REGIA

Enciclopedia del Cinema (2004)

Regia

Lucilla Albano

La regia è considerata l'attività centrale attorno a cui ruota l'intera realizzazione del film: la nascita della pratica e della funzione della r. è da annoverare tra i maggiori eventi nell'arte dello spettacolo del 20° secolo. La r. è prima di tutto il modo di raccontare una storia: il suo stile e il suo ritmo; la scelta del tipo di illuminazione, della composizione dell'inquadratura (o di quando cambiarla, o di quando continuarla), della recitazione degli attori; della distanza dai personaggi e dalle azioni. È la sintesi di tutto, dalla realizzazione e controllo della continuità drammaturgica della narrazione e della verosimiglianza sino ad arrivare alle scelte tecniche e creative.

La r., sebbene nata ufficialmente in ambito teatrale verso la fine dell'Ottocento con le innovazioni naturalistiche di André Antoine, ma che anche nei secoli precedenti aveva avuto le sue manifestazioni (nessuna forma di spettacolo può infatti esistere senza una più o meno consapevole mise en scène), si è sviluppata solo nel Novecento, evolvendosi, sia a teatro sia nel cinema, a seguito dei cambiamenti dei modi di narrazione e di produzione e con l'evoluzione della tecnica. André Bazin, all'alba della nascita della Nouvelle vague, alla fine degli anni Cinquanta, scriveva che "la regia […] è la materia stessa del film, un'organizzazione degli esseri e delle cose che ha di per se stessa il proprio significato […] sia morale che estetico […] Ogni tecnica rimanda a una metafisica" (Comment peut-on être hitchcocko-hawksien, in "Cahiers du cinéma", 1955, 44, p. 18; trad. it. in La pelle e l'anima, a cura di G. Grignaffini, 1984, pp. 148-49). Quello che Bazin cercava di portare alla luce è il fatto che le modalità e la complessità del lavoro della r. sono difficilmente descrivibili sul piano del processo creativo, mentre sono più facilmente riscontrabili dal punto di vista tecnico e organizzativo, provocando l'equivoco e l'illusione di identificare la r. solo con questo secondo aspetto.La r. è una funzione al centro di una molteplicità di rapporti e di competenze diverse (sceneggiatore, direttore della fotografia, costumista, scenografo, musicista, attori, troupe, montatore, produttore, distributore ecc.) di cui il regista è il motore e il punto di riferimento, luogo di incontro di una 'centralità collettiva'. Il film infatti non è solo l'opera di un regista-autore, ma anche il risultato di un lavoro collettivo (v. opera cinematografica) e il prodotto di un'industria, fatti che determinano la principale contraddizione della r.: lo scontro tra la natura collaborativa e industriale del cinema con la parallela, imprescindibile singolarità e individualità di qualsiasi risultato artistico. Ma il regista è per l'appunto quella figura moderna di autore, quel nuovo 'pensatore' del proprio tempo, che coniuga i ruoli di artista e di tecnico, di creatore e di professionista, superando il modello dell'artista tradizionalmente inteso e inaugurando una configurazione autoriale diversa; e dovendo fare i conti con incoerenze e aporie ‒ come il condizionamento del ritmo 'interno' dei tempi e modi della sua creazione alla rigida organizzazione 'esterna' delle riprese ‒ che riguardano, insieme, la natura e l'essenza del cinema e della regia.

Il lavoro della regia

Il lavoro della r. può accompagnare tutte le fasi di produzione e riguardare l'ideazione (il progetto del film) e la progettazione (l'organizzazione produttiva e la scelta del cast), la realizzazione (la gestione delle riprese e il coordinamento delle varie figure e dei vari reparti che intervengono nella realizzazione di un film, come pure la direzione vera e propria, dalla scelta delle inquadrature alla direzione degli attori) e l'edizione o postproduzione (dal montaggio al missaggio e alla stampa); oppure invece essere relegata e definita nel solo ambito delle riprese vere e proprie, sebbene in questo caso il film si avvicini maggiormente a un puro prodotto di mercato e quindi difficilmente può essere paragonato all'opera di un autore.

Si possono infatti convenzionalmente stabilire, nella storia del cinema, due forme di r.: quella di tendenza europea, che vede la r. attribuirsi la centralità e la responsabilità di tutte le decisioni riguardanti le varie fasi della realizzazione del film (v. lavorazione, fasi di), e quella di tendenza americana e hollywoodiana (v. Hollywood) che vede il ruolo centrale della r., in particolare nel periodo classico (tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta), concentrato sull'impostazione delle riprese e sul lavoro di direzione degli attori.

Il regista ha una propria squadra alle sue dirette dipendenze formata da un numero di collaboratori che varia a seconda del budget, dell'importanza e dell'ampiezza del film, ma che sono ricorrenti: l'aiuto regista, che è il più stretto collaboratore del regista e fa da tramite tra la r. e la produzione, l'assistente alla r. (vale a dire l'assistente dell'aiuto regista) e la script girl o segretaria di edizione, unica figura del set declinata al femminile nella quasi totalità dei casi.

L'organizzazione del set è una piramide in cima alla quale si colloca il regista e più il film è importante più vi è una precisa divisione dei ruoli e del lavoro, secondo una rigida gerarchia per cui, per es., un macchinista, un attrezzista o una comparsa di norma non si rivolgono direttamente al regista, ma solo ai loro capireparto ed eventualmente all'aiuto regista.

L'evoluzione della regia

I primi film consistevano in una sola 'veduta' in movimento o in un solo quadro, in cui gli attori erano inquadrati 'in campo lungo' o 'a figura intera' e non erano previsti né movimenti di macchina né la possibilità di avvicinarsi o di allontanarsi da ciò che si stava riprendendo. I film, in conclusione, erano per lo più teatro filmato con la macchina da presa fissa e le riprese in campo totale. La recitazione si svolgeva secondo le regole delle entrate e delle uscite dal palcoscenico e il montaggio era elementare, del tipo quadro-didascalia-quadro.Per diventare un'arte autonoma e indipendente il cinema aveva bisogno di liberarsi non solo dalla concezione della messa in scena teatrale, ma anche dalle modalità stesse di una r. basata su movimenti, gesti e azioni limitati dalla "testarda ostilità", come scriveva Sergej M. Ejzenštejn, del palcoscenico. L'evoluzione e la trasformazione del linguaggio cinematografico cominciarono a imporsi nel momento in cui non vennero più filmati dei tableaux vivants secondo il punto di vista del monsieur de l'orchestre e montati secondo un semplice criterio di successione, e quando iniziò a svilupparsi una continuità e linearità del découpage (cioè della successione delle inquadrature), mediante lo spostamento della macchina da presa, l'avvicinamento al personaggio, l'uso del montaggio alternato e la messa a punto della cosiddetta 'centratura' (una concezione dell'inquadratura ‒ come ha rilevato Noël Burch ‒ che permette allo spettatore di convergere lo sguardo verso un unico punto, che diventerà il 'centro' dell'immagine) con il conseguente effetto di verosimiglianza e di identificazione che il cinema primitivo ancora non offriva.

Alla fine degli anni Trenta la sintassi e la tecnica cinematografiche, diventate patrimonio universale, si assestarono su un fondamentale procedimento retorico detto dell'occultamento e dell'invisibilità: della presenza della macchina da presa, del lavoro della r. e del montaggio in quanto strumenti e procedimenti manipolatori. Si cercò di creare un universo filmico naturale, continuo e omogeneo (in cui lo spettatore non doveva avvertire il passaggio da un'inquadratura a un'altra), grazie a una sintassi convenzionale, di tipo 'analitico' e 'drammatico', composta di una successione di inquadrature, molte in piano americano e in totale, con alcuni movimenti di macchina e un gioco continuo di campi e controcampi e di soggettive-oggettive (oltre a una certa alternanza tra sequenze in interni e in esterni), moltiplicando, verso la fine del film, i primi piani per guidare lo spettatore verso una maggiore identificazione e suscitare emotività.

Questo equilibrio e 'perfezione' del cinema classico vennero spezzati e infranti nel cinema moderno (v. modernità) a favore dello svelamento del linguaggio e della scrittura, della presenza di una soggettività creatrice che lavora sulla forma in modo evidente, che non si cela e non offre l'impressione di calare dalle sfere celesti direttamente sugli spettatori. La sintassi cinematografica, così come si era imposta nei canoni hollywoodiani, venne contestata, trasformata. Si ruppe un modello di r. e si inventò una scrittura più libera che, continuando a utilizzare l'immenso patrimonio del cinema muto e di quello classico, procedeva in avanti nel lungo percorso dell''invenzione' del cinema; e procedere in avanti può significare anche fare dei ritorni all'indietro, riacquisendo, per esempio, le modalità documentaristiche, la velocità e la semplicità delle riprese, la libertà produttiva e l'improvvisazione del cinema delle origini: quella "salute e freschezza" di cui parlavano i registi della Nouvelle vague. Aiutati in questo dall'evoluzione della tecnica che offriva un macchinario più agile ‒ sia per la presa diretta del suono sia per la leggerezza del 16 mm, più facilmente utilizzabile come 'macchina a mano' ‒ e una pellicola più sensibile, che permette di usare luce in misura minima o di girare in esterni senza l'aggiunta di luce artificiale.

Gli anni Settanta e Ottanta hanno rappresentato, rispetto ai decenni precedenti, un cambiamento e una rottura radicali, strutturali. Il cinema è cambiato ed 'è morto' in quanto macchina e fabbrica dell'immaginario; ha perduto progressivamente il suo posto centrale come luogo popolare di svago e di evasione. Altre strutture e altri sistemi hanno preso il suo posto: i palinsesti onnicomprensivi delle televisioni generaliste e quelli mirati delle TV tematiche, i grandi eventi in diretta, soprattutto sportivi, le videocassette e i DVD, i CD-ROM e il computer, i videogiochi e Internet. Se il cinema 'è morto' rispetto alla diffusione nelle sale, in realtà si sono moltiplicati i canali attraverso cui si può fruire l'audiovisivo e il consumo è vertiginosamente aumentato. Il cinema quindi 'è rinato' in altri luoghi, anche nelle svariate forme della fiction televisiva che consente il proliferare dei formati narrativi: dai 60 minuti del TV movie alla serialità infinita delle telenovelas, delle soap opera e dei generi bassi, dai grandi sceneggiati di due o più puntate fino ai 'pezzi unici' e alle particolarissime serie firmate da grandi autori.

La conseguenza principale di questa rivoluzione strutturale e mediologica è stata l'avvio di un processo di diversificazione e di specializzazione in cui la r. si è concretizzata secondo vari modelli, standard e competenze (pubblicità, avvenimenti sportivi, documentari, notiziari, sigle, videoclip), e molti registi di cinema si sono adattati a dirigere delle fiction, mentre sono nati i cosiddetti registi-programmisti, dei veri e propri impiegati addetti alla programmazione televisiva che con la figura classica del regista cinematografico hanno ben poco da condividere.

La r. agli inizi del 21° sec. ha a che fare con apparati tecnologici sempre più complessi e raffinati. Gli effetti speciali, l'inserimento di realtà virtuali e il montaggio elettronico necessitano di tecnici-creativi con un'altissima specializzazione e il regista difficilmente è in grado di sostituirsi a essi. Il tema della collaborazione, proprio rispetto alla trasformazione tecnologica, riaffiora in termini ancora più chiari rispetto al passato. Nello stesso tempo però la più recente tecnologia, con le piccole telecamere digitali, offre la possibilità a chiunque di fare dei film scardinando il modo di produzione e l'organizzazione del lavoro tradizionali. Le riprese in digitale e il montaggio al computer possono diventare punti di riferimento ‒ non solo tecnologici ‒ per pensare e praticare possibili alternative a un modo di produzione, a pratiche di linguaggio e a modelli narrativi consolidati, essendo il digitale un mezzo assolutamente agile e disponibile che porta a un alleggerimento delle modalità di ripresa, a superare la partitura del découpage e la scrittura per inquadrature e movimenti di macchina. La scena avviene in presa diretta e il montaggio diventa una sorta di seconda scrittura e di seconda r., con un'importanza di gran lunga maggiore rispetto ai tempi in cui John Ford e Howard Hawks giravano montando già 'in macchina' (v. regista).

La r. si trova sempre più a operare in un contesto ibrido e in una situazione di contaminazione di ruoli, all'interno di un universo audiovisivo di cui il cinema è ormai solo una parte.

Bibliografia

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