REGIONI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

REGIONI

Elio Pizzi

. La ripartizione della Repubblica in r. (oltre che in province e comuni), stabilita dall'art. 114 Cost., è venuta a segnare un mutamento fondamentale: la r. ha infatti la maggior autonomia compatibile con la struttura unitaria della repubblica, in ragione dei poteri politici, legislativi e amministrativi che le sono propri, e che sono tali da qualificare il nostro come uno stato regionale. Se pure non erano mancate nel passato correnti di pensiero regionalistiche, tuttavia esse non avevano mai prevalso, e il regionalismo poté concretarsi solo nel titolo V della Costituzione, che dedica al sistema delle autonomie locali ben 20 articoli, quale specificazione del precetto fondamentale di autonomia e decentramento posto nel precedente art. 5. Il primo passo della svolta in senso regionalistico si era avuto, peraltro, già nel 1946 con l'erezione in r. autonoma della Sicilia mediante il conferimento dello statuto "speciale" approvato con r.d. legislativo 15 maggio 1946, n. 455. Gli altri statuti speciali, prevedenti forme particolari di autonomia legislativa e amministrativa, furono conferiti - in attuazione dell'art. 116 Cost.- alla Sardegna, alla Valle d'Aosta, al Trentino-Alto Adige direttamente dal legislatore costituente, che provvide anche a convertire in legge costituzionale lo statuto siciliano del 1946. Per la r. Friuli-Venezia Giulia, pure prevista tra quelle a statuto speciale, si provvide più tardi, con legge costituzionale del 31 genn. 1963, n.1, data la necessità della previa definizione della posizione internazionale del territorio di Trieste. Particolare rilievo nell'ambito degli statuti speciali assume quello del Trentino-Alto Adige che, in relazione all'accordo italo austriaco De Gasperi-Gruber del 1946, tutela il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico della popolazione di lingua tedesca, conferendo poteri di autonomia alle province di Trento e di Bolzano, di gran lunga estesi con la riforma di cui alla l. cost. del 10 nov. 1971, n. 1, che ha stabilito un completo autogoverno di quella popolazione.

Accanto alle suddette cinque r. a statuto speciale, l'art. 131 della Costituzione (modificato dalla l. 27 dic. 1963, n. 3) ha previsto altre 15 r., il cui numero e la cui consistenza non sono però immutabili, dato che l'art. 132 Cost. prevede sia l'ipotesi di fusione e di creazione di nuove r., a mezzo di legge costituzionale preceduta da referendum delle popolazioni interessate, sia l'ipotesi di semplice variazione del territorio, da effettuare, sempre previo referendum, con legge ordinaria dello stato.

Per queste r. (Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzi, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) le elezioni dei consigli si sarebbero dovute effettuare entro un anno; cause varie fecero, però, ritardare l'attuazione del precetto costituzionale, sino al 7 giugno 1970.

Le regioni a statuto speciale. - Per le cinque r. aventi forme e condizioni particolari di autonomia, alla stregua del citato articolo 116 Cost., l'ordinamento di base è rappresentato oltre che dai relativi statuti - aventi il valore di leggi costituzionali - anche dalle norme di attuazione, le quali sono fonti giuridiche atipiche, aventi il compito di svolgere i precetti statutari e di stabilire le modalità del passaggio delle funzioni amministrative; esse sono emanate con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta di commissioni paritetiche, costituite per ciascuna r. da un uguale numero di rappresentanti statali e regionali. L'autonomia delle r. in argomento si diversifica da quella delle altre r. sia nel suo complesso, stante il maggior numero delle materie attribuite alla loro potestà legislativa e amministrativa, sia per la qualità del potere legislativo che, rispetto a talune materie, assume il grado primario (limitato soltanto dalle norme costituzionali e dai principi generali dell'ordinamento giuridico). Accanto alla potestà legislativa concorrente, che corrisponde a quella tipica delle r. di diritto comune, le cinque r. speciali hanno anche, in talune materie, una potestà legislativa integrativa che consente di adattare, nell'ambito delle materie stesse, le leggi dello stato alle esigenze locali. Ai più ampi poteri legislativi corrispondono quelli amministrativi, dato che questi concernono tutte le materie per le quali i primi sono attribuiti; in più le r. a statuto speciale hanno ordinamenti finanziari particolari. È da rilevare, peraltro, che le r. a statuto speciale, mentre nel loro complesso costituiscono un sistema differenziato, prese singolarmente presentano notevoli diversità l'una dall'altra, occorrendo studiarne l'ordinamento caso per caso. È per questo che giova assumere come tipico (segnalando poi le più importanti differenze per quelle a statuto speciale), l'ordinamento delle r. di diritto comune, dato che è direttamente la Carta Costituzionale a indicarne la struttura e le funzioni fondamentali, pur nella cospicua differenziazione delle loro realtà.

Gli statuti regionali. - Ai sensi dell'art. 123 della Costituzione, ogni r. ha uno statuto il quale, in armonia con la Costituzione e le leggi della Repubblica, stabilisce le norme relative all'organizzazione interna della r. stessa. Nonostante l'identità del termine, lo statuto di tali r. (dette di diritto comune o a statuto ordinario) ha una natura giuridica ben diversa da quella degli statuti delle r. speciali: mentre per le prime lo statuto è (come già accennato) una legge costituzionale dello stato concernente l'intero ordinamento di base relativo alla r. cui si riferisce, per le seconde lo statuto è un semplice atto normativo - deliberato dal consiglio regionale e approvato con legge della Repubblica (con le modalità indicate dall'art. 6 della l. 10 febbr. 1953, n. 6z modificato dall'art. 1 della l. 23 dic. 1970, n. 1084) - che contiene disposizioni soltanto integrative di quelle indicate nella Carta Costituzionale, limitatamente al settore dell'organizzazione interna della regione. Mentre tredici statuti vennero approvati dal Parlamento, a seguito dì un procedimento di controllo che richiese la modifica di talune delle norme deliberate dai consigli regionali, con altrettante leggi recanti la data del 22 maggio 1971, quelli rimanenti dell'Abruzzo e della Calabria, che avevano dovuto superare la difficoltà derivante dall'indicazione dei rispettivi capoluoghi di r., furono approvati con successive leggi rispettivamente del 22 e del 28 luglio 1971. Con lo stesso procedimento stabilito per la formazione degli statuti è prevista anche la loro modifica.

Gli organi. - Ogni r. (art. 121 Cost.) ha un consiglio, una giunta, un presidente della giunta. Il primo è l'organo di base della r., i cui membri, in numero variabile da 80 a 30, a seconda della popolazione, come indica la l. 17 febbr. 1968, n. 108, sono eletti a suffragio universale, con voto diretto libero e segreto, mediante scrutinio di lista (per le r. di diritto speciale, tranne che per la Valle d'Aosta, il procedimento elettorale è invece stabilito con leggi delle r. medesime e il numero dei consiglieri è variamente stabilito) e durano in carica cinque anni. Sono elettori i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni compresi nell'ambito territoriale della r.; per essere eletti consiglieri regionali basta avere l'iscrizione nelle liste di un qualsiasi comune della Repubblica e avere compiuto ventuno anni di età, oltre ad avere gli altri requisiti stabiliti dalla legge, che prevede varie cause d'ineleggibilità e d'incompatibilità. Per le controversie in materia elettorale, dopo la pronuncia del consiglio regionale, la competenza a decidere è dell'autorità giudiziaria ordinaria ove si tratti di cause d'ineleggibilità e d'incompatibilità e di quella giurisdizionale amministrativa (Tribunale amministrativo regionale e Consiglio di stato in sede di appello) per le operazioni elettorali. Con l'elezione il consigliere acquista un particolare status, consistente in un complesso di diritti e di doveri, che prevede anche una particolare condizione di insindacabilità (cfr. art. 122, quarto commå, della Cost.).

Il Consiglio regionale gode di autonomia contabile e organizzativa (l. 6 dic. 1973, n. 853 e art. 29 l. 19 maggio 1976, n. 335) e il suo funzionamento è disciplinato dagli statuti e dai regolamenti interni, che regolano anche le modalità di nomina e i poteri del presidente del Consiglio e dell'ufficio di presidenza nonché la formazione delle commissioni, dei gruppi consiliari e degli altri organi interni del consiglio stesso. A questo spetta in via esclusiva il potere legislativo e quello regolamentare. Il consiglio, inoltre, adotta gli atti a contenuto generale e d'indirizzo politico e amministrativo, conformemente alla sua posizione di organo rappresentativo della comunità regionale. I consigli regionali sono inoltre chiamati a partecipare ad attività statali, come in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica (art. 83 Cost.), della promozione del referendum abrogativo delle leggi statali e di quello confermativo delle leggi costituzionali (artt. 75 e 138 Cost.) e della presentazione di proposte di legge alle Camere (art. 121).

L'organo di governo della r., la giunta, è eletto, secondo le modalità previste dai singoli statuti, in seno al consiglio ed è costituito di assessori, aventi come singoli (salvo che per le r. a statuto speciale) poteri soltanto istruttori e interni. Oltre a collaborare col consiglio nella realizzazione dell'indirizzo politico regionale, la giunta, quale organo esecutivo, ha il compito di adottare i provvedimenti amministrativi necessari per dare applicazione alle leggi e agli altri atti deliberati dal consiglio regionale.

Il presidente della giunta regionale, eletto secondo quanto previsto dagli statuti, è anche il capo della r., nel senso che ne ha la rappresentanza giuridica e politica nei confronti dello stato e degli altri soggetti pubblici e privati; interviene alle sedute del consiglio dei ministri (nei casi previsti dagli statuti speciali o dalle norme di attuazione e, per le r. di diritto comune, in quelli stabiliti dalla prassi); promulga le leggi e i regolamenti della regione.

L'organizzazione. - Allo scopo di avvicinare amministratori e amministrati e combattere il pericolo di un accentramento in sede regionale riproducente in forma sia pure ridotta il vecchio accentramento statale, l'art. 118, comma terzo, Cost. ha disposto che la r. "esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle province ai comuni o ad altri enti locali o valendosi dei loro uffici". Il disegno al quale si è ispirato il legislatore costituente è quello della r. come ente di governo, cioè come centro di produzione legislativa e di programmazione, d'indirizzo, coordinamento e guida dell'attività amministrativa, la quale dev'essere posta in essere, per conto e nell'interesse della r., dagli enti ad essa sottostanti; in altri termini l'applicazione degli atti di legislazione e d'indirizzo delle r. dev'essere attuata in via di massima non già dall'apparato centrale regionale, ma dagli enti locali cosiddetti "subregionali", i quali operano in base alle direttive della r., che fornisce loro i mezzi finanziari; in più, per l'esercizio delle proprie funzioni amministrative, le r. possono utilizzare direttamente gli organi e gli uffici degli enti minori. Tale modulo organizzativo si applica non soltanto per le funzioni amministrative proprie della r., ma anche per quelle che ad essa siano delegate dallo stato (art. 118 Cost.), concretandosi così l'ipotesi della subdelega. Con la delega e con la subdelega la r. viene a utilizzare le capacità amministrative degli enti locali, per estenderle ai settori di propria competenza, con uno spostamento dell'attività amministrativa dal soggetto titolare a quello funzionale. Questo disegno operativo ha subìto peraltro finora notevoli attenuazioni, sia per la naturale tendenza all'accentramento manifestata dalle r., sia per lo stato di disordine organizzativo e finanziario dei nostri enti locali.

All'esercizio dei propri compiti le r. possono provvedere in certi casi mediante la creazione di enti amministrativi, che corrispondono, quanto alla loro natura e posizione, agli enti parastatali e che perciò vengono designati come enti pararegionali, nel senso che essi operano come rami staccati dell'amministrazione della r., che ne costituisce il patrimonio, ne nomina gli amministratori e ne controlla l'attività. Allorché si tratti di attività e servizi che superano l'ambito territoriale di una r. e che investono i territori finitimi di più r., le medesime possono addivenire a intese e costituire uffici e gestioni comuni anche in forma di consorzi (art.1, comma secondo, l. 22 luglio 1975, n. 382 e art. 8 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Allo scopo di assumere iniziative promozionali nei settori economici di propria competenza le r. possono costituire società finanziarie e assumere partecipazioni in quelle esistenti (art. 10 l. 16 maggio 1970, n. 281 e disposizioni statutarie).

L'attività amministrativa. - L'istituzione delle r. non ha comportato l'automatico inizio della loro attività, essendosi dovuto stabilire in concreto, ai sensi della disposizione VIII transitoria della costituzione, il passaggio delle funzioni statali, del personale e dei beni. Mentre per le r. a statuto speciale a ciò hanno soccorso le indicate norme di attuazione, per quelle di diritto comune si è provveduto attraverso gli strumenti della delega legislativa conferita al governo, in un primo tempo con l'art. 17 della l. 16 maggio 1970, n. 281 e successivamente con la l. 22 luglio 1975, n. 382. L'esercizio della prima delega si esaurì con l'adozione degli 11 decreti del 14 e 15 genn. 1972 che, individuati i settori di competenza regionale nell'ambito delle materie indicate nell'art. 117 Cost., disposero il passaggio dei poteri già esercitati dagli organi centrali e periferici dei vari ministeri riservando allo stato l'esercizio della funzione d'indirizzo e di coordinamento. Contro i decreti del 1972 vennero sollevate forti critiche, nel rilievo che il trasferimento delle funzioni era avvenuto in modo frammentario, in base a un'interpretazione riduttiva dell'art. 117 Cost., con la conseguenza che le r. risultavano private della possibilità di concretare la propria capacità di autonomia. Nonostante che, in contrasto con tali critiche, la Corte costituzionale avesse ritenuto legittimi i decreti stessi, respingendo tutti i ricorsi avanzati dalle r., il suddetto movimento di opinione, sostenuto dalle forze regionalistiche, portò all'adozione della citata l. 22 luglio 1975, n. 382: questa, con una più precisa indicazione dei principi e dei criteri direttivi, conferì una nuova delega al governo, da esercitare previo parere delle r. e in collaborazione con la commissione interparlamentare per le questioni regionali. Il decreto 24 luglio 1977, n. 616, che ne è seguito, ha comportato l'attribuzione alle r. di nuovi vasti compiti, in via sia diretta che delegata, anche per effetto della soppressione degli enti pubblici nazionali operanti nei settori d'interesse regionale, con una rilettura dell'art. 117 Cost. effettuata in via evolutiva e amplificativa. In tal modo si è voluto chiudere la fase costituente delle r. e superare, con un atto di fiducia nell'efficienza dell'istituto regionale, lo stato d'incertezza e di tensione nei rapporti con lo stato, anche se non sono mancate resistenze e perplessità per la perdita di taluni poteri dell'amministrazione centrale, ritenuti necessari per la sopravvivenza dello stato unitario. La riforma del 1977 istituisce anche un nuovo rapporto tra r. ed enti locali, che (a eccezione dei comuni e delle province, le cui funzioni sono state accresciute) vengono sottoposti ai poteri di riordinamento da parte delle r., al fine di semplificare i centri operativi dell'attività amministrativa, poteri che si aggiungono a quelli di controllo (art. 130 Cost. e l. 10 febbr. 1953, n. 62) che le r. esercitano, a mezzo dei propri organi, sugli atti dei comuni, delle province e degli altri enti locali.

L'attività legislativa. - In base a quanto prevede l'art. 117 della Costituzione, le r. emanano norme giuridiche (adottano cioè proprie leggi) nelle materie indicate dalla disposizione medesima e che risultano definite secondo l'interpretazione datane dal decreto delegato del 1977: e ciò stante il principio, che è valevole in via generale, pur se presenta varie eccezioni, della corrispondenza tra l'ambito materiale della potestà amministrativa regionale e quello della potestà legislativa. Il significato delle materie contenute nell'art. 117 (ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla r.; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo e industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche d'interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici d'interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia e pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato) va perciò desunto dal suddetto decreto. Mentre per le cinque r. a regime differenziato gli statuti prevedono elenchi di materie rispetto alle quali la potestà legislativa è anche di grado primario, nel senso già indicato, per le r. a statuto ordinario tale competenza è per le suddette materie, soltanto di grado concorrente: ciò significa che la potestà regionale di porre norme giuridiche può essere esercitata soltanto "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato". Siffatti principi dovrebbero trovare espressione positiva nelle "leggi di principio" (dette anche comunemente "leggi quadro" o "leggi cornice") intese appunto a indicare, materia per materia, gl'indirizzi e le direttive che il legislatore statale pone per il concreto espletarsi della normazione regionale. In mancanza di siffatte leggi, peraltro, i limiti alla normazione regionale vanno desunti dalla legislazione statale vigente (art. 17 l. 16 maggio 1970, n. 281), attraverso il metodo logico-interpretativo. Le r. di diritto comune hanno anche una potestà legislativa di "attuazione delle leggi dello stato" (art. 117, ultimo comma, Cost.) la quale si esercita, oltre che nei casi nei quali le leggi dello stato espressamente la conferiscono, anche in quelli previsti dal decreto n. 616 del 1977, relativamente a tutte le materie delegate dallo stato; in più, in tali materie, le r. possono emanare leggi "di organizzazione e di spesa" che, senza modificare la legislazione statale, stabiliscono le modalità di esercizio della funzione amministrativa delegata.

La finanza. - Come tutti gli enti pubblici, anche le r. hanno un proprio ordinamento finanziario, che presenta notevoli differenze rispetto a quelli delle r. speciali, direttamente regolati dagli statuti e dalle relative "norme di attuazione". Per le r. di diritto comune, in relazione all'art. 119 Cost. che stabilisce in via generale il principio dell'autonomia finanziaria "nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni", occorre fare riferimento alle l. 16 maggio 1970, n. 281 e 10 maggio 1976, n. 356. Il sistema che ne risulta è quello secondo cui tali r. hanno tributi propri (imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello stato; tassa sulle concessioni regionali; tassa di circolazione degli autoveicoli e natanti a motore; tassa di occupazione degli spazi e aree pubbliche regionali) e quote di tributi, aventi anche una funzione perequativa, prelevate da un fondo comune iscritto nel bilancio dello stato e calcolato sul gettito di determinati tributi. Stante la scarsa dinamicità del fondo comune, la citata l. n. 356 ne ha disposto per gli esercizi finanziari dal 1977 al 1981 il consolidamento a un determinato livello, prevedendo un meccanismo integrativo inteso a garantire al fondo la stessa percentuale di aumento relativa al gettito complessivo delle entrate tributarie statali. In conseguenza, poi, dell'attribuzione alle r. delle nuove funzioni indicate dal decreto delegato del 1977 e del passaggio del relativo personale, sono stabiliti congrui aumenti del fondo. Un'aliquota dell'imposta locale sul reddito (ILOR), nella misura variabile dall'i al 2%, a seconda di quanto annualmente deliberato dai rispettivi consigli, è inoltre assegnata alle regioni. Con riguardo agli obiettivi indicati dai programmi regionali di sviluppo, collegati con quelli della programmazione economica nazionale anche di settore, sono poi effettuate a favore di tutte le r. assegnazioni di quote su un ulteriore fondo, previsto dall'art. 9 della indicata l. n. 281. In più, fondi e stanziamenti settoriali (come quelli relativi all'assistenza sanitaria, all'agricoltura, all'edilizia, ecc.) sono previsti da leggi statali, che alimentano, perciò, congruamente il sistema delle entrate regionali. "Speciali contributi", secondo il disposto del secondo comma dell'art. 12 della l. n. 281 del 1970, sono intesi a "provvedere a scopi determinati e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole". Circa la gestione delle risorse finanziarie delle r. - che hanno anche un proprio demanio e un proprio patrimonio - dispone la l. 19 maggio 1976, n. 335, che ha profondamente innovato la materia della contabilità regionale, per prevedere un sistema di entrate e di spese articolato su un bilancio pluriennale, che è la premessa di quelli annuali, nonché l'istituzione di un bilancio di cassa accanto a quello di competenza e l'accelerazione della spesa con la riduzione dei residui passivi, con l'obiettivo anche di consentire una maggiore elasticità al bilancio. Gli amministratori e funzionari responsabili sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti.

I rapporti tra stato e regione e tra le regioni. - La duplice configurazione della Repubblica - da un lato unitaria (quale si esprime mediante il carattere originario della Costituzione e non anche degli statuti speciali e ordinari; la rappresentanza generale conferita al Capo dello stato e al Parlamento; la soggezione della legislazione regionale ai principi della Costituzione, dell'ordinamento giuridico e delle leggi statali; la conservazione allo stato dell'esclusività dei poteri nelle materie della difesa militare, dei rapporti internazionali, dei mezzi di comunicazione ferroviaria, aerea, postale, dei rapporti civili, penali, processuali, dell'ordine pubblico, ecc.) e dall'altro articolata (in termini di autonomia politica, legislativa e amministrativa) - richiede un complesso di raccordi di varia natura, inteso ad assicurare la congruità del sistema. Essi si realizzano in primo luogo in sede centrale, a livello di Parlamento e di governo, rilevando particolarmente da un lato la commissione parlamentare per le questioni regionali prevista dall'art. 126 Cost. e formata di 20 deputati e di 20 senatori (secondo l'art. 32 della l. 28 ott. 1970, n. 775) e dall'altro la Presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero del Bilancio e della Programmazione economica (nel cui seno opera il CIPE), che costituiscono le sedi cui sono collegate le attività regionali, anche al fine della funzione d'indirizzo e di coordinamento nelle materie di competenza regionale, il cui esercizio i detti organi centrali promuovono presso il Parlamento e il Consiglio dei ministri. Raccordi particolari, sono, altresì, previsti per assicurare la conformità dell'attività regionale all'ordinamento della CEE. In sede periferica rileva la presenza, in ogni capoluogo di r., di un commissario del governo (con funzioni e denominazioni particolari per le regioni a statuto speciale), giusta l'art. 124 Cost., che demanda a tale organo il compito di sovrintendere alle funzioni amministrative esercitate dallo stato e di coordinarle con quelle delle r. (mancano ulteriori disposizioni al riguardo).

Il carattere "derivato" delle nostre r. consente e giustifica un sistema di controlli sulla loro attività legislativa e amministrativa. L'art. 127 Cost. - svolto da disposizioni della l. 10 febbr. 1953, n. 62 - stabilisce che le leggi regionali siano sottoposte al controllo del governo, sotto il profilo della legittimità costituzionale e del merito, che lo esercita entro 30 giorni dalla ricezione del testo normativo da parte del commissario del governo; se entro questo termine il governo non "fa opposizione" (così l'art. 127), l'atto legislativo è vistato dal Commissario (salvo l'ulteriore corso per decorrenza del termine) e può essere prolungato dal presidente della giunta regionale e pubblicato, quale legge della r., sul Bollettino Ufficiale della medesima. In caso di opposizione, l'atto viene rinviato al consiglio regionale, che può o modificarne il testo, per conformarsi ai rilievi governativi, o confermarlo a maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella quale ipotesi il governo può sollevare questione preventiva di legittimità alla Corte Costituzionale o di merito, per contrasto con gl'interessi nazionali, al Parlamento. Per la r. siciliana, lo statuto speciale prevede l'impugnativa diretta delle leggi da parte del commissario dello stato, entro i cinque giorni dalla ricezione: la competenza dell'Alta Corte per la r. siciliana, prevista dallo statuto speciale (art. 24 e 25), è stata riassorbita in quella della Corte costituzionale in via giurisprudenziale, in base al principio dell'unità della giurisdizione. Entrate in vigore, le leggi regionali sono sottoposte allo stesso regime delle leggi statali per quanto riguarda l'impugnativa in via incidentale avanti alla Corte Costituzionale, su ordinanza di un'autorità giurisdizionale (l. 11 marzo 1953, n. 87).

Quanto agli atti amministrativi della r., il controllo è effettuato, secondo quanto prevedono gli artt. 41 e seguenti della l. 10 febbr. 1953, n. 62, a svolgimento dell'art. 125 Cost., da una commissione statale, presieduta dal commissario del governo e costituita da quattro funzionari dello stato e da due rappresentanti della regione. Il controllo riguarda in via generale la sola legittimità e, in casi particolari, anche il merito e si esplica, in caso negativo, sotto forma di annullamento o di rinvio a nuovo esame. Sono previsti interventi in via sostitutiva degli organi centrali dello stato, per le ipotesi che le r. non adottino atti dovuti nelle materie delegate o atti necessari per l'esecuzione degli obblighi derivanti dalla Comunità economica europea. Per le r. a statuto speciale - esclusa la Valle d'Aosta - il controllo sugli atti è effettuato da organi locali della Corte dei conti.

Il richiamato carattere "derivato" delle r. appare come il fondamento dell'art. 126 Cost., che prevede lo scioglimento di un consiglio regionale in determinate ipotesi: mancata sostituzione, malgrado l'invito del governo, della giunta e del presidente che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge; compimento da parte del consiglio delle medesime illegalità; impossibilità di funzionamento del consiglio; mancanza di una maggioranza; motivi di sicurezza nazionale. Lo scioglimento è disposto dal presidente della Repubblica, su deliberazione del consiglio dei ministri, sentita la già citata commissione parlamentare per le questioni regionali (art. 51 l. 10 febbr. 1953, n. 62). Con lo stesso decreto è nominata una commissione di tre cittadini eleggibili a consiglieri regionali, aventi il compito di provvedere all'ordinaria amministrazione e agli atti improrogabili (da sottoporre a ratifica del nuovo consiglio) nonché d'indire le elezioni entro tre mesi. Benché enti "derivati", fra le r. e lo stato e fra le stesse r. (considerando tra queste anche le province di Trento e Bolzano) s'instaurano rapporti giuridici che, oltre a estrinsecarsi nelle ordinarie sedi giurisdizionali, si svolgono anche a livello di garanzia costituzionale: le r. possono perciò impugnare in via diretta le leggi dello stato e delle altre r. per invasione della loro competenza (art. 134 Cost. e citata l. 11 marzo 1953, n. 87).

Quando l'invasione è determinata da un atto non legislativo, stato e regioni possono sollevare reciprocamente conflitto di attribuzione avanti la Corte Costituzionale, per chiedere l'annullamento dell'atto illegittimamente emanato e la dichiarazione della spettanza in ordine alla competenza. Per effetto della giurisprudenza elaborata dalla Corte, questo rimedio si estende ai casi in cui la competenza sia, sotto le varie forme, menomata o contestata o risulti comunque impedito l'esercizio di un potere o diritto dell'ente competente. Analoghi conflitti possono proporsi tra le r. (e le province di Trento e Bolzano), ai sensi dell'art. 134 Cost. e dell'art. 39 della citata l. del 1953, n. 87.

Bibl.: P. Virga, La Regione, Milano 1949; S. Bartholini, I rapporti tra i supremi organi regionali, Padova 1961; E. Rotelli, L'avvento della Regione in Italia, Milano 1967; F. Cuocolo, Le leggi cornice nei rapporti tra Stato e Regioni, ivi 1967; T. Martines, Il consiglio regioanle, ivi 1969; F. Bassanini, L'attuazione delle Regioni, Firenze 1970; A. Barbera, Regioni e interesse nazionale, Milano 1973; L. Giovenco, L'ordinamento regionale, Roma 1973; F. Teresi, Il governo regionale. Aspetti funzionali, Milano 1974; L. Paladin, Diritto regionale, Padova 1976; E. Gizzi, Manuale di diritto regionale, Milano 1976; G. Meale, Ordinamento ed organizzazione delle Regioni di diritto comune, Bari 1977.