REIMPIEGO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

REIMPIEGO

A. Esch

Il r. nel senso della riutilizzazione di vecchi e, per lo più, antichi pezzi (le c.d. spoglie) in un contesto nuovo, analogo o differente, ovvero in un nuovo ordine funzionale, è ravvisabile in tutti i generi di arte, dall'architettura alla scultura, alle arti minori.Il r. abbraccia un vasto arco applicativo che arriva a comprendere sia la riappropriazione di antichi edifici nella loro interezza - come per es. nel caso di chiese costruite in edifici pubblici preesistenti quali terme, magazzini, sale pubbliche e, più raramente, templi, la cui concezione spaziale non prevedeva luoghi in cui la comunità potesse raccogliersi - sia il riutilizzo di antiche opere tramite la calcinazione. Tali forme estreme di r. non costituiscono l'oggetto di questa analisi, che tratta solo di quelle comprese nello spettro che va dal mero sfruttamento materiale - in crescenti gradazioni di consapevolezza - fino alla riutilizzazione mirata e alla sua complessa reinterpretazione.Con il r. il pezzo antico da puramente antiquario diventa oggetto storico e per questa ragione esso deve essere valutato anche da un punto di vista storico.

Architettura

Il r. di spoglie si riscontra già nell'architettura tardoantica, sin dall'età della Tetrarchia, innanzitutto a partire dal regno di Costantino (306-337), per es. a Roma nell'arco di Costantino o nelle prime basiliche cristiane. In tale periodo si osservavano ancora regole rigide e, in particolare, il principio della corrispondenza simmetrica a coppie degli assi dell'edificio, principio esemplificato per es. dal posizionamento di colonne binate per colore o trattamento delle superfici.Il massiccio impiego di spoglie riscontrabile nei secc. 4° e 5° è stato variamente interpretato come indicativo di tendenze classicistiche (Krautheimer, 1961), oppure, in base alla disposizione delle spoglie stesse, come il primo affiorare di nuovi criteri costruttivi (Deichmann, 1975). In ogni caso, già allora il r. non implicava un giudizio di minor valore. Del resto, per alcune chiese paleocristiane, per es. S. Salvatore a Spoleto, risulta talvolta difficile determinare se sia stato fatto ricorso a componenti preesistenti, usate una seconda volta, oppure a pezzi nuovi specificamente lavorati.La fine del paganesimo, la caduta dell'Impero romano e la contrazione demografica accrebbero, a partire dal sec. 5°, la disponibilità di costruzioni spoliabili, sia sacre sia profane. Le leggi imperiali proibirono, ufficialmente nel 356, l'asportazione di materiale dai templi chiusi, con divieto protrattosi in Occidente fino al 458 e in Oriente fino al 399. Per quanto riguarda il r. delle spoglie in ambito occidentale, può talvolta aver giocato un ruolo significativo - dato anche il minore timore del contatto con l'Antichità pagana - un sentimento di riverente preservazione; in Oriente, viceversa, dove la spoliazione fu intesa come il trionfo cristiano sui templi pagani, l'esorcismo e la cosciente profanazione ebbero il sopravvento. La gigantesca collezione di pezzi già pronti e disponibili rese del tutto superflua la fabbricazione, per es., di nuovi capitelli, i quali comunque venivano ormai spesso ultimati in officine specializzate e non più nei singoli cantieri di costruzione. L'edificio nel suo complesso e i suoi singoli elementi, del resto, non furono più concepiti come un'unità inscindibile: invece di pezzi approntati appositamente per una determinata costruzione venivano utilizzate spoglie interscambiabili, pur se nell'adattarle si seguiva ancora il criterio dell'uniformità.Nell'Alto Medioevo, a partire dal sec. 7°, il r. venne meno a ogni regola, con una totale incomprensione del canone e la più completa insensibilità per le proporzioni. L'uso di elementi analoghi al contesto originario non costituì più la norma e si rinunciò, per lo più, a ogni eventuale, necessario adattamento secondo un modo di procedere non dipendente dalla mancanza di materiale antico, come pure è stato affermato. Il diametro delle colonne spesso non concordava più con quello dei capitelli, la scarsa altezza dei fusti veniva sgraziatamente compensata con alti basamenti, i fusti stessi venivano montati capovolti - ovvero con la parte rastremata in basso e le scanalature riempite in alto - e i basamenti impiegati come capitelli e viceversa. In Italia le cripte delle chiese altomedievali offrono collezioni complete di colonne, basamenti e capitelli che non si adattano l'un l'altro. I pezzi antichi finirono per assumere il valore di puro materiale: spesso vennero aggiunti l'uno sull'altro, senza pretese di unitarietà e di armonia.L'architettura romanica trattò le spoglie con maggiore selettività e le utilizzò in maniera più mirata, come si può osservare in Italia a partire dalla seconda metà del sec. 11° (duomo di Pisa, abbazia di Montecassino, duomo di Salerno e, successivamente, chiese di Roma del sec. 12°).Si verificò anche il r. di architravi e di colonne colossali - nelle navate centrali delle chiese talvolta si trovano ancora architravi orizzontali posti su colonne in luogo di archi su pilastri romanici, che comunque rivelano un nuovo richiamo al modello delle basiliche costantiniane - oltre che di singoli elementi, sebbene con maggiore attenzione alla qualità, alle giuste proporzioni e all'uniformità dei materiali antichi. Nello stesso tempo elementi architettonici orizzontali, come architravi e fregi, vennero ruotati di 90°: così i fregi degli architravi divennero stipiti di portali e le loro parti inferiori anteriori. Per quanto riguarda i capitelli, le preferenze andarono per lo più a quelli corinzi, a quelli compositi e, a Roma, anche a quelli ionici. Notevole e significativa risulta la collocazione delle spoglie in posizioni di rilievo, come per es. portali, absidi, angoli degli edifici. Le facciate e i campanili vennero decorati con fregi di metope, rilievi di sarcofagi, protomi leonine, parti tagliate di soffitti a cassettoni. Tale massiccio r. può essere riscontrato in alcuni casi anche nella Francia meridionale - per es. nella chiesa, del sec. 11°, di Saint-Just-de-Valcabrère (dip. Haute-Garonne) - e, comunque, in tutta l'area del Mediterraneo. Frequente è anche il r. di iscrizioni, che in virtù della loro superficie piana risultavano variamente utilizzabili: nonostante esse fossero divenute sempre più incomprensibili, anche per la presenza delle abbreviazioni, le loro lettere non venivano obliterate con la muratura forse perché conferivano, in maniera tangibile, carattere di monumentalità e di antica origine. Le pietre miliari romane furono spesso riutilizzate come colonne per le chiese, senza che le loro iscrizioni venissero cancellate. Talvolta le spoglie venivano completate alla maniera antica, per es. con la continuazione di una ornamentazione o con l'allungamento di un fregio (architrave della cappella di S. Zenone in S. Prassede a Roma, 820 ca.; architrave della porta di S. Ranieri nella cattedrale di Pisa, sec. 12°; portale maggiore della cattedrale di Sessa Aurunca, 1250 ca.). Dal completamento 'all'antica' all'imitazione dell'Antico il passo risulta breve, giacché appare evidente che le spoglie murate in posizione di risalto costituirono un modello per gli scultori locali.Gli antichi elementi architettonici e i singoli pezzi spesso erano, tuttavia, riutilizzati in una funzione diversa da quella primitiva e a questo scopo completamente rimaneggiati, benché sia significativo che la loro antica origine, intenzionalmente, non venisse occultata: accadeva così che, dopo essere stati incavati, i capitelli venissero trasformati in acquasantiere o in fonti battesimali, gli altari sepolcrali in fonti battesimali o in cassette per elemosine, gli architravi e i fusti delle colonne in sarcofagi, le basi delle colonne in puteali.Nella Roma dei secc. 12° e 13°, specialisti nella lavorazione di materiale antico furono i Cosmati. I marmi colorati (rosso antico, pavonazzetto, porfido, serpentino ecc.), che si potevano trovare in grande quantità solo tra le rovine di Roma, vennero usati come elementi delle loro caratteristiche ornamentazioni: per es. le colonne di porfido venivano tagliate in dischi e inserite in lastre di marmo bianco ricavate da antiche iscrizioni; se necessario, gli elementi mancanti venivano scalpellati in una sorta di arte nuova 'all'antica', i cui prodotti vennero esportati anche fuori della città. I Cosmati nell'antichizzare lo stile e l'iconografia (sfingi, sirene, atlanti, ecc.) si servirono quindi dell'Antichità come modello e come materiale grezzo allo stesso tempo.Naturalmente il Medioevo conobbe il r. non solo di pezzi di età classica, ma anche di quelli di epoche più recenti, servendosene ora come di semplici materiali - per es. nel caso delle lastre tombali - ora adattandoli in modo studiato e armonioso, come per es. nel caso delle transenne del sec. 6° nella basilica di S. Clemente a Roma, del sec. 12°, o delle spoglie altomedievali reperibili per es. a S. Marco a Venezia.Conoscere la provenienza dei pezzi riutilizzati - per es. di spoglie provenienti da Roma invece che di spoglie locali - risulta interessante per determinare se si tratti di una scelta più o meno consapevole. A dire il vero, i pezzi provenivano, ovviamente, in gran parte da luoghi limitrofi: talvolta da un singolo edificio smantellato che forniva completamente il materiale per una nuova costruzione, come nel caso a Roma delle colonne in S. Sabina e in S. Pietro in Vincoli, a Ravenna di quelle in S. Giovanni Evangelista o, ancora, per quanto riguarda i monumenti sepolcrali, nei casi per es. della cattedrale di Gaeta e della torre dell'abbazia di S. Gugliemo al Goleto (prov. di Avellino), entrambe del 12° secolo. Ma poteva anche accadere che le spoglie venissero fatte arrivare da molto lontano. Della loro provenienza si viene a conoscenza da fonti narrative e documentarie: da Roma provenivano spoglie per Montecassino nel sec. 11°; per Winchester e Durham nei secc. 12°-13°; per Saint-Denis a Parigi, almeno nel progetto dell'abate Suger; per Pisa, a quanto risulta da un contratto di fornitura del 1158; per Orvieto, da quanto è noto dai conti della fabbrica del duomo del sec. 14°, i quali permettono, peraltro, di ricostruire un regolare mercato romano delle esportazioni. In alcuni casi l'indicazione della provenienza dei pezzi riutilizzati è riportata da iscrizioni medievali (per es. a Roma su una colonna in S. Maria in Aracoeli si legge l'attestazione "A cubiculo Augustorum", 'dagli appartamenti dell'imperatore'); talvolta essa è invece ricavabile dal confronto delle forme - per es. nel caso di capitelli figurati e di basi di colonne ornate - e delle dimensioni, come nel caso, sempre per quanto concerne Roma, di elementi architettonici delle terme di Caracalla reimpiegati in S. Maria in Trastevere nel sec. 12° o nel duomo di Pisa; di fregi con delfini provenienti dalla basilica Neptuni a Roma utilizzati a Pisa (Camposanto) o, ancora, di spoglie provenienti da Pozzuoli e Paestum da segnalare nel duomo di Salerno, nell'11° secolo. Ulteriori indizi sono forniti, nel caso di antiche iscrizioni, dall'indicazione del luogo in cui queste erano originariamente poste, come per es. nel caso di quelle provenienti da Ostia e riutilizzate nella cattedrale di Pisa, nel battistero di Firenze, nella chiesa del Rosario ad Amalfi e altrove. Interi carichi di pezzi antichi venivano trasportati da S a N, da E a O, come ha dimostrato anche l'archeologia subacquea.Il fatto che si facessero giungere da grande distanza dimostra del resto, in maniera palese, il desiderio di possedere spoglie antiche, dal momento che il trasferimento di una colonna colossale era sicuramente più costoso della costruzione sul posto di un pilastro romanico. Ciò introduce la questione delle motivazioni del r. e della connotazione delle 'spoglie', che sono assai varie e possono coesistere tra loro in diverse combinazioni e con differente accentuazione. Tra le ragioni del r. la prima è quella del puro valore materiale: quando si è circondati dalle rovine è comodo poter disporre di pezzi già pronti per nuove costruzioni e, in senso puramente materiale, il r. è esistito in ogni epoca. Spesso la sua adozione è riscontrabile tanto all'interno di fondamenta e di mura - come già per es. nelle sostruzioni dell'acropoli di Atene, del sec. 5° a.C., oppure nelle mura di difesa edificate per resistere agli assalti delle orde barbariche nel sec. 3° e dal cui smantellamento, nel 19°, sono emersi veri e propri musées lapidaires o, ancora, nel caso delle antiche colonne usate come addentellati nelle mura delle fortezze crociate - quanto nelle opere murarie delle chiese, in cui anche pezzi ornamentali vennero ridotti a puro materiale da costruzione e non sempre collocati in modo da risultare visibili. Il ritrovamento di materiale antico durante l'edificazione di una chiesa venne inoltre, talvolta, rappresentato quale dono miracoloso, come per es. a Modena nel 1099.Oltre a questo motivo, pur se spesso in stretta connessione, sussistono ragioni di valutazione estetica in base alle quali la bellezza della forma, il pregio del materiale - quest'ultimo ricordato soprattutto nelle fonti relative alle spoglie - sono intenzionalmente esibiti e ostentati nel reimpiego. Espressioni come lapis de Pario, ovvero termini come marmor e altri simili rimandano, nelle fonti, ad antichi pezzi riutilizzati, anche se essi, mineralogicamente, non hanno niente a che fare col marmo. L'antico pezzo isolato, fuori della città, diviene in campagna un punto di riferimento ben preciso, come mostrano le indicazioni dei confini negli atti di proprietà medievali (columna marmorea, leones lapidei, statua).Ancora maggiore è l'attenzione nel r. dei pezzi ornamentali: l'acanto finisce col diventare il fregio preferibilmente utilizzato per gli architravi dei portali, mentre i sarcofagi vengono usati per le sontuose teche di reliquie. Non è del tutto certo se i pezzi riutilizzati venissero riconosciuti sempre come antichi o pittosto solo come vecchi e se soprattutto si optasse, fra il materiale disponibile, per un particolare aspetto dell'Antichità, preferendo per es., a seconda dei casi, una forma più austera, il 'barocco' antonino o l'arte paleocristiana.In ogni caso la semplice disponibilità del pezzo antico spesso non ne spiega il r.: essa è un presupposto necessario, ma il più delle volte non sufficiente. Più interessante dell'offerta è, anche in questo caso, la domanda, poiché essa rende visibile la percezione, la sensibilità, il programma che conferisce al r. un significato, una dimensione spirituale: l'Antichità, una volta riusata, dona alle costruzioni, oltre alla bellezza e alla sontuosa monumentalità, anche quella patina di antico che ne accresce il rango, specie se esse vengono edificate in rivalità con un altro vescovo, un altro comune, un altro signore. Il fatto che, talvolta, si desiderasse esplicitamente la provenienza da Roma del pezzo è chiarificante. Il consapevole richiamo alle tradizioni della città viene legittimato mediante le sue spoglie, poiché queste sono più di una semplice citazione dell'Antichità: esse sono, in realtà, una translatio Romae, laddove, in alcuni casi, non viene neppure ravvisato un contrasto tra la Roma pagana e quella cristiana. Con le spoglie di Roma e di Ravenna Carlo Magno legittimò il suo nuovo impero; in epoca ottoniana alcune spoglie vennero portate fino a Magdeburgo, Soest ed Essen. Anche l'interesse per l'antico cerimoniale imperiale, in particolare durante l'impero di Ottone III (996-1002), portava al r. del prezioso materiale antico. Nell'ordine dell'incoronazione imperiale giocava un ruolo importante la grande rota porphyretica del pavimento della chiesa di S. Pietro a Roma. Con il porfido - materiale imperiale - il pontefice rafforzava infatti il suo rango nei confronti dell'imperatore e d'altra parte acquisire spoglie di porfido equivaleva a usurpare i diritti imperiali: Innocenzo II e Anastasio IV vennero inumati rispettivamente, nel 1143, nel sarcofago di porfido dell'imperatore romano Adriano, andato distrutto, e, nel 1154, nel sarcofago di porfido di S. Elena (Roma, Mus. Vaticani).A Roma soprattutto il sec. 12° rappresenta un'epoca in cui il papato, divenuto più forte e consapevole grazie alla riforma e alla vittoria sull'impero, celebra il suo ruolo con la costruzione e la ricostruzione di imponenti chiese. In esse si fece più studiato l'impiego di spoglie antiche e paleocristiane, come accade a S. Clemente (1110-1130 ca.), a S. Maria in Trastevere (1130-1140 ca.), ai Ss. Quattro Coronati (1115 ca.), e in altre ancora, provviste di seggi vescovili costruiti con spoglie (S. Maria in Cosmedin, S. Lorenzo in Lucina); particolarmente massiccio e ponderato fu poi, all'inizio del sec. 13°, il r. di spoglie a S. Lorenzo f.l.m., sempre a Roma. Nella stessa città, del resto, davanti alle chiese e lungo le strade si costruirono numerosi portici con colonne e capitelli antichi specialmente ionici, ma, talvolta, anche di nuova lavorazione.Di notevole intensità - e forse improntato in maniera consapevole alla Roma del sec. 12° - fu il r. di spoglie nell'Italia meridionale normanna, proprio nelle chiese principali del regno (cattedrale di Salerno, sec. 11°; cattedrali di Cefalù e di Monreale, sec. 12°; abbazia della SS. Trinità di Venosa in prov. di Potenza, sec. 12°): tale fenomeno permette di riconoscere la strumentalizzazione politica delle spoglie, comprese quelle di porfido da parte dei sovrani normanni, che, in questo senso, si spinsero anche oltre i loro successori svevi.Programmatica fu anche l'utilizzazione delle spoglie da parte dei comuni italiani. Con l'Antichità si andò legittimando per es. il Comune di Roma, destato a nuova vita nel sec. 12°: le misure del grano, del vino e dell'olio vennero infatti scolpite in base a pezzi antichi e antiche sculture furono usate come simboli di giustizia; fenomeni significativi risultano il complesso di spoglie della c.d. casa dei Crescenzi, forse del 1150 ca., e l'editto emanato dal Senato di Roma nel 1162 riguardante la tutela della colonna Traiana. Con opere antiche utilizzate come simboli della città, della giustizia e come pietre del bando, ovvero intese anche come simboli di sovranità, vennero del resto legittimandosi anche altri comuni, secondo una ricezione dell'Antichità di tipo storico, politico e ideologico frequente nell'Italia comunale. Particolarmente massiccio fu l'impiego di spoglie, fatte venire soprattutto da Roma, a Pisa, la cui specifica rivendicazione di romanitas è documentabile anche letterariamente. Poiché la cattedrale non rappresentava semplicemente un edificio ecclesiastico, ma il monumento dell'identità cittadina, risultano assai significativi il cosciente impiego e la meditata distribuzione di elementi architettonici, rilievi, iscrizioni e teste nelle cattedrali dell'Italia settentrionale fra cui per es. quelle di Parma, Modena, Piacenza, Ferrara, tutte della prima metà del 12° secolo. Non può inoltre non colpire il fatto che città con scarsa o nessuna tradizione si preoccupassero di acquisire pezzi antichi - che accrescevano anche con le imitazioni, per simularne almeno il r. - per decorare le proprie chiese e i propri edifici pubblici e per cercare, così, di nobilitare il proprio passato. Venezia per es. fece arrivare sistematicamente e studiatamente interi carichi di pezzi antichi dall'Adriatico, dall'Egeo e dal Mediterraneo orientale, mentre i pezzi più pregiati giungevano da Costantinopoli, conquistata nel 1204; l'eccezionale concentrazione di spoglie a S. Marco rappresentava, d'altronde, più un'esibizione di trofei che la testimonianza di un 'protorinascimento'.Divenuta un emblema di cui fregiarsi, l'Antichità diventa bottino - nel senso vero e proprio del termine spolia - da portare via alla città sconfitta come un trofeo, allo stesso modo delle campane delle chiese.La forma di r. che intenzionalmente lasciava vedere il pezzo antico, non inglobandolo come puro materiale da costruzione, diventò più rara dopo la metà del 13° secolo. Nel corpo unitario dell'edificio gotico le spoglie non poterono più mantenere un valore autonomo: si rinunciò a esse oppure le si utilizzò come semplice materiale da costruzione - come nel caso del duomo di Orvieto, in cui la massiccia importazione di spoglie da Roma è desumibile solo dai conti della fabbrica - oppure ancora si inserirono nella struttura muraria, senza enfasi, fusti di colonna adattati. Perfino nell'architettura dell'età di Federico II (1220-1250), la cui ideologia imperiale fu fortemente improntata all'Antichità - da ricordare, in questo senso, il corteo trionfale 'alla romana' dopo la vittoria di Cortenuova nel 1237 o le colonne antiche usate, a Roma, nell'impalcatura per il carroccio strappato ai Milanesi (Roma, Mus. dei Conservatori) -, gli antichi pezzi vennero adattati alle nuove costruzioni fino a divenire irriconoscibili.

Scultura e arti applicate

Già l'Antichità romana conobbe il r. di statue: di quelle celebrative veniva talvolta sostituita semplicemente la testa. Nel Medioevo, il r. di antiche statue fu invece quasi impensabile giacché esse, e soprattutto quelle nude, erano semplicemente considerate simboli del paganesimo - idola - davanti ai quali i martiri erano costretti a sacrificare. Incompresa, temuta e per di più poco utilizzabile, la statua ebbe perciò minori possibilità di sopravvivenza rispetto alle altre opere dell'Antichità; le statue vennero soprattutto calcinate. Ancora durante la conquista di Costantinopoli del 1204 i crociati operarono un regolare massacro di statue. In qualche caso esse si salvarono grazie all'interpretatio christiana che ne venne data - come nel caso di Marco Aurelio scambiato per Costantino, di un satiro per s. Rocco, di Pan per s. Giovanni Battista, di Atena che sta di fronte a Era per l'angelo dell'Annunciazione dinanzi a Maria, divenendo, perciò, l'unica metope che rimane del lato nord del Partenone, trasformato in età giustinianea in chiesa, successivamente dedicata a Maria - oppure grazie alla loro familiarità con il quartiere cittadino, come nel caso delle diverse statue parlanti di Roma e delle varie statue di Virgilio mago a Napoli e di altre statue in Italia e in Francia. In altri casi furono, invece, l'incompresa iconografia e il timore per i loro poteri magici, demoniaci, a provocarne la distruzione. Aumentarono, però, i casi di r. di statue come simboli cittadini, figure di fontane, ecc. (il 'Regisole' a Pavia, 'Madonna Verona' a Verona, il s. Teodoro a Venezia, fatto con un torso dell'imperatore romano Adriano in armatura, la copia del Diadúmenos sul tetto del duomo di Milano). Mentre a Roma le poche statue rimaste venivano generalmente interpretate in maniera fantasiosa e in tali forme divenivano familiari - così per es. nei Mirabilia urbis Romae, o nella Graphia aureae urbis Romae - già nei secc. 12° e 13° si ebbero dichiarazioni di ammirazione da parte di Enrico di Blois vescovo di Winchester (Giovanni di Salisbury, Historia Pontificalis, 40) e di Gregorius magister (Narracio de mirabilibus urbis Romae, 12). Negli stessi secoli si procedette anche al rimaneggiamento e al r. di statue antiche, spesso con difficoltà nello stabilire se si tratti di pezzi antichi riutilizzati, o di pezzi medievali, o persino di pezzi antichi rimaneggiati nel Medioevo, come nel caso delle diverse teste ritratto dell'Italia sveva o di Pisa (Camposanto), o dei resti di un gruppo di Meleagro trasformato in un complesso con acquasantiera, a Sessa Aurunca, del 1250 circa. Solo di recente è stato dimostrato che Arnolfo di Cambio riutilizzò per la 'gotica' statua della Madonna nel monumento sepolcrale del cardinale De Braye (Orvieto, S. Domenico, 1282 ca.) un'antica statua romana seduta del tipo della Tyche o della Flora (Romanini, 1994). Che statue medievali talvolta venissero scolpite da antichi blocchi, come per es. quella di Carlo d'Angiò (Roma, Mus. Capitolino), non ha alcun significato profondo, ma solo materiale.Rispetto alla statuaria pagana pone meno problemi il r. dei rilievi e delle opere di arte 'minore'. Di frequente si trovano reimpiegati soprattutto i sarcofagi: come sepolcri per santi - quindi come teche di reliquie e perciò spesso come sostegni per altare -, come vasche per fontane di particolare prestigio, come nuovi sepolcri per imperatori (come il sarcofago romano con il ratto di Proserpina, approntato, anche se non utilizzato, per la sepoltura di Carlo Magno; Aquisgrana, Cappella Palatina), papi, vescovi, duchi. Ciò anche nelle città (specialmente a Pisa, dove si contano ca. sessanta sarcofagi, in gran parte importati da Roma), ogni volta che l'interpretatio christiana era resa possibile - come nel caso di Endimione letto come Giona, o delle Muse viste come le Virtù -, ma anche quando veniva messa da parte, come nel caso invece del cardinale Guglielmo Fieschi, inumato nel 1256 in un sarcofago nuziale. Talvolta i sarcofagi venivano anche rimaneggiati, provvisti di coperchi nuovi o addirittura imitati, o perfino utilizzati in copia come architravi di portale: Bourges, Saint-Ursin; Campiglia Marittima (prov. Livorno), pieve S. Giovanni; Calvi Vecchia (prov. Caserta), cattedrale. Nell'ambito della scultura, frequente è il r. delle caratteristiche pietre tombali per liberti (con due o più busti), talvolta murate in un'intera serie decorativa (otto pezzi con diciassette busti nel campanile del duomo di Benevento, sec. 13°). Tra i motivi con animali si preferivano quelli con i leoni, reimpiegati come statue (leoni sepolcrali vennero riutilizzati nel protiro di facciata e al di sopra della porta Regia nel duomo di Modena e sul portale orientale del transetto della SS. Trinità di Venosa), rilievi, protomi, sostegni per tavoli, eccetera.Per quanto riguarda le arti applicate, si può osservare il r. di antiche pietre tagliate per reliquiari e legature di libro anche nell'Europa settentrionale - come il cammeo di Augusto reimpiegato nella c.d. croce di Lotario (Aquisgrana, Domschatzkammer) intorno al 1000, la piccola testa di donna in lapislazzuli riutilizzata come testa di Cristo nella croce di Erimanno (Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl.) intorno al 1050 e la piccola testa di Medusa in sardonico impiegata come testa di David nel reliquiario aureo di Basilea (Stadt- und Münstermus., Kleines Klingental) intorno al 1350 -, nonché per sigilli o per talismani con proprietà magiche o mediche. Infatti, nonostante la loro iconografia incompresa, tali pietre risultavano attraenti per il loro evidente pregio e per la loro bellezza 'magica', venendo reimpiegate o conservate nei tesori di sovrani e di chiese, come quelli di Federico II, di Saint-Maurice d'Agaune, di Saint-Denis a Parigi e di S. Marco a Venezia. Si riutilizzavano anche oggetti in avorio, come per es. nel caso dei dittici consolari usati per la rilegatura di libri liturgici. Oltre a tale r. specifico, anche nelle arti suntuarie si prestava particolare attenzione al puro valore materiale: gli smalti medievali erano composti spesso di antichi vetri e tessere di mosaico fusi, tecnica questa esplicitamente consigliata da Teofilo (De diversis artibus, II, 12). Per quanto riguarda il r. di antichi vasi esisteva anche un particolare rito di benedizione: la "benedictio super vasa reperta in antiquis locis".

Bibl.:

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