religioni. Tuttavia le politiche di riconoscimento delle differenti comunità di fede possono poi, di fatto, porre limitazioni nei confronti di alcune e concedere privilegi a favore di altre. In tal modo si viene a creare una gerarchia sociale delle r.: fra quelle pienamente riconosciute e in grado di esercitare tutta la loro azione nella società, senza particolari ostacoli, a quelle che, pur essendo accettate come soggetti pubblici, devono osservare particolari vincoli nelle loro attività, sino a quelle che, considerate estranee e sostanzialmente poco compatibili con il comune sentire religioso, sono oggetto di controlli e discriminazioni da parte del potere politico.

Cattolici indonesiani alla messa del venerdì santo

È, per es., il caso della legge sulla libertà religiosa approvata dal Parlamento russo nel 1997, che ha segnato un regresso rispetto al nuovo indirizzo di apertura nei confronti di tutte le r., inaugurato nel 1990, quando ancora esisteva l’Unione delle Repubbliche Sovietiche. In una società, come quella russa, nella quale la r. era stata considerata dal regime sovietico un insostenibile retaggio del passato e, di conseguenza, ogni forma di r. era condannata o emarginata (come nel caso della Chiesa ortodossa), la legge del 1997 riafferma il principio della libertà religiosa. Allo stesso tempo essa però stabilisce una gerarchia precisa fra Chiese storiche, confessioni non storiche ma riconosciute quali parti integranti della cultura russa e nuove organizzazioni religiose che possono esercitare la loro attività entro severi limiti giuridici, solo se in grado di dimostrare di essere presenti da almeno 15 anni prima dell’introduzione della legge. Per altri versi, una situazione simile si è creata in Cina, dopo la svolta (1982) impressa dal presidente Deng Xiaoping a favore di una graduale liberalizzazione del campo religioso. La Cina sta diventando, di fatto, una società multireligiosa, dove antiche tradizioni – come il buddismo (v.), il taoismo (v. tao) e, soprattutto, il confucianesimo (v.), oltre all’islam (v.) nella regione dello Xinjiang, dove vive la popolazione uiguri, di origine turcomanna e di fede musulmana – conoscono un risveglio inatteso, assieme alla diffusione di nuovi movimenti e gruppi religiosi di tipo sincretistico. La Cina in tal modo è passata dal tentativo di sradicare la r. dalle menti e dai cuori delle persone a una politica di riconoscimento delle diverse fedi presenti nella società, stabilendo però una sorta di piramide delle religioni. Confucianesimo, buddismo e taoismo sono considerati dal partito al potere come elementi del sistema centrale di valori e del patrimonio culturale della nazione. Le altre fedi sono riconosciute o tollerate solo a due condizioni: che non ubbidiscano a istituzioni straniere (è il caso della Chiesa cattolica, legata alla Chiesa di Roma e allo Stato del Vaticano, per cui le autorità cinesi riconoscono solo la Chiesa cattolica nazionale o patriottica, guidata da vescovi e da preti rigorosamente sottoposti al vaglio del potere politico) e che non propaghino idee ritenute dannose per la tenuta dei valori dominanti. Il caso più clamoroso è rappresentato dalla vicenda del Falun Gong (letteralmente «Pratica della ruota della legge»). Questo movimento di matrice buddista, fondato da Li Hongzhi nel 1992, è stato violentemente represso nel 1999 per volontà dell’allora presidente Jiang Zemin. L’insegnamento da esso propagato fu definito «malvagio» e l’associazione bandita per legge. La ragione principale di tale decisione deve essere ricercata nel successo di massa del credo religioso del Falun Gong: sembra che in sette anni il numero di aderenti avesse superato ampiamente gli iscritti al partito comunista.

In tutte e due i casi esaminati – per alcuni aspetti simili, giacché espressione di una visione marxista della r. – la diversità esiste, in parte è riconosciuta e in-quadrata giuridicamente, ma si tratta di un pluralismo religioso a sovranità limitata, con pesi e contrappesi che rendono precario l’esercizio della libertà religiosa e di culto. È come se ci trovassimo di fronte a cerchi concentrici, da quello più interno a quello più esterno. Il primo è classificato come centrale perché interpreta l’identità collettiva (in tutto o in parte), custodisce la grammatica che ha generato la lingua, la storia e i valori morali di un intero popolo; gli altri cerchi, allontanandosi dal fulcro centrale di un ideale compasso che traccia le circonferenze, si sgranano lungo una scala di rilevanza sociale e culturale stabilita autoritariamente da chi detiene il potere politico. Tale immagine, in realtà, può essere estesa anche a tutti quei Paesi di tradizione cattolica o protestante che hanno sviluppato rapporti privilegiati con le rispettive chiese dominanti. Le minoranze sono viste come tali e, in alcuni casi, sono ammesse alla vita sociale solo dopo uno specifico negoziato con le autorità politiche.

Il caso, invece, di diversità religiosa senza pluralismo è costituito da alcuni Paesi a grande maggioranza musulmana, come l’Arabia Saudita, il Sudan (nella parte settentrionale) o alcuni Stati del Nord della Confederazione nigeriana, in particolare quei 12 Stati nei quali dal 1999 è stato proclamato il primato della shāri᾽a, anche laddove una parte della popolazione cristiana appartiene a diverse Chiese di matrice protestante e pentecostale. In altri Paesi, pur essendo a maggioranza musulmana, le altre confessioni religiose sono riconosciute e tutelate nell’esercizio del culto e della libertà religiosa, con una varietà di statuti giuridici molto ampia. È il caso dell’Indonesia. La sua costituzione del 1945 si basa sul pancasila, ossia sull’affermazione di cinque principi: il credo nell’esistenza di un unico Dio, l’unità della nazione, l’umanesimo, la giustizia e la democrazia. In tal modo, pur essendo una nazione a grande maggioranza musulmana (più dell’80% della popolazione), si è instaurato un regime di pluralismo religioso, che riconosce le maggiori r. oggi presenti, come l’islam, il cattolicesimo, il protestantesimo, l’induismo, il buddismo e il confucianesimo. Altrove, come in Siria, Libano, Giordania, ῾Irāq ed Egitto, la diversità religiosa (fra cristiani e musulmani e fra musulmani stessi) fa parte della storia moderna e postcoloniale di questi Paesi. Le élites che hanno conquistato l’indipendenza hanno cercato di costruire un modello di stato laico o multiconfessionale, senza sposare nessuna fede in particolare, quand’anche ce ne fosse una di maggioranza, come l’islam. Le vicende politiche, le guerre e il conflitto israelo-palestinese hanno compromesso sensibilmente i rapporti fra le diverse comunità religiose, in particolare con quelle ebraiche e, soprattutto più recentemente, con le diverse chiese cristiane sia in Siria sia in ῾Irāq.

Il pluralismo religioso, dunque, può essere regolato in modi differenti a seconda che valga in una determinata società un regime di monopolio, di oligopolio o di libero mercato delle religioni. Gli Stati Uniti costitituiscono l’esempio più interessante di spazio aperto, senza particolari limiti per la libera intrapresa di tipo religioso. Tutto ciò si spiega non solo perché gli Stati Uniti nacquero come setta, per impulso di movimenti di dissidenti protestanti cacciati dal-l’Europa, dunque consapevoli del valore supremo della libertà religiosa, ma anche perché la terra americana è diventata nel corso dei secoli meta di migranti provenienti da tutto il mondo, ciascuno dei quali si è portato dietro i suoi dei e i suoi culti. A tutto ciò va aggiunto il vitalismo del protestantesimo. Le varie ondate di risveglio spirituale, che hanno caratterizzato nel tempo il mondo protestante, hanno suscitato nuovi profeti e nuove sette. Non a caso, si è affermata fra i sociologi della r. l’idea che la situazione religiosa americana sia un effettivo mercato delle fedi e che possa essere studiata secondo la legge della domanda e dell’offerta di beni di salvezza, in una competizione aperta e aggressiva fra diversi concorrenti religiosi che cercano di conquistare fedeli. Per alcuni aspetti, e questo non deve essere considerato paradossale, è la stessa situazione che si riscontra in molti Paesi dell’Africa subsahariana, dove dal 1980 in poi si è aperta una competizione fra nuove Chiese pentecostali e Chiese storiche (cattolica, luterana, anglicana ecc.) e fra le tante Chiese pentecostali stesse. D’altronde, in America Latina (soprattutto in Brasile, Guatemala e Cile) l’avanzata delle Chiese carismatiche sta erodendo il tradizionale monopolio del cattolicesimo, provocando un cambiamento importante della mappa socioreligiosa.

In tutti questi casi, così come in Paesi di marcata tradizione cattolica o ortodossa, il regime di monopolio, sancito in tutto o in parte anche attraverso tutele giuridiche o principi costituzionali, si è gradualmente incrinato non solo perché una parte della popolazione ha abbondato la r. di maggioranza, ma anche perché l’arrivo di migranti appartenenti ad altre fedi ha posto il problema di una ridefinizione dei rapporti fra la r. dominante e le nuove minoranze religiose. Si sono create le premesse per l’instaurazione di un regime di pluralismo capace di riconoscere appieno la diversità religiosa di fatto esistente nella società. Anche laddove, per ragioni storiche, esisteva un regime di oligopolio religioso (per es., due confessioni che avevano finito per occupare tutto il campo d’azione in una società, come nel caso della Germania cattolica e protestante), la molteplicità delle nuove presenze religiose, dovuta al flusso migratorio, impone un adattamento di tale regime alla realtà che va modificandosi.

Bibliografia: Regulating religion: case studies from around the globe, ed. J.T. Richardson, New York 2004; O. Riis, Modes of religious pluralism under conditions of globalization, in Democracy and human rights in multicultural societies, ed. M. Koenig, P. de Guch teneire, Paris-Aldershot-Burlington 2007, pp. 251-66; C. Taylor, A secular age, Cambridge (Mass.) 2007 (trad. it. Milano 2009); Religion, globalization and culture, ed. P. Beyer, L. Beaman, Leiden 2007; I. Buruma, Taming the gods. Religion and democracy on three continents, Princeton-Oxford 2010 (trad. it. Roma-Bari 2011); R. Mazzola, Per una difesa del pluralismo religioso in Europa, «Lessico di etica pubblica», 2011, 2, 2, pp. 47-58; F. Yang, Religion in China. Survival and revival under communist rule, New York 2011; Pew research center, The global religious landscape, Washington 2012, www.pewforum.org/ 2012/12/18/global-religious-landscape-exec/; Religious pluralism. Framing religious diversity in the contemporary world, ed. G. Giordan, E. Pace, New York 2014 (in partic. J.A. Beckford, Re-thinking religious pluralism, pp. 15-29).

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