Regionalismo e federalismo

Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto (2012)

Regionalismo e federalismo

Antonio D’Atena

Le origini

All’indomani dell’unificazione nazionale le tematiche legate al federalismo non erano particolarmente sentite dai costituzionalisti italiani, i quali, trovandosi a operare in uno Stato di tipo unitario centralizzato, non erano sollecitati a occuparsene ex professo. A esse erano dedicati pochissimi cenni nella produzione manualistica, la quale dava conto del federalismo o nella parte dedicata alla tassonomia delle forme di Stato, o nella parte storica, in cui figurava talora il riferimento all’esperienza costituzionale archetipica: quella degli Stati uniti d’America. Un esempio del primo approccio è rappresentato dal Corso di diritto costituzionale di Luigi Palma (1837-1899), edito a Firenze nel 1877, in cui la trattazione dedicata allo Stato federale (con menzione dei casi statunitense e svizzero) era relegata in un breve paragrafo, piuttosto singolarmente compreso nel capitolo dedicato al Governo monarchico rappresentativo. Quanto al secondo approccio – quello storico – un buon esempio è costituito dal Diritto costituzionale (19042) di Giorgio Arcoleo (1848-1914), sottotitolato Dottrina e storia, nel quale una parte piuttosto ampia era riservata alla Costituzione americana e al suo «svolgimento storico». In essa, peraltro, i cenni all’assetto federale dello Stato erano ridottissimi.

Completamente diverso è il discorso per quanto riguarda il regionalismo. Infatti, nonostante la bocciatura delle ipotesi di regionalizzazione avanzate a più riprese (si pensi specialmente a quelle caldeggiate da Luigi Carlo Farini e Marco Minghetti), la questiore regionale non era stata completamente archiviata e formava oggetto di riflessione da parte della dottrina amministrativistica, il cui interesse per il tema si legava alla crescente attenzione per le forme di autarchia locale che si erano venute realizzando nel Paese. Essa si occupava dell’argomento in prospettiva de iure condendo: o per caldeggiare la regionalizzazione o per scongiurarla. Tra gli studi che si collocano in questo filone di riflessione, due meritano una particolare menzione: una monografia di Andrea Calenda di Tavani (1831-1904), fervente fautore della regionalizzazione, pubblicata a Roma nel 1895 e intitolata La regione nell'ordinamento italiano, e una monografia di Cino Vitta (1873-1956), dal titolo Il regionalismo, pubblicata a Firenze nel 1923, il cui capitolo finale era significativamente intitolato Pretesi vantaggi e certi danni del regionalismo.

Ritornando al federalismo, va ricordato che la prima trattazione monografica pubblicata in Italia risale al 1910. È di quell’anno, infatti, uno studio di Tomaso Perassi (1886-1960), edito a Torino (Confederazione di Stati e Stato federale), dedicato alla linea di confine che corre tra la Confederazione e lo Stato federale in senso proprio. Tuttavia, perché a quest’ultima figura venisse dedicata una riflessione di taglio specificamente costituzionalistico si sarebbe dovuto attendere il 1939: l’anno in cui a Padova viene pubblicato il volume Lo Stato federale di Guido Lucatello (1910-2003). In esso l’autore, con buona conoscenza della dottrina straniera, affrontava le maggiori questioni cui il federalismo dava vita nella prospettiva del diritto costituzionale generale: la questione della collocazione della sovranità e quella della natura, rispettivamente, rivestita dallo Stato centrale e dagli Stati membri.

L’opera di Lucatello, peraltro, non costituì, al momento della sua apparizione, un frutto isolato. Nella stagione in cui vide la luce, infatti, l’interesse dei costituzionalisti italiani per la tematica era sollecitato da alcune tra le maggiori novità istituzionali poste sul tappeto dalla tormentata stagione con cui si era aperto il ‘secolo breve’, per riprendere la fortunata espressione di Eric John Ernest Hobsbawn. Ci si riferisce, in primo luogo, al nuovo assetto federativo tenuto a battesimo, in Russia, dalla rivoluzione sovietica (1917); in secondo luogo, all’abolizione della struttura federale della Germania, a opera del nazionalsocialismo (1934); infine – e soprattutto – alla nascita, nella Spagna della seconda Repubblica, del prototipo dello Stato regionale (1931). Di qui, una pluralità di studi, che hanno visto impegnati autori come Giuseppe Menotti de Francesco (1885-1978), Annibale Carena (1859-1961) e Gaspare Ambrosini (1886-1985). Al primo si deve una monografia sullo Stato sovietico (Lo Stato sovietico nella dottrina generale dello Stato, 1932), al secondo un ampio studio sul regionalismo spagnolo («Annali di scienze politiche dell'Università di Pavia», 1932), al terzo, infine, una serie di scritti dedicati a tutte le novità emergenti: il regionalismo spagnolo («Rivista di diritto pubblico», 1933), l’abolizione tedesca del federalismo («Rivista di diritto pubblico», 1935), la struttura dello Stato sovietico (L'Unione Sovietica e la sua formazione e struttura, 1935). Per completare il quadro, può aggiungersi un altro lavoro di taglio comparatistico, di poco successivo, dedicato da Pietro Chimienti (1864-1938) alla nuova costituzione degli Stati uniti del Brasile («Rivista di diritto pubblico», 1938).

Tra gli studi passati in rassegna, quelli che hanno spiegato una più profonda influenza sulla successiva evoluzione istituzionale italiana sono stati gli studi dedicati al regionalismo (soprattutto al regionalismo spagnolo). A essi si deve la sopravvivenza del nuovo modello alla scomparsa della sua prima incarnazione storica, per mano del franchismo (il quale, dopo la conclusione della guerra civile, aveva restaurato in Spagna lo Stato unitario centralizzato di derivazione francese). Al regionalismo guardavano, infatti, molti tra i giuristi italiani che, a partire dal 1945, animarono il dibattito politico sul futuro assetto dello Stato, un dibattito ripreso dall’Assemblea costituente (in cui il maggior mediatore culturale del regionalismo di matrice spagnola sarebbe stato Gaspare Ambrosini). Tra gli autori che più s’impegnarono in quella stagione non possono non ricordarsi Arturo Carlo Jemolo (Il decentramento regionale, «Quaderni del Partito d'azione», 1945, 11), Antonio Amorth (Il problema della struttura dello Stato in Italia. Federalismo, regionalismo, autonomismo, 1945) e Giambattista Rizzo (La Regione, 1947).

La relazione circolare tra l’elaborazione scientifica e la regionalizzazione del Paese

In questa sede non è il caso di rievocare le vicende che hanno preparato e accompagnato l’avvento delle regioni in Italia: dalle esperienze protoregionali sviluppatesi in Valle d’Aosta e soprattutto in Sicilia, all’elaborazione dell’Assemblea costituente.

Quello che preme sottolineare è il rapporto di tali eventi con la cultura giuridica italiana: un rapporto circolare. Infatti, se – come si è accennato e come vedremo meglio più avanti – proprio alla cultura giuridica si deve l’ingresso dei modelli regionali e federali nel nostro diritto costituzionale positivo, a quest’ultimo si deve l’intensificazione, con crescita esponenziale, degli studi sulle tematiche del regionalismo e sui concreti problemi che le neonate regioni ponevano sul tappeto.

Quanto ai modelli, è noto che i lavori dell’Assemblea costituente si sono svolti sotto il segno di due stelle polari: il regionalismo spagnolo della seconda Repubblica e il federalismo mitteleuropeo (soprattutto tedesco). Nel corso dei lavori, questa duplice influenza ha trovato i propri maggiori tramiti in due costituzionalisti, entrambi membri dell’Assemblea: Ambrosini (del quale si è detto) e Costantino Mortati. Quest’ultimo, essendosi formato sui classici tedeschi e austriaci, faceva parte della nutrita schiera di costituzionalisti italiani che, per dir così, parlavano tedesco. A lui – tra l’altro – si deve la traduzione e l’illustrazione della Costituzione di Weimar, apparsa nella collana di volumi che il Ministero della Costituente aveva promosso in vista della redazione della nuova Costituzione italiana (1946). L’influenza, sul testo costituzionale, di questo doppio imprinting è visibilissima.

Al modello spagnolo può ricondursi l’enumerazione regionale delle competenze (che differenzia il modello regionale dal modello federale, il quale usa la tecnica enumerativa in modo rovesciato). Di derivazione iberica era inoltre la previsione di cinque Regioni ad autonomia speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia), titolari – al pari delle Regioni spagnole – di competenze reciprocamente differenziate, disciplinate, per ciascuna di esse, dal rispettivo statuto.

Per contro, al federalismo mitteleuropeo si deve sia la categoria delle Regioni ad autonomia ordinaria, dotate, analogamente alla generalità degli Stati membri di uno Stato federale, di identiche attribuzioni, sia la costituzionalizzazione del riparto delle competenze tra centro e periferia (disciplinato, oltre che dalla costituzione, dagli statuti regionali speciali, adottati – a differenza degli statuti d’autonomia spagnoli – con legge costituzionale).

L’importazione di dosi di regionalismo e federalismo nel nostro diritto positivo non poteva non modificare l’approccio degli studiosi, la cui attenzione era, ormai, più attratta dalla declinazione italiana dello Stato regionale che dalle esperienze straniere da cui essa era derivata. Di qui, lo spostamento dell’asse delle ricerche dal diritto comparato al diritto nazionale.

Questo, peraltro, non ha comportato il totale esaurimento dell’interesse comparatistico per il tema. Lo studio dei sistemi federali ha infatti continuato a essere coltivato anche successivamente: basti, a titolo esemplificativo, ricordare le ricerche di Antonio La Pergola (Sistema federale e 'compact clause', 1961; Residui contrattualistici e struttura federale nell'ordinamento degli Stati Uniti, 1969), Nino Olivetti Rason (Note sulle unità costitutive del sistema federale degli Stati Uniti: Stati membri e territori, 1967), Luciano Vandelli (L'ordinamento regionale spagnolo, 1980) e Licia Califano (Innovazione e conformità nel sistema regionale spagnolo, 1987). La nuova situazione, tuttavia, inevitabilmente influiva sullo stesso atteggiamento degli studiosi che si dedicavano alla comparazione, i quali, non di rado, nelle esperienze straniere cercavano risposte alle domande poste sul tappeto dall’esperienza regionale italiana. Emblematica, al riguardo, una monografia di Giuliano Amato (Il sindacato di costituzionalità sulle competenze legislative dello Stato e della Regione (alla luce dell'esperienza statunitense), 1964), la quale affrontava, sulla scorta dell’esperienza maturata negli Stati Uniti, il tema della giustiziabilità del riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni nel nostro Paese.

Non era comunque la ricerca comparatistica a dominare il panorama degli studi, l’agenda dei quali era ormai dettata, in misura pressoché esclusiva, dalle cadenze della regionalizzazione italiana, di cui finiva inevitabilmente per doppiare le periodizzazioni.

La prima fase: l’ibernazione ventennale della riforma

Nella prima fase, durata più di un ventennio (dal 1948 alla fine degli anni Sessanta), il dato istituzionale più rilevante era costituito dalla mancata attuazione delle regioni ad autonomia ordinaria, vittime dell’ostruzionismo di maggioranza denunziato nel 1953 da Piero Calamandrei. In essa, quindi, i soli enti regionali esistenti erano le regioni ad autonomia speciale (una delle quali, peraltro – la regione Friuli-Venezia Giulia –, sarebbe stata istituita soltanto nel 1963). In tale fase, inoltre, sino al 1956, ha fatto sentire la sua mancanza l’organo di chiusura del sistema: la Corte costituzionale, chiamata a dirimere le controversie competenziali tra lo Stato e le regioni.

Tutto questo non poteva non riflettersi sull’elaborazione dei pubblicisti italiani. Infatti, mentre per le regioni ad autonomia ordinaria i soli dati disponibili erano quelli offerti dalla normativa costituzionale (e, dal 1953, dalla prima legge attuativa del titolo V Cost.: la legge nr. 62 di quell’anno), per le regioni ad autonomia speciale, alle norme di rango costituzionale (tali erano – si è detto – gli statuti regionali) e a quelle poste dalle speciali fonti chiamate a renderne operante il disposto – i decreti legislativi di attuazione degli statuti – si aggiungevano le risultanze della concreta esperienza applicativa (oltre che, ovviamente, quelle della giurisprudenza che su essa veniva accumulandosi).

Di qui, due linee di ricerca piuttosto chiaramente distinte: da un lato, trattazioni sistematiche dedicate, in termini generali, alle regioni (ordinarie e speciali), alla loro organizzazione e alle competenze di cui erano state dotate; dall’altro lato, studi centrati sulla realtà vivente delle regioni ad autonomia speciale e sull’elaborazione giurisprudenziale di cui erano fatte oggetto.

Nell’ambito del primo filone, vanno anzitutto segnalate due importanti monografie dedicate al nuovo ente, entrambe pubblicate nel 1949, le quali, per completezza e sistematicità, possono considerarsi i primi due manuali di diritto regionale prodotti dalla scienza giuridica italiana: La regione, di Pietro Virga, e La regione nella costituzione italiana, di Giovanni Miele.

Al medesimo filone possono, inoltre, ricondursi gli studi dedicati all’aspetto più dirompente della regionalizzazione prevista dai padri costituenti: l’attribuzione, alle regioni, del potere legislativo, che frantumava il tradizionale monopolio detenuto in materia dal parlamento nazionale. Nella ricca produzione dottrinale sul tema spiccano, oltre alle due prime opere monografiche, rispettivamente pubblicate nel 1959 e nel 1961 da Livio Paladin (La potestà legislativa regionale) e da Manlio Mazziotti di Celso (Studi sulla potestà legislativa delle Regioni), due saggi fondamentali di Vezio Crisafulli, al quale si deve la più compiuta dimostrazione dell’incidenza dell’autonomia legislativa regionale sul ridimensionamento della tradizionale gerarchia a base formale che sino a quel momento aveva improntato il sistema delle fonti del nostro ordinamento: la prolusione patavina del 1960, intitolata Gerarchia e competenza nel sistema costituzionale delle fonti («Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1960) e la relazione sulla legge regionale al III Convegno di studi giuridici sulla regione svoltosi a Cagliari e Sassari nel 1959 («Rassegna giuridica sarda», 1961).

Tra i più rilevanti contributi dedicati alla legislazione regionale dalla dottrina dell’epoca figurano anche due monografie del 1967. La prima è Interesse nazionale e competenza delle Regioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale, di Salvatore Bartholini, che, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale formatasi sulla legislazione regionale speciale, offriva la rappresentazione di una delle maggiori degenerazioni del sistema: la trasposizione del merito in legittimità. La seconda è l’ampio volume dal titolo Le leggi cornice nei rapporti tra Stato e Regioni, di Fausto Cuocolo, nel quale veniva analizzato il tipo di competenza legislativa regionale più diffuso nell’ordinamento: la competenza concorrente su riparto verticale.

Sempre alla categoria delle riflessioni di carattere generale (in quanto riferite anche alle regioni non ancora nate: le regioni ad autonomia ordinaria), vanno ascritti gli studi sull’amministrazione (come Il decentramento amministrativo nel quadro dell’ordinamento regionale di Massimo Severo Giannini, in Atti del terzo convegno di studi giuridici sulla Regione, 1962), nonché quelli sull’organizzazione regionale e sui controlli sugli organi e sugli atti, quali, limitando l’attenzione alla produzione monografica: I rapporti fra i supremi organi regionali (1961) di Bartholini, Il Presidente della Regione nel sistema degli ordinamenti regionali (1961) di Enrico Spagna Musso, Il Consiglio regionale (1970) di Temistocle Martines,  Lo scioglimento dei Consigli regionali (1957) di Enrico Sailis, Lo scioglimento dei Consigli regionali e l’amministrazione straordinaria delle Regioni (1966) di Elio Gizzi, I controlli sulle regioni, sulle province e sui comuni nell'ordinamento costituzionale italiano (1963) di Michele Scudiero.

Di taglio completamente diverso erano le riflessioni aventi specificamente a oggetto le Regioni ad autonomia speciale, nelle quali la dottrina poteva giovarsi del concreto dell’esperienza.

Tra esse, una posizione a sé occupa un volumetto pubblicato da Pietro Virga nel 1955, intitolato La regione a statuto speciale, il quale affrontava con taglio panoramico il complesso delle questioni sul tappeto.

Gli altri lavori si occupavano di singoli istituti del regime regionale differenziato, come, per es., le speciali fonti chiamate ad attuare gli statuti (i decreti legislativi d’attuazione di cui s’è detto) e l'intervento dei presidenti delle Regioni a statuto speciale alle sedute del Consiglio dei ministri. Nell’ambito di queste elaborazioni un notevole spazio era occupato dalle riflessioni degli amministrativisti, sollecitate dalle novità istituzionali senza precedenti che la nuova esperienza regionale speciale metteva per la prima volta all’ordine del giorno: dal regime dei beni pubblici regionali alla successione delle regioni allo Stato nella loro titolarità, dai controlli statali sulle regioni a quelli di queste sugli enti locali, dalle burocrazie regionali all’amministrazione periferica dello Stato nei territori regionali speciali, dalla tutela giurisdizionale dei dipendenti dei consigli regionali al regime delle acque e così via.

Non mancò infine un intenso lavoro sulla giurisprudenza (a partire dal 1956, anche su quella della Corte costituzionale), sia nella forma delle note di commento alle decisioni sia in quella della rassegna panoramica degli indirizzi in essa enucleantisi.

Quanto agli studi sulle singole autonomie speciali, in questa sede ci si può limitare a menzionare un dato estremamente significativo: fino alla fine degli anni Sessanta – come pone in luce l'unica opera bibliografica sul regionalismo italiano, pubblicata da Edoardo Gianfrancesco nel 2000 – l’interesse di gran lunga prevalente era riservato alla Regione siciliana, la quale, non solo aveva inaugurato il regionalismo nel nostro Paese ancor prima dell’entrata in vigore della Costituzione, ma aveva alimentato un robusto filone di riflessione scientifica, che annoverava tra i suoi esponenti Giovanni Salemi, Enrico La Loggia, Pietro Virga, Vincenzo Gueli, Gaspare La Barbera e Temistocle Martines.

Lo sviluppo degli studi in materia regionale speciale trovò inoltre un indiscutibule supporto nelle nuove riviste che videro la luce in quegli anni: la «Rivista trimestrale di diritto pubblico», «Giurisprudenza costituzionale», la «Rassegna giuridica sarda» e «Giurisprudenza siciliana». A esso contribuirono inoltre i convegni di studi giuridici sulle regioni, l’ultimo dei quali (il quinto) si tenne a Palermo e Catania nel 1966.

Tra gli scritti più significativi dell’epoca, possono ricordarsi i lavori di Antonello Bracci, Pietro Gasparri (1910-1970), Francesca Trimarchi Banfi, Sergio Bartole e Giovanni Grimaldi  sulle norme di attuazione degli statuti speciali, quelli di Giuseppe Guarino  e Aldo Piras sulla giurisprudenza costituzionale, gli studi di Aldo M. Sandulli (1915-1984), Mario Nigro (1912-1989), Elio Gizzi e Giorgio Pastori (sulle problematiche amministrativistiche), gli scritti di Camillo Ausiello Orlando, Silvio De Fina, Vittorio Ottaviano sulle competenze legislative, nonché le trattazioni di taglio generale dedicate alle singole regioni speciali, tra le quali spicca il Commento allo statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia di Livio Paladin (1964).

La seconda fase: dalla costituzione delle Regioni ad autonomia ordinaria alla crisi del regionalismo

Il panorama degli studi mutò radicalmente, quando, nel 1970, con un ritardo più che ventennale, vennero finalmente costituite le Regioni ad autonomia ordinaria, conferendosi, così, completezza al disegno istituzionale delineato dai padri costituenti.

L’innovazione, da un lato, produsse un immediato, esplosivo, incremento degli studi dedicati alle regioni, la cui consistenza numerica, nel passaggio dagli anni Sessanta agli anni Settanta, venne a triplicarsi (per quadruplicarsi nel decennio successivo), dall’altro lato, spostò l’asse dell’interesse ai nuovi istituti che fino a quel momento erano restati sulla carta e ai passaggi del processo attuativo che si veniva dipanando. Essa, inoltre, iniziò a spiegare i suoi effetti anche sull’ordinamento degli studi universitari, a seguito della progressiva diffusione di cattedre specificamente dedicate al diritto regionale, la quale – tra l’altro – favorì una produzione manualistica di tutto rispetto, in cui spiccavano il Diritto regionale (1973) di Paladin, il Manuale di diritto regionale (1976) di Gizzi, i Lineamenti di diritto regionale (1982) di Martines e il Diritto regionale italiano (1991) di Fausto Cuocolo.

Non è, inoltre, casuale che proprio in quella stagione si sia registrata una notevole crescita degli specialisti della materia: i ‘regionalisti’. Infatti, ai regionalisti della stagione precedente venne ad affiancarsi una nuova generazione di studiosi che avrebbero seguito l’evoluzione della questione regionale (per riprendere il titolo di un articolo di Crisafulli del 1982) nei decenni successivi.

La fioritura degli studi trovò inoltre riscontro nella nascita di nuove riviste specialistiche – «Le Regioni» e «Quaderni regionali» –, nella pubblicazione di una collana di quaderni di studi regionali patrocinata dalla fondazione Adriano Olivetti (inaugurata nel 1972 da un volumetto curato da Donatello Serrani e intitolato La via italiana alle regioni), nella creazione dei primi istituti di ricerca dedicati alle regioni: l’Istituto di studi regionali (ISR) del CNR, istituito nel 1971, e l’Istituto di studi giuridici sulle regioni (ISGRe), fondato a Udine nel 1972.

La nuova stagione fu inaugurata da alcune iniziative scientifiche che, precedendo l’inizio della prima legislatura regionale ordinaria, intendevano fornire ai primi passi dei nuovi enti il necessario supporto giuridico. Tra esse, meritano una specifica menzione: un convegno organizzato dalla Fondazione Adriano Olivetti nel 1965, a Firenze, i cui atti vennero pubblicati, a cura di Giuseppe Maranini, con il titolo La regione e il governo locale, un volume del 1968 dal titolo Studi preliminari sulle leggi cornice per le Regioni, patrocinato dall’Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica di Milano (ISAP) e contenente saggi e ipotesi normative redatti, con riferimento alle singole materie di competenza delle Regioni, da alcuni tra i maggiori amministrativisti dell’epoca (Giannini, Feliciano Benvenuti, Pietro Gasparri, Gustavo Vignocchi ed Elio Casetta), un convegno organizzato a Firenze dall’Unione regionale delle province toscane (URTP) nel marzo 1970, i cui atti sono stati pubblicati in due volumi,  rispettivamente dedicati ai problemi dello statuto regionale e all’organizzazione amministrativa. Nella medesima linea, inoltre, si collocano alcuni studi di Franco Bassanini, confluiti in un volume edito a Firenze nel 1970 con il titolo L’attuazione delle Regioni, i quali affrontavano le maggiori questioni che l’attuazione delle regioni metteva sul tappeto.

Nella fase successiva, l’interesse degli studiosi si è comprensibilmente polarizzato, oltre che sugli istituti che la concreta costituzione delle regioni ad autonomia ordinaria portava, per la prima volta, alla ribalta dell’attualità costituzionale (si pensi all’autonomia statutaria e al trasferimento delle funzioni amministrative), su quelli che, pur sperimentati nella precedente esperienza regionale speciale, si erano venuti caricando di profonde novità, per effetto della completa regionalizzazione dell’ordinamento.

In essa, alle opere di tipo ricostruttivo (rivolte a offrire la sistemazione organica degli istituti che ne formavano oggetto), facevano riscontro lavori di carattere più ‘congiunturale’, dedicati alle questioni che le concrete dinamiche istituzionali e gli orientamenti della Corte costituzionale ponevano all’ordine del giorno.

Nell’ambito degli studi del primo tipo, va soprattutto ricordato un certo numero di scritti che, tra l’inizio degli anni Settanta e quello degli anni Ottanta, hanno dato una copertura monografica alle funzioni e all’organizzazione delle regioni: i lavori di Bassanini, Federico Sorrentino («Giurisprudenza costituzionale», 1971), Ugo De Siervo (Gli statuti delle Regioni, 1974) e Antonio D’Atena (In onore di Vezio Crisafulli. Scritti , 2 voll., 1985) sull’autonomia statutaria, doppiati dai commenti ai singoli  statuti regionali, cui era dedicata una collana dall’editore Giuffrè di Milano; le monografie che rivisitavano il tema della legislazione regionale, collocandolo in un ambiente istituzionale, per la prima volta, integralmente regionalizzato – come Regioni ed interesse nazionale (1973) di Augusto Barbera e L’autonomia legislativa delle regioni (1974) di D’Atena –; gli studi sull’amministrazione regionale di Fabio Roversi Monaco (La delegazione amministrativa nel quadro dell'ordinamento regionale, 1970), Gianfranco Mor (Profili dell'amministrazione regionale, 1974) e Franco Levi (Studi sull'amministrazione regionale e locale, 1978); quelli sull’autonomia finanziaria regionale di Gian Carlo Moretti (La potestà finanziaria delle regioni. Premesse generali e potere di imposizione, 1972) e Mario Bertolissi (L’autonomia finanziaria delle Regioni, 1983); le monografie sul governo e sull’articolazione organizzativa delle regioni di Francesco Teresi (Il governo regionale. Aspetti funzionali, 1974) e Vittorio Angiolini (Gli organi di governo della regione, 1983), cui si aggiugevano le voci Giunta regionale di Sergio Bartole (Enciclopedia del diritto, 19° vol., 1970) e di Gian Franco Ciaurro (Enciclopedia giuridica, Istituto della Enciclopedia Treccani, 16° vol., 1989) e la seconda edizione della monografia sul consiglio regionale di Martines (1981), che teneva conto delle novità dovute alla concreta attuazione delle regioni ad autonomia ordinaria.

Sempre agli studi di carattere ricostruttivo vanno, infine, ascritte, oltre a una rivisitazione generale del nostro regionalismo, dovuta ad Aldo Bardusco (Lo stato regionale italiano, 1980), alcune monografie che affrontavano la problematica dei rapporti intrattenuti dalle Regioni con l’ordinamento comunitario europeo  (P. Caretti, Ordinamento comunitario e autonomia regionale, 1979, e A. D’Atena, Le Regioni italiane e la CEE, 1981), da un lato, e con gli enti locali (A. Orsi Battaglini, Le autonomie locali nell'ordinamento regionale, 1974; F. Pizzetti, Il sistema costituzionale delle autonomie locali, 1979; A. Pubusa, Sovranità popolare e autonomie locali, 1983; G.C. De Martin, L’amministrazione locale nel sistema delle autonomie, 1984), dall’altro.

Passando alla produzione più strettamente legata al concreto sviluppo delle dinamiche istituzionali, possono ricordarsi gli studi sull’approvazione parlamentare degli statuti regionali (F. Bassanini, V. Onida, Gli statuti regionali di fronte al parlamento, 1971), le riflessioni sul primo trasferimento di funzioni amministrative alle regioni (G. Amato, S. Bartole, F. Bassanini, S. Cassese, L. Elia, Dibattito sul trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni di diritto comune, «Giurisprudenza costituzionale», 1971; F. Bassanini, V. Onida, Trasferimento delle funzioni e attuazione dell'ordinamento regionale. Note e pareri, 1971; Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni, a cura di P. Calandra, G. Troccoli, 1972; Stato e regioni. Il trasferimento delle funzioni amministrative, a cura di L. Galateria, 1978), gli studi sul «completamento dell’ordinamento regionale», dovuto al d.p.r. nr. 616/1977, a cominciare dallo sconsolato bilancio del giurista chiamato a presiedere la Commissione incaricata dell’attività preparatoria: M.S. Giannini (Del lavare la testa all’asino, nel commentario curato da A. Barbera e F. Bassanini;  I nuovi poteri delle regioni e degli enti locali,  a cura di A. Barbera, F. Bassanini, 1978; Commento al decreto 616, a cura di E. Capaccioli, F. Satta, 1980; U. Fragola, Commento al D.P.R. n. 616 sul decentramento amministrativo, 1978; A. Bardusco in «Diritto e società», 1978;  A. D’Atena in «Diritto e società», 1978; F. Sorrentino, P. Costanzo,  F. Oliva, M. Posarelli, Comuni province comunita montane nel decreto 616, 1979; V. Onida, in «Le regioni», 1979), quelli sulla funzione di indirizzo e coordinamento, 'inventata' dalla l. nr. 281/1970 e successivamente avallata dalla giurisprudenza costituzionale (si pensi al volume collettaneo dal titolo Contributi allo studio della funzione statale di indirizzo e coordinamento, edito dal Ministero dell’Interno nel 1978, e soprattutto a una monografia di Francesco Gabriele pubblicata nel 1980, Il principio unitario nella autonomia regionale. Studio critico sui modi e sull'incidenza della funzione statale di indirizzo e coordinamento), sui nuovi strumenti cooperativi messi in atto nei rapporti tra Stato e regioni (basti ricordare il pionieristico Supremazia e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regioni, di Bartole, nella «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1971, 1, pp. 84-184; l'articolo di Giovanna Endrici del 1978 in «Le Regioni», sulla presenza di esponenti regionali in organi statali; il saggio del 1981 di Piero Alberto Capotosti, sulle prime avvisaglie del sistema delle conferenze, in «Le Regioni»; nonché lo studio di Antonio Baldassarre del 1984 in «Le Regioni», riferito alle regioni speciali) e sul ruolo concretamente giocato dall’interesse nazionale e dalle esigenze infrazionabili, nel cui nome la giurisprudenza costituzionale giustificava l’espropriazione di competenze ai danni delle Regioni (è il tema della citata monografia di Barbera del 1973).

Per evitare equivoci, è, a questo punto, il caso di sottolineare che la lunga fase di cui ci occupiamo fu tutt’altro che monolitica. In essa si è passati dalla stagione enfaticamente detta costituente, al lento decollo dell’autonomia regionale ordinaria, al tentativo di rilanciarla all’epoca dei governi di unità nazionale (è la stagione del decreto nr. 616 del 1977, di cui s’è detto), all’affermazione, nella prassi, di un ‘nuovo regionalismo’, caratterizzato dall’introduzione di deboli moduli cooperativi non previsti dalla Costituzione, per controbilanciare le robuste tendenze centralistiche veicolate dalla funzione d’indirizzo e coordinamento dello Stato e dall’interesse nazionale (rivelatosi un autentico passepartout, grazie al quale – per dirla con Giuseppe Ferrari, 1912-1999 – si nazionalizzava quanto nazionale non era), fino a giungere alle prime avvisaglie di quella crisi che avrebbe portato alla riforma costituzionale del 2001.

Una così pronunziata varietà di fasi e di profili non poteva non riverberarsi sugli atteggiamenti della dottrina: anzitutto, ponendo sul tappeto la questione del metodo (‘realistico’ o ‘normativistico’) con il quale affrontare le dinamiche in corso, inoltre, sollecitando la rivisitazione di alcuni temi classici, alla luce delle risultanze che l’esperienza accumulatasi metteva a disposizione. Sul tema del metodo, possono esemplificativamente ricordarsi uno scritto di Amato, pubblicato nel 1971 nella «Rivista trimestrale di diritto pubblico» con il titolo Gli avvocati delle Regioni: due libri recenti, e la prefazione al volume Costituzione e Regioni. Studi (1991) di D’Atena. Quanto alla rivisitazione di temi classici, molto significativi sono i nuovi studi dedicati alle funzioni regionali (specialmente alla funzione legislativa), tra i quali non possono non menzionarsi due lavori dedicati al «limite dei principi fondamentali» (R. Tosi, “Principi fondamentali” e leggi statali nelle materie di competenza regionale, 1987; M. Carli, Il limite dei principi fondamentali (alla ricerca di un consuntivo), 1992) e una monografia di Stelio Mangiameli avente a oggetto il tema cruciale delle materie di competenza delle Regioni (Le materie di competenza regionale, 1992).

Con l’inizio degli anni Novanta, tuttavia, la crisi del regionalismo bussava alle porte, unitamente alla più generale crisi istituzionale che avrebbe travolto la cosiddetta prima Repubblica.

Per effetto delle tendenze centralistiche di cui s’è detto (a propria volta, dipendenti – come aveva lucidamente profetizzato nel 1965 Claude Palazzoli – dalla tensione tra il progetto dei costituenti di portare in periferia quote consistenti di potere politico e l’assetto centralizzato dei partiti italiani), le regioni si erano trasformate – per dirla con Paladin – in variabili istituzionali che lo Stato maneggiava a discrezione.

Di qui, le spinte a una riforma volta a rivitalizzare l’intero comparto delle autonomie territoriali, la quale trovava un indiscutibile supporto nell’affermazione di forze politiche che facevano del federalismo la propria bandiera.

La terza fase: dalla crisi alla riforma ’federale’

La nuova situazione ha avuto immediate e profonde ripercussioni sugli studi di diritto regionale nel nostro Paese, non risparmiando nemmeno i lavori aventi a oggetto istituti del regionalismo originario: si pensi, per es., alla monografia di Gianfrancesco Il controllo governativo sulle leggi regionali (1994) e a Leggi-cornice e regioni di Andrea Paoletti, pubblicata postuma nel 2001, le quali trovavano un comune leitmotiv nella consapevolezza dell’incombente tracollo del sistema.

Tra le più rilevanti manifestazioni del mutato approccio figura un’apertura agli studi di diritto comparato di ampiezza senza precedenti. Nella prospettiva della riforma, infatti, le esperienze straniere potevano fornire un campionario ricchissimo di soluzioni e modelli. In questa linea si collocano, oltre a una serie di monografie (tra cui si ricordano: L. Violini, Bundesrat e Camera delle regioni: due modelli alternativi a confronto, 1989; B. Pezzini, Il Bundesrat della Germania federale. Il modello tedesco e la riforma del bicameralismo nello Stato a base regionale, 1990; S. Ortino, Introduzione al diritto costituzionale federativo, 1993; M. Volpi, «Quad. cost.», 1995; A. Anzon, La Bundestreue e il sistema federale tedesco. Un modello per la riforma del regionalismo in Italia?, 1995; T. Groppi, Il sistema di distribuzione delle competenze tra lo Stato e le comunità autonome, 1992; T. Groppi, Federalismo e Costituzione. La revisione costituzionale negli Stati federali, 2001), i volumi collettanei, rispettivamente curati da D’Atena (Federalismo e regionalismo in Europa, 1994), da Nino Olivetti Rason e Lucio Pegoraro (Esperienze federali contemporanee, 1996), da Franco Pizzetti (Federalismo, regionalismo e riforma dello Stato, 1997) e da Alessandro Pace (Quale tra i tanti federalismi?, 1997), i quali hanno inaugurato un filone che sarebbe proseguito anche successivamente, quando le ipotesi di riforme della riforma che si susseguivano nel dibattito politico inducevano ad aggiornare le risultanze della ricerca comparata con le successive novità (si pensi al libro dal titolo L'Europa tra federalismo e regionalismo, a cura di M.P. Viviani Schlein, 2003, a quello intitolato I cantieri del federalismo in Europa, a cura di A. D’Atena, 2008,  e al volume Ordinamenti federali comparati, 1, Gli Stati federali “classici”, a cura di R. Bifulco, 2010; si pensi, inoltre, ai volumi collettanei di taglio monografico dedicati alla seconda camera e alla sua, sempre promessa, riforma, Un Senato delle autonomie per l’Italia federale, a cura di S. Mangiameli, 2003; A world of second chambers, handbook for constitutional studies on bicameralism, a cura di J. Luther, P. Passaglia, R. Tarchi, 2006, e Composizione e funzioni delle Seconde Camere, a cura di S. Bonfiglio, 2008). Parlando dell’interesse comparatistico per il tema, non possono, inoltre, non menzionarsi i contributi di tipo ricostruttivo di Giovanni Bognetti (in partic. Federalismo, 2001), i quali, tra l’altro, si soffermano sulle trasformazioni del federalismo, nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale.

Ma non è solo l’apertura alla comparazione a caratterizzare il mutato approccio della cultura giuridica italiana alle tematiche del federalismo e del regionalismo. Nella riflessione scientifica, infatti, la crisi in cui si dibattevano le autonomie regionali nel nostro Paese e la consapevolezza dell’ineluttabilità della loro radicale riforma non potevano non determinare lo spostamento dell’attenzione dal sistema risultante dalla costituzione allora vigente, alla sua crisi e alle prospettive di riforma che a esso si aprivano.

Di qui, due linee di ricerca, rispettivamente, dedicate alla diagnosi e alle terapie: da un lato, ricognizioni aventi a oggetto lo svuotamento della carica autonomistica del regionalismo voluto dalla costituzione (e le sue cause), dall’altro lato, proposte di interventi correttivi o riformatori (o commenti critici delle proposte avanzate in sede politica). Tra gli autori maggiormente impegnati in questa fase possono ricordarsi: M.S. Giannini («Quaderni regionali », 1984), T. Martines, S. Bartole e Giorgio Pastori («Le regioni», 1986), Serio Galeotti (Studi in onore di P. Biscaretti di Ruffia, 1988), Giovanni Bognetti («Jus», 1990), Augusto Barbera («Regione e Governo locale», 1991), Marco Cammelli, Romano Prodi, Gianfranzo Pasquino, S. Bartole, C. Triglia, Michele Scudiero, Leopoldo Elia, M. Cammelli, Giandomenico Falcon, Roberto Bin  («Le regioni», 1993), Beniamino Caravita di Toritto (Tra crisi e riforme. Riflessioni sul sistema costituzionale italiano, 1993), A. D’Atena (in Federalismo e regionalismo in Europa, cit.) e L. Paladin («Le Regioni», 1996).

Il rapporto critico della dottrina con il farsi delle dinamiche istituzionali subì un’intensificazione nella tredicesima legislatura (1996-2001), quando, con l’insediamento della Commissione bicamerale D’Alema, si aprì una nuova tormentatissima fase, la conclusione della quale portò, tra interruzioni e riprese, alla riforma del titolo V della parte II della Costituzione, dovuta a due leggi costituzionali: la nr. 1/1999 e la nr. 3/2001. Tutte queste vicende e le ipotesi normative che si venivano stratificando nel loro corso hanno trovato, in tempo pressoché reale, il proprio controcanto nei commenti e nelle proposte emendative di origine dottrinale (per dare un saggio dell’intensità di questa presenza, è qui sufficiente ricordare alcuni volumi risalenti a quella fase: L. Mariucci, La riforma federale. Vademecum per la commissione bicamerale e il parlamento “costituente”, 1997; F. Teresi, La strategia delle riforme. La tormentata revisione della Costituzione della Repubblica. Materiali di studio, 19986; P. Costanzo, G. Ferrari, G.G. Floridia, R. Rom;boli, S. Sicardi, La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali. I progetti, i lavori, i testi approvati, 1998; I costituzionalisti e le riforme, a cura di S.P. Panunzio, 1998; La riforma interrotta. Riflessioni sul progetto di revisione costituzionale della Commissione Bicamerale, a cura di G. Azzariti, M. Volpi, 1999; A. D’Atena, L’Italia verso il “federalismo”. Taccuini di viaggio, 2001).

La quarta fase: la riforma del titolo V della Costituzione e la sua attuazione

Con l’entrata in vigore della l. cost. nr. 3/2001 (che – come si è detto – ha completato la riforma del titolo V della Costituzione), si è aperta la stagione che stiamo vivendo, la quale, dopo una serie di turbolenze dovute ai tentativi di riforma della riforma costituzionale messi in atto nel corso della XIV legislatura, si è venuta stabilizzando, in virtù del progressivo processo di attuazione delle nuove regole costituzionali e dell’imponente elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale.

La circostanza che si tratti di una stagione ancora in corso non consente di azzardare un bilancio delle relazioni della cultura giuridica con il farsi dell’esperienza.

In questa sede, ci si può limitare a richiamare alcuni dati, che sembrano particolarmente significativi.

Anzitutto, va rilevato che l’interesse della dottrina per i temi legati alla riforma regionale è elevatissimo. È, per es., degno di nota che oggi, a differenza che in passato, siano pochi i giovani costituzionalisti che non si cimentino con la materia e con le enormi novità da cui essa è stata interessata. Di qui, una crescita esponenziale della produzione scientifica, la quale copre ormai, a livello monografico, gran parte delle novità dovute alla riforma. Basti, a titolo esemplificativo, ricordare: a) con riferimento all’autonomia statutaria e alla forma di governo delle regioni: M. Olivetti, Nuovi statuti e forma di governo delle Regioni. Verso le Costituzioni regionali?, 2002; I. Carlotto, Il procedimento di formazione degli statuti delle Regioni ordinarie, 2007; M. Rubecchi, La forma di governo regionale tra regole e decisioni, 2010; N. Viceconte, La forma di governo nelle regioni ad autonomia ordinaria. Il parlamentarismo iperrazionalizzato e l’autonomia statutaria,  2010; A. Buratti, Rappresentanza e responsabilità nella forma di governo regionale, 2010; S. Catalano, La “presunzione di consonanza”. Esecutivo e Consiglio nelle Regioni ad autonomia ordinaria, 2010; b) con riferimento all’autonomia legislativa e a quella amministrativa: S. Mabellini, La legislazione regionale. Tra obblighi esterni e vincoli nazionali, 2004; M. Picchi, L’autonomia amministrativa delle Regioni, 2005 (nonché, con specifico riguardo al principio di sussidiarietà: A. Poggi, Le autonomie funzionali “tra” sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale, 2001; P. Vipiana, Il principio di sussidiarietà verticale. Attuazioni e prospettive, 2002); c) in materia finanziaria: L. Antonini, Sussidiarietà fiscale. La frontiera della democrazia, 2005.

Il secondo dato da menzionare è costituito dall’ampliamento del panorama degli istituti scientifici dedicati al regionalismo e al federalismo e dalla nascita di nuove riviste specialistiche. Quanto al primo punto, va segnalato che agli istituti preesistenti (uno dei quali – quello del CNR – ha allargato la sua ‘ragione sociale’, come testimonia la denominazione assunta dal 2003: Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie, ISSiRFA, ‘Massimo Severo Giannini’), si sono affiancati nuovi centri di ricerca: l’Osservatorio sul federalismo ed i processi di governo, fondato da Beniamino Caravita; l’Institut for studies on federalism and regionalism (Bolzano); il Centro studi sul federalismo, con sede a Moncalieri. Venendo alle riviste, un segno dell’accresciuta attenzione per le tematiche del federalismo e del regionalismo è costituito dalla nascita di nuovi periodici, con edizione anche (o esclusivamente) telematica: «federalismi.it» (2003) e «Italian papers on federalism» (2012).

Un ultimo dato significativo è rappresentato dalla ricchezza della produzione manualistica, la quale ha raggiunto un’estensione priva di precedenti. Oggi, infatti, i manuali in senso stretto e le opere, in qualche modo a essi assimilabili (come le trattazioni che coprono panoramicamente molti aspetti della materia) superano le dieci unità. È, tra l’altro, degno di nota che inizino a essere pubblicati volumi dedicati al diritto costituzionale delle singole regioni. In precedenza questo genere letterario era, per lo più, praticato limitatamente alle Regioni ad autonomia speciale, mentre oggi riceve un’applicazione estensiva. In proposito va segnalata una collana, edita dalla casa editrice Giappichelli di Torino e diretta da Pasquale Costanzo e Antonio Ruggeri (dedicata, appunto, al diritto costituzionale regionale), il cui primo volume, dedicato alla regione Liguria, è stato pubblicato, a cura di Costanzo, nel 2011. È anche degno di nota lo sviluppo conosciuto dal genere letterario rapporto periodico, costituito da opere rivolte a monitorare, con cadenze regolari, lo sviluppo delle dinamiche istituzionali. Tra esse, una specifica segnalazione meritano i Rapporti sullo stato del regionalismo in Italia, curati dall’ISSiRFA-CNR (2003-2011).

Bibliografia

La bibliografia italiana in materia di federalismo e regionalismo è sterminata. In questa sede ci si limiterà a indicare alcune opere recenti, rinviando per ulteriori informazioni all’unica opera bibliografica in argomento, E. Gianfrancesco, Le Regioni italiane: bibliografia giuridica 1948-1996, Milano 2000, e alle note bibliografiche che corredano alcuni manuali di diritto regionale:

T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, Milano 20088.

P. Cavaleri, Diritto regionale, Padova 20095.

Diritto regionale e degli enti locali, a cura di S. Gambino, Milano 20092.

A. D’Atena, Diritto regionale, Torino 2010.

Nella letteratura manualistica (o assimilabile) successiva alla riforma, vanno ricordate, oltre alle opere appena citate, le seguenti:

La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di T. Groppi, M. Olivetti, Torino 20032.

S. Bartole, R. Bin, G. Falcon, R. Tosi, Diritto regionale, Bologna 2005.

A. Catelani, L’ordinamento regionale, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da C. Santaniello, 38° vol., Padova 2006.

A. Anzon Demmig, I poteri delle Regioni, Torino 2008.

P. Caretti, G. Tarli Barbieri, Diritto regionale, Torino 20092.

B. Caravita di Toritto, Lineamenti di diritto costituzionale federale e regionale, Torino 20092.

G. Rolla, Diritto regionale e degli enti locali, Milano 20092.

F. Teresi, Il sistema delle autonomie territoriali. Profili di diritto regionale e degli enti locali, Palermo 2010.

Nella restante produzione sul regionalismo riformato, limitando l’attenzione alle opere di carattere generale apparse in forma di volume, si vedano:

B. Caravita di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del titolo V. Stato, regioni e autonomie fra Repubblica e Unione Europea, Torino 2002.

S. Mangiameli, La riforma del regionalismo italiano, Torino 2002.

F. Pizzetti, Il nuovo ordinamento italiano fra riforme amministrative e riforme costituzionali, Torino 2002.

Il federalismo a costituzione variata, a cura di G. Tarantini, Torino 2002.

Il nuovo titolo V, parte II della Costituzione, a cura di S. Mancini, Milano 2002.

P. Caretti, Stato, Regioni ed enti locali tra innovazione e continuità. Scritti sulla riforma del Titolo V della Costituzione, Torino 2003.

Alla ricerca dell’Italia federale, a cura di G. Volpe, Pisa 2003.

La revisione costituzionale del nuovo titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo, a cura di G.F. Ferrari, G. Parodi, Padova 2003.

La riforma del titolo V, a cura di C. Bottari, Rimini 2003.

Nuovi rapporti stato-regione dopo la legge costituzionale n. 3 del 2001, a cura di F. Modugno, P. Carnevale, Milano 2003.

A. Chiappetti, Il rebus del federalismo all’italiana, Torino 2004.

Corte costituzionale e regioni due anni dopo la riforma, Atti del Convegno, Firenze (30 gennaio 2004), «Le Regioni», 2004, 2-3, pp. 309-534.

Verso il federalismo. Normazione e amministrazione nella riforma del titolo V della costituzione, a cura di V. Cerulli Irelli, C. Pinelli, Bologna 2004.

A. D’Atena, Le Regioni dopo il Big Bang. Il viaggio continua, Milano 2005.

Federalismo e devolution, a cura di V. Piergigli, Milano 2005.

Itinerari di sviluppo del regionalismo italiano. Primo incontro di Studio “Gianfranco Mor” sul diritto regionale, a cura di L. Violini, Milano 2005.

Regionalismo in bilico. Tra attuazione e riforma della riforma, a cura di A. D’Atena, Milano 2005.

Il regionalismo italiano in cerca di riforme, a cura di A. Di Giovine, A. Mastromarino, Milano 2008.

S. Mangiameli, Letture sul regionalismo italiano, Torino 2011.

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