Reazione nucleare

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fig. 1
fig. 2

Trasformazione naturale o artificiale di un nucleo atomico in un altro. Gli esempi più importanti di reazione nucleare sono la fissione e la fusione (fig. 1, fig. 2). Quando la particella incidente è trattenuta dal nucleo bersaglio si parla di reazione nucleare di cattura. Se i prodotti della reazione nucleare provocano nuove reazioni nucleari, cioè il processo si autosostiene, la reazione nucleare viene detta a catena.

Le trasformazioni di un nucleo atomico in un altro sono il più delle volte provocate dall’interazione di un nucleo con una particella, su di esso incidente.

Generalità

La notazione usata per tali reazioni è di norma:

formula

dove a è la particella incidente, AZX il nucleo bersaglio, con numero di massa A′ e numero atomico Z′, AZY il nucleo (A″, Z″) risultato della reazione e b indica genericamente particelle risultanti; più sintetica è la forma AZX (a, b)AZY, che può essere ulteriormente semplificata nella forma (a, b) qualora l’interesse della reazione sia accentrato principalmente sul tipo di particella proiettile e di particella o frammento nucleare ottenuti. Fissati il proiettile e il nucleo bersaglio, una reazione nucleare non resta univocamente fissata ma può avvenire secondo canali di reazione, ognuno individuato dalla particolare coppia di nucleo e particella ottenuti; per es., da un solo canale iniziale possono aversi diversi canali di reazione:

formula

dove α′, β′, γ′,... indicano gli stati dei nuclei e α″, β″, γ″,... quelli delle particelle incidenti ed emergenti. Se a, b,... sono particelle elementari, gli stati α″, β″, γ″,... si riferiscono alla loro orientazione di spin. La prima reazione è un urto elastico, la seconda un urto anelastico, dove il nucleo bersaglio X è spinto in uno stato eccitato X* dal proiettile a, che riemerge con un’energia minore.

Per le reazioni nucleari valgono alcune leggi di conservazione: a) l’energia totale dei prodotti di reazione deve essere uguale a quella dei corpuscoli reagenti; b) la quantità di moto dei prodotti di reazione deve essere uguale a quella dei corpuscoli reagenti; c) deve conservarsi la carica elettrica totale; d) deve conservarsi il numero totale di nucleoni; e) deve conservarsi il momento della quantità di moto totale, somma del momento angolare orbitale e dello spin, delle particelle; f) deve conservarsi la parità del sistema interagente.

La scoperta delle trasformazioni nucleari

La radioattività naturale, scoperta nel 1896 da H. Becquerel, fu il primo fenomeno che mostrò che l’atomo di un elemento chimico si può trasformare in un atomo di un altro elemento. Il primo processo di trasformazione di un nucleo in un altro provocato dall’uomo, o, come si dice, la prima trasformazione (o trasmutazione) o reazione nucleare, fu tuttavia osservato nel 1919 da E. Rutherford, il quale, bombardando l’azoto con particelle alfa, rivelò l’emissione di protoni; servendosi di considerazioni basate sulla conservazione dell’energia e della quantità di moto, egli giunse alla conclusione che si doveva trattare del seguente processo

formula

o in forma abbreviata 147N(α, p) 178O. Esso può essere così descritto: in seguito alla cattura della particella alfa incidente (42He) da parte del nucleo dell’isotopo A=14 dell’azoto, si ha formazione del nucleo dell’isotopo A=17 dell’ossigeno ed emissione di un protone (11p). Varie altre trasmutazioni dello stesso tipo furono osservate negli anni successivi, finché, nel 1932, J. Chadwick giunse a stabilire che, bombardando il berillio con particelle alfa, si aveva emissione di neutroni, secondo il processo

formula

ovvero 94Be(α, n) 126C. Dal fatto che dal nucleo venissero emessi, in opportune condizioni, sia protoni sia neutroni, si giungeva così a riconoscere che tutti i nuclei sono aggregati di queste due particelle. Nello stesso anno 1932, a Cambridge (Inghilterra), John Douglas Cockroft ed E.T.S. Walton produssero la prima trasmutazione provocata da protoni accelerati a mezzo di un acceleratore elettrostatico da essi stessi realizzato. Il primo processo osservato da questi ricercatori fu:

formula

ovvero 73Li(p, α)42He. L’importanza di quest’ultima scoperta non derivava solo dal fatto che si trattava di una trasformazione differente da quelle osservate in precedenza perché provocata da un corpuscolo diverso dalla particella alfa; essa rappresentava anche il primo esempio di impiego di una nuova tecnica nucleare, quella degli acceleratori di particelle, tecnica che, a partire dal 1932, è andata acquistando importanza sempre crescente. I nuclei prodotti in tutte queste reazioni e in altre provocate da deutoni (21D) e da nuclei di elio (ossia particelle alfa) di elevata energia, prodotte a mezzo di macchine acceleratrici, osservate negli anni successivi, erano sempre stabili. Alla fine del 1933 i coniugi I. Curie e F. Joliot (➔ Joliot-Curie, Frédéric) osservarono che bombardando con particelle alfa naturali alcuni nuclei leggeri, in particolare nuclei di boro, alluminio, magnesio, venivano prodotti nuovi nuclidi instabili per emissione di positroni. Nel caso dell’alluminio, per es., il processo è

formula

ovvero 2713Al(α, n) 3015P, dove il nuclide 3015P è un isotopo del fosforo, non esistente in natura, che decade spontaneamente β+ con periodo di dimezzamento di 2,2 minuti, nell’isotopo stabile del silicio 3014Si. Pochi mesi dopo la scoperta dei coniugi Curie-Joliot, E. Fermi annunciò di essere riuscito a produrre isotopi radioattivi artificiali, bombardando l’alluminio e il fluoro con neutroni (➔ neutrone). Successivamente, nuclei radioattivi artificiali furono ottenuti usando anche altri proiettili, come protoni, deutoni e raggi gamma.

Diversi tipi di reazioni nucleari

Le reazioni nucleari vengono classificate in base a diversi criteri. Una prima divisione in due grandi categorie è basata sull’energia Q che viene liberata (Q>0) o assorbita (Q<0) nella reazione: le reazioni del primo tipo, ossia in cui si libera energia, vengono chiamate esoenergetiche, quelle del secondo tipo, che hanno luogo con assorbimento di energia, vengono chiamate endoenergetiche. Mentre le prime possono aver luogo (almeno in linea di principio) anche se l’energia cinetica del corpuscolo a incidente è uguale a zero, affinché una reazione endoenergetica sia possibile è necessario che la somma delle energie cinetiche dei due corpuscoli iniziali a e X, nel sistema di riferimento del baricentro, sia non inferiore a ∣Q∣. Questo fatto si esprime dicendo che le reazioni endoenergetiche hanno una soglia. Se si conoscono i valori delle masse dei corpuscoli a e b e dei nuclidi X e Y che prendono parte alla reazione, e se il nuclide iniziale e quello finale sono nello stato fondamentale, si ha, con evidente significato dei simboli,

formula

l’indice zero assegnato a Q sta a ricordare che ci si riferisce al caso in cui i nuclidi X e Y sono entrambi nello stato fondamentale. Se il nuclide iniziale X è nello stato fondamentale, come accade di solito, e quello finale Y viene prodotto in uno stato eccitato, a cui compete l’energia di eccitazione εi (i=1, 2, ...) rispetto allo stato fondamentale, il corrispondente valore di Q

vale Q0εi.

Un diverso modo, puramente fenomenologico, di classificare le reazioni nucleari è basato sui diversi tipi di particella incidente (a) e di frammento emesso (b): si parla così di reazione (α, p), (d, n), (D, n), (D, p), (γ, p), (γ, n) ecc. Tutte queste reazioni possono essere divise in due categorie a seconda del tipo di interazione agente fra i corpuscoli a e b e i nucleoni costituenti i nuclidi X e Y. La prima categoria comprende le reazioni in cui entrambe le particelle a e b interagiscono con forze nucleari, come si verifica nel caso di nucleoni isolati (11p e 10n) o di aggregati di nucleoni (21D, 42He). La seconda categoria comprende le reazioni in cui uno almeno dei corpuscoli a e b interagisce solo con forze elettromagnetiche: a questa categoria appartengono le reazioni in cui figura un fotone (γ) o un elettrone (quando non si prenda in considerazione l’eventualità di interazioni deboli). L’importanza di questa distinzione deriva dal fatto che l’interazione elettromagnetica è meno intensa (per un fattore dell’ordine di 103) delle forze nucleari. Pertanto, un nucleo è un sistema di A nucleoni così trasparenti, per es., a un fotone incidente, che questo può interagire in egual modo con tutti gli Z protoni presenti in esso. Le forze nucleari, invece, sono così intense che un nucleone (o un aggregato di nucleoni) incidente, quando entra in un nuclide, tende a interagire con i primi nucleoni che incontra sul proprio percorso, cosicché gli altri vengono schermati, almeno parzialmente. La correttezza di questa immagine, assai grossolana, dipende fortemente dall’energia Ea del corpuscolo incidente; essa verrà chiarita nel seguito ed è comunque utile per visualizzare qualitativamente i fenomeni. Nelle reazioni di cattura la particella incidente è assorbita e trattenuta dal nucleo bersaglio, formando così un nuovo nucleo, fortemente eccitato, che irradia uno o più fotoni γ: (è questo, per es., il caso della reazione (n, γ), denominata cattura radiativa di neutroni; nella cattura elettronica, per interazione debole di un elettrone orbitale con un protone e la conseguente produzione di un neutrone e di un neutrino, un nucleo di numero atomico Z si trasforma in un altro di numero atomico Z−1 (➔ radioattività). In molte delle reazioni sopra elencate, la particella b emessa ha una struttura complessa; ossia costituisce essa stessa un nucleo (per es. 21D oppure 42He); un esempio estremo di reazione di questo tipo è costituito dalla fissione (➔) degli elementi pesanti, scoperta nel 1939 da O. Hahn e Fritz Strassmann. Questo processo, consistente nella frattura del nucleo bombardato in due nuclidi di peso atomico intermedio, può essere provocato da diversi corpuscoli incidenti: neutroni, fotoni ecc. Nel caso di alcuni nuclidi, come, per esempio, 23592U, la fissione provocata dalla cattura di un neutrone è fortemente esoenergetica e può essere descritta dalla relazione

formula

dove X e Y sono due nuclidi dotati di numeri atomici Z1 e Z2, e numeri di massa A1 e A2 dello stesso ordine di grandezza e tali che Z1+Z2=92, A1+A2=236. Poiché i nuclidi X e Y emettono, istantaneamente o quasi, alcuni neutroni, questa reazione (o altra analoga) dà luogo, in opportune condizioni, a una reazione a catena, in cui si libera un’energia molto elevata a scala macroscopica. Vi sono anche reazione che hanno origine dall’urto di due nuclidi, come, per esempio, le reazioni

formula

le quali possono essere descritte come reazioni di trasferimento di un frammento, più o meno grande, da un nucleo a un altro.

Quest’ultima osservazione si riconnette a una diversa classificazione delle reazioni nucleari, basata sul meccanismo con cui si ritiene che esse abbiano luogo. Questo viene stabilito caso per caso dal confronto dei dati sperimentali con le previsioni dedotte da opportuni modelli di reazioni nucleari.

Modelli di reazioni nucleari

fig. 3

La distinzione più significativa che si può fare tra le reazioni nucleari è basata sulla durata della reazione. Se questa è dell’ordine del tempo di transito del corpuscolo incidente attraverso il nuclide bersaglio (ossia ∼10–22-10–23 s), si parla di reazione diretta; se la durata della reazione è molto più lunga, si parla di reazione a nucleo composto. Per chiarire l’origine e il significato di questa suddivisione si può partire dall’osservazione che al variare dell’energia Ea della particella incidente, la sezione d’urto σ(Ea), che misura la probabilità che abbia luogo un dato processo, può mostrare dei massimi molto pronunciati. Questo comportamento è particolarmente evidente quando la particella incidente è un neutrone lento che viene catturato da un nucleo di peso atomico intermedio o elevato (A≥100), dando così luogo a una reazione (n, γ), di cattura radiativa. Come esempio, nella fig. 3 sono mostrati i risultati di misurazioni di σtot(En) nel caso dell’ 23892U; i massimi vengono indicati con il nome di risonanze per le ragioni che chiariremo fra poco. Ciascuno di essi è caratterizzato dal valore di tre grandezze: l’energia E0i per cui si ha il massimo i-esimo (energia di risonanza), la sezione d’urto in risonanza, σ0i=σ(E0i), la larghezza della risonanza, Γi, pari all’intervallo di energia intorno a E0i nel quale σσ0i/2. La possibilità di avere risonanze nelle reazioni nucleari era stata prevista già nel 1929 e verificata sperimentalmente da vari autori nell’anno successivo, facendo uso di reazioni provocate da particelle cariche; più tardi, e precisamente intorno al 1936, numerosi sperimentatori misero in luce che molti elementi mostravano un assorbimento selettivo molto elevato per neutroni aventi certi valori ben definiti di energia. La teoria di questo fenomeno fu enunciata per la prima volta da G. Breit ed E.P. Wigner, con la formulazione di una relazione che dà la sezione d’urto elastica o di reazione in vicinanza dell’energia di risonanza; tale formula si inquadra nella teoria delle reazioni nucleari proposta da N. Bohr nel 1936, in cui si ammette che le reazioni medesime avvengano in due stadi successivi (modello a nucleo composto): prima la formazione di un nucleo composto in un livello energetico altamente eccitato, e poi la dissociazione del nucleo composto. Secondo questo modello la particella incidente (per es., un neutrone) interagisce con uno dei nucleoni del nucleo bersaglio comunicandogli una frazione elevata della propria energia e viene catturata dal nucleo; questa energia, mediante successive interazioni internucleoniche, è rapidamente ripartita fra un numero relativamente grande di nucleoni in maniera statistica o quasi, e si ha la formazione del nucleo composto nel quale nessun nucleone ha un’energia sufficiente per uscire dal nucleo. Attraverso una fluttuazione statistica può in seguito verificarsi che a un certo istante un nucleone abbia un’energia sufficientemente elevata per sfuggire al nucleo; ma può anche accadere che il nucleo composto passi dallo stato eccitato, in cui si era formato, a uno meno eccitato, emettendo un fotone, e che nel nuovo stato sia energeticamente impossibile l’emissione di un nucleone, cosicché l’unico processo possibile è l’emissione di ulteriori fotoni fino al raggiungimento dello stato fondamentale del nucleo composto. Se l’energia della particella incidente è tale che l’energia di eccitazione del nucleo composto (determinata dalla somma delle masse delle particelle interagenti, diminuita della massa del nucleo composto nello stato fondamentale, più l’energia cinetica del centro di massa) sia esattamente uguale all’energia di uno dei suoi livelli eccitati, ci si aspetta che il nucleo composto si formi per risonanza e con una grande probabilità di reazione. La sezione d’urto σ(E) della reazione provocata dalla particella a di energia E prossima all’energia di risonanza E0, con formazione di un nucleo composto diseccitantesi con emissione della particella b, vale, secondo la formula di Breit e Wigner e in buon accordo con i dati sperimentali, in prossimità dell’energia di risonanza E0:

formula

dove g è un fattore statistico che dipende dal momento angolare, λ la lunghezza d’onda di de Broglie della particella incidente, Γa, Γb sono le larghezze parziali (probabilità) di diseccitazione del nucleo composto per emissione della particella a e della particella b e Γ=Γa+Γb è la larghezza totale della risonanza. Γ è legata alla vita media τ dello stato eccitato del nucleo composto dalla relazione τ=h/(2πΓ); Γa∙2π/h e Γb∙2π/h rappresentano le probabilità, per unità di tempo, che il nucleo composto emetta rispettivamente una particella a o b. Tale formula si applica a tutte le sezioni d’urto di risonanza, compresa quella di diffusione anelastica (il nucleo si diseccita emettendo una particella identica a quella incidente a senza conservazione dell’energia cinetica totale iniziale), ma non a quella di riemissione elastica (conservazione dell’energia cinetica) della particella incidente; in quest’ultimo caso si richiede una trattazione teorica diversa. Per E=E0 la sezione d’urto è massima, mentre per E=E0±Γ/2 essa risulta pari alla metà del suo valore massimo, in accordo con la definizione data sopra di larghezza di una risonanza. Prendendo, per es., per Γ un valore tipico quale si trova sperimentalmente per le risonanze neutroniche a piccoli valori di En, si trova τ≃10−14 s, ossia un tempo enormemente più lungo del tempo di transito di un neutrone in un nuclide (10−22 s); questo non solo costituisce una delle tante verifiche della correttezza del modello a nucleo composto per spiegare processi di questo tipo, ma serve anche a mettere in luce la differenza sostanziale fra questi e i processi che vengono interpretati come dovuti a reazioni dirette. Uno studio sistematico di un grandissimo numero di reazioni ha mostrato che, per bassi valori dell’energia di eccitazione Ec (pari alla somma dell’energia cinetica della particella incidente e dell’energia con la quale questa particella verrebbe legata nel nucleo), la distanza fra un livello e il successivo (E0i+1E0i) è grande rispetto alle loro larghezze Γi+1, Γi ma che, al crescere di Ec, essa diminuisce rapidamente. I livelli diventano sempre più fitti ma al tempo stesso la loro larghezza Γi aumenta. Si raggiungono così condizioni in cui la distanza fra i livelli è dello stesso ordine di grandezza delle loro larghezze, cosicché non è più possibile separare le diverse risonanze una dall’altra e il modello a nucleo composto non può più essere usato. Ciò accade, nel caso dei nuclei leggeri, per energie del neutrone o protone incidente superiori ad alcuni MeV, e nel caso dei nuclei pesanti, già a energie di circa 1 MeV. Quando l’energia cinetica Ea è superiore a questi valori è quindi necessario ricorrere ad altri modelli; in realtà, anche a basse energie di eccitazione si può parlare della formazione del nucleo composto soltanto nelle immediate vicinanze di una risonanza, in quanto se l’energia Ea ha un valore compreso fra due risonanze fortemente spaziate, il meccanismo della reazione è certamente diverso. In queste condizioni diventano importanti gli urti periferici, nei quali solo la regione esterna del nucleo bersaglio X e quella del corpuscolo incidente a (se questo è complesso) vengono coinvolte nel processo: spesso addirittura un solo nucleone sia di X sia di a interagiscono fra loro nell’istante in cui a passa vicino a X.

In questo e in altri casi in cui non si forma un nucleo composto, come uno stadio intermedio della reazione, si parla di reazioni dirette. Con questa espressione, in realtà, si indica una vasta categoria di meccanismi che vengono usati soprattutto per interpretare i risultati sperimentali quando l’energia Ea della particella incidente è così grande che l’energia di legame dei nucleoni nel nuclide bersaglio (~8 MeV) può essere trascurata. In queste condizioni, il nucleo bersaglio X può essere paragonato a un agglomerato di nucleoni quasi liberi, e la particella incidente, dotata di energia elevata, interagisce con uno solo di questi. Il modello a reazione diretta è particolarmente utile per interpretare le reazioni prodotte da deutoni (21D). Il deutone, essendo carico, è respinto dalla forza coulombiana del nucleo, la quale ostacola il suo ingresso e la conseguente formazione del nucleo composto, ma il deutone è un sistema debolmente legato, cioè la distanza media fra il protone e il neutrone è piuttosto grande, e pertanto in un urto periferico il neutrone del deutone incidente può entrare nel nuclide bersaglio ed essere catturato da questo, mentre il protone rimane all’esterno e prosegue il suo moto subendo una deviazione relativamente piccola. Il processo che ne risulta è indicato con il nome di reazione di strappo (o stripping), in quanto il deutone viene strappato; la teoria fatta partendo da questo modello rende conto soddisfacentemente dei risultati sperimentali riguardanti le reazioni (D, p). Lo stesso meccanismo permette di interpretare anche i processi inversi, detti reazioni di pick-up, cioè le reazioni (p, D) e (n, D).

Un’altra categoria di reazione è costituita dalle reazioni a distanza, in cui il percorso del corpuscolo incidente a passa sufficientemente lontano dal nuclide bersaglio X perché le forze nucleari fra i nucleoni appartenenti a X e a non facciano sentire il loro effetto. Esempi di reazione di questo tipo sono le eccitazioni coulombiane e le reazioni di trasferimento. Nell’eccitazione coulombiana una particella carica (per es., una particella alfa), di energia piuttosto bassa, passa vicino a un nucleo senza potervi entrare a causa della repulsione coulombiana; essa però al suo passaggio genera un campo elettrico rapidamente variabile nel tempo, il quale provoca la transizione del nucleo X dallo stato fondamentale a uno stato eccitato, a partire dal quale può essere emesso un fotone o un nucleone a seconda dei casi. Nelle reazioni di trasferimento due nuclei passano abbastanza lontano uno dall’altro così da non venire mai in contatto diretto: ma uno o più nucleoni passano dall’uno all’altro per effetto tunnel.

Approfondimento

Il ritorno del nucleare in Italia di Fulvio Costantino

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